Aggiornato il 13/01/2007 alle 17.04

 

 

Circolare gennaio 2008                                                                                                                        198/2008

 

Sommario

 

I detti di Gesù (56): Venite a me voi tutti affaticati e oppressi ed io vi ristorerò........................ 1

ROMA: Il Collegio di S. Atanasio tra le due guerre..................................................................... 2

MOLISE: Comunità arbëreshe................................................................................................... 4

ROMA: 90° Congregazione Orientale e 90° Pontificio Istituto Orientale (1917-2007)..................... 7

PIANA DEGLI ALBANESI: 70° dell’Eparchia.......................................................................... 8

NAPOLI: Studi sull’Europa Orientale......................................................................................... 8

TIRANA: Libri d’arte delle banche............................................................................................ 9

GROTTAFERRATA E S. COSMO ALBANESE: Calendari bizantini 2008................................. 9

ANTRODOCO: Il pittore albanese Lin Delija............................................................................. 9

ROMA: Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2008....................................................... 10

Epèktasis: “Essere pienamente cristiani”.................................................................................. 11

 

 

Tà lòghia: I detti di Gesù (56): “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi

ed io vi ristorerò” (Mt 11,28)

 

       Gesù considera la gente del suo tempo come  pecore senza pastore, o come popolo con guide esigenti, legaliste, che scorgono la pagliuzza nell’occhio del prossimo, ma non la trave nel proprio occhio. Rendono opprimente la stessa legge di Dio, affaticano i fedeli. Inoltre queste guide del tardo giudaismo rinviano a vari intermediari tra Dio e l’uomo, alla legge, ai profeti, alla tradizione e alle tradizioni. Gesù indirizza coloro che lo ascoltano  a se stesso come all’unico mediatore: “Venite a me” (pròs mé), voi tutti affaticati ed oppressi” (Mt 11,28).

Oppressi da cosa? Affaticati perché? Si è pensato al peso generale della vita, alle sue difficoltà, alle sue oscurità, alle sue angosce (Percy). Altri hanno indicato il legalismo che al tempo di Gesù “imponeva una dura disciplina morale agli uomini senza comunicare la gioia della salvezza” (Bonnard). Oltre a tutto questo S. Giovanni Crisostomo aggiunge l’oppressione morale del peccato. “Nulla appesantisce ed opprime l’anima tanto quanto la coscienza del peccato; nulla le mette le ali e la solleva in alto così come il possesso della giustizia e della virtù” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 38,3).

Gesù invita a sé e libera: “Venite a me ed io vi ristorerò” (anapàvsō). Questo verbo fa parte della terminologia apocalittica che comprende il riposo assoluto, la pace intima con Dio. Ma nelle parole di Gesù la sua sequela, l’andare a lui, ha effetto immediato, con riflessi diretti nella realtà presente, attuale. Venendo a me “voi troverete riposo per le vostre anime, perchè il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”(Mt 11,29). Gesù non annulla l’osservanza della legge di Dio. Ma la vede e la presenta strettamente  connessa alla salvezza, quindi alla gioia che proviene dall’Alleanza con Dio, dalla comunione con Lui. L’osservanza delle identiche norme della legge non appare più oppressione e pesantezza, ma diventa espressione di amore e di dolcezza, di vita in comunione (Besa/Roma).

 

 

 

 



ROMA

IL COLLLEGIO DI S. ATANASIO

TRA LE DUE GUERRE

 

Continuiamo la presentazione dello studio dell’Archimandrita ortodosso Evanghelos Yfantidis. In continuazione dal numero precedente pubblichiamo la seconda  parte del capitolo su “I Padri Rettori e la loro direzione”:

 

 

II.                 Rettorato del P. Zimmermann

(1919 – 1927)

 

Il 1 Novembre 1919[1] si potè finalmente giungere alla riapertura del Collegio Greco, ponendo fine così allo stato anormale, in cui il medesimo si trovava fin dal 5 maggio 1915. Gli alunni, trasferiti in differenti Collegi e Seminari, ebbero l'autorizzazione di ritornare a Sant’Atanasio il detto giorno e ripresero la vita propria del Collegio.

Prima della riapertura della casa atanasiana, aveva avuto luogo un cambiamento importante, riguardo alla direzione del Collegio. Con lettera del 16 giugno, il Cardinale Segretario dello stato Vaticano fece al Procuratore Apostolico del Collegio la seguente comunicazione: «La Santa Sede prese in considerazione la prossima apertura del Collegio Greco ed in vista delle benemerenze acquistatesi in questo campo dall’Ordine di San Benedetto ha deciso che il suddetto Collegio continui ad essere affidato alle cure dei R.R.P.F. Benedettini. Attesa peraltro la delicatissima situazione internazionale, non sembrerebbe conveniente chiamare alla direzione del menzionato Collegio religiosi appartenenti alle nazioni la cui reciproca opposizione é maggiormente pronunciata. Forse sarebbe opportuno che la direzione del Collegio fosse ora affidata ai Benedettini della Congregazione Cassinese».

Dall’anno scolastico 1912 – 1913 in cui il Collegio Greco fu affidato alla Congregazione benedettina di Beuron, i Padri della menzionata Congregazione lavorarono con operosità instancabile, a vantaggio del Collegio, durante un periodo difficilissimo di sette anni. Specialmente il P. Don Benedetto Baur, Rettore, il quale si consacrò senza riserve al bene del Collegio con tutte le sue forze ed i suoi talenti[2].

L’Abate Primate, conformemente a questi ordini, scrisse ai Superiori delle due Congregazioni benedettine in Italia, di Montecassino e di Subiaco, ma tanto l’una quanto l’altra Congregazione rispose di non essere in grado di accettare la direzione del Collegio Greco, per assenza di personale.

Allora il Procuratore Apostolico si rivolse, col permesso della Santa Sede, alla Congregazione belga, offrendole la carica summenzionata. La Congregazione belga si dichiarò, difatti, pronta ad assumersi la direzione del Collegio Greco «ad experimentum» per un anno, senza però prendersi responsabilità per l’avvenire. Per l’apertura del Collegio sopraggiunsero tre Padri della menzionata Congregazione e s’incaricarono della direzione del medesimo.

Nel giugno dell’anno 1920[3], il Padre Abate Presidente della Congregazione belga comunicò ufficialmente all’Abate Primate che la Congregazione belga non si trovava in grado di accettare in modo definitivo la direzione del Collegio Greco, ma la Congregazione si dichiarava, nello stesso tempo, decisa di lasciare i tre padri in Collegio per il tempo necessario a trovare altre persone idonee per questi uffici.

Nell’anno scolastico 1919 – 1920[4] nel Collegio abitava ancora Monsignor Papadopoulos, Assessore della Congregazione per la Chiesa Orientale, col suo segretario ed un cameriere. Il terzo piano del Collegio, su richiesta della Congregazione per la Chiesa Orientale, fu affidato allo studentato Mechitarista.

Con la riapertura del Collegio erano state ordinate le finanze del Collegio[5]. Sin dall’anno 1897 provvedeva in gran parte al mantenimento del Collegio Greco l’Ordine Benedettino e piuttosto il Collegio di Sant’Anselmo. Quell’obbligo fu imposto all’Abate Primate Ildebrando de Hemptinne dal Papa Leone XIII, nel suddetto anno 1897 ed allo stesso Pontefice fu assegnata la somma di un milione di lire italiane in favore del Collegio di Sant’Anselmo. Considerati i cambiamenti dei tempi e il rincaro dei viveri, l’obbligo di concorrere in gran parte al mantenimento nel Collegio Greco doveva riuscire molto gravoso al Collegio di Sant’Anselmo. L’Abate Primate espose al Papa la situazione finanziaria del Collegio Greco, domandandogli di degnarsi a provvedere in qualche altro modo ai gravi bisogni del medesimo. Benedetto XV risolvette le difficoltà. Alle quattrocento mila lire che l’Abate Primate consegnava da parte del Collego di Sant’Anselmo alla Santa Sede, in favore del Collegio Greco, il Papa si degnò di aggiungere dal proprio altre quattrocento mila lire. Nel medesimo tempo dichiarò “l’Ordine benedettino esonerato dall’obbligo imposto dal Papa Leone XIII di provvedere al mantenimento del Collegio Greco”. La somma d’ottocentomila lire fu deposta nella cassa dell’Amministrazione per le Opere Pie di Religione, e Benedetto XV dispose che l’economo del Collegio Greco ritirasse gli interessi annui di questo capitale, per erogarli per i bisogni del predetto Collegio, insieme agli altri redditi di cui disponeva.

Nello stesso tempo fu introdotto per decisione di Benedetto XV, un altro cambiamento di grande importanza nell’organizzazione del Collegio: la soppressione degli alunni di ginnasio, in conseguenza della fondazione del Seminario di Grottaferrata e di quello di Costantinopoli e della riforma del Seminario Greco - Cattolico di Palermo. Da questi istituti sarebbero dovuti poi arrivare i giovani nel Collegio di Sant’Atanasio per compiere gli studi di filosofia e di teologia[6]. In più, la Congregazione per la Chiesa Orientale confermò il privilegio dei Basiliani Melchiti d’avere quattro posti nel Collegio.

In questo stesso anno, il Regolamento, compilato per il Collegio nel 1912 dalla Sacra Congregazione Concistoriale ed approvato solo “ad quinquennium”, considererete le circostanze, fu mantenuto provvisoriamente in vigore per ordine del Cardinale Segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale, salvi i punti nell’applicazione dei quali i Superiori avrebbero giudicati necessari certi piccoli cambiamenti[7].

Il P. Abate Presidente e gli altri Abati della Congregazione belga dell’Ordine benedettino avevano, con lettera del giugno 1921[8], accettato definitivamente la direzione del Collegio di Sant’Atanasio che dal novembre del 1919 tenevano solo provvisoriamente “ad experimentum”.

Il 23 febbraio Monsignore Papadopoulos, il quale abitava nel Collegio fin dalla chiamata al posto d’Assessore della Sacra Congregazione pro Ecclesia Orientali, lasciò il Collegio per stabilirsi nel nuovo appartamento in piazza Scossacavali. Lo studentato Mechitariato di Venezia occupava ancora tutto il terzo piano del Collegio, con certi inconvenienti materiali per il Collegio[9].

Nel settembre del 1921[10], il P. Rettore fece un viaggio di tre settimane in Sicilia per visitare le colonie albanesi, ivi esistenti, e per rendersi conto della situazione del clero greco - cattolico.

Dopo diverse domande e numerosi passi, il Collegio ottenne dal Ministero della guerra di essere iscritto sull’elenco dei Seminaristi missionari, in modo che gli alunni italo – albanesi fossero dispensati dal servizio militare durante gli anni di studio.

Durante l’anno scolastico 1921 - 1922[11] furono fatte diverse riparazioni al Convento di San Nicola in Sabino Belmonte per affidarlo ai Carabinieri di Rieti. Dopo che lo studentato Mechitarista ebbe lasciato in ottobre il terzo piano del Collegio, che teneva in affitto da tre anni, il Collegio aveva potuto di nuovo prendere possesso di questi locali, dei quali si avvertiva un urgente bisogno a causa del crescente numero degli allievi.

Il P. Rettore del Collegio fece nel mese d’agosto un piccolo viaggio nei paesi albanesi della Calabria, assistendo tra l’altro, il giorno dell’Assunta, all’inaugurazione della nuova Cattedrale greco - cattolica di Lungro.

L’anno scolastico successivo[12] fu trascorso in piena regolarità, senza avvenimenti di maggior importanza.

Nell’anno scolastico 1924 - 1925[13] il regolamento approvato dalla Congregazione per gli Orientali fu stampato e distribuito a tutti gli alunni.

Il Papa, continuando in tutti i modi a dimostrare la sua benevolenza verso il Collegio, si degnò di mandare a Sant’Atanasio un magnifico ritratto, all’interno di una ricca cornice che da allora ha preso il posto d’onore nel salone.

Viste le numerose difficoltà incontrate dai Padri stessi nell’esercitare l’ufficio d’esattore, si tornò all’uso precedente, affidando l’esattoria del Collegio a Filippo Bazonci, domiciliato vicino al Collegio, Cassiere contabile alla Cassa di Risparmio.

Nei primi d’agosto dell’anno scolastico seguente[14] iniziarono i lavori di restauro e di addattamento del Collegio. Il progetto fu approvato dal Papa stesso, a cui lo aveva presentato il Procuratore Apostolico. I finanziamenti dei lavori, secondo la volontà di Papa, furono ricavati della vendita di alcuni fondi della cassa atanasiana. Lo scopo principale di questi lavori fu di rivalorizzare certi locali del Collegio, da dare in affitto per aumentare le rendite, e contemporaneamente di migliorare alcuni ambienti di servizio.

Nell’anno scolastico 1925 - 1926[15] la disposizione delle stanze della casa atanasiana fu finita. La cucina nuova stava nel sottosuolo, con la dispensa, la cantina per il vino, il locale per i combustibili e per la frutta. L’antica cucina e la sala da bagno furono riunite per formare il nuovo refettorio. L’antico refettorio invece con la dispensa vicina fu ridotto a locale affittato. L’antecucina diventò un piccolo refettorio e camera da servizio. La dispensa contigua e l’antico refettorio piccolo dovevano servire per il guardaroba, divenuto troppo piccolo in una sola camera.

Al mezzanino si ebbero due nuove camere nell’altezza della cucina che prendeva due piani e si rese necessario la demolizione delle volte e dei soffitti, siccome certi muri divisori salivano sino al primo piano. In quella parte c’era precedentemente (1907) la cappella domestica. Ricostruita allora quest’ampia sala, chiara e soleggiata, si pensò di conservarla piuttosto e di trasferirvi la biblioteca, al momento divisa in tre camere. Mentre si prendevano così due camere d’abitazione, se ne trovarono altre due, l’una al mezzanino e l’altra chiudendo la porta di comunicazione tra le due camere cosiddette episcopali; furono così rese indipendenti ed abitabili separatamente.

I lavori per la parte esteriore da trasformare in negozi d’affittarsi stavano ancora al principio.

Durante l’anno scolastico 1926 - 1927 l’avvenimento di maggiore importanza fu il cambiamento nella direzione del Collegio[16].

Il 13 dicembre il P. Rettore si assentò per alcuni giorni per andare a Maredsous. Il 23 gennaio, Don Andrea Zimmermann diede agli alunni la comunicazione della sua prossima partenza dal Collegio, col consenso della Santa Sede. Egli aveva servito il Collegio più di nove anni, in qualità d’Economo dall’anno 1912 – 1914 e poi da Rettore dall’ottobre 1919 sino alla partenza[17].

Il 4 giugno, giunse da Maredsous il Padre Abate Don Celestino Golenvaux e con lui il nuovo Rettore del Collegio, nella persona del P. Odilone Benedetto Golenvaux, il quale il 1° giugno fu ricevuto in udienza privata dal Papa e dopo fu solennemente introdotto nel Collegio e presentato ai Padri Superiori ed agli alunni dal Procuratore Apostolico. Dopo la cerimonia tutti andarono in cappella per le preghiere di ringraziamento. Il 15 agosto il nuovo P. Rettore celebrò per la prima volta la divina liturgia nel rito greco – bizantino (Besa/Roma).

 

 

MOLISE

COMUNITA’ ARBERESHE

 

Dopo aver presentato, nel numero precedente,  uno sguardo d’insieme delle 4 Comunità arbëreshe del Molise, riportiamo la presentazione di 3 delle 4 Comunità, sempre a cura di Antonio Libertucci. Nel prossimo numero pubblicheremo  quella della quarta comunità: Montecilfone

 

 

URURI / RUR-RURI

 

Il paese è posto sulla dorsale del versante orientale dell’Appennino Sannita, a ridosso di un’amena collina digradante verso il mare Adriatico.

Mite è il clima, salubre l’aria.

“Aurora (è il nome latino di Ururi) … quae in aprico sane solo posita respiciens propinquas Adriatici oras” scrive Mons. Carlo Maria Pianetti, vescovo di Larino (1706-1725), nella sua relazione della visita “ad limina apostolorum” del 17 aprile 1712 (cfr. Archivio Segreto Vaticano, S. Congr. Concilii Relationes, n. 434A).

Il toponimo ebbe vari cambiamenti nel corso dei secoli: Aurole, Aurora, Ororio, Doruzi e finalmente Ururi dal sec. XVIII ad oggi.

Le prime notizie del Casale di Ururi in epoca medioevale, le troviamo in un manipolo di documenti che risalgono al 1026, 1052 e 1059 (19) e al 1075 (20); per la storia della comunità arbëreshe è invece da segnalare il Capitolato stipulato il 4 marzo del 1540 tra i rappresentanti del Casale di Ururi e il Vescovo di Larino, barone del feudo; molto interessante è poi l’ “Inventario dei beni e dei pesi della chiesa di Santa Venera nella Terra di Ururi, diocesi di Larino, fatto da Don Lorenzo Colavita nell’anno 1707” (Archivio vescovile di Larino; cfr Libertucci, A., Chiesa di Santa Venera in Terra di Ururi, 1994).

La struttura dell’agglomerato urbano, privo peraltro di ogni difesa muraria, “segno di un gruppo sociale povero, senza granché da difendere” (21), anche se nel tempo è stata oggetto di frequenti ripensamenti e rifacimenti, si presenta in maniera abbastanza ordinata: strade larghe e lineari, ampi spazi di piazze e piazzette; il nucleo più antico è rappresentato dal caseggiato sorto intorno all’antica chiesa madre intitolata a Santa Maria del Vento con l’abside rivolta ad Oriente, secondo una tradizione che rimonta ai primi tempi del cristianesimo (“apostolos iussisse ut ecclesiae christianorum orientem spectarent” S. Atanasio, IV secolo).

L’attuale chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria delle Grazie, è stata consacrata il 10 settembre 1730 dopo lunghi anni di lavori che ebbero inizio nel 1718. Oltre alla chiesa madre esiste in paese anche un’altra chiesa recentemente ricostruita dalle fondamenta, intitolata alla SS. Trinità. Di una chiesetta situata fuori dell’abitato dedicata a Santa Venera costruita dai primi arbëreshë giunti in Terra di Ururi, esisteva fino a qualche tempo fa ancora qualche traccia dell’antica costruzione. Gli Arbëreshë giunsero nel feudo di Ururi, secondo una verosimile ricostruzione storica, nell’autunno del 1468; era l’anno della morte di Skanderbeg (18 gennaio 1468).

Ogni anno, il 3 maggio, si svolge la tradizionale corsa dei carri trainati da buoi in onore del patrono della Comunità: il Santo Legno della Croce, del quale si conserva una reliquia custodita in una teca d’argento.

La corsa, di origini molto antiche, è intensamente sentita in paese e richiama molta gente da ogni parte del Molise.

E’ vivamente ricordato nella piccola storia di Ururi, l’episodio della strage dei Vardarelli: una masnada di banditi che infestavano le contrade della Regione; venne sterminata proprio nella piazza principale del paese, nella mattinata dell’8 aprile 1818 (22). L’avvenimento dalle motivazioni storiche non molto chiare viene tramandato dall’immaginario collettivo avvolto in un alone di leggenda.

In questi ultimi tempi si è attivato in paese, come anche nelle altre comunità arbëreshe del Molise, un processo che tende, a livello individuale o di gruppo, attraverso iniziative varie (studi, ricerche, pubblicazioni), alla riscoperta  della proprie radici storiche  e alla tutela della propria identità linguistica e culturale.

Già negli anni sessanta si pubblicavano a Ururi due periodici “Gjuha jone e bukur” e “Gjellë”, nati per l’iniziativa di due ben noti cultori della parlata arbëreshe di Ururi: il compianto Giovanni Jannacci e l’instancabile Luis de Rosa.

Ebbero breve durata, è vero, ma entrambe le pubblicazioni diedero un segnale forte di risveglio. Oggi due nuove testate “Kumbora” di Luigi de Rosa e “Il Girone” prodotto da un’associazione di giovani, si propongono come sostenitori della conservazione della lingua e delle tradizioni popolari.

La chiesetta di campagna, rustica e disadorna, rappresentata nello stemma del Comune di Ururi, raffigura, in forma stilizzata, la chiesetta racchiusa nel sigillo apposto sulle carte del Catasto onciario della Terra di Ururi dell’anno 1743 (23).

 

 

CAMPOMARINO / KËMARIN – KËMARINI

 

La cittadina si stende su un ameno poggio, lungo le rive del Mare Adriatico.

Recenti ricerche archeologiche hanno portato alla luce nella vicina località della Difensola (contrada conosciuta anche con il nome di “Giardini”), reperti di insediamento umano di origine pleistocenica fiorente nel periodo IX/VIII secolo a.C. (24).

Il tracciato planimetrico del borgo rivela una struttura edilizia non conclusa rispetto al borgo di primo impianto, e si apre ad un reticolo di strade che scendono verso il mare.

Il paese ha origini medioevali; risulta citato sia nella sentenza del Cardinal Lombardi sui confini della Diocesi di Larino (1175), sia nelle Bolle di Lucio III (1181) e di Innocenzo IV (1254): “ … Campum Marinum quod est feudus unius militis et dimidii”.

Rimasto desolato e disabitato per lungo tempo, il borgo fu ripopolato nell’ultimo decennio del XV secolo dagli Albanesi accolti nel Molise grazie ai buoni uffici di Mons. Antonio De Misseriis.

Lungo il corso dei secoli successivi, il feudo baronale passò più volte di mano: da Andrea di Capua, Orazio Marullo, a Scipione di Sangro. Baroni inquieti e ribelli, sempre in lotta tra loro spinti dalla cupidigia e dalla sete di potere.

E’ oggi un centro balneare di rilievo nella costa molisana, dotato di comodi alberghi, campeggi e centri di vacanza. La cittadina, animata da sempre nuove iniziative e originali richiami culturali, è proiettata verso un sicuro sviluppo economico e sociale.

La patrona del paese è Santa Cristina, la cui festa ricorre il 24 luglio; la chiesa madre, di stile romanico-gotico, con non pochi segni di mano bizantina, è dedicata a Santa Maria a Mare.

Esistono ancora ruderi di un’antica cappella intitolata ai Santi Pietro e Paolo.

Nel passato, tra i paesi Arbëreshë del Molise, è stato quello che più tenacemente e più a lungo ha resistito alla decisione dei vescovi latini di abolire il rito greco-bizantino, prima di accettarne la soppressione definitiva.

Oggi, più che ogni altro paese arbëresh del Molise, Campomarino avverte il problema della decadenza dell’identità linguistica, sente il rischio della omologazione. Il declino della parlata arbëreshe in questi ultimi decenni, infatti, va sensibilmente manifestandosi e suscita nella parte più attenta della comunità un preoccupante disorientamento.

 

 

PORTOCANNONE /PORKANUN – PORKANUNI

 

Il paese sorge sulle pendici di una lieve collina, a 148 metri sul livello del mare, sulla riva destra del fiume Biferno, a circa 6 chilometri dal Mare Adriatico.

Gode di un vasto panorama che spazia dal Gargano alle Isole Tremiti, dalla valle del Biferno fino alle splendide vette della Majella.

L’origine del toponimo, prima del definitivo Portocannone, ancora oggi divide gli studiosi: da Portus Cantorum a Portus Candunum, da Portus Candoni a Portus Candora e a Portus Cannonis.

Il primo agglomerato abitativo era situato in località Castelli, ove oggi sorge il cimitero comunale; dopo il terremoto del 1456 è passato come “casale” alle dipendenze di Guglionesi. Con l’arrivo degli arbëreshë il paese fu ricostruito in una zona poco distante dal borgo primitivo.

Portocannone fu feudo dapprima di Angelo Castiglione e della moglie Caterina Bellery (25), poi passò ai duchi di Celenza e infine a Carlo Diego Cini che nel 1753 costruì l’imponente palazzo baronale, oggi palazzo Tanasso.

La chiesa parrocchiale è dedicata ai santi Pietro e Paolo, costruita nel XVI secolo e più volte ritoccata per successivi ampliamenti. Vi è custodita la bella immagine della Madonna di Costantinopoli, patrona del paese, la cui festa è celebrata il primo martedì successivo la domenica di Pentecoste.

La festa è preceduta (lunedì di Pentecoste) dalla tradizionale corsa dei carri che si conclude con l’affidamento al carro vincente del quadro della Madonna di Costantinopoli da portare in solenne processione il giorno dopo (martedì di Pentecoste) per la festa liturgica.

Anche a Portocannone, come negli altri paesi arbëreshë del Molise, si osservò il rito greco-bizantino fino alla sua soppressione avvenuta negli ultimi anni del XVII secolo.

Portocannone è gemellata con la città di Kruja, città natale di Giorgio Castriota Skanderbeg al quale è intitolata la piazza maggiore del paese.

Per maggiore conoscenza degli usi, dei costumi e delle tradizioni popolari di Portocannone è indispensabile consultare l’interessante volume di Michele Flocco (26). Per una più vasta bibliografia sulle Comunità albanofone presenti nel Molise, oltre alle opere citate nelle note, si segnalano:

 

1.              La “Rassegna bibliografica arbëreshe” curata da Ginetta Calascione e Mauro Spagnoletti, pubblicata, con il patrocinio della Provincia di Campobasso e del Comune di Portocannone, nel 1999;

2.              Per una bibliografia ragionata” curata dal Guido Vincelli, in Samnium 9.XLV, n. 1-2, 1972;

3.              Rassegna bibliografica molisana” a cura di Giorgio Palmieri e Antonio Santoriello, per conto dell’Istituto Regionale per gli Studi storici del Molise “Vincenzo Cuoco”, 2001 (Besa/Roma).

 

 

Note

19.  Gattola E., Historia cassinensis, 1723; Libertucci, A., Santa Maria in Aurole, 1994.

20.  Tria G. A., Memorie storiche civili ed ecclesiastiche della città e diocesi di Larino, 1744.

21.   Fadda M., Chiesa e castello, Venafro 1995.

22.   Sull’argomento dei briganti Vardarelli esiste una vasta bibliografia; se ne indicano le pubblicazioni più importanti: Lucarelli A., Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d’Italia, Milano, Longanesi 1968; Monti M., I briganti italiani, Milano, Longanesi 1959; Barra F., Cronache del brigantaggio meridionale 1806-1815, S.E.M. Salerno 1981; Rondini E., I briganti celebri italiani, Firenze 1890; Manhés A. e McFarlan R., Brigantaggio, Napoli 1931; De Matteo G., Brigantaggio e Risorgimento, Napoli 2000; Trotta L. A., Della vita e delle opere di Domenico Trotta e dei suoi tempi nella provincia di Molise, 1881.

23.   Archivio di Stato di Napoli, Arch. R. Camera Somm., vol. 7707/1-731.

24.   Gravina A. – Di Giulio R., Abitato protostorico presso Campomarino in località Difensola, 1982.

25.           Masciotta G, Il Molise, vol. IV, 1952  (ristampa 1985);

26.  Flocco M., Studio su Portocannone e gli Albanesi in Italia, 1985; Musacchio G., Portocannone e la sua memoria storica nel contesto della diaspora albanese, 1997.

ROMA

90° CONGREGAZIONE ORIENTALE

90° PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE

1917-2007

 

 

Nel 2007 è stato celebrato il 90° anniversario di due Istituzioni di Papa Benedetto XV, la Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Per l’occasione il nuovo Prefetto di quella Congregazione e Gran Cancelliere di quell’Istituto ha rilasciato una intervista. Ne riportiamo alcune risposte:

 

 

Domanda: Nelle celebrazioni del 90° della Congregazione per le Chiese Orientali s’inseriscono i novanta anni dalla fondazione del Pontificio Istituto Orientale istituiti come sono ambedue da Benedetto XV nel 1917. Che ruolo svolgono attualmente all’interno della Chiesa?

 

Risposta: Papa Benedetto XV, nel maggio del 1917, istituì la Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, come allora si chiamava, affinché gli orientali avessero una casa a Roma. Egli intese fugare il timore che essi non fossero tenuti nella dovuta considerazione dai romani pontefici. Il Papa volle esserne il prefetto per manifestare chiaramente che la Chiesa di Cristo non è latina, né greca, né slava, bensì cattolica, e non si ammettono discriminazioni tra i suoi figli. Nell’ottobre successivo, lo stesso Pontefice volle a Roma anche una studiorum domus perché gli orientali potessero approfondire la conoscenza delle tradizioni orientali e farle conoscere al mondo latino.

La Congregazione è rimasta fedele al mandato papale: nel rispetto delle competenze delle singole Chiese ne ha promosso la vita pastorale, liturgica e disciplinare. E il Pontificio Istituto Orientale ha dato il necessario supporto culturale, votandosi alla formazione dei futuri pastori, dei consacrati e degli educatori anche laici. Così, con proficuo intreccio di intenti offre tuttora alla Chiesa universale il respiro dell’oriente cristiano. E le parole dell’oriente aiutano la Chiesa a parlare di Cristo all’uomo contemporaneo.

 

Domanda: Benedetto XVI vi chiede di porvi accanto alle Chiese orientali per promuovere il cammino ecumenico nel rispetto delle prerogative e responsabilità specifiche. In questo senso, quali iniziative avete in progetto come Congregazione e che ruolo può svolgere il Pontificio Istituto Orientale?

 

Risposta: In quella circostanza Benedetto XVI mi ha chiamato al compito di prefetto del dicastero ed ha proferito indimenticabili parole sull’identità e sulla missione delle Chiese orientali. Il Papa ci ha invitati ad accompagnarlo nel “pellegrinaggio al cuore dell’oriente” per consentire alla Chiesa di abbeverarsi alla sorgente delle “origini”, senza le quali non c’è futuro. Ha sottolineato l’irreversibilità della scelta ecumenica operata dal Concilio Ecumenico Vaticano II e la ineludibilità dell’incontro interreligioso. Ed ha subito citato il Pontificio Istituto Orientale per l’insostituibile e qualificato servizio ecclesiale offerto in questa direzione. Ricordo bene i due aggettivi: insostituibile e qualificato. Ho letto in essi una eco della priorità della formazione che sta a cuore al Papa e alla Congregazione. Essa è perseguita in Roma attraverso l’Istituto Orientale, con le due facoltà di scienze ecclesiastiche orientali e diritto canonico orientale, e i diversi pontifici collegi dove gli studenti orientali completano la preparazione a livello spirituale e comunitario.

Nei territori orientali, tale priorità è riaffermata nell’appoggio ai seminari e alle altre istituzioni educative. Siamo fiduciosi nella ordinaria e seria cura della formazione per tutte le categorie del popolo di Dio, e specialmente dei formatori. Una cura attenta alla dimensione ecumenica ed interreligiosa, ma sempre fedele alla tradizione orientale e ben inserita nell’unica Chiesa, grazie al legame col successore di Pietro, che costituisce il vanto ecclesiologico degli orientali cattolici.

 

Domanda: Benedetto XVI ha chiesto uno sforzo intelligente per affrontare il fenomeno delle migrazioni, che priva di risorse le comunità d’origine e crea problemi di integrazione e di accoglienza. Che può fare la Congregazione al riguardo?

 

Risposta: Questa è l’autentica sfida del presente. Ne siamo preoccupati insieme al Papa. Le persone sradicate dalle tradizioni di origine rischiano di perdere i profondi valori religiosi che reggono la vita individuale e comunitaria.

La Congregazione è attenta agli organismi vaticani preposti alla pastorale migratoria e cerca di responsabilizzare le comunità ecclesiali di partenza e di destinazione sull’inarrestabile fenomeno.

Sostiene i vescovi e i presbiteri delle diverse Chiese incaricati in tale ambito e favorisce la creazione di strutture che consentano la pastorale nei riti di appartenenza.

Ma si impegna, altresì, a sensibilizzare l’intera comunità cattolica perché, pur nella doverosa prudenza, sia accogliente e capace di coinvolgere le pubbliche istituzioni.

Nell’affrontare il problema, esse affondano nella mancanza di pace, per la quale soffrono pesantemente vaste regioni orientali (Besa/Roma).

PIANA DEGLI ALBANESI

70° DELL’EPARCHIA

 

Riportiamo una nota sul 70° dell’Eparchia di Piana degli Albanesi che abbiamo chiesto all’archimandrita p. Antonino Paratore:

 

Il 26 ottobre 2007, giorno della memoria di S. Demetrio Megalomartire di Tessalonica, patrono della diocesi di Piana degli Albanesi, ricorre la fondazione del 70° anniversario della fondazione dell’eparchia voluta da Pio XI.

Con solenne pontificale celebrato nella cattedrale della diocesi alla presenza del Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, l’eminentissimo cardinale Leonardo Sandri accompagnato dal segretario, mons. Maurizio Malvestiti, sono iniziate le manifestazioni della fausta ricorrenza.

Il Prefetto è stato accolto da S. Ecc.za mons.Sotir Ferrara, dal clero, le religiose/i, i seminaristi del Seminario Minore, dal popolo di Dio e dalle autorità civili e militari.

Dalla chiesa adiacente all’episcopio, dedicata a S. Nicola di Mira, nella quale si custodisce la preziosa iconostasi della scuola cretese, si è snodata la processione tra i saluti e il canto del “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, per arrivare in cattedrale, già gremita di fedeli.

Dopo il canto del Ton Despòstin, l’eparca, mons. Sotir Ferrara ha rivolto al Prefetto un saluto toccante e denso di significato. Così, si esprimeva il presule: "E' una grande gioia festeggiare insieme a lei l’odierna solenne memoria, e la sua presenza sottolinea anche la presenza del Santo Padre: lei ci porta la sua benedizione e siamo lieti di questo. Da sei secoli il nostro popolo ha sempre venerato la figura del Santo Padre. Il modo di essere cristiani orientali che hanno saputo ben sposare la presenza dell'altro rito occidentale, il rito latino, che parte della nostra popolazione segue, è testimoniato - ha aggiunto mons. Ferrara - dall'unico presbiterio di entrambi i riti che oggi concelebra la Divina Liturgia. Questo - ha concluso - lo dobbiamo alla lungimiranza del Servo di Dio Padre Giorgio Guzzetta, che è sepolto in questa cattedrale e del quale abbiamo iniziato il processo di canonizzazione".

In segno di gratitudine e fraternità, il vescovo di Piana ha donato all’em.mo Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali un encòlpio, con impressa l’immagine della Madre Dio.

Alla Divina Liturgia, presieduta dall’eparca, erano presenti tutti i presbiteri della diocesi.

L’omelia è stata proferita dal card. Sandri, che ha evidenziato le virtù cristiane del grande megalomartire Demetrio e l’attualità del Santo, nonostante la distanza dei secoli trascorsi. “Anche oggi, diceva il porporato, le nostre Chiese locali hanno bisogno di nuovi Demetrio che annuncino senza riserve e paura il kerigma del Vangelo. Ed aggiungeva: “Il ruolo dell’unicum dell’eparchia di Piana è segno dell’unità della Chiesa indivisa ”.

La Divina Liturgia Pontificale è stata animata dalla corale della cattedrale.

Erano presenti alla cerimonia, anche l’arcivescovo di Palermo, S.E. mons. Paolo Romeo ed il Segretario Generale del Governatorato della Città del Vaticano, l’ecc.mo mons. Renato Boccardo, nonché i primi cittadini di tutti i paesi italo-albanesi di Sicilia.

Alla fine del solenne pontificale, i fedeli, con grande gioia hanno voluto salutare, con spirito di devozione e spontaneità, il Prefetto, chiedendo la sua benedizione.

Si sono vissuti momenti di autentica agape fraterna tra il clero, l’eparca e gli illustri ospiti.

Nella serata della stessa giornata, presso il Palazzo Bonaccori, adiacente alla chiesa di San Nicolò dei Greci, in Palermo, è stata inaugurata una mostra di oggetti sacri della tradizione romana e bizantina, allestita con la partecipazione dell’arcidiocesi di Palermo e di Monreale e dell’eparchia di Piana degli Albanesi.

Inoltre, l’indomani, il 27 ottobre, nella con-cattedrale dell’eparchia, nella Martorana a Palermo, mons. Aldo Giordano Segretario Generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha tenuto una conferenza su “Il dialogo ecumenico in Europa: Dalla prima Assemblea alla terza Assemblea Ecumenica Europea” (Sibiu 2007), alla quale ha partecipato un buon numero di gente (Besa/Roma).

 

NAPOLI

STUDI SULL’EUROPA ORIENTALE

 

Una poderosa silloge di studi, ricca e varia, su tematiche riguardanti l’Europa Orientale (storia, linguistica, letteratura) è stata pubblicata dal Dipartimento di studi dell’Europa Orientale dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” come omaggio ad A.Bongo, G. Carageani, C. Nikas e A. Wilkon, docenti che giungono al termine del loro insegnamento accademico (Studi sull’Europa Orientale, a cura di I. C. Fortino e E. Çali, Napoli 2007, pp. 590).

Dei quattro studiosi a cui è dedicato il volume il curatore nella presentazione ha scritto: “Tutti e quattro impersonano un aspetto importante dell’attività scientifica e didattica, oltre che più in generale culturale”. Inoltre essi “hanno saputo coniugare ricerca scientifica, didattica e impegno politico-culturale.

La stessa estrazione della maggior parte di loro si pone opportunamente nel quadro del dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, una struttura che fin dagli anni della guerra fredda ha saputo dedicare la dovuta attenzione a quanto accadeva al di là della Cortina” (I. C. Fortino).

Georghe Carageani (Bucarest, 1939), esule dalla Romania totalitaria, ha svolto ricerche che interessavano un’area balcanica molto più ampia della Romania. Tra l’altro ha studiato i caratteri linguistici e culturali degli Aromeni.

Costantino Nicas (Kiaton, Grecia, 1935), è diventato “punto di riferimento della grecità in Italia, tanto di quella scientifica che di quella culturale, ivi compresa la propaggine grecanica di Calabria, che ci riporta assai indietro nel tempo, forse fino al periodo dell’antica Magna Grecia”.

Alexander Wilkon (Wieliczka, Polonia, 1935), personifica lo scienziato moderno “che abbraccia Europa Orientale e Europa Occidentale, in un percorso che collega l’Università Jagellonica di Cracovia, la Sorbona di Parigi e l’Orientale di Napoli”.

Angelo Bongo (Benevento, 1942), italiano, ma con solida formazione culturale russa. Con il suo costante impegno nella didattica della lingua russa, egli “è diventato per il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale una vera e propria istituzione”.

Gli interessi  di questo Dipartimento si estendono a 14 realtà politico-culturali: Paesi: Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Finlandia, Macedonia, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Repubblica Slovena, Romania, Russia, Serbia, Ungheria. Gli studi presenti nel volume si indirizzano particolarmente alle discipline insegnate dai quattro festeggiati. Ne segnaliamo alcuni più vicini ai nostri interessi:

Edmond Çali, Motivi biblici in Rruga e Golgotës di Kasëm Trebeshina, pp. 47-90;

Italo Costante Fortino, Letteratura italiana in albanese. Percorsi e osservazioni, pp. 157-180;

Addolorata Landi, A proposito dell’albanese “dhelpëroj”, pp. 225-237;

Merita Sauku-Bruci, Botimet kritike në Shqipëri misioni i papëmbushur i filologjisë shqipe, pp. 403-416;

Riccardo Maisano, tradizione in lingua greca e latina della pericope della Trasfigurazione, pp. 261- 272;

Vincenzo Rotolo, L’insegnamento del greco moderno nell’Università di Palermo, pp. 391-402;

Giorgia Riela, Il Peloponneso nel Viaggio in Grecia di Saverio Scrofani, pp. 363-390;

Ion Pop, Intertestualità e postmoderno: il modello di I. L. Caragiale e la generazione letteraria romena degli anni ’80, pp. 339- 362;

Cesare Alzati, Identità romena e dimensione imperiale nell’età dei lumi: Blaj da residenza episcopale a “Piccola Roma”, pp. 15- 28;

Lucia Tonini, L’arte russa e l’Italia: tracce di ricerca sul rapporto con Firenze all’inizio del XIX secolo, pp. 519- 534. L’insieme della miscellanea è aperta alle nuove problematiche sollevate dall’integrazione europea in corso. La problematica emerge dalla stessa presentazione del volume: “Il processo di avvicinamento delle nazioni dell’Europa orientale all’Unione Europea richiama l’attenzione degli studiosi. Se il processo di integrazione avviene senza un processo razionale e senza il dovuto rispetto delle identità culturali, economiche e sociali, si affaccia il rischio di un mescolamento di realtà che non possono che trasformare l’incontro  in scontro” (Besa/Roma).

 

TIRANA

LIBRI D’ARTE DELLE BANCHE

 

Una iniziativa particolare in corso è quella di rafforzare il rapporto fra il mondo dell’economia e la cultura. Di solito le grandi banche pubblicano libri d’arte  di alto pregio e rarità. La loro consultazione rimane difficile al grande pubblico. Per renderla possibile dal 1991 è stata organizzata una mostra itinerante che da Berna si è estesa di anno in anno a vari paesi con oltre 50 tappe. Quest’anno è giunta in Albania. Sotto il titolo “I nuovi mecenati” la mostra si è tenuta a Tirana, organizzata dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), dall’Ambasciata d’Italia a Tirana, dalla Galleria Nazionale delle Arti di Albania e la “Dante Alighieri” di Tirana (Besa/Roma).

 

GROTTAFERRATA E S. COSMO ALBANESE

CALENDARI BIZANTINI 2008

 

Sono regolarmente apparsi due calendari bizantini, quello della badia greca di Grottaferrata e quello del santuario dei Santi Cosma e Damiano di S. Cosmo Albanese nell’eparchia di Lungro. Entrambi riportano anche il calendario romano. Il calendario di Grottaferrata è illustrato con riproduzioni degli stendardi realizzati nel 1904 dai fratelli Varoukas per il IX centenario della morte di S. Nilo. Il calendario di S. Cosmo, curato dal parroco papàs Pietro Minisci, è illustrato con riproduzione degli affreschi bizantini del santuario e con immagini della vita della locale parrocchia (Besa/Roma).

ANTRODOCO

IL PITTORE ALBANESE LIN DELIJA

 

Nel Museo della Città di Antrodoco si trovano molte opere di Lin Delija (1926-1994), noto pittore albanese, che ha trascorso gli ultimi anni in questa cittadina. Vi è pure una Associazione che porta il suo nome. Di recente il vicepresidente Armando Nicoletti ha donato alla città di Detroit, dove vive una consistente comunità cattolica albanese, un ritratto del grande poeta Gjergj Fihsta, francescano di Scutari. Opere del Delija si trovano in vari Musei del mondo, come nella raccolta di arte moderna dei Musei Vaticani (Besa/Roma).


SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

18-25 gennaio 2008

“Fratelli, vi prego [...] vivete in pace tra voi. Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi di rendere male per male ad alcuno, ma cercate sempre di fare il bene tra voi e con tutti. Siate sempre lieti. Pregate incessantemente, e in ogni cosa rendete grazie. Questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”(1 Ts 5, 12a.13b-18)


 


 

 

PRIMO GIORNO:     Pregate sempre

Pregate continuamente” (1 Ts 5, 17)

Isaia 55, 6-9:     Cercate il Signore, ora che si fa trovare

Salmo 34(33):    Ho cercato il Signore e m’ha risposto

1 Ts 5, 12a.13b-18:                   Pregate continuamente

Luca 18, 1-8:     Pregare sempre, senza stancarsi mai

 

SECONDO GIORNO:                                              Pregate confidando in Dio

“In ogni tempo ringraziate il Signore” (1 Ts 5, 18)

1 Re 18, 20-40:    Signore è Dio! È Lui il vero Dio!

Salmo 23(22):      Il Signore è il mio pastore

1 Ts 5, 12a.13b-18:       In ogni circostanza ringraziate Dio

Giovanni 11,17-44: Padre, ti ringrazio, mi hai ascoltato

 

TERZO GIORNO:       Pregate per la conversione

“Rimproverate quelli che vivono male; incoraggiate i paurosi” (1 Ts 5, 14)

Giona 3, 1-10:        Il pentimento di Ninive

Salmo 51(50), 10-17: Crea in me, o Dio, un cuore puro

1 Ts 5, 12a.13b-18:                               Incoraggiate i paurosi

Marco 11, 15-17:   Casa di preghiera

 

QUARTO GIORNO:   Pregate per la giustizia

“Non vendicatevi contro chi vi fa del male (1 Ts 5, 15)

Esodo 3, 1-12:               Dio ascolta il lamento degli Israeliti

Salmo 146(145):            Il Signore difende i perseguitati

1 Ts 5, 12a.13b-18:                               Non vendicatevi

Matteo 5, 38-42:       contro chi vi fa del male

 

 

 

 

QUINTO GIORNO:   Pregate con cuore paziente

“Siate pazienti con tutti” (1 Ts 5, 14)

Esodo 17, 1-4:   Perché?

Salmo 1:           Darà frutto a suo tempo

1 Ts 5, 12a.13b-18:        Siate pazienti con tutti

Luca 18, 9-14:   Una preghiera umile

 

SESTO GIORNO:     Pregate di lavorare con Dio

“Siate sempre lieti”…..(1 Ts 5, 16-17)

2 Samuele 7, 18-29:    Davide ringrazia il Signore

Salmo 86(85):             Tendi l’orecchio, Signore!

1 Ts 5, 12a.13b-18:     Siate sempre lieti

Luca 10, 1-24:   Gesù manda altri settantadue discepoli

 

SETTIMO GIORNO: Pregate per le necessità

“Aiutate i deboli” (1 Ts 5, 14)

1 Samuele 1, 9-20:      Anna prega per avere un figlio

Salmo 86(85):             Non respingere la mia supplica

1 Ts 5, 12a.13b-18:     Aiutate i deboli

Luca 11, 5-13:            Chiedete e riceverete!

 

 

OTTAVO GIORNO:  Che tutti siano uno

“Vivete in pace” (1 Ts 5, 13b)

Isaia 11, 6-13    : Lupi e agnelli vivranno insieme e in pace

Salmo 122(121):            Pace entro le tue mura

1 Ts 5, 12a.13b-18:   Vivete in pace tra voi

Giovanni 17, 6-24:     Che siano tutti una cosa sola

 

 


*****

In quest’anno 2008 cade il centenario dell’inizio della prassi di pregare regolarmente per l’unità dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society of the Atonement (Comunità dei Frati e delle Suore dell’Atonement) a Graymoor (Garrison, New York). In seguito egli ha aderito alla Chiesa cattolica e la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma la Congregazione dei Frati francescani dell’Atonement è presente per la promozione della ricerca dell’unità dei cristiani attraverso il “Centro Pro Unione”.

Proprio per commemorare questo avvenimento il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell’Atonement di Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero.

Dal 1908 la prassi della preghiera per l’unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella divulgazione nel mondo e nella sua stessa titolazione da Ottavario per l’unità della Chiesa”(data da Wattson) in Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (data dall’Abbé Paul Couturier,1936). Il gruppo locale degli Usa ha proposto il tema:”Pregate continuamente” per l’unità dei cristiani. Sembra accogliere la ripetuta domanda del diacono nella Chiesa bizantina: “Ancora e ancora preghiamo in pace il Signore!” (Besa/Roma).

Teologia quotidiana

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EPÈKTASIS: ESSERE PIENAMENTE CRISTIANI

 

L’epèktasis, la tensione permanente verso la perfezione, è inerente all’essere stesso cristiano. S. Gregorio di Nissa nel suo opuscolo sulla “Professione cristiana” pone la domanda; “Cosa è la professione cristiana”? Nel senso: “Che significa essere cristiano? Cosa comporta dichiararsi cristiano”? Egli stesso ne descrive l’importanza. “Se si trovasse l’esatto significato di questo termine, ne ricaveremmo un grande aiuto nella nostra vita virtuosa. Giacché mediante un’elevata condotta di vita cercheremmo di essere veramente quello che il nostro nome (cristiano) vuole esprimere (Fine, professione e perfezione del cristiano, Città Nuova Editrice, Roma 1979, p. 66). La coerenza nel dichiarasi cristiano implica la realizzazione delle esigenze evangeliche della vocazione ad essere perfetti.

1. “Unendoci a Cristo tramite la fede che abbiamo in lui prendiamo lo stesso nome”. E aggiunge: “Per esprimere con una definizione il concetto di essere cristiano, diremo che il cristianesimo consiste nell’imitazione della natura divina” (Ibidem, p. 70). Il cristiano partecipa alla natura e alla vita divina. Il Nisseno ricorda il racconto biblico della creazione dell’uomo a immagine di Dio che parafrasa in questi termini: “La primitiva conformazione dell’uomo imitava infatti la somiglianza a Dio”. Quindi ne trae il significato della redenzione in Cristo: “La professione cristiana consiste nel far ritornare l’uomo alla primitiva condizione fortunata” (Ibidem p. 71). Il Nisseno giustifica questa visione quasi in risposta a qualche opinione contraria. Egli dichiara che l’affermazione “che il cristianesimo è una imitazione della natura divina” non è “una definizione priva di senso” (Ibidem p. 71). L’obiezione sembra potersi formulare cosi: come sia possibile che la natura terrena diventi simile a Colui che è nei cieli. Il Nisseno precisa che non si tratta di “paragonare tra loro le due nature” l’umana e la divina, quando proprio la differenza tra le due nature mostra l’impossibilità dell’imitazione. Ma si tratta “di imitare nella nostra vita, per quanto è possibile, le buone azioni di Dio” (Ibidem p. 73) come l’amore gratuito, la giustizia, la misericordia.

2. L’allontanamento da pratiche viziose e la purificazione del pensiero e delle opere “rappresentano la vera imitazione della perfezione del Dio celeste”. A questo proposito cita e commenta il consiglio di Gesù: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Coloro che sono rigenerati tramite il Figlio e inseriti in lui, si avvicinino ai doni perfetti che si contemplano in Dio Padre. “Il Signore, ordinandoci di imitare il Padre celeste, ci richiede di purificarci dalle passioni terrene; da esse ci possiamo allontanare non spostandoci da un posto all’altro, ma soltanto con la nostra volontà” (Fine, professione e perfezione del cristiano, Città Nuova Editrice, Roma 1979, p. 74). L’aggettivo celeste non indica un luogo, ma una qualità, l’appartenenza a Dio. Il Padre nostro celeste è Dio stesso. Nella medesima linea di pensiero il Nisseno qui cita un altro versetto del Vangelo di Matteo: “Accumulatevi dei tesori nel Cielo, dove né ruggine né tignola consumano e dove i ladri non sfondano né rubano” (Mt 6,19). Occorre accumulare tesori davanti a Dio, in cielo, dove non possono essere corrotti o rubati. “Con queste parole – commenta il Nisseno – il Signore mostra che nella vita superiore non alberga nessuna forza capace di distruggere la beatitudine” (Ibidem p, 75). Questi tesori celesti sono tutti quegli atti del cristiano che imitano il modo di agire di Dio stesso, sono partecipazione alla vita divina, e quindi a Dio graditi e da Dio garantiti.

3. “Accumulatevi” tesori in cielo. Continuate a far crescere le vostre virtù che vi rendono simili a Dio. L’imitazione delle qualità divine vi trasformerà, vi trasfigurerà, vi renderà “a somiglianza di Dio”. Bisogna passare dalle condizioni terrestri a quelle celesti, cioè divine. Il Nisseno cita e utilizza nel suo pensiero l’Apostolo Paolo dove dice: “Non adeguatevi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, fino a considerare quella che è la volontà buona, accettabile e perfetta di Dio” (Rom 12,2). In questo processo di trasfigurazione non vi è alcun termine perché “la divinità è una cosa ineffabile ed incomprensibile e trascende ogni pensiero conoscitivo” (Ibidem, p. 68). La meta indicata da Dio è posta in un orizzonte reale, ma lontano: lo sforzo di raggiungerlo non deve arrestarsi. Il Nisseno lo descrive in questo modo: “La natura dei suoi doni è tale che non può né essere concepita dal pensiero, né spiegata con le parole. A proposito di essi la Scrittura ispirata da Dio insegna che ciò che né l’occhio umano ha mai visto, né l’orecchio ha mai udito, né il cuore umano ha mai ospitato, il Signore ha preparato per coloro che lo amano” (Ibidem, p.76). La distanza fra la natura umana e quella divina è immensa e incolmabile. La meta di trasfigurarsi sul piano etico delle virtù “a somiglianza di Dio” è un processo di assimilazione senza un vero termine. Ad esso l’uomo rimane sempre proteso.

4. L’essere cristiano indica la vocazione a trasformare se stesso per imitare Cristo in un processo ininterrotto verso la deificazione. Ciò comporta la restaurazione dell’immagine di Dio deturpata dal peccato nell’uomo e quindi un processo ascetico di conversione, di purificazione e di esercizio delle virtù teologali (fede, speranza, carità) per crescere sempre più nella maturità cristiana raggiungendo, per quanto possibile, la somiglianza con il Verbo di Dio.

Roma 6 gennaio, Epifania, 2008

 

 

 

Circolare novembre 2007                                                                                                           197/2007

 

Sommario

 

I detti di Gesù (54): “Hai tenuto nascoste queste cose ai “sapienti”… e le hai rivelate ai “piccoli”    1

ROMA: Il collegio di S. Atanasio fra le due guerre............................................................................... 2

RAVENNA: X sessione plenaria del dialogo cattolico-ortodosso............................................................ 3

ALBANIA: Testimoni della fede nel ricordo di Pjetër Arbnori............................................................... 4

SCUTARI: P. Zef Pllumi - Testimonianza di David Luka...................................................................... 5

MOLISE: Le Comunità arbëreshe....................................................................................................... 7

ROSSANO: Ritorno del rito greco....................................................................................................... 9

ROMA: Deceduto l’archimandrita p. Giorgio Gharib........................................................................... 10

NAPOLI: Laurea Honoris Causa al Patriarca Ecumenico................................................................... 10

ROMA: Consiglio di chiesa di S. Atanasio.......................................................................................... 10

PIANA DEGLI ALBANESI: 70° di creazione dell’Eparchia............................................................... 10

Epèktasis “Grazia divina e sforzo umano”.......................................................................................... 11

 

 

Tà lòghia: I detti di Gesù (55): “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti

e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25)

 

Gesù sta facendo una valutazione dell’effetto della sua missione; constata tiepidezza ed indifferenza: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato” (Mt 11,17). Ha incontrato diffidenza, resistenza, rifiuto, persino nella sua città di Cafarnao (Mt 11, 22). “Allora si mise a rimproverare le città dove aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite” (Mt 11,20). La sua parola e le sue opere non sono state comprese proprio da quelle persone, scribi e farisei, generalmente noti come conoscitori delle questioni religiose e sapienti.

Gesù, però, è accompagnato da un gruppo di seguaci fedeli, di discepoli a lui vicini, talvolta da una folla che attende qualcosa, i suoi miracoli, una guarigione, la sua parola illuminante e consolatrice. E’ gente semplice, considerata “ignorante”, come i pescatori, i campagnoli, i peccatori. Ma aperti ad accogliere i racconti delle parabole, l’annuncio dell’opera di Dio. Gesù guarda proprio a questi. In un momento di straordinaria intimità con Dio Padre esclama: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti (sophōn) e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (nēpìois), Sì, o Padre, così è piaciuto a te” (Mt 11,25).

La rivelazione di Dio è rivolta a tutti e Dio vuole che tutti siano salvi. Ma la distinzione tra “sapienti” e “piccoli” indica due dimensioni dello spirito dell’uomo, due atteggiamenti di fronte a Dio: la tronfia scienza che rifiuta quanto sembra superare la propria conoscenza e l’umile disposizione ad accogliere la verità e quanto proviene da Dio. S. Paolo nelle sue Epistole ha commentato questo orientamento: “Se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente”. S. Giovanni Crisostomo spiega: “Chiamandoli sapienti non parla della vera e lodevole sapienza, ma di quella che essi credevano di avere” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 38,1).

“Queste cose” (tàvta) di cui parla Gesù, non sono singoli episodi o singoli insegnamenti, ma indicano la rivelazione, la salvezza che Dio opera. E quando afferma che Dio le ha “tenute nascoste” non vuol dire che Dio ha privato l’uomo della conoscenza, ma che l’uomo superbo non ha voluto aprire gli occhi e il cuore di fronte al dono di Dio. Il Crisostomo aggiunge che con l’affermazione “hai tenuto nascosto (ékrypsas), non afferma che tutto dipende da Dio, ma come Paolo dice, che li ha abbandonati in balia di una intelligenza depravata”(Ibidem, 2). E di contrasto Gesù gioisce e ringrazia il Padre perché “i piccoli”, i poveri di spirito, “avevano conosciuto quanto i sapienti non avevano conosciuto” (Ibidem, 1). Nella forma profetica delle beatitudini Gesù aveva già proclamato: “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,7). La sua missione è efficace. (Besa/Roma).


 

 

 

 

ROMA

IL COLLEGIO DI S. ATANASIO

TRA LE DUE GUERRE

 

Continuiamo la presentazione dello studio presentato dall’Archimandrita ortodosso Evanghelos Yfantidis come tesi alla Pontificia Università Gregoriana. In continuazione dal numero precedente pubblichiamo la prima parte del capitolo su “I Padri Rettori e la loro direzione”:

 

I.                   Rettorato del P. Baur (1915 – 1918)

 

Il Collegio Greco ebbe assai a soffrire durante l’anno 1915[18] a causa delle infelici condizioni dei tempi della guerra. Oltre le difficoltà comuni a tutti, il Collegio non ebbe speciali risultati dalla composizione del suo personale, poiché, secondo le ultime decisioni della Santa Sede, la direzione del Collegio fu affidata ai monaci Benedettini di Beuron di nazionalità tedesca ed austriaca ed il servizio della casa ai conversi della stessa Congregazione e nazionalità[19].

Quando l’incostanza politica cominciò ad aumentare ed in previsione dunque di certe difficoltà, le quali sembravano inevitabili nel caso che il regno d’Italia fosse entrato in guerra contro le potenze centrali, il Procuratore Apostolico ricevette ordine dalla Santa Sede di sciogliere il Collegio prima dello scoppio della guerra. I Superiori avevano l’ordine, nel caso che l’Italia partecipasse alla guerra, di lasciarla e di ritornare nei propri paesi. La ricerca di un ricovero in uno dei Collegi di Roma per gli alunni rimase senza frutto. Quindi gli allievi di nazionalità italiana avrebbero dovuto tornare nelle loro famiglie e gli altri trovare un alloggio insieme col Rettore nella Badia d’Einsiedeln nella Svizzera neutrale, la quale offriva loro l’ospitalità[20]; inoltre una parte degli alunni, i Melchiti della Siria, ottenne la cittadinanza ottomana.

Dopo lunghi mesi d’incertezza, il 6 Maggio, il Procuratore Apostolico, avendo ricevuto nuovi ordini dalla Santa Sede, chiuse il Collegio e la sera stessa tutti partirono per i luoghi indicati dalla Congregazione. Un solo alunno, destinato alla Romania, rimase a Roma e visse nel Collegio Leoniano, e una volta chiuso anche questo, nel Collegio Capranica sino alla fine dell’anno.

Per tutto il tempo dell’assenza del P. Rettore e degli altri Superiori del Collegio, la Santa Sede affidò l’amministrazione del Collegio a Monsignore Giuseppe Tondini, il quale con grande fervore soddisfò a quest’impegno sino alla riapertura del Collegio. Il Collegio fu anche custodito dall’Esattore del medesimo, Francesco Severio Sterbelli.

Una piccola parte del pianterreno della fabbrica di Sant’Atanasio fu destinata dal principio del mese d’agosto al Comitato delle Cucine per i poveri[21], il quale dava all’Amministrazione del Collegio rimborso di 30 lire mensili per l’uso degli oggetti. Verso la fine dell’anno 1915, per impedire che del Collegio di Sant’Atanasio s’impossessassero i militari, la Congregazione Concistoriale propose di concederlo ai Padri gesuiti per l’opera degli esercizi spirituali del clero, assegnazione che sarebbe dovuta terminare alla riapertura del Collegio o anche prima, qualora i Superiori lo avessero ritenuto conveniente. Essi rimborsarono tre quarti della tassa fabbricati e pagavano cinquanta lire mensili per l’uso dei mobili e degli oggetti.

In seguito alle condizioni create dalla prima guerra mondiale, il Collegio Greco, durante gli anni scolastici 1915-1916, 1916-1917 e 1917-1918 rimase chiuso[22]. Gli alunni atanasiani furono trasferiti ad Einsiedeln ed in Italia nei Seminari di Catanzaro e Cassano. L’amministrazione del Collegio continuava ad essere affidata a Monsignore Giuseppe Tondini. Nel Collegio si continuarono la cucina economica ed i corsi d’esercizi spirituali per il clero sotto la direzione dei Padri gesuiti.

Il Collegio Greco, che dopo la visita apostolica del 1911, era rimasto sotto la direzione della Congregazione Concistoriale, fin quando fu istituita da Benedetto XV la Congregazione dei Seminari e delle Università, fu sottratto alla dipendenza anche di questa Congregazione ed affidato alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di Rito orientale; in questo periodo allora, il Cardinale Prefetto, Domenico Serafini cercò di riprendere nel Collegio Urbano il più gran numero possibile degli alunni atanasiani[23].

Fin dal mese d’agosto dell’anno scolastico 1917-1918[24], nelle stanze del Vescovo abitava Monsignore Isaia Papadopulo, Assessore della Congregazione pro Ecclesia Orientali; lui sarà per circa quindici anni il Vescovo ordinante di rito bizantino a Roma, ma senza prenderne mai il titolo[25]. A spese della Santa Sede fu fatto l’impianto della luce elettrica per le scale fino al primo piano e in tutte le camere tenute da Monsignore Papadopulo e dagli altri signori. Visti i tempi che correvano, l’Amministratore Delegato depositò nella Cassaforte della diocesi di Sabina in Vaticano i valori del Collegio insieme alla somma di 15.000 lire che rimanevano negli anni 1917–1918[26] (Besa/Roma).

 

RAVENNA

X SESSIONE PLENARIA

DIALOGO CATTOLICO-ORTODOSSO

8-15 ottobre 2007

 

Riportiamo qui di seguito un articolo di Mons. Eleuterio F. Fortino sulla X Sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme:

 

“Una buona base comune”. Così i due co-presidenti, il cardinale Walter Kasper e il Metropolita Joannis di Pergamo (Zizioulas) hanno considerato, in una conferenza stampa, il testo approvato nella X Sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.

1. La sessione ha avuto luogo a Ravenna (8-14 ottobre 2007), generosamente ospitata dall’Arcidiocesi, e accolta con simpatia e manifesta cordialità dai fedeli, da tempo preparati da S. E. mons. Giuseppe Verucchi, incoraggiati a pregare per un evento importante e difficile. “Pregano per voi, egli ha detto in una omelia, le comunità contemplative, i religiosi e le religiose, i sacerdoti e le comunità parrocchiali”. Anche le autorità civili - il prefetto e il sindaco con i presidenti della provincia e della regione - hanno salutato con distinzione in forma ufficiale, in un incontro alla Prefettura tutti i membri della Commissione Mista. Il prefetto, S. E. Floriana De Sanctis, ha espresso la speranza che “il desiderio del dialogo, di comprendere e di essere compresi, che caratterizza la Commissione Mista, possa essere segno da imitare” anche nella vita civile e politica “di ogni giorno”. La presenza di una settimana della Commissione Mista a Ravenna ha costituito un evento ecclesiale e civile percepito nell’intera città, anche se i lavori si sono svolti, come abitualmente, a porte chiuse. Diversi momenti, oltre all’incontro in prefettura, hanno avuto risonanza pubblica, come la preghiera vespertina di inizio nella Chiesa di S. Apollinare in Classe, celebrata dalla Comunità locale e con una parte fatta dai membri ortodossi (8 ottobre), così pure la concelebrazione eucaristica dei membri cattolici nella Cattedrale (13 ottobre) e la concelebrazione della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo da parte dei membri ortodossi (14 ottobre) nella Basilica di S. Vitale, splendente di mosaici bizantini. La sessione così è stata aperta e chiusa con la preghiera pubblica.

 

2. Il tema affrontato nelle sessioni mattutine e pomeridiane durante l’intera settimana è stato il seguente: «Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: Comunione ecclesiale, Conciliarità ed Autorità nella Chiesa».

Da una parte esso presuppone l’impostazione di questo dialogo e l’insieme dei documenti precedentemente concordati, tutti nell’ambito del tema generale della comunione ecclesiale (koinonia), essendo lo scopo concordato nel “Piano per l’avvio del dialogo teologico” (1978) “il ristabilimento della piena unità”. Questa Commissione ha infatti pubblicato dei documenti coerenti con il tema e con lo scopo come mostrano gli stessi titoli:

•“Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera 1982);

•“Fede, Sacramenti e Unità della Chiesa” (Bari 1987);

•“Il sacramento dell’ordine nella struttura sacramentale della Chiesa. In particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio (New Valamo, Finlandia 1988).

A suo modo, anche se si è trattato di un nuovo argomento affrontato sotto la pressione di eventi storico-politici del momento, si inserisce - con lo scopo di chiarire una questione controversa dagli ortodossi - anche il quarto documento pubblicato: “L’uniatismo, metodo d’unione del passato, e la ricerca attuale della piena unità” (Balamand, Libano 1993).

Emergono così i lineamenti della comunione (koinonia) fondati sull’unità di fede, di sacramenti e di ministero.Da un’altra parte il tema affrontato a Ravenna ha anche una storia più recente, ma anche complessa e ancora aperta per il futuro. Un progetto era stato elaborato a Mosca, nel 1990, dal Comitato Misto di Coordinamento della Commissione in vista della sessione programmata per il mese di giugno dello stesso anno. Poiché poi quella sessione si era occupata d’altro, il progetto non era mai stato discusso in plenaria fino alla sessione di Belgrado (18-25 settembre 2006). Sin dall’inizio il progetto prevedeva lo studio della natura e dell’esercizio dell’autorità e della collegialità nella Chiesa a tre livelli: locale (diocesi), regionale (metropolia e patriarcato) e a livello universale. A questi tre livelli si indicava la presenza e il ruolo di un protos, un primo, con particolari prerogative. A Belgrado si erano discussi i primi due livelli. A Ravenna si è completato lo studio, raggiungendo un consenso che permette di avanzare in termini più precisi, già dalla prossima sessione plenaria, il cui tema concordato sarà il seguente: «Il ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio». Come prelude questo argomento vi saranno altre fasi per il resto della storia della Chiesa. Il documento di Ravenna costituisce una premessa solida e positiva.

 

3. A Ravenna la Commissione era quasi al completo. Erano presenti ventisette dei trenta membri cattolici (cardinali, arcivescovi, vescovi, sacerdoti e teologi laici). I membri ortodossi (metropoliti e vescovi; sacerdoti e teologi laici) rappresentavano tutte le Chiese ortodosse ad eccezione del Patriarcato di Bulgaria i cui delegati non hanno potuto partecipare. Vi erano i rappresentanti delle seguenti Chiese:

Patriarcato Ecumenico, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato d’Antiochia, Patriarcato di Gerusalemme, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Patriarcato di Georgia, la Chiesa di Cipro, la Chiesa di Grecia, la Chiesa di Polonia, la Chiesa d’Albania, la Chiesa delle Terre Ceche e di Slovacchia, la Chiesa di Finlandia e la Chiesa d’Estonia.

A proposito della presenza dei rappresentanti della Chiesa “autonoma” di Estonia la sessione ha vissuto un momento di turbamento. Il comunicato dato alla stampa riferiva che “nel primo giorno dell’incontro, com’è prassi della Commissione, i membri cattolici ed ortodossi si sono riuniti separatamente per coordinare il loro rispettivo lavoro. Durante l’incontro ortodosso, il delegato del Patriarcato di Mosca ha presentato la decisione della sua Chiesa di ritirarsi dalla riunione della Commissione a motivo della presenza in essa di delegati della Chiesa d’Estonia, dichiarata «autonoma» dal Patriarcato ecumenico, uno statuto non riconosciuto dal Patriarcato di Mosca, e ciò malgrado il fatto che il Patriarcato ecumenico, con l’accordo di tutti i membri ortodossi presenti, avesse offerto un compromesso, e cioè: prendere atto del non riconoscimento del Patriarcato di Mosca della Chiesa autonoma d’Estonia”.

Si tratta di una questione manifestatasi all’interno della Chiesa ortodossa, a cui per sé è estranea la Chiesa cattolica, ma i membri cattolici hanno sofferto per la decisione ed espresso la speranza che essa sia positivamente risolta anche per il benessere del dialogo stesso.

4. La Commissione ha anche programmato il lavoro di preparazione della prossima sessione plenaria sul tema del primato del vescovo di Roma nel primo millennio: A questo scopo ha nominato due sottocommissioni miste di studio comprendenti otto membri ciascuna, quattro per parte. Queste si incontreranno nella prossima primavera del 2008. Mentre il Comitato di Coordinamento che si incontrerà nell’autunno del 2008, sulla base dei rapporti delle due sottocommissioni, elaborerà la sintesi organica che sottoporrà alla sessione plenaria. Essa avrà luogo nell’autunno del 2009.

Durante la sessione i due co-presidenti hanno inviato un messaggio di ringraziamento a S.S. Benedetto XVI e a S.S. Bartolomeo I per i voti augurali indirizzati alla Commissione Mista (Besa/Roma).

 

ALBANIA

TESTIMONI DELLA FEDE

NEL RICORDO DI PJETËR ARBNORI

 

Riportiamo la seconda parte della conferenza tenuta a Bari sui testimoni della fede durante il regime comunista in Albania da Pjetër Arbnori, in carcere lui stesso per 25 anni e poi Presidente del Parlamento albanese dal 1992 al 1997:

 

Mikel Koliqi e gli altri

 

E’ stata gran fortuna, conoscere dall’infanzia il futuro cardinale Mikel Koliqi, che più tardi fu il primo cardinale albanese, che fece 45 anni di calvario, mons. Gaspër Thaçi, mons. Vinçens Prendushi, Padre Anton Luli SJ., che era stato il direttore della mia scuola, il gesuita eroico, che fece 40 anni di prigione, internamenti e campi di lavoro forzati, campi che erano ugualmente prigioni vere e proprie. Questo sacerdote io l’ho conosciuto in tenera età, sin dalla terza elementare e siamo rimasti amici, come padre e figlio, fino poco tempo prima che lui morisse. Non è stata una vera fortuna conoscere mons. Gaspër Thaçi, don Alfons Tacki, - il mio maestro di recitazione - , padre Giovanni Fausti SJ., padre Daniel Dajani SJ., don Ded Malaj, don Dedë Plani, padre Marin Sirdani, don Ndre Zadeja, don Shtjefen Kurti, padre Donat Kurti, padre Benardin Palaj, padre Çiprian Nika, padre Gjon Shllaku, fratello di Gjon Pantalia, il diacono Mark Çuni, mons. Gjergj Volaj, mons. Ernest Çoba, don Pjetër Gruda, don Mark Hasi, don Zef Bici, padre Gegë Lumaj, don Nikoll Mazreku e molti e molti altri.

E’ stata proclamata una lunga lista dei martiri albanesi, 41, che saranno canonizzati secondo la direttiva del Santo Padre Giovanni Paolo II. Ho conosciuto da vicino, la maggior parte di loro, tutti servi di Cristo, tutti uomini coraggiosi, che in condizioni difficilissime hanno avuto una caratteristica: non negarono in nessuna circostanza Dio, servirono il Signore, ma anche professarono la fede in Dio pubblicamente.

Per tutti quelli citati sopra, forse anche per altri, posso testimoniare pubblicamente, posso dire almeno una parola, due, tre, dieci, tutte vere ed esatte, che possono aiutare il processo di beatificazione e santificazione di questi martiri.

Ho parlato spesso di questi testimoni di Cristo, che sono stati fucilati, morti nelle prigioni, o hanno sofferto nei campi di lavoro, sempre minacciati: “Vi togliamo la maschera”, li deridevano, li disprezzavano. Io ho partecipato quando si disseppellivano, e poi si onoravano con sepolture decorose nelle cerimonie solenni, organizzate dallo Stato democratico. Ma ormai sono 13 anni che le cose sono cambiate, e mi capita adesso di essere chiamato a testimoniare soltanto in un simposium, come oggi. Qual è stata la ragione di una guerra così spietata del comunismo ateo di Enver  Hoxha verso il clero cattolico?

Primo motivo: i martiri erano tutti sempre esempio di santità, testimoni di un altro spirito, nell’Albania arretrata, ma in questi tempi dei quali parliamo, pieni d’aggressività atea, attuata dai comunisti che sono stati una strana specie, senza precedenti in Albania, i martiri testimoniavano la luce dello spirito e della mente. Erano quasi tutti preparati e conoscitori indiscutibili di molti campi della conoscenza: teologi, filosofi, scrittori, pubblicisti, pittori, musicisti, politici, sociologi, pedagoghi, storici, folkloristi, naturalisti, medici, architetti, demografi.

Non c’è campo della cultura dove non fossero presenti. Basta solo aprire un libro di letteratura e trovi che essi hanno creato l’alfabeto albanese con lettere latine, invece delle cirilliche. Sono i primi scrittori, i primi storici, i primi pittori, architetti, musicisti, etc, etc. Per molti è un mistero la loro partecipazione diretta nella formazione della cultura albanese e il consolidarsi della nostra nazione. Per gli altri non è un mistero; erano pieni di Dio e in modo profetico sentivano che era venuto il gran momento di dare il contributo vitale nella costruzione dello spirito del nostro popolo. Qui c’entrava Cristo ed era un dovere servire da parte dei migliori in campo di fede e cultura, e formare delle personalità. Questo non è permesso agli atei. Il comunismo influenzava le massi ignoranti, i mezzo intellettuali, quelli che giravano invano per sei o sette anni nelle scuole d’Europa, e che tornavano con solo uno o due anni di scuola; altri incompiuti.

Secondo motivo: il clero cattolico, essendo colonna del patriottismo in Albania, sarebbe stato senz’altro contro l’internazionalismo, che storicamente non ha avuto buone intenzioni verso l’Albania.

Terzo motivo: il clero cattolico è stato sempre una barriera contro il panslavismo, dunque impedimento anche per i comunisti slavofili, che intendevano mettere l’Albania sotto la tutela jugoslava. Erano tali i momenti storici. I chierici non avrebbero mai permesso questo piano. Dagli ultimi dati, portati alla luce recentemente, risulta che la fucilazione di molti chierici è stata commissionata dal regime jugoslavo. Senza le anime che da sempre erano per l’indipendenza, si può raggiungere lo scopo, si può chiedere addirittura l’annessione dell’Albania alla Jugoslavia, senza che una voce si levi per contraddire.

Quarto motivo: i comunisti atei, per imporre il regnante Enver Hoxha come il dio nuovo dell’Albania, avevano bisogno di far sparire il vero Dio del cielo, dunque, di eliminare anche il clero che teneva viva la fede in questo Dio (Besa/Roma).

 

SCUTARI

P. ZEF PLLUMI

TESTIMONIANZA DI DAVID LUKA

 

Il prof David Luka, linguista e scrittore di Scutari, ci ha scritto alcune considerazoni sulla figura religiosa e culturale dei francescano albanese p. Zef Pllumi, deceduto il 26 settembre scorso. Egli subì la persecuzione, condanne per false accuse e un lungo periodo di carcere. Il prof Luka ha intitolato le sue oservazioni: P. Zef Pllumi, l’Ultimo dei grandi francescani” che presentiamo nella traduzione di Kate Zuccaro:

 

Zef Pllumi “prodotto puro” dei francescani

 

Il Convento francescano di Scutari non era soltanto una dimora di preti; era anche un cenacolo di persone di grande cultura e sapienza. Prescelte fin dall’infanzia, esse venivano istruite con cura particolare, dapprima in loco, successivamente all’estero. Ognuno di questi religiosi aveva frequentato almeno due scuole superiori, una di teologia e l’altra relativa ad una branca specifica delle scienze umanistiche o esatte. Tornando in patria a conclusione di lunghi studi in diversi Paesi d’Europa, insieme alla cultura occidentale contemporanea essi portavano, con sé le lingue di quei Paesi, che conoscevano perfettamente. In tali condizioni, il Convento francescano di Scutari si presentava come una vera e propria università, in cui operavano studiosi di tutte le branche del sapere e della scienza e dove si parlavano tutte le lingue d’Europa. Poiché questi religiosi francescani provenivano da tutti gli strati della popolazione, e comunque da famiglie che si distinguevano per rigore etico e morale, essi portavano con sé anche la mentalità del luogo da cui provenivano. Sicché, in questi uomini semplici e relativamente poveri per l’epoca, la cultura occidentale si fondeva con le qualità più preziose dell’uomo albanese, in una simbiosi che, temprata anche dal sentimento religioso, forgiava personalità possenti, che ispiravano un rispetto particolare. A ciò vanno aggiunte la grande reputazione di cui godevano presso il popolo e la loro disponibilità a servirlo senza esitazione in ogni situazione di criticità.

Con la morte di Padre Zef Pllumi, si spegne l’ultima luce di questa pleiade irripetibile.

 

Padre Zef Pllumi era “missionario” francescano

 

Ciò che distingueva Padre Zef Pllumi era il suo essere “missionario” delle anime umane. Egli si era posto al servizio degli uomini, ed a questa missione adempiva in ogni condizione. E’ proprio questa missione che gli dava la forza di affrontare ogni tipo di difficoltà e sofferenza. Padre Zef era missionario in qualunque ambiente, in carcere e fuori, in parrocchia e nella vita di ogni giorno. Ogni volta che gli si presentava l’occasione di testimoniare la propria missione, la prima cosa che faceva era indossare il saio. Indossato il saio, sembrava un’altra persona, come avesse indossato una corazza impenetrabile.

 

Padre Zef Pllumi era amante della cultura

 

Padre Zef ha sempre avuto a cuore l’elevazione ed il progresso culturale dell’Albania. Egli sosteneva che senza cultura la nostra nazione non avrebbe avuto un futuro. E in questa direzione egli lavorava non a parole ma coi fatti. Appena uscito dalla prigione comunista, in un periodo in cui in Albania non si stampava nessuna rivista letteraria o culturale, ricominciò a pubblicare la rivista “Hylli i Dritës”.

Con ciò egli continuava il lavoro dei suoi predecessori, dando il messaggio “Ubi Spiritus Domini ibi libertas” (Dove è lo Spirito di Dio lì c’è la libertà) e restituendo alla rivista il ruolo che le era stato proprio di “culla della cultura albanese”. Benché stanco ed in età molto avanzata, egli ha lavorato con determinazione perché venissero ripubblicate le opere dei suoi grandi maestri e venisse riportato alla luce il contributo che essi avevano dato alla cultura albanese. Nella Prefazione all’opera di Padre Justin Rrota abbiamo scritto: “Un ringraziamento particolare va a Padre Zef Pllumi, il quale ci ha esortato e motivato ad intraprendere il complesso lavoro di preparazione dell’edizione critica di quest’opera monumentale, che oggi occupa finalmente il posto che merita nel panorama degli studi linguistici albanesi”. Senza lo stimolo diretto di padre Zef, quest’opera non avrebbe ancora visto la luce della stampa.

 

Padre Zef Pllumi era scrittore

 

L’opera di Padre Zef Pllumi “Vivi solo per raccontare” resterà nella storia della letteratura albanese come cronaca letteraria della parte invisibile dell’epoca comunista.

Le generazioni future conosceranno la parte visibile del periodo della feroce dittatura di Enver Hoxha attraverso le opere di I. Kadare. Ne conosceranno la parte sotterranea attraverso l’opera letteraria di Padre Zef.

 

Padre Zef Pllumi era pubblicista

 

Continuando l’opera dei suoi predecessori ed in particolare di Padre Gjergj Fisha, Padre Zef ha trattato con coraggio civile sconosciuto nella pubblicistica albanese degli ultimi decenni temi sociali estremamente delicati. I suoi scritti, raccolti nel volume dal titolo “Ut heri dicebamus” (Come dicevamo ieri), sono lo specchio chiaro dei problemi gravissimi che ha vissuto e tuttora  vive l’Albania nella difficile fase della sua transizione democratica.

 

Padre Zef Pllumi era operatore del sociale

 

Essendo io redattore delle sue opere, ho finito per seguirlo da vicino anche nella sua vita quotidiana. Egli era persona di energia inesauribile, che prendeva parte attiva in tutte le iniziative sociali che venissero intraprese. Col coraggio proprio della persona che al di sopra di sé riconosce soltanto Dio, egli non ha mai esitato ad esprimere apertamente il suo pensiero rivoluzionario. Nella mia memoria Padre Zef resterà un punto di riferimento forte, assertore convinto dei valori che avevano contraddistinto i suoi padri, un maestro della lingua, dotato di quella cultura enciclopedica che aveva contraddistinto tutta la sua generazione, una persona dal carattere indomito e ribelle, che ha messo in atto in modo assolutamente consequenziale il motto dei francescani “Patria e Fede”.

 

Nell’ultimo numero di “Hylli i Dritës”, poco prima della sua morte, egli scriveva: “Popolo albanese! E’ con la libertà di voto, se riesci ad ottenerla, che puoi cambiare questa situazione, altrimenti sei perduto e vanamente ti definisci Stato se non riesci a creare uno Stato di diritto… Albanesi! Aprite gli occhi, rendetevi conto di dove state andando!”.

E’ questo il testamento politico di p. Zef Pllumi (Besa/Roma).

MOLISE

LE COMUNITÀ ARBËRESHE

 

Abbiamo chiesto ad Antonio Libertucci, cultore di storia delle Comunità arbëreshe del Molise, di scriverci una loro breve presentazione. Qui di seguito riportiano i lineamenti generali, mentre nei prossimi numeri seguirà un’informazione più dettagliata di ciascuna delle 4 Comunità:

 

I paesi arbëreshë situati nel Molise, entro i confini della provincia di Campobasso, lungo la Valle del Biferno: Campomarino, Montecilfone, Portocannone e Ururi, appartengono oggi tutte e quattro alla Diocesi unificata di Termoli-Larino.

Prima dell'unificazione, delle due diocesi Montecilfone apparteneva a quella di Termoli, a quella di Larino gli altri tre. Fino al 1975 anche Chieuti (1), importante Comunità arbëreshe in provincia di Foggia, faceva parte della Diocesi di Larino, prima di passare a quella di San Severo in Puglia.

 

Le due diocesi, accorpate nel 1986, erano in effetti già unite “aeque principaliter in persona Episcopi” sin dal 1924. Sono entrambe di origine molto antica: risale al IV secolo quella di Larino, al VI secolo la diocesi di Termoli (2). Gli storici danno per certo che un vescovo di Larino, Paulus larinensis, abbia preso parte al “sacro e grande Concilio Ecumenico” celebrato a Nicea nel 325.

A Larino venne fondato il primo seminario post-tridentino della Chiesa, aperto ufficialmente in data 26 gennaio 1564 dal vescovo Belisario Balduino in conformità alle direttive della Riforma cattolica promossa dal Concilio di Trento (1545/63) (3).

Prima dell’arrivo degli Arbëreshë (sec. XV), era largamente diffusa nella zona del Larinese la presenza di numerosi monaci francescani itineranti, ma anche di basiliani (4) e di altre osservanze tipiche del medioevo: Celestini, Zoccolanti, Capriolanti, Discalciati (5); nel tempo, di questi piccoli monasteri alcuni furono soppressi e incorporati nell’Ordine dei Frati Minori, altri caddero distrutti dal violento terremoto avvenuto nella notte tra il 4 e il 5 dicembre 1456 (6).

 

Al loro arrivo nel feudo di Ururi, l’autunno del 1468 (o forse ancor prima) (7), gli Arbëreshë trovarono un territorio interamente sconvolto, campi incolti e borghi abbandonati non solo per la devastazione causata dal sisma, ma anche per le carestie e le frequenti incessanti incursioni saracene lungo le coste adriatiche del Regno (8).

Varie furono le ragioni che indussero gli Arbëreshë ad emigrare nel corso dei secoli dall’Arbëria per stanziarsi nelle regioni meridionali d’Italia; le ultime, d’ordine politico-religioso, provocate dall’invasione turca, andarono a sovrapporsi alle motivazioni prevalentemente economiche e militari che avevano causato migrazioni nel Molise già dal XIII secolo; “Molte famiglie dell’Albania e dell’Epiro, non soffrendo le barbarie del Turco, alcune si ritirarono nello stato Veneto, altre in Sicilia … moltissime furono accolte in questa diocesi”, riferisce mons. Tria, vescovo di Larino (9).

Ad introdurre gli Arbëreshë nelle terre del Molise fu mons. Antonio De Misseriis, vescovo di Larino (10); egli li accolse nella chiesa di S. Antonio da lui stesso fatta edificare appena fuori della città della sede vescovile e in quel luogo assegnò loro, divisi in gruppi di famiglie, le terre dove stanziarsi, lavorare e prosperare; non trascurando di fornirli prima del bestiame e degli attrezzi agricoli necessari.

Alcune famiglie raggiunsero il feudo di Ururi, sottoposto alla giurisdizione della chiesa di Larino (11) già dal 1075, sorto a seguito della donazione da parte di Roberto I, conte di Loritello (attuale Rotello), nipote di Roberto il Guiscardo, al vescovo di Larino; il feudo era allora completamente disabitato e abbandonato. Altri gruppi furono inviati a ripopolare i casali di Portocannone, di Cerritello (gli Arbëreshë di questo casale si rifugiarono poi nelle alture di Montecilfone spaventati dal tremendo flagello del colera scoppiato nella zona nel 1537) (12), di Campomarino e in altri casali sparsi nell’agro larinese: casali di S. Elena, di Colle Lauro, di San Barbato e nel casale di Santa Croce di Magliano dove furono relegati dai nativi nella parte più periferica del paese, quartiere tuttora chiamato “Quarto dei Greci” (gli Arbëreshë dagli indigeni venivano chiamati anche greci per via del loro rito bizantino celebrato in lingua greca).

Lo scenario che si presentava agli occhi degli Arbëreshë nelle terre molisane, dovette essere allora davvero desolante, ma ad essi non era concesso scoraggiarsi; da subito dovettero darsi da fare per ripristinare e migliorare le condizioni del territorio loro affidato.

Bonificarono e dissodarono la terra, ricostruirono le case dirute, ripararono le cadenti. Contribuirono, insomma, sensibilmente alla rigenerazione delle contrade colpite dalla depressione demografica ed economica.

 

Travagliata e carica di traversie fu perciò la vita degli antenati in queste nuove terre; non mancarono umiliazioni e sospetti da parte delle popolazioni indigene con le quali era difficile instaurare rapporti di buon vicinato, né la protezione e la benevolenza dei vescovi feudatari sia di Larino che di Termoli valsero a preservare i nuovi arrivati dalla diffidenza e dal clima di ostilità che andava creandosi attorno ad essi, in particolare, a causa della diversità della lingua e del rito religioso.

In verità, la pratica del rito bizantino metteva in agitazione anche i vescovi delle due diocesi, specialmente dopo il Concilio di Trento; non furono pochi, infatti, i ricorsi presentati alla Congregazione di Propaganda Fide da parte degli stessi vescovi, interessati com’erano ad affidare al clero latino le chiese delle comunità albanofone.

Gli Arbëreshë resistettero a lungo alle pressioni del clero latino, anche perché erano ben consapevoli di perdere, con la soppressione del rito bizantino, un punto di riferimento essenziale della propria identità religiosa e culturale.

Il rito bizantino fu praticato fino a tutto il sec. XVII; poi, ne decretò la fine mons. Giuseppe Catalani, vescovo di Larino (1686-1703), non senza numerose e rumorose proteste da parte delle popolazioni di Campomarino in particolare (13). A Ururi il primo parroco di rito latino fu tacciato di apostasia e si guadagnò il perenne soprannome di “ndërrjon” tuttora perdurante nella famiglia discendente (14); gli Ururesi per lungo tempo gli negarono le decime.

Il tempo andò smussando i contrasti; chiusa definitivamente la controversia del rito a favore di quello latino; alleviato il peso delle decime che gli Arbëreshë erano sempre e in ogni caso tenuti a versare alle rispettive mense vescovili, la vita degli Arbëreshë si avviò lentamente e faticosamente verso una più dignitosa condizione di vita; l’ingegnosità, la perseveranza, la laboriosità fece il resto.

Insieme con le Comunità di Villa Badessa (Pescara) dove, mentre è tuttora praticato il rito bizantino, la lingua arbëreshe si è da tempo dissolta (15), e di Pianiano (Viterbo) dove invece da tempo si sono spenti sia il rito bizantino sia la parlata arbëreshe (16), i paesi italo-albanesi molisani sono quelli situati più a Nord nel Continente, geograficamente lontani e isolati dalle Comunità albanofone concentrate in Calabria e in Sicilia, e perciò non coinvolti nelle attività e nelle istituzioni culturali sorte, per la conservazione e la tutela della lingua e del rito, delle quali gli Arbëreshë di Sicilia e di Calabria furono e sono tenaci custodi e fervidi cultori.

Tagliati fuori, perciò, da ogni benefico contatto con la vitalità dei gjërì dei nuclei di Sicilia e di Calabria, privati della pratica del rito bizantino da oltre due secoli, privi di ogni qualsiasi classe intellettuale che avesse mai preso a cuore il problema della conservazione e coltivazione della parlata arbëreshe, è già un miracolo che l’arbërishit si sia ancora mantenuto in buono stato a tutt’oggi nelle nostre contrade, salvato forse proprio da una ben radicata cultura popolare, dalla capacità, cioè, del popolo di assorbire il nuovo senza perdere la propria originalità.

Il primo e più antico documento scritto in arbërishit nelle Comunità arbëreshe molisane risale al 1875 con la traduzione in arbëresh di una novella del Decamerone di Boccaccio fatta dall’allora arciprete di Ururi (17).

Solo recentemente, infatti, grazie anche all’impulso della Legge 482/99, da appena qualche anno, si va notando nei paesi arbëreshë del Molise un certo risveglio, una presa di coscienza di come sia importante e doveroso avviare un processo di salvaguardia per tutelare e valorizzare il patrimonio storico e culturale degli Arbëreshë, e preservarne la lingua mediante un’intensa opera di alfabetizzazione ad ogni livello.

Oggi, tutte e quattro le comunità arbëreshe, dopo un lungo periodo di dure vicissitudini e di fatiche e di emarginazione sociale, politica e culturale, sono altrettante cittadine linde, ordinate, bene organizzate e bene amministrate, tese al benessere economico e aperte a sempre nuove iniziative culturali e di progresso civile.

Di ciascuna di esse si proverà, ora, qui di seguito, a tracciare sinteticamente un quadro topografico-storico, quanto più preciso possibile, ma certamente non esaustivo, in quanto le poche notizie riportate sono da completare e integrare con ulteriori indagini sia archivistiche che bibliografiche.

La patrona degli italo-albanesi nel Molise è la Madonna Grande (Shën Mërija Madhe), venerata nel santuario mariano di Nuova Cliternia, nei pressi di Campomarino, festeggiata il 6 agosto (18) (Besa/Roma).

 

Note

1.    In questa cittadina fu rinvenuto il manoscritto del XVIII secolo (noto come il Codice Chieutino), opera dell’arciprete Don Nicolò Figlia, sacerdote di rito greco-bizantino, pubblicata a cura di M. Mandalà nel 1995.

2.    Nella cattedrale di Termoli furono ritrovate nel maggio del 1945 i resti mortali di San Timoteo, discepolo prediletto di San Paolo, compatrono, con San Basso, di Termoli.

3.    Mons. Costanzo Micci, Il primo seminario della cattolicità, in L’Osservatore Romano del 2.2.1964; Pietrantonio, U., Il seminario di Larino primo postridentino, Tip. Polig. Vat., 1965.

4.    Nel 1054, il Monastero di Santa Maria di Tremiti assorbiva una cella basiliana sorta sul lago di Lesina (cfr. A. Petrucci, I bizantini e il Gargano, Foggia 1955).

5.             Pietrantonio, U., Il monachesimo benedettino nell’Abruzzo e nel Molise, Lanciano, Carabba ed., 1988;

Anastasi L., I Francescani, Palermo 1952.

6.    Sul violento sisma del 1456 esiste una vasta bibliografia:

Baratta M., I terremoti d’Italia, 1901 (ristampa anastati  ca 1979); Figliuolo B., Il terremoto del 1456, 1988; Motta E., I terremoti di Napoli negli anni 1456 e 1466, in ASPN, XII (1887); in proposito, mi piace segnalare che il primo a fissare la notizia su carta, espressa in dialetto calabrese translitterato in greco, fu un certo monaco di nome Romano Paoli, il quale annotò l’avvenimento del sisma all’istante, appena se ne è reso conto, nel margine superiore del breviario che stava in quel momento recitando nel chiuso della sua cella nel monastero basiliano di Carbone (PZ), (cfr. Annotazioni volgari di S. Elia di Carbone a cura di A. M. Perrone e A. Varvaro, in Medioevo Romanzo, VIII, 1983,1).

7.         “Nel 1455, i Canonici del Monastero di S. Maria di Tremiti, ottennero da Callisto III di poter locare terreni di loro proprietà agli Albanesi allora giunti nel Molise”, in Codice Diplomatico del Monastero benedettino di S. Maria di Tremiti, a cura di A. Petrucci, Roma 1960 pag. LXXXVII, p. I; (cfr. Archivio Segreto Vaticano Reg. Lateran. 498, c.85 A.); Mammarella, G., Larino sacra, Campobasso 1993.

8   Marino L., La difesa costiera contro i saraceni e la vita del marchese di Celenza alle torri di Capitanata, Campobasso, Nocera editore, 1977; Algranati, G., Le torri costiere del Mezzogiorno e le tradizioni popolari, in Brutium, 9, 10 settembre 1966.

9.  Mons Tria Giovanni Andrea, Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della Città e Diocesi di Larino, Roma 1744; Ricci, P., Fogli abbandonati di storia larinese, Larino 1913; Magliano, A., Considerazioni storiche sulla città di Larino, Campobasso 1895; Carfagnini, L., Memorie storiche di Montorio, manoscritto conservato nell’archivio privato di Guido Vincelli in Montorio nei Frentani (CB).

10.   Mammarella G., Larino sacra, Campobasso 1993.

11.   Libertucci A., Il nome del mio paese, in Kamastra, a. IV, n. 1, gennaio/febbraio 2000.

12.   Resětar M., Le colonie serbocroate nell’Italia Meridionale, Vienna 1911.

13.       Korolewskij P.C., Italo-greci e italo-albanesi; documenti esistenti nell’archivio di Propaganda Fide (cfr. Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, a. XVI, fasc. 1-4, 1947).

14.       Pertanto è inesatta la notizia riportata nel “Dizionario biobibliografico degli italo-albanesi” di G. Laviola, secondo la quale mons. Felice Samuele Rodotà nel 1736/1737 avrebbe visitato anche le chiese greche della Diocesi di Larino; a quell’epoca, in realtà, il rito bizantino nei paesi arbëreshë del Molise era già stato soppresso da più decenni; chiese, sulle quali, peraltro, il vescovo di Berea non avrebbe avuto alcuna giurisdizione. Le uniche visite ai monasteri e alle chiese greche del Molise potrebbero essere state quelle effettuate, per ordine di Onorio III, dal vescovo di Crotone e dall’Abbate di Grottaferrata nel maggio del 1221: “Honorius III episcopo Crotonensi et Abbati Criptae Ferratae mandat ut graecorum monasteria ordinis S. Basilii in Terra Laboris, Apulia et Calabria constituta visitent et reforment” (cfr Reg. Vat. 11, f. 122, n. 612).

15.       Bellizzi L., Villa Badessa, Pescara 1994;

16.                   Granelli A., Pianiano, Una colonia albanese dello Stato Pontificio, Roma 1913; Stendardi, E., Pianiano e i suoi ricordi albanesi, Roma 1939; Donati A., Un vescovo nativo di una colonia albanese nel Lazio, Michelangelo Calmet (1771-1817), in Rivista d’Albania, anno IV, giugno 1943; Fioriti L., Un’emigrazione albanese nella Tuscia, in Zjarri (numero speciale 1969-1989) anno XX, n. 33, 1989; Pianiano tra gli Etruschi, in Besa-Fede n. 174, maggio 2005.

17.       Il parroco si chiamava Andrea Blanco; la novella tradotta nella parlata arbëreshe di Ururi (la nona del Decamerone) fu pubblicata nel libro di Giovanni Papanti: I parlari italiani in Certaldo, Livorno 1875 (cfr. Libertucci, A., Il documento più antico della parlata arbëreshe di Ururi, in Kamastra, a. 7, n. 2, 2003).

18.       Delle Donne Marangone C., Pellegrini a Madonna Grande, 1999.

 

ROSSANO

RITORNO DEL RITO GRECO

 

Il prof. Valerio Capparelli, già membro del Circolo “Besa”, ora segretario dell’Associazione degli Arbëreshë di Rossano, ci ha inviato una nota sul ritorno, per iniziativa della suddetta associazione e con l’autorizzaione delle autorità ecclesiastiche, del rito greco in quella città e dintorni, antica sede metropolitana italo-greca:

 

Da un anno è stato introdotto a Rossano il rito bizantino. Dopo la pausa estiva sono riprese le sacre funzioni, che si svolgono nella chiesa del Sacro Cuore in viale Sant’Angelo, ogni ultima domenica del mese, eccetto dicembre, in cui l’appuntamento è previsto per il giorno 16. Finora la sperimentazione è ben riuscita.

L’iniziativa ha coinvolto numerosi fedeli, che hanno assistito alla celebrazione dell’antico rito. Mancava dalla città di San Nilo da oltre 500 anni. Ricordiamo che alla base del progetto, c’è l’accordo siglato tra la diocesi di Rossano-Cariati e l’eparchia di Lungro.

A sottoscrivere il documento i rispettivi vescovi, mons. Santo Marcianò e mons. Ercole Lupinacci, il parroco della chiesa del Sacro Cuore Domenico Strafaci, don Franco Milito, estensore del documento, i rappresentanti dell’associazione arbëreshe, Giulio Baffa, presidente, e Valerio Capparelli, segretario. L’associazione “Arbëreshë a Rossano” è nata nel 2005 grazie a molte persone provenienti dai paesi albanofoni, circa 700, 300 i gruppi familiari, che risiedono a Rossano.

Anche quest’anno, sarà don Agostino De Natale a celebrare il rito. In diverse occasioni sarà officiato il Trisaghion, Ufficiatura dei defunti. La liturgia, oltre che ad avvicinare i membri della comunità arbëreshe, costituisce anche un richiamo per i molti fedeli di rito latino e per gli extracomunitari che da tempo vivono a Rossano e che si stanno integrando nella società, grazie all’impegno in prima persona del parroco del Sacro Cuore, don Mimmo Strafaci.

 

La liturgia, celabrata per gli arbëreshë di tradizione bizantina che vivono fuori dell’eparchia di Lungro, diventa non solo un’occasione di preghiera comune, ma un momento di forte coesione (Besa/Roma).

 

ROMA

DECEDUTO L’ARCHIMANDRITA G. GHARIB

16 ottobre 2007

 

Nella Chiesa di S. Maria in Cosmedin il 18 ottobre 2007 l’arcivescovo melchita mons. Hilarion Cappucci ha presieduto i funerali di p. Giorgio Gharib, archimandrita del Patriarcato melchita, deceduto due giorni prima.

Era nato a Damasco nel 1930 ed aveva studiato nel seminario melchita di S. Anna a Gerusalemme.

A Roma aveva preso il dottorato al Pontificio Istituto Orientale con una tesi in liturgia.

Dal 1971 aveva insegnato Mariologia orientale e Dottrina mariana musulmana alla Pontificia Facoltà “Marianum” e poi anche alla Pontificia Università Urbaniana.

Ha pubblicato vari studi come: La Madonna nell’anno liturgico bizantino (Marianum 1972); Romano il Melode, Inni (Ed. Paoline 1981); tre volumi sulle icone di Cristo, di Maria, del Natale (Città Nuova, Roma). Ha coordinato i quattro volumi di “Testi mariani del primo millennio” (Città Nuova Roma 1988-1991) e ha collaborato alla preparazione dei “Testi mariani del secondo millennio”.

Per conto della Congregazione per le Chiese Orientali ha curato la redazione e la pubblicazione dei quattro volumi del libro liturgico “Anthologhion”.

Per i fedeli della nostra Chiesa di S. Atanasio, nell’anno 2005-2006 ha tenuto una serie di lezioni sulle icone despostiche, teomitoriche e dei santi (Besa/Roma).

 

NAPOLI

LAUREA HONORIS CAUSA

AL PATRIARCA ECUMENICO

 

L’Università di Napoli “L’Orientale”, perseguendo una politica culturale di collegamento e cooperazione internazionale propria della sua vocazione istituzionale, il 23 ottobre 2007 ha conferito la Laurea honoris causa in “Relazioni culturali e sociali nel Mediterraneo” a S. S. il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I.

Il Rettore dell’Orientale, prof. Pasquale Ciriello, nella prolusione ha ricordato il ruolo de “L’Orientale” quale crocevia di più culture e di più religioni, ritenendo un onore il conferimento di una tale onorificenza ad una personalità di alto profilo culturale e religioso, sensibile alle problematiche che assillano l’uomo contemporaneo.

Il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, prof. Riccardo Maisano, ha messo in luce la levatura del Patriarca, percorrendo il curriculum vitae e la funzione ecumenica che il Patriarca svolge in condizioni non sempre favorevoli. Ha anche sottolineato la preoccupazione del Patriarca per i problemi ecologici che incombono sull’umanità.

Il Patriarca Bartolomeo I nella sua lectio magistralis ha parlato dell’Unione Europea e della necessaria attenzione che essa dovrà porre alle istanze che provengono dal mondo ortodosso, portatore come è di valori umani di grande spessore, quale il senso della comunità, contro gli individualismi imperanti soprattutto in occidente.

Infine ha richiamato l’attenzione sulla necessità del rispetto dell’ambiente naturale (Besa/Roma).

 

ROMA

CONSIGLIO DI CHIESA

DI S. ATANASIO

 

Sabato 6 ottobre si è riunito il Consiglio della Chiesa di S. Atanasio per programmare le attività dell’anno pastorale 2007-2008.

 

1.  Per la festa nazionale di Albania (28 novembre) si sono concordate due iniziative:

 

*   Il sabato 24 novembre si farà la commemorazione del X anniversario della morte di Madre Teresa . Vi sarà la proiezione di un documentario del regista albanese Gjon Koldrekaj, presente il regista che ne farà il commento;

*   La domenica 25 novembre si celebrerà la Divina Liturgia in lingua albanese per tutti gli albanesi viventi in patria o dispersi nel mondo;

 

2.  Si continuerà il ciclo di mistagogia che quest’anno si concentrerà in un’introduzione alla lettura della Sacra Scrittura con tre lezioni di p. Giovanni Odasso della Pontificia Università Laterannense, con le seguenti scadenze:

*   Sabato 16 febbraio: La correlazione tra l’Antico e il Nuovo Testamento;

*   Sabato 8 marzo: Dal Vangelo “annunciato” ai vangeli scritti;

*   Sabato 5 aprile: Prospettive ermeneutiche;

 

3.  Domenica 18 maggio; incontro a Grottaferrata dei battezzati a S. Atanasio negli ultimi 15 anni, assieme ai genitori. Responsabile sarà l’ins. Agnese Jerovante.

 

4.  Domenica 8 giugno avrà luogo il pellegrinaggio annuale per un giorno di vita comunitaria dei fedeli di S. Atanasio con celebrazione eucaristica e pranzo al sacco. Responsabili saranno la prof. Maria Franca Cucci e la Signora Irene De Michele.

 

5.  Altre iniziative saranno concordate nel corso dell’anno secondo le necessità (Besa/Roma).

 

PIANA DEGLI ALBANESI

70° DI CREAZIONE DELL’EPARCHIA

1937- 2007

 

Ricorre il 70° di fondazione dell’Eparchia di Piana degli Albanesi (26 settembre 1937-2007). Per la circostanza ha visitato l’Eparchia il nuovo Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S.E. Leonardo Sandri, che il 24 novembre sarà ordinato cardinale da S.S. Benedetto XVI.

Il 26 ottobre, festa di S. Demetrio Megalomartire, Patrono dell’Eparchia, egli ha presieduto nella cattedrale la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo.

Sabato 27 ottobre mons. Aldo Giordano, Segretario Generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha tenuto una conferenza su “Il dialogo ecumenico in Europa: Dalla prima assemblea alla terza Assemblea Ecumenica Europea” (Sibiu 2007), presso la con - cattedrale “S. Nicolò dei Greci alla Martorana” a Palermo” (Besa/Roma).


 

Teologia quotidiana

80

EPÈKTASIS: GRAZIA DIVINA E SFORZO UMANO

 

La tensione che spinge l’uomo alla perfezione non è un tentativo di un’etica filosofica, o una gnosi o uno sforzo volontaristico pelagiano. Secondo S. Gregorio di Nissa si tratta di una vera sinergia tra la Grazia divina e lo sforzo umano sulla base della fede. La Grazia ha il primato dell’iniziativa e lo sforzo umano l’esercizio della libertà dell’uomo e quindi quello della sua responsabilità che rende il processo verso la perfezione, degno dell’uomo.

1. “La Grazia dello Spirito Santo viene concessa a ciascuno perché chi la riceve possa progredire e crescere” (Fine, professione e perfezione del Cristiano, Città Nuova Editrice, Roma 1979, p. 25). Nella visione cristiana è Dio che prende l’iniziativa e crea l’uomo a sua immagine, è Dio che per la “nostra salvezza” si incarna e assume l’umanità per redimerla, ed è la Grazia di Dio che nel cristiano genera la propulsione verso la perfezione in quanto processo di assimilazione al divino. In questa prospettiva il Nisseno cita il primo versetto del salmo 126: “Se non è il Signore a costruire la casa e a custodire la città, inutilmente veglia il custode e si affatica il costruttore”. E’ prioritario e indispensabile “l’aiuto dall’alto” e occorre rimettere al volere di Dio “ogni speranza di conseguire il fine desiderato”. In effetti “la virtù umana, per quanto potente, non riesce da sola a far salire al tipo di vita più alto l’anima priva di grazia”(Fine del Cristiano p. 28). Ma la via della perfezione tuttavia richiama lo sforzo dell’uomo, il suo coinvolgimento con la pratica dei comandamenti che indicano la via della virtù.

2. “L’anima rigenerata dalla potenza di Dio deve nutrirsi fino a raggiungere le dimensioni proprie della maturazione intelligibile dello Spirito, facendosi irrigare in misura sufficiente dal sudore della virtù e della concessione della grazia” (Ibidem p. 25). Lo sforzo umano è pertanto indispensabile ed è lo strumento ordinario per mettere in pratica la vocazione divina in ciascun credente. S. Gregorio a questo proposito presenta l’esempio dell’evoluzione del corpo umano che “corroborato da nutrimenti materiali progredisce secondo le leggi della natura”. Ugualmente l’anima rigenerata non deve rimanere sempre bambina “ma deve farsi irrigare dal proprio nutrimento spirituale e alimentarsi con le virtù e le fatiche fino a raggiungere le dimensioni richieste dalla sua natura” (Ibidem p. 26). La tradizione filosofica greca della virtù (aretē) offre il sottofondo culturale per la comprensione del suo senso come partecipazione al processo di crescita nella perfezione, come esercizio etico, come ascesi che educa lo spirito e le sue qualità per mezzo della ripetizione degli atti fino a farsene un abito. Così l’immagine della ragione come “pilota”, guida sulla via retta, ha la sua origine in Platone. Anche dal neoplatonismo il Nisseno assume immagini, motivazioni e orientamenti. Nella sua opera abbiamo una coerente incarnazione della dimensione cristiana nel contesto culturale ellenistico. Il Nisseno afferma: “Quanto più ti impegni nella gara della religiosità, tanto più aumenta la grandezza della tua anima, proprio grazie ai cimenti e alle fatiche che il Signore ci impone” (Ibidem, p. 27). Il Nisseno in questo contesto si richiama all’esortazione di S. Paolo di perseverare nella corsa: “Egli ci esorta a correre …perché il dono della grazia è commisurato agli sforzi di chi lo riceve” (Ibidem, p.27). Il Nisseno cita la parabola dei talenti dati perché vengano messi a frutto e non lasciati giacere inerti. Pure la parabola del seme caduto sul buon terreno, che frutta il centuplo, illustra la fecondità della cooperazione.

3. Nell’opuscolo “Il fine del Cristiano” è esplicitamente affermato, che tra la Grazia di Dio e lo sforzo umano vi è una feconda sinergia che evidenzia da una parte l’iniziativa divina e dall’altra l’efficace cooperazione umana. “Le azioni giuste e la Grazia dello Spirito, quando si trovano insieme, riempiono di vita beata l’anima su cui convergono, purché restino unite. Se si separano non sono di nessuna utilità all’anima” (Ibidem, p. 28). Le azioni “giuste”, cioè quelle prodotte dallo sforzo umano sotto l’impulso della Grazia, sono quelle che corrispondono alla volontà di Dio. Queste riempiono di “vita beata” l’anima del credente. “Separate dalla Grazia” non sono di “utilità”, rimangono sterili. L’uomo deve rimanere aperto allo Spirito di Dio e ubbidiente al suo volere. Il Nisseno afferma che “La Grazia di Dio non può per propria natura albergare nelle anime che rifuggono dalla propria salvezza (Ibidem, 28). Di conseguenza bisogna rimettersi sempre al volere di Dio. “Occorre dunque conoscere quel volere di Dio che deve tenere presente e verso cui deve tendere chi aspira alla vita beata, e al quale deve conformare la propria vita chi veramente desidera la beatitudine” (Ibidem, p. 28). Lo Spirito di Dio in ciascuno costruisce il bene stimolando nelle opere di bene e sorreggendo lo sforzo umano indispensabile per crescere e progredire. Il Nisseno per indicare la sinergia fra Spirito Santo e Azione umana usa questa immagine: “Lo Spirito…rimane come aiutante e inquilino in chi ne accetta il dono” (Ibidem, p. 25). Lo Spirito abita nell’uomo come aiutante e non come sostituto. Tra l’iniziativa dello Spirito e la realizzazione dell’uomo occorre una vera cooperazione.

4. La presenza dello Spirito nell’uomo genera un dinamismo verso l’infinito per cui nessuno stadio di crescita è definitivo. E’ tappa intermedia. Per S. Gregorio è chiaro che “l’uomo deve sempre elevarsi fino a diventare perfetto” e deve “cercare solo quella (Gloria) la cui bellezza è inesprimibile e il cui limite è introvabile” (p. 63) (Besa/Roma).

Roma, 4 novembre 2007

 

 

Circolare luglio 2007                                                                                                                           194/2007

Sommario

I detti di Gesù (52): “Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra…................... 1

ROMA: Istituita la “Fondazione Tommaso Federici”.................................................................... 2

ALBANIA: Archimandrita Pietro Scarpelli - Chiesa greco-cattolica............................................. 3

TIRANA: I Codici dell’Albania.................................................................................................. 6

TIRANA: Fede e cultura........................................................................................................... 7

ROMA: La Congregazione Orientale e gli Arbëreshë.................................................................. 7

NAPOLI: Atlante dialettologico della lingua albanese.................................................................. 8

CALABRIA: Il vescovo Giuseppe Bugliari e il Collegio di S. Adriano........................................... 9

ROMA: Incontro dei battezzati a S. Atanasio............................................................................ 10

GROTTAFERRATA: Liturgia e agiografia tra Roma e Costantinopoli........................................ 10

Epèktasis - Essere sempre protesi in avanti.............................................................................. 11

 

Tà lòghia - I detti di Gesù (52): “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra;

non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Mt 10,34)

 

L’attesa messianica di Gesù è sostanziata di aspettativa della pace globale che coinvolge l’anima, il corpo, la singola persona, la comunità religiosa, la società politica. Alla sua nascita gli angeli, interpretando il più profondo orientamento religioso, hanno cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). E dopo la sua morte per la redenzione del mondo, Gesù risorto apparendo ai discepoli  li salutò ripetutamente con  l’annuncio quotidiano ed escatologico: “Pace a voi” (Gv 20, 19.21). Appare quindi paradossale la precisazione che egli fa ai discepoli quando li sta preparando alla missione: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace (eirēnēn) sulla terra;  non sono venuto a portare la pace, ma la spada (màchairan) (Mt 10,34). La contrapposizione delle immagini di pace e spada rende più esplicito e percepibile il pensiero. In più Gesù entra nel discorso in modo diretto e quasi polemico contro qualche erronea concezione sul significato della sua venuta, o in seno “della comunità messianica o delle comunità di ambiente matteano”, cioè delle comunità che andavano costituendosi attorno alla predicazione di Matteo (Pierre Bonnard). Gesù scarta sin dall’inizio le eventuali opinioni erronee: “Non pensate (mē nomìzēte)”che sia venuto a portare un vacuo e fatuo pacifismo.

Egli è venuto a portare il rinnovamento radicale dell’uomo che esige la conversione (metànoia) e quindi un doloroso discernimento. Ciò potrà comportare una “separazione” tra figlio e padre, tra figlia e madre nel caso in cui “quelli di casa” - che pure vanno amati per comandamento di Dio -  possono essere di intralcio al rapporto con Dio:“Chi ama il padre o la madre “ più di me”(hypèr emè) non è degno di me” (Mt 10,37). La conversione richiesta da Gesù ai suoi discepoli esige la separazione tra il bene e il male, un taglio in due (ēlthon gar dichàsai): perciò si esige la spada (màchairan). Un taglio netto fra il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. Solo in seguito - dopo aver accolto il vero, il giusto, il bene -  si avrà  la pace vera. In altra circostanza Gesù, prima della sua passione e morte, disse ai discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”(Gv 14,27). Una pace cioè fondata sul compromesso etico, o peggio ancora su fini malvagi, o imposta con il terrore di autorità  violente. S. Giovanni Crisostomo porta l’esempio della falsa concordia e unità  che sosteneva la costruzione della Torre di Babele. “Dio pose fine a una pace negativa e procurò la pace” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 35,1). Perché - egli aggiunge: “La concordia non è sempre un bene, perché anche i briganti sono concordi” (Besa/Roma).


ROMA

ISTITUITA LA FONDAZIONE

TOMMASO FEDERICI

 

Riportiamo da L’Osservatore Romano il seguente articolo di Mons. Eleuterio F. Fortino scritto per il quinto anniversario della morte (13 aprile) di Tommaso Federici, “laico teologo”:

 

Ricorre il quinto anniversario della morte (13 aprile 2002-2007) di Tommaso Federici, laico cattolico, impegnato durante l’intera vita nella ricerca e nell’insegnamento teologico, nonché nella riflessione ecclesiale nel periodo seguente il Concilio Vaticano II di cui ha indagato le dimensioni profonde, ricercando sempre nei fenomeni e negli eventi ecclesiali gli aspetti radicali della vocazione cristiana. Nella sua opera, permanente è il rinvio all’esigenza della conversione personale e comunitaria. “Secondo la Sacra Scrittura l’attitudine fondamentale dell’uomo davanti a Dio, al prossimo ed a se stesso è la ‘conversione del cuore’. Il Vaticano II usa una terminologia varia, ma convergente”. Questa asserzione a sua firma si trova nel “Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo” (Unedi - Unione Editoriale, Roma, 1969) di cui è stato redattore capo.

Per l’anniversario della sua morte sono in programma diverse iniziative a Roma e nell’abbazia di Pulsano a Montesantangelo sul Gargano (Fg) dove riposano i suoi resti mortali. Anche nella chiesa cattolica di rito greco di S. Atanasio in via del Babuino, per anni frequentata dal Federici, si celebrerà, come ogni anno, un trisaghion bizantino in suffragio, la prima domenica dopo Pasqua  che nella Chiesa bizantina è detta “Domenica di Tommaso”, perché si ricorda l’apparizione di Gesù risorto a Tommaso assieme agli altri apostoli (Gv 20, 26-29).

Tommaso Federici  è nato a Canterano (Roma) il 30 aprile del 1927 ed è vissuto sempre a Roma. Ha avuto una formazione polivalente che egli ha utilizzato ad esclusivo fine ecclesiale. Laureato prima in lettere antiche presso “La Sapienza” di Roma e quindi in giurisprudenza, ha in seguito affrontato discipline specificamente ecclesiastiche ottenendo la licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e la laurea in Sacra Teologia presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo.

Il vescovo mons. Vincenzo Apicella scrive di lui che  “la vera svolta della sua vita” fu l’incontro al Pontificio Ateneo S. Anselmo con p. Cipriano Vagaggini e con p. Salvatore Marsili. E aggiunge che “furono essi ad introdurlo all’insegnamento accademico a S. Anselmo, dove con studiosi come Emmanuele Lanne, M. Löhrer, B. Nenhauser e A. Nocent, fu tra i fondatori del Pontificio Istituto Liturgico”. In seguito, presso questo Pontificio Istituto Liturgico, per anni ha insegnato, tra l’altro l’introduzione alla storia e alla prassi delle Liturgie Orientali e una materia che lo distingueva come “Bibbia e Liturgia” e che forse rimane la sua eredità spirituale. E’ di questo periodo la preparazione del voluminoso commento del lezionario bizantino (“Resuscitò Cristo”) pubblicato poi nel 1996. E’ stato professore ordinario presso la Pontificia Università Urbaniana e ha insegnato in altri istituti di teologia e vari seminari in Italia. La sua competenza è stata apprezzata dalle autorità ecclesiastiche e ne sono espressione gli importanti incarichi avuti: consultore presso l’allora Segretariato per l’Unità dei Cristiani (oggi Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani) per la speciale Commissione per le relazioni con l’ebraismo sotto l’aspetto religioso; consultore della Congregazione per il Culto Divino e per i Sacramenti; consultore della Congregazione per le Chiese Orientali. E’ stato anche Segretario della Pontificia Commissione per la Neo-Volgata.

Va certamente ricordato anche il suo consistente contributo a varie riviste teologiche, culturali, pastorali e la sua lunga collaborazione a L’Osservatore Romano.

Nell’esplicazione di questi incarichi e in particolare dell’insegnamento e dell’accompagnamento didattico degli studenti, da lui particolarmente curato, soggiaceva la permanente e quotidiana ricerca culturale e spesso un appassionato coinvolgimento per il suo amore alla Chiesa e alla sua missione nel mondo.

Per mantenere viva la sua eredità spirituale e per approfondire e continuarne la riflessione è stata costituita la “Fondazione Tommaso Federici” che, come si legge nei suoi atti fondativi, “si propone, tra l’altro la conservazione, la sistemazione e la prosecuzione del lavoro culturale teologico del suo titolare Tommaso Federici e la pubblicazione dei suoi inediti  e la riedizione delle altre sue opere già pubblicate”. Inoltre la Fondazione ha in programma l’organizzazione di incontri culturali, conferenze e dibattiti, “per la collaborazione interdisciplinare nell’ambito teologico-biblico-patristico-liturgico”. Intende promuovere l’ecumenismo, “in particolare per la conoscenza e l’aiuto allo sviluppo delle Chiese d’Oriente”. Operativamente la Fondazione si propone: la creazione di borse di studio e l’organizzazione di corsi, stages e convegni per la preparazione e il perfezionamento di operatori pastorali”.

La Fondazione ha già pubblicato un’opera inedita (Tommaso Federici, Cristo, Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, presentazione di mons. Vincenzo Apicella, EDB, Bologna 2005). Nella prospettiva, che è dominante in lui, della professione di fede nella risurrezione e del kerygma del Cristo Risorto, in queste sue riflessioni egli introduce a una vera “Scuola di preghiera cuore della Chiesa locale”. Nella presentazione presieduta dal Cardinale T. Špidlic, avvenuta all’università “Lumsa”, il prof. Lamberto Crociani ha spiegato che il volume è “un vero itinerario teologico, spirituale, pastorale che rivoluziona le stesse definizioni note della preghiera, che non è il risultato dello sforzo personale dell’uomo nei confronti del Signore, ma il frutto di un amore autentico e di un abbandono, che si esprime nel dialogo sincero con Lui e nelle opere della divina carità. Una preghiera, che come ogni realtà dell’uomo, è iniziativa di Dio”. Il cardinale Carlo Maria Martini in una lettera inviata per la presentazione del volume nota che “il libro assume l’andatura di un trattato teologico ampio, dove si coniugano teologia, ecclesiologia e spiritualità”, con l’intento di fornire le basi per fondare in ogni parrocchia “la scuola dell’amore di Dio o scuola di preghiera”. In essa ha predominanza la lectio divina  con i suoi quattro momenti classici: il leggere, il meditare, il pregare e il contemplare”. Il Cardinale Martini commenta: “Per quanto riguarda la descrizione concreta della lectio divina, mi trovo in molto di ciò che egli dice e penso che questa è sostanzialmente la via per la quale occorre procedere per mettere in pratica il Concilio Vaticano II”.

Attualmente sono in preparazione redazionale altre sue opere inedite. Entro l’anno sarà ripubblicato il commento al lezionario domenicale dei cicli A-B-C in tre volumi. E’ inoltre in preparazione un convegno teologico-liturgico della Fondazione a Pulsano, l’antica storica abbazia, in parte restaurata e ora abitata da una comunità monastica, alla cui rinascita Tommaso Federici ha dato il suo entusiastico impulso di ispirazione e di animazione. E a questa abbazia che egli ha affidato la sua ricca biblioteca biblico-liturgica, strumento prezioso per i centri di cultura religiosa e e di insegnamento teologico nel circondario.

Dalla ricerca e dall’insegnamento del prof. Federici emerge la permanente e stretta relazione tra la  lex orandi e la lex credendi sostenute dall’unico fondamento stabile della Sacra Scrittura che interpella e salva e che si esprime nella lex vivendi (Besa/Roma).

 

 

ALBANIA

ARCHIMANDRITA PIETRO SCARPELLI

CHIESA GRECO-CATTOLICA

 

Domenica 22 aprile, nel salone del seminario  eparchiale italo-albanese di Cosenza (Via Paparelle 16) è stata tenuta una conferenza su Mons. Pietro Scarpelli (Farneta 15 agosto 1887 – S. Paolo Albanese 24 agosto 1973) sotto il titolo “Missionario arbëresh in Albania dal 1929 al 1946”. Ha tenuto la relazione la prof. Ines Angeli Murzaku della Seton Hall University in South Orange, New Jersey (Usa). La giovane studiosa, già laureata all’Università di Tirana, ha ottenuto un dottorato in Scienze Ecclesiastiche Orientali presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma nel 1996. Legata alla Chiesa arbëreshe, è stata battezzata nella Chiesa di S. Atanasio in Roma, vive negli Stati Uniti di America. Riportiamo in due puntate la conferenza tenuta a Cosenza:

 

Mons. Pietro Scarpeli

Missionario arbëresh in Albania

Nota previa

La via verso l’unione degli albanesi ortodossi: il difficile inizio della chiesa greco – cattolica di Elbasan.

‘Uniatismo’ è secondo Taft un neologismo peggiorativo coniato per denotare un certo metodo di unione delle chiese. I cattolici orientali e gli ortodossi intendono il termine ‘uniatismo’ in modi diversi. I primi interpretano la storia dell’unione delle loro chiese con Roma come un ritorno alla unio ecclesiarum o ricostituzione dello stato di cose esistente prima dello scisma. Essi ritengono che tali unioni siano il risultato di un onesto scambio teologico e del desiderio sincero di unità tra i cristiani. Gli ortodossi, d’altra parte, danno poco peso ai fattori religiosi e mettono, invece, in rilievo obiettivi politici perseguiti da alcuni governi cattolici in accordo con la chiesa cattolica, espansionista ed ‘assertiva’, considerando, quindi, tali unioni contrarie alla ecclesiologia condivisa del primo millennio. Per tali implicazioni negative, nel presente contributo non verranno usati i termini «uniatismo», «uniate» e «unia» (se non che nelle citazioni dirette) mentre sarà utilizzato il termine «unione» da intendersi come comunione fraterna basata sulla fede negli stessi dogmi e sulla stessa Sacra Tradizione, conservata sia in Oriente che in Occidente. Precisazione dell’autrice nella parte introduttiva del testo orale, qui riassunto.

 

Istituzione della Chiesa Greco-Cattolica

Il nuovo Delegato Apostolico in Albania, Monsignor Della Pietra, prese a cuore il destino della cosiddetta missione per l’unione albanese, che egli considerò da subito promettente, affermando la disponibilità di molti ecclesiastici e laici nei confronti di Roma. Della Pietra aveva un’esperienza consolidata in Albania in quanto, prima della sua consacrazione episcopale e nomina a delegato, era stato rettore del Seminario di Shkodra.

Nel febbraio del 1928, il Cardinal Sincero della Congregazione per le Chiese Orientali rispose alle richieste di Della Pietra inviando ad Elbasan Papàs Pietro Scarpelli, un prete italo-albanese, già vicario generale dell’Eparchia di Lungro in Calabria. Fu deciso che, sotto la guida del delegato apostolico e in collaborazione con Germanos, Scarpelli si sarebbe occupato dell’erezione di una nuova chiesa per i greco - cattolici. La Catholic Near East Welfare Association aveva donato $2,000 per la costituenda chiesa greco cattolica d’Albania[27].

L’arrivo di Scarpelli in Albania il 9 maggio del 1928 coincise con un altro evento cruciale della storia albanese. Alcuni mesi più tardi, il 1° settembre 1928, con grande sorpresa di molti[28], in Albania fu proclamata la monarchia con Ahmet Zog, Re degli Albanesi, il quale avrebbe regnato sotto il nome di Re Zog I[29]. Il nuovo re voleva ‘plasmare’ l’Albania in base agli standard dell’Europa occidentale. Nel suo primo discorso al Parlamento, il neo eletto re vantò di poter apportare una magica trasformazione e si presentò come un sovrano profondamente dedito al cambiamento e al progresso della nazione balcanica[30].

Ma come si configurava al tempo l’attività missionaria per l’unione in Albania? All’inizio Scarpelli era quasi del tutto privo di speranza. Descrivendo la missione albanese per l’unione e specialmente i fedeli cattolici greci rimasti fedeli a Roma, Scarpelli rilevava che i numeri non erano certo promettenti in quanto rimanevano soltanto quindici famiglie della comunità greco-cattolica di Elbasan[31] e le impressioni che Scarpelli ebbe all’inizio del suo soggiorno ad Elbasan non erano certo incoraggianti. Egli sosteneva che il lavoro di Germanos non aveva prodotto risultati degni di considerazione e si era reso conto che l’unione appoggiata da Germanos era frutto di «mero calcolo di opportunità politica, o addirittura di una lotta politica tra Austria e Russia, che ebbe fine con il declino degli Asburgo»[32]. Scarpelli informò Roma sugli errori e le colpe di Germanos nel trattare la causa greco – cattolica ed ebbe modo di scoprire che la vita del vecchio archimandrita non era stata «né lecita e né cristiana»[33].

Tuttavia, Scarpelli trovò consolazione nelle numerose dimostrazioni di simpatia della popolazione ortodossa della città e dei dintorni nei confronti della sua missione. Scarpelli pensava di essere circondato dalla stima e dalla deferenza di persone di ogni rango e classe che spesso gli facevano visita esprimendogli di persona la loro approvazione. Egli comunque, percepì che le relazioni cordiali si erano leggermente modificate nel 1929, quando Re Zog faceva pressioni perché il riconoscimento ufficiale dell’autocefalia della chiesa ortodossa albanese avvenisse senza l’aiuto del Patriarcato Ecumenico[34]. Il governo albanese da solo «si assumeva il compito di organizzare la chiesa autocefala»[35]. Inoltre, nel marzo del 1929, fu costituito il Santo Sinodo dei Vescovi della nuova chiesa ortodossa autocefala albanese mentre, nel giugno dello stesso anno, il congresso di Korça approvò lo statuto definitivo della chiesa albanese[36].

Nel febbraio del 1929, Scarpelli cominciò ad avvertire le prime avvisaglie di contrasto e di opposizione che avrebbero determinato la sua espulsione dall’Albania sei mesi più tardi nel settembre del 1929. Tuttavia, la stima e la fiducia che il popolo dimostrava per Scarpelli e per la missione greco - cattolica non svanirono. Durante il periodo pasquale del 1929, Scarpelli ricevette un certo numero di visite ufficiali come quella del prefetto di Elbasan e del vescovo locale ortodosso e, per il giorno di San Pietro, suo onomastico, oltre cento persone gli fecero visita. Inoltre, nella capitale albanese Tirana, Scarpelli potè incontrare e parlare con Papàs Vasil Marko, considerato fondatore e creatore dell’autocefalia albanese. Marko si espresse in favore dell’unione ed assicurò a Scarpelli la sua collaborazione in quel processo[37]. Vasil Marko sperava che, con l’unione cristiana, la chiesa ortodossa d’Albania avrebbe riacquistato la sua dignità perduta insieme ad ampie disponibilità economiche per affrontare l’Islam Albanese, religione prevalente in Albania[38].

Intanto, la costruzione della chiesa greco – cattolica di Scarpelli era quasi completata, e il giorno dell’inaugurazione era stato fissato per il 25 agosto 1929. Il Delegato Apostolico Della Pietra, Francisco Genovizzi S.J., Rettore della Missione della Compagnia di Gesù a Tirana, autorità civili della regione capeggiati dal prefetto di Elbasan, autorità militari, Bey Verlaci,  deputato di Tirana, il senatore Beça, sostenitore dell’unione, membri delle elites di Elbasan, e una gran folla di gente del posto partecipò alla solenne cerimonia di inaugurazione[39]. Scarpelli aveva scritto al re per annunciare l’apertura della chiesa, implorando la sua adesione e approvazione per la nuova istituzione. Il re non rispose mai all’invito. Ciò fu un preannuncio di quanto sarebbe accaduto in seguito. La Messa di inaugurazione fu concelebrata da Scarpelli, Joan Toda e Naum Peqini, due preti ortodossi convertiti nel 1928. L’archimandrita Germanos morì ad aprile del 1929, solo quattro mesi prima delle solennità. Nella sua omelia Scarpelli illustrò lo scopo esclusivamente religioso della istituzione, e dopo di lui prese la parola Genovizzi. La cerimonia non fu disturbata nonostante l’ira e la contrarietà dimostrate dal Primate della chiesa autocefala, Vissarion Xhuvani, il quale aveva scelto «il giorno giusto» per fare visita ad Elbasan e turbare la festività. Infatti, Xhuvani arrivò ad Elbasan il giorno prima della cerimonia e proibì ai sacerdoti ortodossi locali (anche a chi aveva già accettato l’invito e confermato la propria partecipazione) di presenziare alla funzione. Mentre Scarpelli celebrava nella nuova chiesa, Xhuvani teneva un violento discorso contro la missione di unione, nella chiesa ortodossa di Santa Maria, e definiva la nuova chiesa «opera del diavolo, un cancro che mirava solo alla distruzione dell’autocefalia albanese»[40]. Xhuvani implorava i fedeli ortodossi di non mettere mai piede nella nuova chiesa e avvertiva che la pena sarebbe stata la scomunica. Tuttavia il discorso del Primate ortodosso non fu preso sul serio e il suo unico risultato fu la partecipazione di un buon numero di fedeli ortodossi alla cerimonia, probabilmente spinti anche dalla curiosità. Il discorso di Xhuvani evidenziò chiaramente quale fosse il livello di antagonismo e di risentimento nei confronti del movimento di unione.

Scarpelli non aveva dubbi o illusioni sulla difficile situazione e circa i problemi che la chiesa greco - cattolica avrebbe dovuto affrontare con la chiesa ortodossa autocefala albanese, il cui programma prevedeva l’opposizione sistematica alla crescita del movimento di unione. Oltre tutto, secondo il rapporto di Scarpelli, la causa dell’unione fu discussa nel Congresso albanese pan-ortodosso che si tenne a Korça nel marzo del 1929. Il Sinodo ortodosso aveva anche parlato dei mezzi concreti con cui impedire e reprimere qualsiasi propaganda di unione.

Inoltre, Scarpelli dovette affrontare le tribolazioni procurate dal clero della chiesa ortodossa autocefala e dai nazionalisti di Elbasan, i quali tra l’altro, erano fortemente contrari all’uso della lingua greca nella liturgia. Infatti i sostenitori dell’autocefalia rifiutavano del tutto l’uso del greco nelle chiese albanesi[41].

D’altronde, i nazionalisti albanesi ed i sostenitori dell’autocefalia avevano il pieno sostegno del governo circa la questione della lingua. La posizione del governo era prudente e sensata agli occhi delle autorità locali. Infatti il governo aveva affrontato innumerevoli difficoltà per istituire la chiesa ortodossa autocefala albanese, per sottrarla all’influenza greca e sostituire l’uso del greco con l’albanese. Perciò non voleva assolutamente alimentare false aspettative nei grecofili o reminiscenze della lingua e della cultura greca nei fedeli ortodossi. In questo modo cresceva l’opposizione verso la nuova chiesa.

Mentre Papàs Scarpelli ringraziava i sostenitori e gli amici che lo avevano aiutato a realizzare il progetto della chiesa, il governo di Tirana progettava il suo arresto e il suo espatrio. Papàs Scarpelli fu arrestato ed espulso dall’Albania il 19 settembre 1929[42].

La polizia ricercava anche Joan Toda e Naum Peqini, i due preti greco-cattolici di Elbasan, ma solo uno di loro fu catturato. Peqini fu portato in prefettura dove il prefetto, minacciando l’incarcerazione, l’allontanamento dalla sua famiglia e il taglio della barba, lo obbligò a ritornare all’Ortodossia. Peqini non resistette alla dura prova e cedette. Nel frattempo, dopo questo primo colpo, il Primate della Chiesa Autocefala, Xhuvani, che continuava la sua permanenza ad Elbasan, la domenica, 22 settembre 1929, nella chiesa ortodossa di Santa Maria, proclamò la vittoria dell’autocefalia e la fine dell’uniatismo albanese, «il microbo che aveva minacciato la vera vita della chiesa autocefala. Questo lupo rapace che ha divorato gli agnelli dell’Ortodossia, è stato eliminato una volta per sempre»[43].

Il Delegato Apostolico Della Pietra, avendo appreso ciò che era accaduto alla missione di unione di Elbasan, partì da Shkodra per confortare i fedeli. I fedeli greco - cattolici erano scoraggiati e depressi per ciò che era accaduto ai loro pastori e alla loro tanto desiderata chiesa. Della Pietra protestò in prefettura per il trattamento disonorevole riservato a Scarpelli, a Peqini e in generale a tutta la missione per l’unione. Ma l’azione del Primate Ortodosso, Xhuvani di concerto con il governo albanese, non era ancora conclusa. Si temeva una crisi nelle relazioni italo-albanesi e Xhuvani falsificò dei documenti per dimostrare la sua rettitudine. Compilò un elenco con 15 nomi di alcuni tra i più zelanti collaboratori di Scarpelli, i quali dichiararono di essere stati costretti a firmare un atto di conversione forzata come obbligo verso Scarpelli. I capi della regione Shpati, che erano stati i sostenitori dell’unione fin dal suo principio, dovettero comparire presso la Metropolia di Elbasan, e il Primate Ortodosso li obbligò a sottoscrivere una dichiarazione in cui essi testimoniavano che Scarpelli aveva corrisposto loro uno stipendio mensile di cinque Napoleoni d’oro, in riconoscimento del servizio reso alla chiesa d’unione. Inoltre, Scarpelli fu accusato di aver corrisposto del denaro ad alcuni abitanti del villaggio di Grabovo per poter così convertire l’intero villaggio al cattolicesimo. Fu accusato ancora di aver pagato mensilmente dieci Napoleoni a tre persone del vicino villaggio di San Giovanni per convincerli ad unirsi a Roma, con l’obiettivo a breve termine, di prendere possesso del Monastero Ortodosso della regione, lo stesso monastero offerto a Gjeçov dai monaci ortodossi durante il suo viaggio ad Elbasan nel 1924. Oltre a ciò, la stampa locale presentava la missione di Elbasan e la nuova chiesa greco - cattolica come una istituzione che si scontrava con le aspirazioni e il miglioramento della nazione albanese.

Inoltre, vennero sparse voci circa «un accordo segreto tra il governo di Mussolini e il Vaticano, in base al quale la chiesa, come strumento di propaganda religiosa (di cui l’Albania non aveva specificamente bisogno) era opera dell’Italia che, attraverso la chiesa, stava gradualmente diffondendo la sua influenza in Albania, e io [Scarpelli] fui mandato in Albania con il solo scopo di diffondere la propaganda italiana, danneggiando di conseguenza la nazione albanese»[44] (Besa/Roma).

 

TIRANA

I CODICI DELL’ALBANIA

 

Una pubblicazione scientifica critica e illustrata dei codici presenti in Albania con il patrocinio dell’Unesco e la redazione scientifica del Prof. Shaban Sinani e un corpo redazionale internazionale (Drejtoria e Përgjithshme e Arkivave, Kodikët e Shqipërisë, Tiranë 2003). Nella presentazione Kaliopi Naska e Shaban Sinani, dal titolo “Si portano a conoscenza 100 codici dell’Albania” si offrono informazioni utili per la comprensione e l’utilizzazione della pubblicazione. Emerge la sollecitazione a studi nuovi e specialistici su questi codici. I due redattori informano: “Nel volume Kodikët e Shqipërisë, opera scientifica e illustrata, si riporta una scelta della maggior parte degli articoli e degli scritti con carattere di studio e di divulgazione sui manoscritti circa i vangeli, pubblicati in un periodo di 135 anni, da quando il vescovo di Berat, Anthim Aleksudi, l’erudito “amico dell’arte”, come con affetto lo chiamano a Costantinopoli, ha descritto, per la prima volta, nel suo libro “Breve descrizione della sacra metropoli di Berat”, alcuni dei codici più antichi che si conservavano nelle Chiese e nei monasteri dei fedeli albanese. Vi si riportano anche studi di paleografia, di critica testuale, di catalogazione, e di biblioteconomia di studiosi locali e stranieri”.

Dall’indice vanno segnalati alcuni contributi particolari:

  • il manoscritto greco “Codex Purpureus” di Brata (Battifol):
  • il codice del monastero di Shën Kosmai (Mitrushi);
  • il catalogo dei manoscritti in greco nell’Archivio di Stato (Koder-Trapp);
  • I manoscritti biblici dell’Archivio Centrale (Mullen);
  • luogo di origine dei codici (Naço);
  • catalogo dei codici medievali dell’Albania (Theofan Popa);
  • manoscritti ecclesiastici medievali dell’Albania (Theofan Popa).

Di questi due ultimi capitoli il redattore Sinani osserva: “Il catalogo di Popa, assieme allo studio introduttivo, che è la prima  opera con dati archeologici e culturali-storici per i 100 codici del “Fondo 488”, creato sotto la sua direzione, viene pubblicato per la prima volta”. Quindi postumo. Il lavoro era stato preparato nel 1980 per uso interno dell’Archivio. Probabilmente il Popa ha riordinato anche il materiale religioso requisito al tempo della distruzione delle Chiese (1967).

La pubblicazione è stata realizzata sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica di Albania, Alfred Moisiu, e costituisce uno strumento per ulteriori studi ma anche per il recupero della dimensione spirituale del popolo albanese dopo l’alienazione materialista (Besa/Roma).

TIRANA

FEDE E CULTURA

 

In Albania, come nei diversi Paesi dell’Est Europeo,  con la caduta dei regimi comunisti, si pone con particolare urgenza la riflessione su “Fede e Cultura”. Don Arian Shkurti dell’Arcidiocesi di Tirana - Durrës ha preso la lungimirante iniziativa di fondare una collana di pubblicazioni su questa tematica. Dopo il razionalismo materialista marxista-leninista, è necessaria una apologetica che risponda alle esigenze della ragione. Nell’incipit del primo volume don Shkurti scrive: “Il Cristianesimo fin dall’inizio ha compreso se stesso come fede del Logos, come fede secondo ragione” (p.3). La collana ha già pubblicato due titoli: Nikolaj Berdjajev, La visione del Mondo di Dostojevski 2006; e Joseph Ratzinger, Il Cristianesimo e la crisi delle culture, 2007. Il primo è stato tradotto dal russo da Don Arian Shkurti in collaborazione con Ferdinand Leka; il secondo volume dall’italiano per opera del direttore della collana.

La scelta dei primi due titoli è indicativa: Berdjajev è un russo del secolo scorso  (Kiev 1874-Parigi 1948), convertito al cristianesimo ortodosso dopo una esperienza socialista, il secondo, cattolico, è l’attuale Papa di Roma che proietta la sua riflessione sulla dimensione cristiana dell’Europa rivolta al futuro. Il linguaggio albanese usato è ben studiato e costituisce un apporto arricchente alla lingua albanese, impoverita per questo aspetto per un mezzo secolo di imposta amnesia religiosa. Per la formazione della terminologia teologica potrà offrire  un vero apporto lo studio dei classici cattolici albanesi (Buzuku, Budi, Bogdani) e la pubblicistica cattolica, francescana e gesuitica in Albania, dei secoli XIX-XX (Besa/Roma).

ROMA

LA CONGREGAZIONE ORIENTALE

E GLI ARBËRESHË

 

Il 9 giugno 2007 il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato il nuovo prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, nella persona di S.E. Mons. Leonardo Sandri, già sostituto della Segreteria di Stato.  Egli prende il posto di S.B. Ignace Moussa Daoud, patriarca emerito di Antiochia dei Siri, che per limiti di età aveva presentato le dimissioni da prefetto della detta Congregazione. Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto in quel giorno visita alla Congregazione in relazione all’anniversario della sua istituzione per opera di Benedetto XV (1 maggio 1917). Questo stesso Papa, per il suo interesse verso l’Oriente, ha creato anche il Pontificio Istituto Orientale, e per gli italo-albanesi l’eparchia di Lungro e il Pontificio Seminario Benedetto XV di Grottaferrata.

Le eparchie di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia e il monastero esarchico di S. M. di Grottaferrata  dipendono direttamente dalla Santa Sede attraverso la Congregazione per le Chiese Orientali.

Il nuovo prefetto della Congregazione, mons. Leonardo Sandri, italo-argentino, è nato a Buenos Aires nel 1943 da genitori emigrati trentini. Ha svolto il servizio diplomatico in vari paesi, dal 16 settembre del 2000 era Sostituto della Segreteria di Stato.  Il giorno della sua nomina a prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha fatto una dichiarazione in cui tra l’altro affermava: “Come Sostituto della Segreteria di Stato ho collaborato da vicino con Benedetto XVI…Ora continuerò a farlo in questo settore delle Chiese Orientali, da lui intensamente conosciuto e amato.

Sono consapevole che mi viene affidato il grande “tesoro” della preghiera liturgica, della tradizione spirituale, della vita monastica, della vita di tanti Santi, dell’insegnamento dei Padri e dei Dottori della Chiesa d’Oriente. Un “tesoro” che speriamo anche oggi sia ricercato, rivisitato, approfondito e amato, così che esso possa offrire alle attese odierne della Chiesa universale e del mondo del nostro tempo la ricchezza di dottrina e di spiritualità della tradizione orientale”.

Nel discorso rivolto alla Congregazione per le chiese Orientali, Benedetto XVI tra l’altro ha detto:

“Questa visita mi pone sulle orme dei miei venerati Predecessori, il Servo di Dio Giovanni Paolo II e il Beato Giovanni XXIII, che vennero personalmente ad incontrare i Superiori e gli Officiali del Dicastero. Con essa intendo inoltre simbolicamente continuare il pellegrinaggio al cuore dell’Oriente che Papa Giovanni Paolo II ha proposto nella Lettera apostolica Orientale lumen. Poiché la venerabile e antica tradizione delle Chiese Orientali è parte integrante del patrimonio indiviso della Chiesa di Cristo (cfr Unitatis redintegratio, 17), egli esortava a conoscerla, affermando: "E’ necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa" (Orientale lumen, 1). Ho idealmente iniziato tale pellegrinaggio assumendo il nome di un Papa che tanto amò l’Oriente. E, aprendo ufficialmente il Servizio Petrino del Vescovo di Roma, mi sono raccolto presso il sepolcro dell’Apostolo chiamando accanto a me i Patriarchi orientali in comunione con il Successore di Pietro. Così, davanti a tutta la Chiesa, mi sono spiritualmente immerso nella sorgente sempre zampillante del Credo apostolico, facendo mia la professione di fede del Pescatore di Galilea nel "Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16)”.

Ha poi ricordato alcuni compiti del Dicastero:

La Congregazione ha compiti ben definiti, che svolge con competente dedizione. Sono lieto di poter esprimere ad essa il mio grato apprezzamento e di incoraggiarla a porre ogni suo atto nel quadro della missione propria delle Chiese Orientali e di quella componente della Chiesa latina che è ad essa affidata. Ribadisco l’irreversibilità della scelta ecumenica e l’inderogabilità dell’incontro a livello interreligioso. Elogio la più corretta applicazione della collegialità sinodale, e la verifica puntuale dello sviluppo ecclesiale suscitato dalla ritrovata libertà religiosa. La priorità della formazione sta molto a cuore al Papa, come pure l’aggiornamento della pastorale familiare, giovanile e vocazionale, e la valorizzazione della pastorale della cultura e della carità”.

Verso la fine del discorso ha aggiunto: “Con queste preoccupazioni la Congregazione si porrà accanto alle Chiese Orientali per promuoverne il cammino nel rispetto delle loro prerogative e responsabilità. In questo non facile compito sa di poter contare sempre sul Papa, sugli Organismi della Curia Romana secondo le rispettive funzioni, sulle Istituzioni ad essa legate: penso, soprattutto, al Pontificio Istituto Orientale, che pure ricorda il novantesimo di fondazione, e al quale va il mio ringraziamento per l’insostituibile e qualificato servizio ecclesiale.

Affido questi auspici al beato Giovanni XXIII: l’Oriente lo segnò profondamente fino a condurlo a convocare la "nuova Pentecoste del Concilio" in docilità allo Spirito e cordiale apertura verso tutti i popoli”.

Il Patriarca Ignazio Moussa Daoud, che ha concluso il suo servizio per superati limiti di età, ha retto la Congregazione con dedizione e amore per l’autenticità delle tradizioni delle diverse Chiese. Si è benevolmente e con aperta simpatia interessato della Chiesa italo-albanese, ha visitato l’eparchia di Lungo consacrandovi una nuova chiesa e ha seguito la celebrazione del II Sinodo Intereparchiale con attenzione. Ha presentato i membri del Sinodo al santo Padre Giovanni Paolo II e personalmente ha concluso il Sinodo con un denso discorso orientativo per il futuro (Besa/Roma).

 

NAPOLI

ATLANTE DIALETTOLOGICO

DELLA LINGUA ALBANESE

 

E’ stata realizzata una importante collaborazione tra  l’Accademia delle Scienze d’Albania - Istituto di linguistica e di letteratura e l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale – Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale. E’ stato appena pubblicato il primo volume dell’Atlante dialettologico della lingua albanese che prende in esame l’intero panorama delle parlate albanesi in Albania  e dovunque si parli l’Albanese.

 La voluminosa opera in due volumi in folio viene pubblicata con il contributo del CNR di Roma, dell’Università di Napoli L’Orientale, del Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale e della Regione Campania.

 Ne sono autori: prof. Jorgaqi Jinari (direttore), prof. Bahri Beci, prof. Gjovalin Shkurtaj, prof. Xheladin Kosturani con la collaborazione del prof. Anastas Dodi e prof. Menella Totoni (Atlasi  Dialektologjisë i Gjuhës Shqipe, Vëllimi I,  2007,  pp. 464).

Il prof. Italo Costante Fortino, responsabile scientifico dell’Accordo di collaborazione e cooperazione tra l’Accademia delle Scienze d’Albania e l’Università di Napoli L’Orientale ha firmato la “ Presentazione” che riportiamo integralmente dalla p. 3:

 

“Nell’ambito degli accordi culturali tra l’Accademia delle Scienze d’Albania e l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale rientra la pubblicazione dell’Atlante Dialettologico della Lingua Albanese (ADLA), una ricerca monumentale, condotta da studiosi dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana.

La promozione di un progetto di ricerca per un Atlante Dialettologico della Lingua Albanese spetta al prof.  Matteo Batoli (1929), poi ripresa dal prof. Carlo Tagliavini (1940), portata avanti dal prof. Eqrem Çabej che ne formulò il questionario sulla matrice degli atlanti di S. Gilieron e Batoli stesso.

Questo antefatto trovò la pratica realizzazione nel progetto dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana che si sviluppò dal 1970 al 1990, un ventennio di intenso e proficuo lavoro.

La crisi degli anni ’90 non offrì prospettive alla pubblicazione in Albania e, su indicazione del prof. Romano Lazzeroni, allora presidente del Comitato ricerche del CNR, l’Università di Napoli L’Orientale sponsorizzò l’impegno editoriale, inserendolo nell’accordo di collaborazione e cooperazione fra le due Istituzioni, e ottenendo un primo sostegno proprio dal CNR.

Nell’ambito del Convegno “Variazioni linguistiche in Albanese” (Salerno 1994), l’urgenza della pubblicazione dell’Atlante veniva ripresa dal prof. Bahri Beci, allora Direttore dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana, e coautore dell’Atlante stesso, il quale nella sua relazione ne evidenziava non solo gli aspetti strutturali ed il processo evolutivo che aveva portato alla definitiva stesura dell’Atlante, ma, attraverso l’osservazione dei fenomeni di convergenza e divergenza linguistica, riusciva a individuare nel Principato dell’Arbëri (sec. XI-XV), area tra Durazzo e il fiume Drin, il consolidamento di alcuni fenomeni dialettologici omogenei non estranei al processo di formazione di una progressiva “unità politica ed economica”. La tesi apriva prospettive di grande interesse storico e geopolitico che meritano ulteriori riflessioni ed approfondimenti, anche alla luce di tutti i dati che l’Atlante ora fornisce. Questo esempio è illuminante e denota quanta importanza può avere il quadro generale di innumerevoli fenomeni linguistici che hanno come campo tutta l’area albanofona, quella d’Albania, delle terre albanofone limitrofe, della Grecia, di Zara (Croazia) e dell’Italia Meridionale. Un cenno va fatto ai punti sondati per rilevare le varianti delle parlate arcaiche (sec. XV) degli Albanesi della diaspora in Italia: Villa Badessa (PE), Portocannone (CB), Casalvecchio (FG), Greci (AV), Barile (PZ), S. Costantino (PZ), S. Marzano (TA), Lungro (CS), Plataci (CS), S. Benedetto Ullano (CS), Macchia (CS), Falconara (CS), Carfizzi (KR), Caraffa (CZ), Piana degli Albanesi (PA).

I dati forniti dall’Atlante, permettono una ricostruzione complessiva delle varianti dialettali fonomorfologici che offrono fondate indicazioni per individuare le zone di provenienza delle varie ondate migratorie.

Doveroso più di un ringraziamento a chi ha reso possibile la presente pubblicazione: al CNR che ha permesso l’avvio della composizione dell’opera con un suo contributo finanziario; all’Università L’Orientale di Napoli e nello specifico al Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale che, oltre al contributo finanziario, ha investito in impegno ed energie; infine, ma non ultimo, alla Regione Campania, Area di Coordinamento Attività Sociali, in attuazione della Legge 14/2004 relativa alla Tutela della Minoranza Alloglotta e del Patrimonio Storico, Culturale e Folcloristico della Comunità Albanofona del Comune di Greci in Provincia di Avellino, per il prezioso sostegno finanziario che ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione della pubblicazione” (Besa/Roma).

 

CALABRIA

IL VESCOVO GIUSEPPE BUGLIARI

E IL COLLEGIO DI  S. ADRIANO

 

E’ stata ripubblicata la biografia del vescovo Mons. Giuseppe Bugliari (1813-1888) scritta dal Dott. Francesco Bugliari (1850-1926) il quale aveva composto un’altra  biografia su Mons. Francesco Bugliari. Entrambi sono stati vescovi presidenti del Collegio Corsini, fondato a s. Benedetto Ullano (1732) e trasferito a S. Demetrio Corone (1794).  Il giornalista Cav. Luciano Bugliari nella presentazione della ristampa scrive: “Entrambi i vescovi si sono adoperati a dar vita e decoro  al glorioso Collegio di S. Adriano”. I manoscritti delle due biografie sono stati pubblicati dal Com. Angiolino Bugliari, figlio dell’autore. Nella presentazione della ristampa della monografia su Giuseppe Bugliari si scrive: “Con questa ristampa, vogliamo contribuire alla pubblicazione di quest’opera, per dare il giusto omaggio e doverosa riconoscenza a un illustre casato, che ha onorato la storia di S. Sofia e tutte le Comunità arbëreshe”.

Il volumetto (Francesco Bugliari, Mons., Giuseppe Bugliari, Vescovo di rito greco bizantino, Presidente del Collegio italo greco di Sant’Adriano, 1813-1888, Caltagirone, 2007, pp. 84) traccia il percorso biografico di Francesco Bugliari: ambito familiare, formazione culturale, preparazione, servizio pedagogico, elezione episcopale, traversie giuridico-istituzionali, ministero nel Collegio.

Riportiamo  il necrologio  - egli era morto il primo di settembre 1988 - firmato dal Sac. Nicola Lopez di S.Demetrio Corone e pubblicato dal “Corriere di Roma” del 16 settembre del 1888 e ristampato nella presente biografia (pp. 77-78):

“Pace e Gaudio al suo spirito!

Nacque il 12 marzo 1813, e compì i suoi studi nel Seminario di Bisignano,  che allora brillava sì per la valenza dei professori e sì per l’opera indefessa del non mai abbastanza compianto  mons. Vescovo Felice Greco.

Unto sacerdote, si diede all’insegnamento di Lettere e di Scienze, e per più anni fu educatore in parecchie proficue famiglie delle due province di Cosenza e Catanzaro.

Con breve del 10 settembre 1875 fu dalla Santità di Pio IX promosso alla Sede Vescovile di Dansara i.p.i. e con altro di pari data fu deputato alle ordinazioni per gl’Italo-greci di Calabria e Basilicata. Per questo secondo ufficio e per il Decreto Reale del 15 aprile 1876, col quale veniva nominato Presidente del Collegio italo-greco di S. Adriano, fu anche nominato Abate Commendatario di S. Benedetto Ullano, per essere la Badia dello stesso nome annessa alla Mensa Vescovile. Dimorò al Collegio di S. Adriano, sede e sfera di vescovile giurisdizione, dal 1882 al 1885, dopo 22 anni dacchè, per effetto del Prodittatoriale Decreto del 26 ottobre 1860, nel posto di Vescovo Presidente, naturale reggitore del luogo, si era insediata una Commissione testè disciolta.

Colà, sebbene in una posizione ben diversa da quella degli illustri predecessori, malgrado gli acciacchi della salute e le cento altre difficoltà, Egli, saggio sempre e operoso, accurato e zelante del bene degli Albanesi, spiegò ogni industria per salvare i loro privilegi e tutelare i diritti della Chiesa, non dipartendosi dalla volontà dell’immortale fondatore Clemente XII, espressa col mezzo di varie Bolle, che furono e sono l’organico dell’Istituto nonché la fonte originaria dei privilegi degli Albanesi.

Il bene arrecato al Collegio di S. Adriano dalla Venerabile figura del Vescovo di Dansara di certo non risulta agli occhi di tutti, ma con franchezza si può affermare aver egli delicatamente e nobilmente adempiuto l’apostolica sua missione nel Collegio e fuori, massimamente se si ha riguardo ai tempi e alle condizioni in cui egli visse” (Besa/Roma).

 

ROMA

INCONTRO DEI BATTEZZATI

A S. ATANASIO

 

Il 17 giugno 2007, domenica prima della festa di S. Giovanni Battista, ha avuto luogo l’incontro dei battezzati nella chiesa di  S. Atanasio. Questa volta  sono stati invitati i battezzati dal 1980 in poi, 70 fra giovani e bambini. L’incontro è stato organizzato dall’ins. Agnese Jerovante presso il Seminario Italo-Albanese Benedetto XV a Grottaferrta, ospitati con disponibilità arbëreshe, da p. Nicola Cuccia. A fine mattinata nella cappella del Seminario - iconostasi di p. Partendo Pavlic - è stata celebrata dall’archim. Eleuterio F. Fortino, la Divina Liturgia, cantata dai partecipanti  con i canti in greco in gran parte, ma anche in albanese nella musica di p. Nilo Somma e in italiano nella musica del prof. Giovan Battista Rennis. Nell’occasione si è celebrato il rito del dono del nome alla neonata Elena Stirparo, che sarà battezzata fra poco. Ne è seguita un’agape fraterna, con canti popolari in arbëresh e in italiano, durante la quale la coppia Antonella Bellizzi da S. Basile e Luigi, sposati di recente, hanno festeggiato con la comunità atanasiana  il loro matrimonio. A conclusione  si è partecipato al vespro celebrato dai monaci nella chiesa del monastero e un gruppo più ristretto ha visitato nelle loro camere alcuni padri  ammalati di cui si è ammirata la serenità di spirito “(Besa/Roma).

GROTTAFERRATA

LITURGIA E AGIOGRAFIA

TRA ROMA E COSTANTINOOLI

 

Sotto il titolo di “Liturgia e Agiografia tra Roma e Costantinopoli” [Analekta Kryptoferreis 5], Grottaferrta 2007, sono stati pubblicati gli “Atti dei Seminari di studio” tenuti a Grottaferrata negli ani 2000-2001.

I convegni erano stati organizzati  dall’Università degli Studi Roma Tre (Dipartimento di Letterature Comparate  e Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Antropologici), dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata (Dipartimento di Storia) e dalla Badia Greca di Grottaferrata, in collaborazione con L’Associazione Italiana per lo Studio della Santità, dei Culti e dell’Agiografia e con l’Associazione Italiana degli Slavisti. La miscellanea comprende quattro sezioni, ricche di importanti e interessanti contributi, di specialisti della materia.

 

La prima sezione comprende 5 studi su “Aspetti liturgico-agiografici della tradizione italo-greca”.

La seconda sezione contiene 6 studi su “Liturgia e agiografia nel mondo bizantino-slavo”.

La terza sezione contiene otto studi su “Inventio e/o translatio : il culto delle reliquie dei santi”.

La quarta sezione contiene sette studi su “Reliquie e santi e legittimazione del potere”.

Per il nostro interesse particolare segnaliamo i titoli degli studi sulla tradizione italo-greca:

Enrico Morini: La visione ‘epicletica’ nel Bios italo-greco di sant’Elia Speleota. Origine e fortuna, risonanze bibliche e valenza liturgica di un topos agiografico;

Ilaria Bonaccorsi: Il Sermo de Sancto Bartholomeo apostolo interprete Anastasio Bibliotecario;

Elena Paroli: Aspetti liturgici della festa di S. Bartolomeo a Grottaferrata;

Gaia Taccagni: Considerazioni sulla paternità del Bios di S. Bartolomeo di Semeri;

Antonio Saturnino: Sulla titolatura aulica e di funzione presentente in un Bios monastico italo-greco del X secolo. La pubblicazione degli Atti è stata curata da Krassimir Stanchev e da Stefano Parenti.

 

Essi nella premessa informano sulla genesi e svolgimento dei seminari. Tra l’altro ne descrivono la forma: “I seminari si sono svolti sotto forma di tavole rotonde, due per ciascun seminario.

Il Comitato organizzativo aveva invitato per ogni tavola rotonda un certo numero di relatori che dovevano tracciare le principali linee della discussione, alla quale, oltre i relatori hanno partecipato numerosi altri colleghi”. I loro interventi debitamente rielaborati sono stati inclusi nella presente pubblicazione (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

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EPEKTASIS – ESSERE SEMPRE PROTESI IN AVANTI

 

“Siate dunque perfetti (tèleioi) come è perfetto (tèleios) il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Il discepolo è chiamato da Gesù alla perfezione, intesa come realizzazione completa, piena, senza lacune. E si indica il Padre come modello, esempio da imitare. In un corrispondente passo del Vangelo di Luca, si usa lo stesso paragone: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6, 36). S. Gregorio di Nissa ha profondamente riflettuto su questa vocazione - essere perfetti come il Padre - che si pone tra la trascendenza di Dio e l’inadeguatezza dell’uomo. Nel breve trattato che ha dedicato alla “Perfezione cristiana” San Gregorio mostra che S. Paolo “indagò sugli oscuri e nascosti misteri divini”. Ma aggiunge che “avendo compreso tutto ciò che le facoltà umane riescono a concepire sulla natura divina, (s. Paolo) mostrò che il discorso sull’essenza trascendente è irraggiungibile e incomprensibile per il pensiero umano” (Fine, Professione e Perfezione  del Cristiano, a cura di Salvatore Lilla, Città Nuova Editrice, 1979, p. 91). Si tratta quindi di una realtà “irraggiungibile” a cui però il cristiano è chiamato. A questa meta lontana si deve “tendere” senza interruzione. I discepoli di Gesù devono essere perfetti “come” (ōs) il Padre celeste. L’avverbio “come” (ōs) indica la possibilità e il limite. In questa prospettiva sviluppa l’orientamento spirituale S. Gregorio di Nissa: l’uomo rimane sempre “proteso” verso la perfezione. La perfezione umana è un progresso continuo e non una meta stabile raggiunta una volta per sempre. Una visione quindi dinamica e moderna.

1. S. Gregorio di Nissa (335c - 394c), con suo fratello San Basilio e San Gregorio di Nazianzo è uno dei tre Padri Cappadoci che hanno segnato definitivamente le vie dello sviluppo e della formazione della teologia cristiana. Nutrito di cultura classica, e particolarmente del pensiero platonico e neoplatonico, ha utilizzato modificandoli, cristianizzandoli, concetti filosofici che sono serviti a inculturare la fede cristiana nell’ellenismo. E’ stato eletto vescovo di Nissa nel 372. Subì l’influsso del fratello Basilio di cui completò l’Esamerone, il commento alla Genesi, con l’opera De hominis opificio. Sullo stile dei dialoghi di Platone scrive il trattato Sull’anima e la resurrezione, dialogo con la sorella Macrina morente. Compone trattati di teologia, di ascetica, di apologetica e diverse opere esegetiche sull’Antico e il Nuovo Testamento. Verso il 385 scrive la Grande Catechesi, quasi una Summa dottrinale per coloro che insegnano la dottrina cristiana. E’ interessato alla spiritualità e al comportamento cristiano. Scrive trattati di orientamento etico indirizzati a determinate persone come i tre opuscoli su “Fine, professione e perfezione del cristiano”. In piena maturità umana e culturale redige il trattato esegetico-spirituale sulla Vita di Mosé. In essa “dopo aver presentato la istoria (il racconto della vita di Mosé), descrive in una theoria (significato) l’ascesa dell’uomo di Dio fin nelle tenebre, dove incontra il Signore che gli si rivela” (J. Gribomont). Svolge un ruolo importante nel Concilio Ecumenico di Costantinopoli I nel 381, dove è stato completato il Simbolo di fede.

2. Gregorio di Nissa ha influito in modo determinante sulle correnti spirituali della tradizione bizantina. Viene indicato come suo orientamento specifico quello riassunto nel termine epèktasis (tensione verso): “La tensione dell’anima verso Dio si sviluppa in un continuo crescendo . Questa ascensione verso Dio è un crescendo illimitato che proseguirà anche in cielo” (Lucas Francisco Mateo Seco – Giulio Maspero, Gregorio di Nissa Dizionario, Città Nuova, Roma 2007, sub voce). Egli fonda il suo orientamento sulla creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo che riflette su se stesso “con mente schietta e pura” vede chiaramente “riflessi nella sua natura l’amore di Dio per noi e l’intento della sua creazione”. L’uomo ha in se stesso una vocazione e un dinamismo che ne fa trascendere la propria condizione. All’inizio del trattato sul “Fine del cristiano” egli scrive che l’uomo esaminando la propria natura, “constata che l’impulso che porta a desiderare le cose belle e migliori fa parte integrante dell’essenza stessa e della natura dell’uomo”. Inoltre aggiunge che nella sua indagine l’uomo scopre che “legato alla sua natura è il suo amore, scevro da passioni e beato, per quell’immagine intelligibile e beata di cui l’uomo stesso non è che l’imitazione” (immagine di Dio). Ne proviene un dinamismo senza termine. Il Nisseno fonda questa prospettiva sulla lettera di Paolo ai cristiani di Filippi: “Fratelli – scrive San Paolo di cui Gregorio è profondo conoscitore – io non ritengo ancora di esservi giunto; questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3, 13).

3. L’uomo è mutevole, non soltanto in rapporto al male, ma anche e soprattutto in rapporto al bene. “La più bella manifestazione della mutevolezza è rappresentata dalla crescita nel bene”. L’uomo è chiamato all’ascesa. E il Nisseno nelle ultime righe del trattato su “La perfezione cristiana” afferma che “l’ascesa ad una condizione migliore fa di chi si trasforma in senso buono un essere più divino”. La perfezione è uno “status viae”. L’uomo è sempre in cammino e proteso verso la perfezione. Il Nisseno conclude il trattato in questa prospettiva:: “La vera perfezione consiste nel non fermarsi mai nella propria crescita, e nel non circoscriverla entro un limite” (Besa/Roma).

Roma 8 luglio 2007

 

 

 

 

SETTIMANA SANTA E PASQUA IN S. ATANASIO A ROMA

2007

 

 

“Credo in un solo Signore Gesù Cristo

...e patì e fu sepolto e il terzo giorno risuscitò,  secondo le Scritture”

 

 

DOMENICA - PALME

ore 10,30

Benedizione delle Palme
Liturgia di S. Giovanni Crisostomo

 

ore 18,45

Akoluthia del Nymphios

 

LUNEDI’  SANTO

 

ore 18,45

 

Liturgia dei Presantificati

 

MARTEDI’  SANTO

 

ore 18,45

 

Liturgia dei Presantificati

 

MERCOLEDI’ SANTO

 

ore 18,45

 

Liturgia dei Presantificati

 

GIOVEDI’ SANTO

 

ore 10,00

 

Esperinòs e Liturgia di S. Basilio

 

ore 18,00

Ufficio della Passione

(Lettura dei 12 Vangeli)

VENERDI’ SANTO

ore 10,00

Ora Nona - Esperinòs

e Deposizione dalla Croce

 

ore 18,00

Epitaphios thrinos

Enkomia

Processione

SABATO SANTO    

ore 10,00

Esperinòs e Liturgia di S. Basilio

 

ore 23,00

Mesonyktikòn

Anastasis

Orthros

Liturgia di S. Giovanni Crisostomo

DOMENICA DI PASQUA

ore 10,30

Liturgia di S. Giovanni Crisostomo

 

ore 19,00

Esperinòs

Proclamazione dell’Evangelo in varie lingue

 

 

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Xristo;" ajnevsth ejk nekrw'n  qanavtw/  qavnaton pathvsa"

kai; toi'" ejn toi'?" mnhvmasi zwh;n  carisa;meno".

Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte

 e a quanti giacevano nei sepolcri ha donato la vita.

U ngjall nga varri Zoti Krisht, me vdekje vdekjen dyke shkelur,

 edhe të varrosurve një jetë ja duroi të re.

 

 

Pasqua 2007

 

 

 

 

S. A T A N A S I O

 

Comunità Cattolica Bizantina – Via dei Greci 46 – 00187 Roma

 


 

CATECHESI PASQUALE

DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO

 

Se uno è devoto e ama Dio, goda di questa festa bella e luminosa.

Se uno ha penato digiunando, adesso goda il suo denaro.

Se uno ha lavorato dalla prima ora, accetti oggi il giusto salario.

Se uno è venuto dopo la terza ora, festeggi con gratitudine.

Se uno è giunto dopo la sesta, per nulla dubiti: nulla perde.

Se uno ha tardato fino alla nona, s'avvicini, non esiti affatto.

Se uno è giunto solo all'undecima, non tema il ritardo.

Infatti, il Signore è premuroso: accetta l'ultimo, proprio come il primo, dà riposo a quello dell'undecima, come a chi ha operato dalla prima, e fa misericordia all'ultimo, e cura il primo, e dona a quello, e fa grazia a questo, e accetta le opere, e accoglie l'intenzione, e onora l'attivarsi, e loda il proposito. Tutti entrate, dunque, nella gioia del Signore nostro: sia i primi, sia i secondi, godete la ricompensa.

Ricchi e poveri, giubilate insieme.

Astinenti e pigri, onorate il giorno.

Digiunanti e non digiunanti, rallegratevi oggi.

La mensa è ricolma, vivete felicemente.

Il vitello è grosso, nessuno esca affamato.

Tutti godano il convito della fede. Godete tutti la ricchezza della bontà, poiché si è manifestato il regno comune.

Nessuno gema per i suoi errori: poiché il perdono è sorto dal sepolcro. Nessuno tema la morte: poiché ci ha liberati la morte del Salvatore: ne era trattenuto, la ha spenta. Ha depredato l’Inferno Colui che discende nell'Inferno. Ha amareggiato l'Inferno, che ha gustato la carne di Lui. Anticipando questo, Isaia ha gridato:

“L'Inferno - afferma - è stato amareggiato!”,

avendovi incontrato Te.

Fu amareggiato: poiché fu esautorato del tutto.

Fu amareggiato: poiché fu umiliato per sempre.

Fu amareggiato: poiché fu reso morto per sempre.

Fu amareggiato: poiché fu schiantato per sempre.

Fu amareggiato: poiché fu legato per sempre.

Ha afferrato un corpo: e s'è scontrato con un Dio.

Ha afferrato la terra: e s'è incontrato con il cielo

Ha afferrato quanto vedeva: ed è caduto dove non vedeva.

Dove sta, morte, il tuo aculeo? Dove sta, Inferno, la tua vittoria?

E' risorto Cristo, e tu sei stato precipitato.

E' risorto Cristo e sono caduti i demoni.

E' risorto Cristo, e gioiscono gli Angeli.

E' risorto Cristo, e la Vita vive splendidamente.

E' risorto Cristo, nessuna morte incombe sui sepolcri.

Poiché Cristo Risorto dai morti è divenuto, primizia dei dormienti.

A Lui la gloria e la potenza per i secoli dei secoli.     Amìn

(traduzione di Tommaso Federici)

Pasqua 2007

 

In memoria

di Tommaso Federici

 

Il 15 aprile, la prima domenica dopo Pasqua, detta di Tommaso, la Comunità Cattolica Bizantina che frequenta questa chiesa di S. Atanasio ricorderà il prof. Tommaso Federici (30 aprile 1927 – 13 aprile 2002). Sarà celebrato un trisaghion a conclusione della Divina Liturgia che avrà inizio alle ore 10,30.

Durante la sua vita, il prof. Federici, oltre al suo interesse scientifico e didattico per le tradizioni liturgiche orientali, ha frequentato per anni questa chiesa e ha aiutato il Circolo di Cultura “Besa –Fede” con le sue lezioni.

Subito dopo l’evento del Concilio Vaticano II (1962-1965) egli ha partecipato attivamente alle iniziative del Circolo ecumenico “Koinonia” sempre presso questa chiesa.

E per anni ha diretto e animato la lectio divina settimanale, sul libro dell’Esodo e sulla Apocalisse con competenza biblica e con zelo generoso per la presentazione e lo studio della Parola di Dio. A suo nome è stata costituita una “Fondazione” con lo scopo di promuovere la conoscenza del suo insegnamento. La Fondazione ha pubblicato un primo volume, opera postuma, dal titolo: “Cristo Signore risorto, amato e celebrato” (EDB, Bologna 2005) con una presentazione di S. E. Mons. Vincenso Apicella.

Eleuterio F. Fortino


ANNUNCIO DELLA RESURREZIONE NELLA CHIESA DI S. ATANASIO A ROMA

 


 

Terminato il mesoniktikon, a luci spente, il celebrante accende il cero dalla “lampada asveston, inestinguibile” che arde sempre nel Vima, invita il popolo ad accendere il proprio cero con questo inno:

 

“Venite, prendete luce dalla Luce che non conosce tramonto e glorificate Cristo, risorto dai morti”.

 

Si ripete l’inno fino a quando non avranno tutti acceso il cero. Quindi si forma una processione per recarsi fuori della Chiesa, nel luogo dove sarà proclamato l’Evangelo della resurrezione, mentre si canta ripetutamente questo altro inno:

 

Gli angeli inneggiano in cielo! Fa’ che anche noi sulla terra siamo resi degni di glorificarti con cuore puro.

 

Il vangelo che si proclama è preso da Matteo (28, 1-10), oppure da Marco (16,1-8) su l’apparizione di Cristo alle donne mirofore:

 

“Voi cercate il Nazareno, il crocifisso. E’ risorto non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vederete”.

 

Terminata la proclamazione del vangelo si canta l’inno della resurrezione:

 

Cristo è risorto dai morti con la sua morte ha calpestato la morte, dando la vita a coloro che giacevano nei sepolcri”.

 

Dopo la grande litania degli irinikà, si ricompone la processione per rientrare in chiesa. La porta della chiesa è chiusa.

 

 

APERTURA DELLA PORTA

 

 

Il celebrante con la croce astile bussa alla  porta: ha luogo un dialogo con il lettore che sta all’interno della chiesa  sulla base del salmo 23 (24), 7-10:

 

Celebrante:

Sollevate, porte, i vostri frontali,

alzatevi porte antiche,

Ed entri il re della gloria!

 

Il lettore:

Chi è il re della gloria?

 

Celebrante:

Il Signore forte e potente,

il Signore potente in battaglia.

Sollevate, o porte, i vosri frontali,

alzatevi porte antiche,

ed entri il re della gloria.

 

Il lettore:

Chi è il re della gloria?

 

Il celebrante:

Il Signore degli eserciti è il re della gloria!

 

Si spalanca la porta, la processione preceduta dalla croce entra in chiesa, completamente illuminata, mentre si canta il canone di s. Giovanni Damasceno:

 

E’ il giorno della risurrezione! Risplendiamo di luce, o popoli. E’ la Pasqua del Signore, Pasqua! Cristo, Dio nostro, ha trasferito dalla morte alla vita, dalla terra al cielo, noi che cantiamo l’inno della vittoria!

 

Segue l’òrthros che si conclude con il seguente doxastikòn delle lodi:

 

E’ questo il giorno della resurrezione! Risplendiamo di luce in questa solennità ed abbracciamoci gli uni gli altri. Diciamo, fratelli, anche a quelli che ci odiano: perdoniamo tutto nel giorno della resurrezione e con essi gridiamo: “Cristo è risorto dai morti con la sua morte ha calpestato la morte, dando la vita a coloro che giacevano nei sepolcri”.

 

A questo punto ha luogo l’abbraccio fra tutti presenti.



PROCLAMAZIONE DELL’EVANGELO A TUTTE LE GENTI

 


 

La sera della domenica di Pasqua si celebra l’esperinòs con la proclamazione dell’Evangelo in varie lingue per sottolineare il mandato del Signore risorto di fare discepoli tutti i popoli. Si cantano i seguenti stichirà:

 

Venite adoriamo il Verbo di Dio, generato dal Padre prima dei secoli, che si è incarnato dalla Vergine Maria. Dopo aver subito la croce è stato sepolto, come volle e, risorto dai morti, ha salvato me, uomo smarrito.

 

Cristo, Salvatore nostro, avendo inchiodata alla croce il chirògrafo dei nostri peccati, lo ha cancellato e ha distrutto la potenza della morte. Adoriamo la sua resurrezione al terzo giorno.

 

Inneggiamo con gli arcangeli alla resurrezione di Cristo. Egli è il liberatore e il salvatore delle anime nostre e nuovamente verrà con gloria tremenda e grande potenza a giudicare il mondo, che ha plasmato.

 

Te, crocifisso e sepolto, l’angelo ha proclamato Signore e diceva alle donne: “Venite, vedete dove giaceva il Signore; è risorto, come onnipotente”. Perciò adoriamo te, il solo Immortale, o Cristo, datore di vita, abbi pietà di noi.

 

Sulla croce hai distrutto la maledizione del legno e nella tua sepoltura hai disfatto la potenza della morte. Nella tua resurrezione hai illuminato il genere umano: Perciò ti gridiamo: “O Cristo, Dio nostro, benefattore, gloria a te”.

 

Le porte della morte per il timore si aprirono, o Signore, davanti a te; e i custodi dell’Ade, vedendoti ne furono sbigottiti. Stritolasti le porte di bronzo e frantumasti le sbarre di ferro, traendoci fuori dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzando le nostre catene.

 

Dopo l’Isodos e il canto del Fos ilaròn (luce gioiosa) si proclama la seguente pericope evangelica (Gv 20, 19-25), suddivisa in tre brani che uno dopo l’altro vengono proclamati in varie lingue:

 

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù e si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli gioirono nel vedere il Signore.

 

Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, non rimessi resteranno.

 

Tommaso, uno dei dodici, chiamato dìdimo (gemello), non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non vedo la mia mano nel suo costato, non crederò”.

 

 

Seguono gli apòsticha della resurrezione:

 

La tua resurrezione, o Cristo salvatore, ha illuminato tutto l’universo; tu hai richiamato a te la tua creatura, Signore onnipotente, gloria a te!

 

 

Una Pasqua sacra oggi ci è stata rivelata; Pasqua nuova, santa; Pasqua mistica, Pasqua degna di venerazione; Pasqua, il Cristo liberatore; Pasqua immacolata; Pasqua grande, Pasqua dei credenti, Pasqua che schiude le porte del Paradiso; Pasqua che santifica tutti i fedeli”.

 

 

 

Circolare febbraio 2007                                                                                                                       190/2007

 

Sommario

 

 

I detti di Gesù (48): Un discepolo non è più del maestro........................................................... 1

ACQUAFORMOSA: Comunità bizantina arbëreshe................................................................... 2

GROTTAFERRATA: Analisi della dichiarazione comune di Benedetto XVI e di Bartolomeo I       5

SCUTARI: Studime Gjuhësore................................................................................................... 9

S. DEMETRIO CORONE: Kalendar arbëresh 2007................................................................... 9

S. COSTANTINO ALBANESE: Notizie Istoriche degli Albanesi................................................ 9

ROMA: Quaresima a S. Atanasio............................................................................................ 10

Hesychìa: L’impassibilità che è imitatrice di Dio - cielo sulla terra.............................................. 11

 

Ta lòghia - I detti di Gesù (48): “Un discepolo non è più del maestro”

 

Nell’asserire che “un discepolo non è più (hypèr) del maestro” (Mt 10,24), non si intende parlare in modo generico, perché la storia e l’esperienza mostrano che non di rado il discepolo supera il maestro nel pensiero, nella scienza, nell’arte. Gesù parla del rapporto particolare fra il Maestro, egli stesso, e i suoi discepoli, fra Cristo e i cristiani nel complesso rapporto: Gesù Dio-Uomo e i cristiani chiamati alla deificazione. E si riferisce al caso particolare della sofferenza che egli affrontò fino alla morte in croce.

Inviando in missione i suoi discepoli li previene annunciando loro che incontreranno opposizioni e persecuzioni. “Sarete odiati a causa del mio nome” (Mt 10, 21). Il Cristo è stato perseguitato e crocifisso, il cristiano è messo nella stessa condizione “a causa del suo nome” (dià tò ònoma mou). Non può esserne esentato proprio per la sua qualità di cristiano, perché trasmette lo stesso messaggio di Cristo. E’ il messaggio di redenzione e di conseguenze etiche che è avversato. Non si tratta tuttavia di un paragone di uguaglianza, ma esprime “l’idea di una identità terrena tra il Signore e il suo servitore”, destino che conosce la persecuzione e talvolta la morte. Ma i due percorsi esteriormente simili sono differenti nel significato e nella loro portata. Quella di Gesù è sofferenza di “colui che è il Regno di Dio, quella dei suoi apostoli è la sofferenza dei testimoni di questo Regno” (Pierre Bonnard).

“E’ sufficiente (arketòn) per il discepolo essere come il suo Maestro e per il servo come il suo Padrone” (Mt 10, 25). Questo non vuol dire che il discepolo si debba accontentare di questa situazione, ma che “ciò” è sufficiente in sé, cioè agli occhi di Dio. Il Maestro è nella propria condizione. Il discepolo entra in un processo che lo conduce a una condizione simile: “è sufficiente” che esso entri in quel processo che lo porti ad “essere come il Maestro” (ina ghenētai ōs).

I discepoli potrebbero imbattersi anche in una situazione umana di paura, di dubbio. S. Giovanni Crisostomo attira l’attenzione di chi lo ascolta: “Osserva – egli dice – come li incoraggia, confortandoli con il suo esempio e con tutto ciò che era stato detto su di lui” (Omelie su Matteo 34,1). Lo hanno infatti chiamato Beelzebul. E se hanno detto questo del padrone di casa “quanto più (posō mâllon) dei suoi familiari!” (Matteo 10,25). S. Giovanni Crisostomo mette in rilievo la terminologia: “Non dice: quanto più i suoi servi, ma i suoi familiari, mostrando una grande amicizia nei loro confronti”. I familiari sono quelli della stessa casa (oikiakoùs), un altro richiamo al fatto che sono diventati come (ōs) il Padrone stesso, ma non più di lui perchè egli resta il solo Padrone (Besa/Roma).

 



ACQUAFORMOSA

COMUNITA’ BIZANTINA ARBËRESHE

 

Continuiamo la presentazione delle Comunità arbëreshe con la nota dell’avv. Giovanni Giuseppe Capparelli su Acquaformosa:

 

L’attuale Acquaformosa ha una lunga storia: esisteva già prima della venuta degli Albanesi che hanno popolato le sue contrade e la hanno avviata ad una nuova fase.

 

L’Abbazia di Aquaformosa

 

I monaci cistercensi dell’abbazia di Santa Maria di  Sambucina di Luzzi, nel 1195, fondarono il monastero di Santa Maria di San Leucio o di Acquaformosa. La memoria storica di questo avvenimento é conservata  in un documento custodito nell’Archivio Vaticano, il codice Barberino Latino  3217. F. 96.

Il 1195 é anche la più antica data legata al nome di Acquaformosa.

Questo documento é l’atto  di donazione con il quale, Ogerio e sua moglie  Basilia, Signori di Brahalla, l’odierna Altomonte, donarono ai monaci cistercensi alcune terre ove avrebbero potuto edificare un monastero.

All’interno di queste terre i monaci scelsero un posto ameno, da lì con un solo sguardo si potevano abbracciare la pianura di Sibari, le montagne della Sila e del Pollino, il mare Ionio, il cielo infinito. La natura era rigogliosa, scorreva acqua limpida, pura e fresca. Costruirono il monastero, forse vicino ad un’antica piccola chiesa e lo dedicarono, come tutti gli altri dell’ordine cistercense, alla Madre di Dio.

In poco tempo il cenobio, che aveva attirato la benevolenza di molti signori dell’epoca, fu riccamente dotato di   possedimenti, grazie a ricche donazioni.

Il più munifico con l’abbazia di Acquaformosa fu senz’altro Federico II.

Le donazioni furono talmente cospicue, che l’abbazia di Acquaformosa era diventata proprietaria di possedimenti terrieri che si estendevano dal territorio di Tarsia  fino all’isola di Dino, al largo di Scalea. Anche se non tutti i territori ricadenti tra queste due linee di confine appartenevano all’abbazia, il patrimonio accumulato dal cenobio acquaformositano era considerevole. La parte di territorio più consistente di proprietà dell’abbazia  era quello compreso tra il torrente Galatro, che oggi segna il confine tra i comuni di Lungro e di Acquaformosa, e i monti della Mula. Alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che anche il Santuario della Madonna del Pettoruto sia stato eretto su iniziativa dei monaci di Acquaformosa. Il Barillaro ne indica anche la data di erezione: il 1274; il Perrone afferma che fin dal 1226 il Santuario del Pettoruto era una grancia dell’abbazia di Acquaformosa.

La forma architettonica del monastero di Acquaformosa ci é sconosciuta, ma non doveva essere molto diversa da quella dei monasteri giunti sino a noi in quanto le abbazie cistercensi avevano ed hanno tutte un aspetto comune, perché la spiritualità di San Bernardo di Chiaravalle ha loro imposto, per così dire, la pianta, l’altezza, il decoro. Secondo il santo, i monaci dovevano essere poveri e questa condizione doveva manifestarsi anche nei loro monasteri. Pitture e sculture avevano il loro posto nelle chiese e nelle cattedrali aperte al culto, ma non avevano alcuno scopo nei monasteri dei contemplativi, i quali si erano innalzati al di sopra dei sensi e la cui gioia consisteva nel trovare Dio in pura fede.

Ciononostante il monastero di Acquaformosa custodiva pregevoli opere d’arte: la statua lignea della Madonna della Badia, di autore ignoto, di provenienza francese del XV secolo; due dipinti raffiguranti santi monaci, probabilmente  San Benedetto da Norcia e San Bernardo di Chiaravalle, e una grande tavola raffigurante l’Assunzione della Vergine, opere del pittore senese Marco Pino.

Inoltre, nel cenobio erano custodite le reliquie di più di cento santi. Ogni reliquia era posta in un reliquiario. Solo diciasette reliquiari sono pervenuti fino ai giorni nostri e sono conservate nella Chiesa della Immacolata Concezione.

Dopo un periodo di floridezza economica e spirituale, il monastero subì un lento ma inesorabile declino.

Alla morte dell’abate Francesco di Carraria l’abbazia fu concessa in commenda. Commendatario venne nominato il chierico napoletano Carlo de Cioffis, che ne fu provvisto con bolla pontificia del 3 aprile 1490.

 

Arrivo degli Albanesi

 

Durante il governo dell’abate commendatario Carlo Cioffi, nei territori dell’abbazia di Santa Maria di Acquaformosa, giunse un gruppo di profughi albanesi fuggiti dalla loro patria per sottrarsi al dominio dell’invasore turco.

La prima prova che, in modo inequivocabile, attesta la presenza degli albanesi nel territorio di Acquaformosa, é il documento “Capitolazioni degli albanesi di Acquaformosa col Monastero di S. Maria” conservato nell’Archivio Vaticano nel codice Vaticano Latino 14.386. F. 9 ss.

Le “Capitolazioni” firmate nel 1501 tra gli albanesi con a capo Piligrino Capparello, e l’abate commendatario del Monastero di Santa Maria di Acquaformosa, rappresentano l’atto costitutivo del casale e, nello stesso tempo, la fonte delle norme regolatrici dei rapporti tra gli albanesi e il monastero.

Nel Breve cenno monografico-storico del Comune di Acquaformosa, il sacerdote Domenico De Marchis riporta il nome di ventidue albanesi che si insediarono nei territori concessi dall’abate. Anche se non riportato dal De Marchis tra i primi albanesi insediatisi ad Acquaformosa c’era un sacerdote, Michele Zenempisa.

Il dato storico é desumibile da alcune iscrizioni rinvenute nei codici greci 271, 272, 273, 274, 385 e 445, oggi custoditi nell’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata.

Di questi codici, si tratta di manoscritti liturgici in greco, quelli contraddistinti con i numeri 272, 274 e 385 sicuramente erano in dotazione della chiesa parrocchiale di Acquaformosa in quanto tre distinte iscrizioni ne indicano la provenienza. Secondo gli studi di P. Marco Petta i codici più antichi il 271 e il 385 probabilmente sono stati copiati in Oriente, nell’Epiro, gli altri, invece, sono stati copiati in Italia. Lo scriba di tutti i codici fu Michele Zenempisa che officiava presso la comunità albanese sia in Albania sia quando questa si trasferì in Italia.

Lo storico Tajani colloca tra il 1476 e il 1478 l’esodo degli albanesi, che poi s’insediarono anche ad Acquaformosa.

 

Provenienti dalla Beozia

 

Se la data dell’esodo é di difficile individuazione ancor più difficile é stabilire il luogo di provenienza dei profughi che poi fondarono Acquaformosa.

Recenti studi hanno avanzato l’ipotesi che i primi abitanti di Acquaformosa provenissero dalla regione greca della Beozia, e precisamente da Caparelli di Tebe.

Casale di Altomonte fino all’inizio del 1800, Acquaformosa divenne Comune autonomo a seguito delle leggi francesi che riorganizzarono amministrativamente il vecchio regno borbonico. Solo nel 1848, a seguito di numerosissime dispute legali il territorio di Acquaformosa assunse la consistenza che ancora oggi conserva.

Gli abitanti di Acquaformosa all’epoca del loro insediamento nel 1501 erano 22 come riportato dal De Marchis (anche se essendo elencati solo uomini è probabile che la popolazione fosse più consistente), erano 135 nel 1543. Nel 1669 gli abitanti erano circa 510, nel 1861 si contavano 1661 anime, gli abitanti nel 1951 erano 1812, nel 2005 i residenti sono circa 1200.

 

Oggi, Acquaformosa è in provincia di Cosenza, la sua popolazione parla ancora l'avita lingua albanese, professa la religione cattolica di rito grco-bizantino, dal loro arrivo gli abitanti di Acquaformosa furono affiliati alla diocesi di Cassano all’Ionio, nel 1919 passarono sotto la giurisdizione dell’Eparchia greca di Lungro eretta in quello stesso anno.

Le Chiese

 

Ad Acquaformosa quattro sono le chiese aperte al culto pubblico: la chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, la chiesa della Immacolata Concezione della Vergine Maria, la chiesa della Madre di Dio Misericordiosa, e il santuario di Maria Santissima del Monte. Vi sono anche alcune cappelle private tra le quali quella dedicata alla Madre di Dio Addolorata.

La chiesa parrocchiale, dedicata al patrono San Giovanni Battista, é stata costruita dai primi profughi albanesi agli inizi del 1500. Probabilmente venne ultimata già nel 1526. Cadente, fu demolita e ricostruita, tra il 1936 e il 1938. La festa patronale si celebra il 29 agosto.

Le sacre immagini dell’iconostasi della chiesa matrice di Acquaformosa sono state realizzate tra il  1940 e il 1942  da Giambattista Conti.

Dal 1988, un’idea di papàs Vincenzo Matrangolo, sta prendendo forma: il maestro mosaicista Biagio Capparelli, di Acquaformosa, coadiuvato da discepoli anch’essi del posto, ha dato avvio alla progettazione e alla realizzazione dell’imponente catechismo visivo che oggi é la Chiesa di San Giovanni Battista. Sono già stati realizzati oltre 1200 metri quadrati di mosaico, che raffigurano scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, per completare l’opera manca solo la realizzazione del mosaico su parte della navata sinistra.

La Chiesa dell’Immacolata Concezione é stato il primo oratorio degli Albanesi giunti ad Acquaformosa.

Costruita tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, la sua struttura originaria nel corso dei secoli é stata soggetta ad almeno due interventi di ampliamento, le cui tracce sono visibili sulle pareti.

Gli affreschi, rinvenuti casualmente a seguito di lavori di restauro, risalgono all’epoca della sua costruzione.

Sulla parete laterale destra é raffigurato San Nicola di Mira o di Bari con in mano un vassoio con i tre pani d’oro, prezzo del riscatto di tre vergini, seguono Santa Parasceve martire e l’apostolo Pietro. Al centro la Deesis; dell’antico affresco sono sopravissute parti delle figure della Madre di Dio e del Battista e l’aureola del Signore.

Nel secolo XVII la cappella é stata allargata ed innalzata. Sono stati aggiunti, in alto, gli affreschi di San Giorgio Megalomartire e di Santa Caterina di Alessandria.

La chiesa della Madre di Dio Misericordiosa è la più recente delle chiese di Acquaformosa. Al suo interno si venera l’icona della Madre di Dio. L’immagine é la copia di un’icona custodita sul Monte Athos. L’icona é stata eseguita in Grecia nel 1973, da Falina Papoula, iconografa del Museo Bizantino di Atene e raffigura la Brephocratoùsa, “Colei che tiene in braccio il bambino”.

Il santuario di Maria Santissima del Monte é ubicato ad oltre 1400 metri sul livello del mare. Non si conosce la sua data di fondazione; é probabile che il primo nucleo dell’attuale edificio sia stato eretto tra i secoli IX-XI, quando i monaci, spinti dalla minaccia iconoclasta e dall’espansione islamica, trovarono rifugio in gran numero in terre lontane e nascoste dell’impero bizantino.

All’interno della chiesa rupestre  é custodita una splendida effige della Madonna che allatta. La statua, in tufo, risale al XIV secolo e, secondo la tradizione popolare, fu lì portata da un pastore che l’aveva trovata nell’anfratto di una parete scoscesa chiamata Timba e piasur «Pietra spaccata».

Il santuario è meta di pellegrinaggio degli abitanti di Acquaformosa e dei paesi limitrofi. La festa più importante che si celebra in questo santuario è quella dedicata a Sant’Anna, l’ultima domenica di luglio.

 

Personaggi storici.

 

Molti personaggi nati ad Acquaformosa sarebbero degni di menzione, per ovvie ragioni se ne fa cenno solo di alcuni. Simeone Orazio Capparelli, poeta popolare i cui versi ancora oggi sono recitati a memoria dalle persone più anziane; Leonzio Capparelli,  medico e scrittore; Annunziato Capparelli,  patriota; Vincenzino Capparelli,  medico e filosofo, è stato uno dei massimi studiosi italiani del pensiero di Pitagora.

I personaggi storici più importanti di Acquaformosa sono stati due religiosi: Mons. Giovanni Mele e Padre Vincenzo Matrangolo.

 

Mons. Giovanni Mele.

Giovanni Mele nacque ad Acquaformosa il 19 ottobre 1885, compì i suoi studi prima nel seminario di Cassano Ionio e poi nel Pontificio Collegio Greco di Roma dove studiò dall’ottobre del 1899 al 7 giugno del 1908 quando fu ordinato sacerdote dal vescovo bulgaro Mladicof.

Vinse il concorso per la vacante parrocchia di Civita e  fu nominato parroco del piccolo paese italo-albanese dove svolse il suo ministero dal 1908 al 1913, fu poi chiamato come parroco di Lungro, dal 1913 al 1919, anno della sua elevazione all’episcopato. Con Bolla del 10 marzo 1919 fu nominato vescovo della appena istituita Eparchia di Lungro, prese possesso della nuova diocesi il 5  giugno 1921 quando il re d’Italia Vittorio Emanuele III dette il regio Exequatur alla Bolla Pontificia. 

Il lavoro che attendeva Mons. Mele non era semplice. Il primo vescovo di una diocesi di rito greco in Italia, atteso da secoli, aveva il gravoso compito di creare una comunità diocesana, mai prima esistita.

Il secondo problema che Mons. Mele dovette affrontare fu quello di dare uniformità  almeno esteriore alle pratiche religiose. L’eparchia di Lungro nei primi anni soffriva forti influenze latine così radicate che ancor oggi stentano a scomparire.

Mons. Mele a seguito della sua prima visita pastorale di tutta la diocesi, che fece a dorso d’asino o di mulo, pubblicò nel 1922 una lettera: “Disposizioni per il clero” dove emerge tutta la gravità della situazione e dove dettava le prime regole comuni che tutte le comunità parrocchiali dovevano osservare.

Organizzò la curia anche materialmente restaurando l’episcopio e le strutture ecclesiali.

Grande attenzione la rivolse all’istituzione in ogni paese dell’Azione Cattolica. Questo compito lo affidò a Rosa Lotito, insegnante di Acquaformosa, la quale  dedicò tutta la sua vita alla Chiesa,  ai bambini e all’Azione Cattolica..

Mons. Mele unitamente a Mons. Lavitrano, vescovo dell’eparchia di Piana, e all’egumeno di Grottaferrata, Teodoro Minisci, organizzò il Primo Sinodo Intereparchiale che venne celebrato a Grottaferrata nel 1940.

Il suo attaccamento alla specificità dell’Eparchia di Lungro rispetto alle altre diocesi lo dimostra il fatto che Mons. Mele nei verbali della Conferenza Episcopale Calabra sottoscriveva sempre con la clausola: “in quanto compatibile con il rito greco”.

Prese parte al Concilio Vaticano II.

Mons. Mele fu anche un poeta e scrittore fecondo. Diceva di scrivere le poesie non a scopo estetico, ma a scopo didattico e morale.

L’11 ottobre 1966 comunicava alla Santa Sede le sue dimissioni  per raggiunti limiti di età. Il 24 aprile 1967 la Santa Sede accoglieva la sua richiesta, pur conservando la titolarità della diocesi fino alla sua morte avvenuta a Lungro il 10 febbraio 1979.

 

Padre Vincenzo Matrangolo.

Papàs Vincenzo Matrangolo nacque ad Acquaformosa il 6 dicembre 1913. Studiò nel seminario di Cassano Ionio, in quello di Grottaferrata e nel collegio greco di Roma. Il 14 giugno 1936, a Roma, fu ordinato sacerdote da suo zio Mons. Giovanni Mele. L’undici novembre del 1939 fu nominato parroco di Acquaformosa.

Nel piccolo paese italo-albanese svolse la sua opera pastorale fino alla sua morte, avvenuta il 18 novembre 2004.

Appena fu nominato parroco dovette affrontare numerosi problemi, piccoli e grandi. Innanzitutto si adoperò per eliminare le disuguaglianze sociali. Ad esempio, eliminò l’odiosa usanza di accompagnare al cimitero i poveri con la croce di legno, i ricchi con quella d’argento. Nell’ultimo viaggio tutti venivano accompagnati con la croce argentea.

Poi rivolse la sua attenzione alla casa di Dio. Per rendere la chiesa parrocchiale di Acquaformosa conforme ai canoni architettonici orientali, fece costruire l’iconostasi e fece dipingere le icone da uno dei più importanti iconografi del tempo, Giambattista Conti. 

Sin dall’inizio del suo apostolato, in cima ai suoi pensieri ci furono sempre i ragazzi e i giovani. Già verso la fine degli anni ’40 dello scorso secolo costruì il campo di calcio, dove anche lui ha giocato fin quasi a novant’anni, poco più tardi realizzò il cinema parrocchiale. 

L’opera sociale più importante che fece fu la creazione del Centro di Assistenza preventiva giovanile. Qui dal 1962 ad oggi più di mille ragazzi sono stati assistiti in momenti difficili della loro esistenza. Questi ragazzi furono talmente amati dal fondatore dell’opera, che per essi papàs Matrangolo rifiutò, nel 1981, anche la nomina di vescovo di Piana degli Albanesi.

Papàs Matrangolo fu anche grande studioso, insegnò in vari istituti teologici e scrisse alcune opere che hanno riscosso unanimi consensi: una meditazione sulla Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, La venerazione a Maria nella tradizione della Chiesa bizantina e Kat’ikona. Della meditazione sulla Madre di Dio, padre Giuseppe Dossetti ha scritto: “è il più bel libro sulla Vergine che io abbia mai letto” (Besa/Roma).

 

Bibliografia:

D. De Marchis,  Breve  cenno  monografico-storico  del  comune  di Acquaformosa, Tipografia Migliaccio, Salerno 1957, ristampato nel 2001 da Il Coscile  di Castrovillari;

G. G. Capparelli, Acquaformosa, Edizioni Orizzonti Meridionali, Cosenza 2001;

V. Capparelli, Lo sperpero della proprietà di un popolo, Tipografia Macrini, Castrovillari 1923.

 

GROTTAFERRATA

ANALISI DELLA DICHIARAZIONE COMUNE

DI BENEDETTO XVI E BARTOLOMEO I

 

Nel contesto della settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, martedì 23 gennaio 2007 mons. Eleuterio F. Fortino, ha tenuto nel Monastero esarchico di Grottaferrata una conferenza sulla situazione attuale dei rapporti fra cattolici e ortodossi, facendo una analisi della Dichiarazione Comune fra il Papa Benedetto XVI e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I (30 novembre 2006). Ne riportiamo il testo:

 

“Rendiamo grazie all’autore di ogni bene che ci permette ancora una volta, nella preghiera e nello scambio, di esprimere la nostra gioia di sentirci fratelli e di rinnovare il nostro impegno in vista della piena comunione”. Così si esprimono il Papa Benedetto XVI e il Patriarca di Costantinopoli nella Dichiarazione Comune che ha concluso la visita che per la festa di S. Andrea (30 novembre 2006) il Papa ha fatto al Patriarcato ecumenico.

 

La visita è stata caratterizzata da calorosa e distinta accoglienza e concentrata nella preghiera. La sera stessa dell’arrivo ha avuto luogo una celebrazione della Parola – una akolouthia composta per la circostanza – e la venerazione delle reliquie di S. Gregorio il Teologo e di S. Giovanni Crisostomo che Papa Giovanni Paolo II aveva consegnato in dono al Patriarca Bartolomeo I. Il 30 novembre il Papa e la delegazione hanno partecipato alla Divina Liturgia nella cattedrale di S. Giorgio. Durante questa liturgia patriarcale e sinodale, per la prima volta a Costantinopoli, il Patriarca e il Papa si sono scambiati l’abbraccio di pace, al momento liturgico proprio, cioè prima della professione di fede. In altre circostanze l’abbraccio aveva avuto luogo fuori della liturgia. Poi il Padre Nostro è stato recitato insieme dal Patriarca e dal Papa. Al termine il Patriarca e il Papa hanno benedetto i fedeli. Tutto ciò è acquisito e scontato nelle relazioni fra cattolici e ortodossi. Nella Basilica di S. Pietro il Papa e il Patriarca hanno anche proclamato il Credo insieme e nella lingua originale greca (cioè senza Filioque).

 

Ma non da tutti ciò è condiviso. La “Sacra Comunità del Monte Athos” - cioè, i rappresentanti e superiori dei venti monasteri - in un loro comunicato (30.12.2006) hanno affermato: “L’accoglienza del Papa è avvenuta come se fosse vescovo canonico di Roma. Ugualmente la sua chorostasìa (partecipazione dal trono nel coro) alla Divina Liturgia ortodossa con l’ ōmophorion (la stola), la recita (fatta insieme dal Papa e dal Patriarca) del Padre Nostro, l’abbraccio liturgico con il Patriarca, sono manifestazioni che vanno al di là delle semplici preghiere comuni, che sono proibite dai sacri canoni. E tutto questo mentre non vi è stato alcun allontanamento dell’Istituzione Papale dai suoi insegnamenti eretici e dalla sua politica”.

Per il progresso ecumenico è necessaria anche l’informazione e la formazione dell’intero corpo ecclesiale. E non solo sul Monte Athos.

 

Invece la Dichiarazione Comune fra il Papa e il Patriarca, accuratamente preparata, presenta l’incontro come un dono di Dio. Essa fa il punto dei rapporti attuali fra cattolici e ortodossi ed esprime un nuovo e forte impegno comune per il ristabilimento della piena comunione fra cattolici e ortodossi, e, nel contempo, indica vie concrete e prospettive pratiche di lavoro, con lo sguardo rivolto al ristabilimento dell’unità. “Lo Spirito Santo – dichiarano i due Pastori - ci aiuterà a preparare il grande giorno del ristabilimento della piena unità, quando e come Dio vorrà. Allora potremo rallegrarci ed esultare veramente”.

Per questa conversazione ho pensato di fare l’ermeneutica della Dichiarazione Comune data l’alta qualità, di informazione e di impegno, che essa esprime.

 

1. Precedenti

 

Innanzitutto il Papa e il Patriarca esprimono un positivo apprezzamento su quanto avvenuto dal primo esemplare pellegrinaggio e incontro a Gerusalemme (1964) fra Paolo VI e Athenagoras I in poi e sulle iniziative prese, per riallacciare le relazioni e per incamminarle sul binario sicuro del dialogo della carità e di quello teologico. In questo contesto vengono ricordate le precedenti visite reciproche tra Paolo VI e Athenagoras (1967) e di Dimitrios I (1987) a Roma e Giovanni Paolo II (1979) al Fanar. I loro incontri, le preghiere fatte durante gli incontri, le dichiarazioni comuni hanno preparato e orientato l’apertura e lo sviluppo del dialogo teologico cattolico-ortodosso. In seguito Bartolomeo I succeduto a Dimitrios I ha fatto visita a Roma altre tre volte (nel 1995 e nel 2004 ben due volte).

La visita di Benedetto XVI al Fanar fa tesoro di questa esperienza e ne rilancia gli intenti di fondo contestualizzati nel momento storico attuale.

Il questo quadro i due firmatari segnalano in particolare due eventi aperti al futuro. Ricordano che è stato proprio in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II al Fanar (1979) che è stata resa pubblica la creazione della Commissione Mista Internazionale del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. La Dichiarazione afferma: “Essa (la Commissione) ha riunito le nostre Chiese con lo scopo dichiarato di ristabilire la piena comunione”. Ciò significa che la prospettiva di lavoro di questa commissione non è uno stadio intermedio, come potrebbe essere la sola, ma sempre necessaria, conoscenza reciproca, o qualche forma di convivenza pacifica e anche dinamica di cooperazione. Lo scopo dichiarato è il ristabilimento della piena comunione.

Questo per quanto riguarda il livello dei rapporti con tutte le Chiese ortodosse insieme, rapporti che rimangono aperti all’avvenire.

Invece per quanto riguarda le relazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, i due firmatari hanno ricordato “il solenne atto ecclesiale che ha relegato nell’oblio le antiche scomuniche, le quali, lungo i secoli, hanno influito negativamente sulle relazioni tra le nostre Chiese”. Si tratta delle scomuniche del 1054 tra il Patriarca Cerulario e il Cardinale Umberto da Silvacandida. I due firmatari, il Papa e il Patriarca, non si limitano a ricordare l’atto del 1965 con cui si è deciso di relegare nella dimenticanza quell’ evento venefico, ma aggiungono una constatazione e un impegno. “Non abbiamo ancora tratto da questo atto – essi dichiarano – tutte le conseguenze positive che ne possono derivare per il nostro cammino verso la piena unità, al quale la Commissione Mista è chiamata a dare un importante contributo”. Anche questo punto rimane quindi aperto al futuro, ma è importante che sia stato ricordato, affinché i gesti non rimangano parole vuote. Di quell’atto comune del 1965 non sono state tratte tutte le conseguenze, benché molte siano già state tratte e le relazioni ecclesiali siano diventate regolari e fraterne. Il Papa e il Patriarca segnalano comunque che altre conseguenze positive per la comunione devono essere individuate e realizzate per un passaggio concreto dalla psicologia delle scomuniche – della separazione – alla psicologia e alla prassi della comunione.

 

2. Situazione attuale del dialogo teologico

 

La Dichiarazione si inserisce con realismo nel contesto presente. Essa prende in considerazione una situazione in movimento che intende incrementare ed orientare.

Segnala con soddisfazione che nel mese di ottobre scorso è stato possibile riavviare il dialogo teologico nella sessione plenaria della Commissione mista in cui sono impegnate tutte le Chiese ortodosse (Belgrado 18-25 ottobre 2006), dopo una sospensione di alcuni anni, per difficoltà incontrate. I due firmatari affermano: “Abbiamo espresso la gioia profonda per la ripresa del dialogo teologico”.

Certamente vi era motivo di gioia. Dall’ultima sessione plenaria dell’anno 2000 tenuta a Baltimora (Usa) sul tema delle “Conseguenze eclesiologiche e canoniche dell’uniatismo” - questione sollevata permanentemente dagli ortodossi - non era stato possibile convocare la commissione.

In questi sei anni però, tanto da parte cattolica quanto ortodossa, vi è stata una positiva preparazione tanto da creare le condizioni, nelle relazioni tra le singole Chiese, per la ripresa del dialogo. La Dichiarazione fa riferimento esplicito: “Dopo un’interruzione di qualche anno, dovuta a varie difficoltà, la Commissione ha potuto lavorare di nuovo in uno spirito di amicizia e di collaborazione”. Le difficoltà a cui si allude, in parte si trovavano all’interno della Commissione per divergenze sul tema in programma, come si è detto, in parte provenivano da diverse tensioni esistenti per molteplici problemi tra varie Chiese ortodosse.

Nel nuovo clima creato si è tenuta la IX Sessione Plenaria della Commissione Mista Internazionale in cui sono state impegnate tutte le Chiese ortodosse (Belgrado ottobre 2006). E segno del nuovo clima è stata la partecipazione di tutte le Chiese ortodosse alla sessione, ad eccezione del Patriarcato di Bulgaria, per ragioni pratiche emerse all’ultimo momento. La Commissione è composta da 30 membri per parte (cardinali, metropoliti, vescovi, docenti di teologia, chierici e laici, uomini e donne). E’ presieduta da due co-presidenti: il Cardinale Walter Kasper e il Metropolita Joannis Zizioulas, e assistita da due co-segretari.

Questa ampia composizione manifesta anche la complessità del lavoro che essa svolge.

 

Il lavoro compiuto a Belgrado è stato teologicamente costruttivo, anche se non facile. Non facile perché si è preso come testo base di discussione un progetto elaborato dal Comitato di Coordinamento in una riunione avuta a Mosca nel lontano 1990. Quel progetto non era stato mai discusso dalla Commissione mista. Per la distanza di tempo, per l’ampio cambiamento di membri della Commissione, per nuovi elementi intervenuti all’interno delle singole Chiese, il testo doveva essere profondamente riveduto, anche se si condividevano l’impostazione e le prospettive di fondo.

 

La Dichiarazione comune apprezza positivamente l’operato della commissione. Afferma: “Trattando il tema “Conciliarità e autorità nella Chiesa” a livello locale, regionale e universale, essa (la commissione) ha intrapreso una fase di studio sulle conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa”. Il tema comprende lo studio del ruolo del prōtos a livello locale (vescovo), a livello regionale (metropolita, patriarca), a livello universale (vescovo di Roma). E’ facile intravedere in questa tematica la sua importanza per la ricerca dell’unità fra cattolici e ortodossi. Essa comprende la questione più importante, cioè: il primato del vescovo di Roma nella Chiesa, questione maggiore nel contenzioso fra cattolici e ortodossi.

 

La Dichiarazione Comune lo rileva affermando che la problematica che si è cominciata a trattare a Belgrado “Permetterà di affrontare alcune delle principali questioni ancora controverse”. La questione del primato è così nell’agenda della Commissione, e in pagine aperte e prossime. Questo si può ricavare anche dall’omelia pronunciata dal Papa lo stesso giorno per la festa di S. Andrea (30 novembre) nella cattedrale patriarcale. Il Santo Padre ha esplicitato l’affermazione indicando la questione del ministero primaziale del Papa nella Chiesa, non come una questione di sola indagine storica e teorica, ma proiettata alla vita della Chiesa. Ha ricordato la proposta fatta nell’Enciclica Ut Unum Sint (n. 95) da Papa Giovanni Paolo II e cioè “identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe  essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l’essenza, così da realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”. Si tratta di cercare - secondo la terminologia di Giovanni Paolo II - nuove forme di esercizio del primato, nuove forme accettabili per gli uni e per gli altri, per i cattolici e per gli ortodossi.

Qui il Papa Benedetto XVI è stato categorico: “E’ mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito”. Questa prospettiva della ricerca di forme possibili di esercizio del primato, così da essere condiviso da cattolici e ortodossi, è aperta su una tematica decisiva per l’avvenire delle relazioni ecumeniche e per il ristabilimento della piena comunione.

 

Nella sessione di Belgrado - in concomitanza con la tematica del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa - è emersa una difficoltà tra gli ortodossi, sollevata dalla delegazione russa, sul modo di comprendere la taxis, l’ordine tradizionale tra le Chiese ortodosse, secondo cui la sede di Costantinopoli gode di un primato di onore. La questione è interna alla Chiesa ortodossa e, sebbene i cattolici non vi possano intervenire, essa causa difficoltà nel dialogo stesso. A questa situazione sembra alludere l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia in una intervista data a conclusione della sua visita a Roma, riferendosi alla Commissione mista di dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme: “La Commissione…procede con serietà, con pazienza e coerenza nel suo difficile lavoro. Questo lavoro si realizza sotto il coordinamento della Santa Chiesa primaziale del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che noi – come Chiesa di Grecia – sosteniamo con grande senso di responsabilità davanti alla storia” (30 Giorni, novembre 2007, pp. 38-39).

 

3. Cooperazione in appoggio alla ricerca dell’unità

 

La dichiarazione fra il Papa e il Patriarca Bartolomeo I segnala vari spazi di cooperazione comune già possibile. Essa corrisponde a urgenze presenti e nello stesso tempo cementa e incrementa la ricerca della piena unità. E’aperta al futuro. Vengono tracciate varie linee di impegno per promuovere la piena comunione.

Giudica positivo il processo verso la costituzione dell’Unione Europea, che si indica come “grande iniziativa”. Ad essa cattolici e ortodossi intendono dare un contributo comune relativo alla difesa della persona con tutto il complesso del rispetto dei diritti umani, al rispetto delle minoranze con la protezione delle loro tradizioni culturali e specificità religiose. In particolare si afferma di non risparmiare sforzi per la protezione delle radici, delle tradizioni e dei valori cristiani dell’Europa. Il comune patrimonio cristiano può dare fecondi frutti per l’avvenire dell’Europa.

La Dichiarazione ha presente anche i problemi sociali e culturali del nostro tempo: povertà, sfruttamento delle persone, terrorismo, guerre, in particolare quella nel Medio Oriente dove vivono molti ortodossi e cattolici. La Dichiarazione afferma l’esigenza di intraprendere un’azione in favore del rispetto dei diritti umani nella convinzione – e vi si dice – che “le nostre tradizioni teologiche ed etiche possono offrire una base solida di predicazione e di azione comune”. In questa prospettiva è stata sottolineata la promozione concreta nei diversi luoghi del dialogo locale tra i cristiani ed anche del dialogo interreligioso con le altre religioni che si incontrano nei vari contesti di pluralismo religioso e culturale.

 

Va sottolineato l’impegno a collaborare per un annuncio rinnovato dell’Evangelo nel nostro tempo, in cui si sviluppano processi di secolarizzazione, correnti di relativismo, e perfino di nichilismo. Occorre presentare insieme il nostro comune patrimonio cristiano, convinti che “le nostre tradizioni rappresentano per noi -  affermano il Papa e il Patriarca - un patrimonio che deve essere  continuamente condiviso, proposto e attualizzato”.

Essi concludono questo argomento dichiarando: “Per questo noi dobbiamo rinforzare le collaborazioni e la nostra testimonianza comune davanti a tutte le nazioni”.

 

Verso il futuro

 

La Dichiarazione si rivolge in modo positivo verso il futuro e sollecita l’impegno a proseguire verso l’intensificazione delle relazioni fraterne, del dialogo teologico e della cooperazione pratica.

Si afferma che il Papa e il Patriarca auspicano che il loro incontro “di pastori nella Chiesa possa essere un segno ed un incoraggiamento per tutti noi a condividere gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti di fraternità, di collaborazione nella carità e nella verità”.

Guardando al futuro la Commissione mista ha nel suo programma scadenze immediate.

 

Un nuovo incontro è previsto entro questanno 2007. Sarà la Chiesa cattolica ad ospitare la sessione secondo il metodo dell’alternanza. Sono state valutate le possibilità concrete ed è stata scelta come sede la storica città di Ravenna ricca di tradizioni ecclesiali e splendida per monumenti bizantini. La sessione avrà luogo nel mese di ottobre (8-15 ottobre 2007). Nel frattempo si incontrerà a Roma il comitato misto di redazione (1-2 marzo 2007) che metterà a punto la parte del progetto discusso a Belgrado.

 

La Commissione è attiva e procede nel suo lavoro nella prospettiva concordata nel documento preparatorio del Dialogo teologico cattolico – ortodosso (1978) e parzialmente svolto con la pubblicazione di quattro documenti di accordo (1982, 1987, 1988, 1993).

Il Comitato Misto di Coordinamento di questa commissione, nel suo ultimo incontro (dicembre 2005) ha ricordato l’orientamento chiedendo che la nuova fase deve svolgersi “in continuità con i documenti già concordati dalla Commissione”… e che “il contesto generale del suo lavoro è la teologia della koinonia, o comunione, e che tale contesto necessita di essere rafforzato con uno studio ulteriore per permettere di approfondire il dibattito”.

 

“Siamo decisi a sostenere incessantemente il lavoro affidato a quella Commissione (per il dialogo teologico), mentre ne accompagniamo i membri con le nostre preghiere”. Questo affermavano il Papa Benedetto XVI e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I nella loro Dichiarazione Comune.

 

Inoltre il Papa e il Patriarca si rivolgevano a tutti i cattolici e gli ortodossi:”Esortiamo i nostri fratelli a prendere parte attiva a questo processo con la preghiera  e con gesti significativi”.

 

Le relazioni ecclesiali

 

Le relazioni fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse hanno conosciuto durante l’anno anche importanti eventi a vari livelli. Alcuni fatti passano quasi inosservati, ma sono determinanti per la crescita della comunione affettiva, come la lettera pasquale che il Santo Padre invia da anni e regolarmente ai Capi delle Chiese ortodosse, l’invio dei documenti maggiori della Chiesa cattolica, nonché incontri del Santo Padre con delegazioni ortodosse. Così pure altri eventi ancora meno appariscenti ma importanti. Qualche esempio: il Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità assicura annualmente oltre 50 borse di studio a giovani ortodossi per studi post-universitari presso facoltà teologiche cattoliche. La Chiesa di Grecia offre 30 borse di studio estive a studenti cattolici di teologia per l’apprendimento della lingua greca e per un contatto diretto con le strutture culturali e pastorali della Chiesa ortodossa. Un gruppo di parroci di Atene è stato ospitato a Roma per prendere contatto con la Chiesa cattolica: e di riscontro un gruppo di sacerdoti romani è stato ospitato dalla Chiesa di Grecia. Si realizzano anche incontri ecclesiali, teologici, culturali e pastorali che cementano la comunione tra le Chiese.

Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani  nel corso dell’ultimo anno ha avuto molti contatti con le singole Chiese ortodosse. Si è regolarmente mantenuto lo scambio di visite fra Roma e Costantinopoli per la festa dei  Santi Pietro e Paolo a Roma (29 giugno) e di S. Andrea al Patriarcato Ecumenico (30 novembre); una delegazione ortodossa bulgara è venuta a Roma per ricevere una reliquia di S. Giorgio; è venuta a Roma anche una delegazione del Patriarcato di Georgia. Il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, ha fatto una visita in Georgia (febbraio)  e ha guidato la delegazione cattolica al Summit dei capi religiosi convocato dal Patriarca Alessio II a Mosca (luglio). Il Consiglio per la Cultura ha organizzato a Vienna un incontro con il Patriarcato di Mosca.

Non vanno dimenticate le crescenti relazioni tra Chiese locali cattoliche e Chiese ortodosse.

L’insieme di queste relazioni ed altre forme di contatti contribuiscono a rafforzare il clima di fraternità e di carità che cementano e fortificano lo stesso dialogo teologico.

Naturalmente colpiscono maggiormente la fantasia, i grandi eventi e questi hanno un oggettivo valore in sé, come la visita del Santo Padre al Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I (29-30 novembre), la visita al Santo Padre e alla Chiesa di Roma da parte di S. B. Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia (13-16 dicembre). Va notato che è questa la prima visita ufficiale di un arcivescovo di Atene a Roma.

Le due visite si sono concluse, rispettivamente, con una Dichiarazione comune. Esse constatano il cammino fatto e impegnano l’intensificazione delle relazioni per il futuro. Metodologicamente – la prassi delle dichiarazioni comuni – è la via maestra verso l’unità: occorre incontrarsi, discutere, confrontare, concordare, professare insieme.

 

Si può dire che l’anno appena trascorso sia stato denso di eventi significativi per le relazioni fra cattolici e ortodossi.

Si può applicare a tutto questo complesso di relazioni quanto il Papa Benedetto XVI e il Patriarca Bartolomeo I hanno affermato del loro incontro e cioè: “E’ opera di Dio e per di più un dono che proviene da Lui”.

In questa nostra preghiera odierna rendiamo grazie al Signore (Besa/Roma).

 

SCUTARI

STUDIME GJUHËSORE

 

L’Istituto di Studi Albanesi “Gjergj Fishta” di Scutari  ha pubblicato un’opera in nove volumi di studi linguistici (Dr. David Luka, Studime Gjuhësore, Shkodër 1999-2006) di notevole interesse.

L’opera si suddivide in tre parti:

  • La prima parte si intitola: “Contributo all’etimologia della lingua albanese”. Contiene lo studio etimologico di oltre tre mila lemmi.
  • La seconda: “Contributo alla fonetica storica dell’albanese” contiene vari studi in parte già pubblicati sulla rivista “Studime filologjike”.
  • La terza: “Questione dell’onomastica albanese”. La toponomastica è in sostegno della autoctonia degli albanesi. L’autore scrive (vol. I, p.83): “I toponimi con origine illirica testimoniano la continuità dei nomi antichi, per una tradizione linguistica ininterrotta, in coerenza con lo sviluppo storico della fonetica albanese”.
  • Due più recenti volumi  al di fuori della serie “Studime gjuhësore” trattano la “Storia della Linguistica” e “La fonetica storica della lingua albanese”.

L’insieme costituisce l’espressione di una ricerca indefessa con una immensa raccolta di dati che l’autore  presenta con modestia  solo come contributi (Besa/Roma).

 

S. DEMETRIO CORONE

KALENDAR ARBËRESH 2007

 

L’Istituto comprensivo “Skanderbeg” di S. Demetrio Corone ha pubblicato un calendario didattico per l’anno 2007, curato dagli alunni delle scuole elementari assistiti dal gruppo degli insegnati. Di mese in mese viene pubblicata la foto di una classe. In ogni pagina si riproduce un disegno fatto dagli alunni.

Tutto lo scritto è in arbëresh: mesi, giorni, didascalie, testi di proverbi, poesie e informazioni varie.

Per esempio nel mese di febbraio si riportano queste notizie: “Ditën 1 fjavar 1794 u vendos transferimi i kollegjit “Corsini” ha Shën Benedhiti ndë Shën Mitër.

(Il I febbraio è stato deciso il trasferimento del collegio “Corsini” da S. Benedetto a S. Demetrio).

Ditën 13 fjavar Papa Benedikti XV krijoi Eparkinë e Ungrës dhe i pari peshkop qe Zoti Xhuani Mele”.

(Il 13 febbraio Papa Benedetto XV la creato l’Eparchia di Lungo e il primo vescovo è stato Mons. Giovanni Mele).

Questo calendario didattico è una iniziativa intelligente ed encomiabile (Besa/Roma).

 

S. COSTANTINO ALBANESE

NOTIZIE ISTORICHE DEGLI ALBANESI

 

In edizione fotostatica è stato ripubblicato il prezioso opuscolo di D. Michele Scutari del 1825 (Notizie Istoriche sull’origine e stabilimento degli Albanesi nel Regno delle due Sicilie; sulla loro indole, linguaggio e rito, compilate da R. Arciprete di S. Costantino D. Michele Scutari, Potenza nella Tipografia di Basilicata, 1825).

L’informativa è stata scritta per il “Consigliere dell’Intendenza di Basilicata”  e intende “ribadire tante fole che con obbrobrio degli Albanesi si spacciano sulla loro origine”.

La “memoria” comprende 6 capitoli: (1) Cenno storico; (2) Stabilimento degli Albanesi nel Regno di Napoli; (3) Indole, costumi e procedura degli Albanesi; (4) Linguaggio albanese; (5) Rito degli Albanesi: (6) Albanesi di rito greco e Albanesi latinizzati e conclusione. Allo scopo preciso di evitare le “fole” sugli Albanesi l’Autore scrive: “La loro origine è nobile, e rispettabile è il fine, per cui dalle contrade illiriche vennero ad abitar questo suolo. Fedeli alla Religione cattolica, per serbarla inviolata nei loro cuori, non curarono ricchezze ed averi amplissimi nell’Albania, Epiro e Macedonia, e si rifugiarono nell’Italia per rendere all’Altissimo libero il culto di loro ortodossa credenza, che non seppero mai abiurare anche negli estremi casi. Ridonta ciò piuttosto a di loro gloria, ed onore, anziché a rimprovero, od ignominia” (p. 21).

E’ orgoglioso della tradizione greco-bizantina, ma si distingue dalle opzioni scismatiche.

La Grecia al solo nome richiama in memoria il soggiorno delle scienze, e delle arti, e la memoria dei più celebri uomini di ogni genere. Se colà sursero i primi Padri e Dottori della Chiesa, che furono colonne stabili di nostra ortodossa credenza, e co’ loro lumi illustrarono le verità evangeliche; se da quelle Regioni Orientali spuntò alla Chiesa Latina ogni lume della cristiana fede, e colà ebbe culla la Religione; eran questi valevoli motivi, e giusti da far rispettare, e venerare dai Latini il rito greco, che seguivan gli Albanesi in questo Regno introdotti: pure non so per qual follia e strano ardire si videro bersagliati i preti Albanesi dai Vescovi Latini e dai Baroni, al vedere i Sacerdoti Greci con figli e mogli, e credean questi scismatici o partigiani dell’errore di un Fozio e di un Michele Cerulario…” (p. 25).

In seguito presenta alcune caratteristiche della tradizione bizantina degli Albanesi in Italia.

“Nel rito Italo-Greco Albanese si crede e si afferma quanto insegna e propone a credere la Sacrosanta Ortodossa Chiesa Romana su tutt’i dommi della Fede , e si ammette il primato del Capo Visibile della Chiesa medesima. Si consacra in pane fermentato. Si esprime la forma del S. Battesimo in terza persona. Si permette a’ Sacerdoti per una sola volta il coniugio prima del Suddiaconato, ma che sia la donna che si prende in isposa, una vergine, non vedova, non sordida: legge però permittente! Sono gli Albanesi sottoposti alla giurisdizione de’ Vescovi Latini Ordinarj, e dovrebber questi tenere un Vicario per conoscere a minuto gli affari del rito. Si osservano dagli Albanesi quattro Quadragesime in tutto il corso dell’anno.

Nel Sabato si permette l’uso delle carni, ed il Mercoledì e Venerdì è astinenza. Nel giorno di Sabato non si digiuna, tranne il Sabato Santo. L’Eucaristia può amministrarsi in ambe le specie. Si osservano le solenni feste di Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Natale, Circoncisione ed Epifania nel giorno istesso, che si celebrano da’ Latini…” (p. 29).

L’opuscolo mostra l’autocoscienza cattolico - bizantina di un sacerdote italo-albanese all’inizio del secolo XIX (Besa/Roma).

 

ROMA: QUARESIMA A S. ATANASIO

 

L’intero periodo di preparazione alla Pasqua è guidato dal libro liturgico del Triodion e viene scandito dalla pericope evangelica della domenica che dà il nome a ciascuna settimana.

 

1. Preparazione alla Quaresima

28 gennaio: Domenica del pubblicano e del fariseo.

Tema della corretta preghiera

4 febbraio: Domenica del figlio prodigo

Tema della conversione e ritorno al Padre

10 febbraio: Commemorazione dei defunti

11 febbraio: Domenica di carnevale

Da questo giorno non si mangia più carne

18 febbraio: Domenica dei latticini

Da questo giorno non si mangiano latticini

 

2. Grande e Santa Quaresima

19 febbraio: Inizio della Grande e Santa Quaresima

Ogni mercoledì si celebra la Liturgia dei Presantificati

Ogni venerdì: celebrazione dell’Inno Akathistos

Ogni sabato: celebrazione dell’esperinòs

25 febbraio: I Domenica di Quaresima – Domenica dell’Ortodossia. Lettura del Synodikòn del Concilio di Nicea II e processione delle icone

4 marzo: II Domenica di Quaresima. Le Chiese ortodosse commemorano S. Gregorio Palamàs

11 marzo: III Domenica di Quaresima

Adorazione della preziosa e vivificante Croce

18 marzo: IV Domenica di Quaresima.

Commemorazione di S. Giovanni Climaco

25 marzo: V Domenica di Quaresima.

Commemorazione di S. Maria Egiziaca

Annunciazione della SS. Madre di Dio.

31 marzo: Resurrezione di Lazzaro

1 aprile: Domenica delle Palme

Benedizione e distribuzione delle palme

La sera: Ufficio del Nympfìos

2 aprile: Inizio della Grande e Santa Settimana.

 

La Chiesa di S. Atanasio ha organizzato un ciclo di mistagogia sacramentale. La prima  lezione avrà per tema “I sacramenti dell’Iniziazione cristiana”. Sarà tenuta da p. Miguel Arranz, s.j. professore emerito del Pontificio Istituto Orientale. E avrà luogo il 17 febbraio 2007 alle ore 17,30 nella sede del Circolo Italo-Albanese di Cultura “Besa-Fede” in Via dei Greci 46 (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

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HESYCHIA (16): L’IMPASSIBILITA’ CHE E’ IMITATRICE DI DIO - CIELO SULLA TERRA

 

L’impassibilità (apàtheia) è una qualità prossima alla serenità (hesychìa). S. Giovanni Clinico nella “Scala del Paradisi” dedica all’impassibilità il gradino 29, mentre solo poco prima nel gradino 27 tratta della “santa esichia del corpo e dell’anima”. La nozione di apàtheia, come liberazione dai piaceri e indifferenza ai mali della vita, era nota e usata dai filosofi greci e in particolare era supremo ideale etico dello stoicismo. Questa prospettiva viene assunta dall neoplatonismo di Plotino e da Clemente Alessandrino e fusa con la purificazione (katharsis) e la formula “somiglianza a Dio per quanto possibile” (homòiōsis Theō tò dynatòn) di Platone (Teeteto 176b). L’impassibilità è attributo di Dio. Per suo istinto l’uomo è passionale (empathēs) mentre Dio è impassibile (apathēs). L’uomo potrà partecipare a questa proprietà dopo la sua risurrezione. Ma secondo il Climaco per l’uomo mortale l’apàtheia è una pregustazione parziale della incorrutibilità futura. Nell’affrontare questo tema egli ha la coscienza di “avere l’incredibile audacia di iniziare un discorso sublime sulle delizie celesti che si possono godere sulla terra” (La Scala, 29,194, ed. Città Nuova1989). E quindi spiega: “E’ possessore vero dell’apatia chi è e si può riconoscere diventato del tutto puro nella carne e sublimato in cima alla sua anima al disopra della natura creata. Egli infatti allo spirito ha soggiogato i sensi e al cospetto del Signore ha piegata l’anima, sì che a Lui tende con tutte le sue forze”.

 

1. Per sè l’apatia è adorna di virtù “come il firmamento dello splendore degli astri”.  Ma “vi è modo e modo di fruire dell’apatia: c’è chi ne ha di meno e chi ne ha di più” (La Scala, 29, 195).L’apatia, che nel cristiano è intesa non come inattività, ma come qualità dinamica, tesa al raggiungimento della perfezione, si ottiene gradualmente con l’esercizio delle virtù. E’ progressivo autodominio degli istinti, dei desideri, dei pensieri, delle azioni. L’ascesi ininterrotta, corroborata dalla preghiera, porta alla condizione di equilibrio e di armonia fra corpo e anima. Il Climaco indica numerosissimi esempi: “E’ vertice della pazienza il reputare sollievo la tribolazione”, “è vertice della magnanimità rimanere tranquilli di fronte all’offensore”; “è segno distintivo e salutare  di umiltà il serbare umile lo spirito pur tra alte imprese e somme virtù”. Il vero apathēs non sa neanche dire “cosa sia l’essere indifferenti a queste lotte, perché strettamente unito a Dio ora e sempre”. Ma perché spendere altre parole? Si chiede il Climaco e risponde: “Basti dire che chi realizza l’apatia vive non più lui, ma è il Cristo che vive in lui” (La Scala, 29,196). Questo stadio di perfezione si ottiene con la grazia di Dio e non con un semplice tentativo stoico o plagiano.

 

2. L’apatia è “una compiutezza incompiuta” (La Scala, 29,194). E’ uno stadio perfettibile; contiene in sé un’idea di progresso, di avvicinamento a Dio, di crescita nella somiglianza a Dio realizzando le potenzialità dell’immagine divina secondo cui è stato modellato l’uomo. “L’apatia non sarà mai perfetta se si trascura una sola virtù, qualunque essa sia” (La Scala, 29,196). Qui il Climaco usa la visione della casa del Padre dove vi sono molte mansioni (cfr Gv 14, 2). La vede come un palazzo nella Gerusalemme celeste “e il suo baluardo è la remissione dei peccati”. Egli esorta: “Corriamo, fratelli, per poter entrare al convito che in tale palazzo è preparato”.  L’esortazione a “correre” esprime tutto lo sforzo fisico e spirituale per raggiungere la meta. Egli sta parlando dell’apatia-perfezione che non è un stato apatico, abulico, immobile, ma viene sottolineato il movimento e possibilmente spedito. L’apatia però si raggiunge per gradi. Usando la stessa immagine il Climaco indica due altre possibilità. Se disgraziatamente fossimo ancora impediti da qualche fardello di peccato, “cerchiamo di giungere almeno a qualche mansione vicina, al palazzo dove si trova la camera nuziale”. E se non siamo in grado di fare neanche questo? Se la nostra natura e la nostra personalità interiore sono deboli? “Se poi già vacilliamo e ci lasciamo andare affranti, facciamo almeno tutto per stare al di dentro del Muro”. Entriamo almeno dentro la cinta della Gerusalemme celeste, oltre il muro del peccato. E’ una immagine che esprime vari gradi di perfezione e nello stesso tempo la sinergia umana alla grazia (il palazzo, le varie mansioni, la camera nuziale, l’invito ad accedervi). Il Climaco esorta a “correre” per arrivare in tempo ed “aprire una breccia” nel muro di separazione creato dal peccato. Esorta alla conversione.

 

3. La via che porta all’apàtheia è in salita, è lunga, è aspra e piena di burroni scoscesi. Le spine delle tentazioni rendono difficile il percorso. Il Climaco ne ha l’esperienza diretta e raccontata dai suoi amici monaci, camminatori solitati sulle vie di Dio. Egli esorta: “Non  andiamo a mendicare pretesti accusando il nostro stato di caduti, la mancanza di un’occasione propizia, il peso che ci costa la risalita”. Situazioni tutte realistiche. Ma il Climaco fa appello all’atto fondamentale della vita cristiana, al battesimo e alla sua spinta  dinamica spirituale: “A quanti siamo stati rigenerati nel battesimo il Signore ha dato di poter diventare figli di Dio”. E ha detto: “Mettetevi all’opera, riconoscete che sono il vostro Dio”. E aggiunge: “La santa apatia ci innalzerà dalla terra al cielo” (Besa/Roma).

Roma 2 febbraio, Presentazione al Tempio

 

 

 

Circolare novembre 2006                                                                                                                    188/2006

Sommario

I detti di Gesù (46): Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe...........................          1

ROMA: Preghiera per l’unità dei cristiani 2007.............................................................................          2

VILLA BADESSA: La più giovane Comunità arbëreshe...............................................................          3

PITTSBURGH: Commento catechetico della Divina Liturgia.........................................................          5

VATICANO: Nuovo Ambasciatore di Albania presso la Santa Sede..............................................          6

ROMA: Nuovo Ambasciatore di Albania presso il Quirinale..........................................................          7

COSENZA: Nuovi studi sugli Italo-Albanesi.................................................................................          8

PIANA DEGLI ALBANESI: Paramenti liturgici antichi................................................................          8

COSENZA: Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi............................................................          9

VENEZIA: Sussidio liturgico per i Romeni greco-cattolici..............................................................          9

MACEDONIA: Festival della poesia........................................................................................... .         10

S. BENEDETTO ULLANO: 150° Anniversario della morte di Agesilao Milano.............................          10

ROMA: Festa Nazionale di Albania 2006.....................................................................................          10

Hesychìa: Conformare la propria volontà al volere di Dio..............................................................          11

 

Ta lòghia – I detti di Gesù (46): “Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”

 

I discepoli sono stati scelti e già introdotti nei misteri della rivelazione. Gesù li invia in missione, per predicare che il regno dei cieli è vicino e per portare i segni della salvezza, guarendo gli infermi, risuscitando i morti, scacciando i demoni. Come la missione di Gesù anche quella dei discepoli è ardua. Essa richiede fede e abnegazione, perché incontrerà opposizioni e persecuzioni. Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).

Poco prima Gesù aveva parlato delle folle d’Israele “come pecore senza pastore” (Mt 9, 36) e ne aveva avuto compassione, perché senza guide, senza difesa, inermi. Ora egli assume parte dell’immagine e la applica agli stessi pastori, alle guide, allargandola con la nota peggiorativa della presenza dei lupi, affamati, assassini, violenti. Essa indica “la condizione degli apostoli in mezzo ad avversari pericolosi” (Pierre Bonnard). I lupi sono gli avversari che in ogni tempo si oppongono all’annuncio del regno di Dio e quindi alla missione degli apostoli.

In questa situazione i discepoli non si devono adeguare alle leggi di questo mondo: tentati ad usare potenza e malvagità, opponendo al male il male; d’altra parte essi non devono essere pusillanimi, ingenui, ignavi. Gesù dà loro un mandato paradossale: “Siate dunque prudenti (phrònomoi) come i serpenti e semplici (akèrairoi, senza doppiezza, senza ambiguità) come le colombe”. Gesù sollecita la partecipazione attiva e prudente dell’apostolo. Questi non deve passivamente attendere tutto dalla “misericordia” di Gesù, che pure ha per le folle e per i suoi pastori. Egli aveva già detto che “l’uomo prudente (phònimos) costruisce la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24).

I due aspetti in parte si contrappongono: serpente e colomba; prudenza e semplicità. In questo caso sono presentanti come complementari. Il simbolismo di candore della colomba è più facilmente percepibile. L’immagine del serpente è più ambigua, anche in relazione a quanto riferisce la Genesi nel peccato di Eva e di Adamo. Nel nostro caso viene indicata la prudenza del serpente che nella mentalità popolare rappresenta l’attenzione a non lasciarsi uccidere, usando lentezza o velocità, circospezione e misura del pericolo. S. Giovanni Crisostomo (Omelie sul Vangelo di Matteo, 23, 2) spiega che Gesù “ha contemperato entrambi questi elementi perché divenissero virtù, assumendo la prudenza del serpente perché non si venisse colpiti mortalmente e la semplicità della colomba perché non si rendesse il contraccambio a coloro che fanno del male”(Besa/Roma).



ROMA

PREGHIERA PER L’UNITA’ 2007

 

Il tema della preghiera per l’unità dei cristiani per il 2007 è preso dal Vangelo di Marco: “Fa sentire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,31-37). Riportiamo la presentazione scritta da mons. Eleuterio F. Fortino per la “Guida liturgico–pastorale” della Conferenza Episcopale Laziale:

 

Presentazione del tema

 

“Tutti erano molto meravigliati e dicevano: “È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!” (Marco 7, 31-37). Ascolto e annuncio: due dimensioni essenziali per la vita cristiana e per lo stesso impegno ecumenico. Il brano evangelico proposto per la preghiera per l’unità di quest’anno ricorda inoltre che in assenza di queste dimensioni il Signore interviene e guarisce l’uomo perché, riportato alla condizione che corrisponde alla natura redenta, possa realizzare se stesso e vivere nella comunione con gli altri, mettendosi in contatto con essi, dopo aver riacquistato la capacità di “sentire e parlare”.

La proposta iniziale di questo tema è venuta da un gruppo ecumenico del Sud Africa, avendo come spinta contingente una situazione particolare locale, in cui si stenta a “parlare” per remore personali e per condizionamenti sociali. Una tale situazione si manifesta anche altrove, là dove la reticenza diventa connivenza con il male, per timore o per interesse. La proposta proveniente dal Sud Africa è stata rielaborata e preparata per la divulgazione internazionale dal Comitato misto per la preghiera tra il Consiglio Ecumenico delle Chiese e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

 

1. Le dimensioni di ascolto e di annuncio sono strettamente connesse. Il brano evangelico, nello stile sobrio, sintetico di Marco lo esprime in modo efficace. Presentarono a Gesù “un uomo sordo e muto, pregandolo di imporgli le mani”. Il contesto è esplicitamente religioso, come indica la domanda di “imporgli le mani” perché la guarigione che può operare “il profeta” proviene dalla potenza di Dio. Gesù compie un atto e pronuncia una parola, ad immagine della struttura sacramentale. Innanzitutto porta in disparte, lontano dalla folla, il sordomuto. L’incontro vero con il Signore è strettamente personale, la conversione è sempre personale. Quindi mise le proprie dita nelle sue orecchie e con la propria saliva toccò la lingua. Ordinò: “Effatà” cioè, “Apriti”, sordomuto: “Apriti”, apritevi orecchie, apriti lingua, sciogliti per comunicare agli altri quanto il Potente ha operato in te. Altrettanto sobria ed essenziale è la sintesi: “ Subito le sue orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto bene (Mc 7,37). Poter ascoltare e poter parlare è un dono di Dio.

 

2. L’ascolto della Parola di Dio è prioritario nella visione cristiana. Solo dopo aver ascoltato l’Evangelo di salvezza si può parlare agli altri per comunicarlo. Ciò che ha operato con la guarigione del sordo muto Gesù lo dichiara anche con le parole. Nell’episodio di Marta e Maria. Entrambe le sorelle intendono accogliere amichevolmente e degnamente Gesù nella loro casa. Marta si preoccupa di “molte cose”, di tutto quanto è necessario e utile per una tale accoglienza, mentre Maria “si era seduta ai piedi del Signore e ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39). Alle proteste di Marta Gesù le dà l’indicazione fondamentale di ogni credente: “Tu ti inquieti e affanni per molte cose. Una sola cosa è necessaria. Maria invece ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta” (Ibidem, 41). In maniera più tagliente Gesù ribadisce questo suo insegnamento alla donna che elogiava sua Madre perché lo aveva portato in grembo chiamandola beata. Gesù ribadisce: “Beati piuttosto (menoùn - quinimmo) coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28).

 

3. Uno dei modi per mettere in pratica la Parola di Dio è annunziarla agli altri. Parlare, quindi. “Andate in tutto il mondo, predicate l’Evangelo ad ogni creatura” (Mc 15,15). La questione ecumenica è legata a questo mandato. Il Decreto del Concilio Vaticano II fa esplicito riferimento a questo versetto e dichiara che “tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (UR,1). La divisione, come già da quasi un secolo ha messo in rilievo la conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910), indebolisce l’annuncio cristiano. Come possiamo annunciare da cristiani divisi che Gesù è l’unico Signore e Salvatore del mondo? La questione si radica nella preghiera stessa di Gesù: “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Parlare con gli altri per riflettere sulla Parola di Dio e trarne le conseguenze che impegnano gli uni e gli altri fa parte dell’intero movimento ecumenico. Il dialogo è strumento essenziale della ricerca della piena unità dei cristiani, nelle molteplici dimensioni di presentazione della propria fede, di ascolto della esposizione degli altri, del confronto e del tentativo di instaurare convergenze e soluzioni dei problemi controversi. Il decreto sull’ecumenismo lo segnala con chiarezza. Enumerando le iniziative per la ricerca dell’unità, segnala le conversazioni che si tengono “con intento religioso” tra i cristiani e in particolare “il dialogo avviato tra esponenti debitamente preparati della propria comunità, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunità e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una cognizione più vera e una più equa estimazione della dottrina e della vita di entrambe le comunioni ed inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune” (UR,4).

Il brano evangelico scelto per questa settimana ci ricorda un’altra dimensione. “Gesù ordinò di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava pubblicamente” (Mc 7,36). Ciò corrispondeva alla progressiva rivelazione del segreto messianico, necessario per la maturazione della fede dei seguaci di Gesù. Ma ci segnala anche un altro aspetto della predicazione: quello della testimonianza. L’annuncio attraverso le opere. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,15). Ciò vale anche per l’ecumenismo. Vivere già da ora, per quanto possibile, la comunione esistente significa favorire concretamente la maturazione dell’unità. Lo aveva intravisto il decreto Unitatis Redintegratio quando affermava: “Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme all’Evangelo”.

 

4. “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese (Ap 2,11). Si può avere orecchi e non sentire, non voler sentire, non ascoltare. Lo Spirito dice a ciascun cristiano: chi ha orecchi da intendere intenda. Lo Spirito dice alle Chiese del nostro tempi che l’unità dei Cristiani è intimamente legato alla evangelizzazione ed anche alla ri–evangelizzazione. Gesù lo aveva indicato nel modo sublime della preghiera. Aveva pregato che i suoi discepoli siano uniti, siano uno, una cosa sola, affinché il mondo, l’umanità creda nel Figlio di Dio, Signore e Salvatore del mondo. E così il mondo, l’umanità intera, sia salva (Besa/Roma).

 

VILLA BADESSA

LA PIÚ GIOVANE COMUNITÁ ARBËRESHE

 

Villa Badessa (Pescara), per il fatto che si trovi lontano dal nucleo più numeroso delle Comunità arbëreshe, è poco nota. Di solito negli studi sugli Albanesi d’Italia viene indicata come l’ultima immigrazione, in forma compatta, di Albanesi. Eppure essa presenta caratteristici elementi per completare il quadro della storia degli Arbëreshë. La sua storia è anche interessante per studiare l’intero arco dell’evoluzione di una comunità emigrata, che va dal trapianto in un altro paese (nel nostro caso dall’Albania in Italia) all’isolamento culturale, alla lenta integrazione nel nuovo tessuto nazionale, alla progressiva perdita delle tradizioni tipiche e finalmente della stessa lingua d’origine.

Il documento che qui presentiamo si trova nell’Archivio della S. Congregazione di Propaganda Fide e si riferisce all’anno 1841, quando su incarico e per conto della Propaganda Fide, mons. Antonio Mussabini, arcivescovo di Smirne, Visit. Apost. delle colonie greche, nel contesto di una visita canonica a tutte le comunità di rito greco in Italia, si è recato anche a Villa Badessa

Ecco la sua informazione (Acta 1841, ff. 477-479) su Villa Badessa:

 

Origine della colonia greca di Villa Badessa

e stato generale di quella chiesa

 

Dalla città di Pichierni nell’Albania fieramente attaccata e soverchiata dai Turchi, nell’anno 1744, molte famiglie della medesima si rifugiarono nel Regno di Napoli con tre sacerdoti di rito greco.

 

Profughi dall’Albania accolti dal re Carlo III

Furono essi umanamente ricevute dal Re Carlo III, il quale diede loro a popolare il feudo rustico di Villa Badessa negli Abruzzi e sborsò 3300 ducati dal regio erario per provvedere queste famiglie di bestiami, attrezzi rustici ed altro necessario a fabbricare case e coltivare terreni.

Vi eresse ancora una chiesa in onore di Maria Vergine in cui si dovesse professare il rito greco, e la dotò di alcuni benefici che servissero di sostentamento al parroco.

Furono in seguito stipolate, dal medesimo Sovrano alcune capitolazioni concernenti questa colonia, ove sono da notarsi gli articoli XII, XIII, e XIV, nei quali sua Maestà dichiarò che la chiesa da se eretta dovesse essere di jus padronato regio, di rito greco cattolico, e dipendente dall’Ordinario del luogo.

Questa chiesa era per il passato soggetta all’Abbate della vicina città di Pianella, ma l’abbazia essendo stata soppressa venne la medesima chiesa assoggettata alla giurisdizione del Vescovo di Penne.

Dalle ricerche che ho fatto negli archivi di Pianella e di Penne non ho potuto trovare alcun documento che trattasse dell’amministrazione di questa chiesa, e benché sieno cento anni da che essa fu fondata, tuttavia non si vedono figurare nei predetti archivi che i soli nomi dei tre ultimi parrochi: cioè di papà Giovanni Vlasi, di papà Nestore Palli, e di papà Gregorio Colonnà parroco attuale.

Papà Giovanni Vlasi era nativo di Villa Badessa medesima; e sebbene fosse stato ordinato sacerdote da un Vescovo scismatico non di meno nella curia vescovile non si ritrova la sua abiura, né la sanatoria pontificia, ma semplicemente una carta dell’esame che ha subito prima di occupare la carica di parroco. L’attuale Vescovo di Penne che l’ha conosciuto personalmente mi assicura essere egli stato sempre di fede dubbia, e di non aver mai domandato il sacro Crisma dal suo Ordinario, bensì dai Vescovi scismatici. Papà Nestore Palli, nativo parimente di Villa Badessa ed ordinato sacerdote da un Vescovo scismatico dell’Albania, è quel medesimo che anni fa si era intruso nella cura parrocchiale della chiesa greca di Napoli, e che poi dovette abbandonarla per non aver voluto assoggettarsi a certe condizioni impostegli dal Cardinal Arcivescovo. Costui ritornato in Villa Badessa fu, dietro un semplice esame e senza ulteriori informazioni, surrogato al già morto papà Vlasi nella cura parrocchiale di quella chiesa; ma la sua inclinazione forse allo scisma, o (come egli dice) il bisogno della sua famiglia lo fece rinunziare a questa carica, e quindi partito coi suoi si trasportò in Grecia in mezzo agli scismatici. Fu in quest’occasione che i coloni di Villa Badessa chiamarono da Barletta l’attuale parroco Gregorio Colonnà, che allora era scismatico, e che in seguito essendo andato in Roma si convertì alla fede cattolica, come e bene noto alla Sagra Congregazione di Propaganda.

Dal fin qui esposto apparisce chiaramente che la Colonia greca di Villa Badessa fu sempre, se non apertamente e di professione scismatica, poiché a ciò si oppongono i regi decreti, almeno coi fatti molto propensa allo scisma e pronta forse a dichiararsi tale se le si fosse presentata l’occasione opportuna. Difatti lungi dall’osservare la bolla Etsi pastoralis che nel regno si considera come accettata, i greci di Villa Badessa hanno sempre agito in contrario, e lungi dall’avere alcuna comunicazione colle altre colonie cattoliche della Calabria e della Sicilia e coi vescovi greci che quivi dimorano, hanno avuto per lo contrario continua corrispondenza coi scismatici dell’Albania, di Corfù e di Barletta; ed è da questi luoghi che hanno chiamato sempre sacerdoti per il servizio della loro chiesa, ed è a questi medesimi luoghi che hanno sempre mandato a ricevere gli ordini sacri quelli dei loro giovani che vollero abbracciare lo stato ecclesiastico.

Apparisce in secondo luogo che gli Abbati di Pianella e quindi i Vescovi di Penne non hanno usato quella vigilanza la quale se per qualunque chiesa è necessaria a più forte ragione lo deve essere per una chiesa greca da cui rare volte è lontano il pericolo di scisma. Infatti, è cosa strana che in una ben regolata diocesi non si ritrovi alcun documento riguardante l’amministrazione di questa chiesa, né alcun indizio della osservanza della bolla benedettina, né alcun ordine della curia vescovile a questo proposito, né istituzioni canoniche di parrochi, né dispense di matrimoni che pure devono essere stati frequenti, né alcun’altra carta relativa alle comunicazioni che devono mantenersi coll’ordinario del luogo. Inoltre non si può concepire come siasi perduta affatto ogni memoria dei parrochi che precedettero i tre ultimi sumentovati a segno che non si conosca come e da chi fosse amministrata questa chiesa per lo passato. Né finalmente reca minore sorpresa che anche questi tre ultimi parrochi sieno andati ad ordinarsi in paesi scismatici, e quindi si sieno intrusi nell’amministrazione parrocchiale sotto gli occhi dell’ordinario diocesano.

 

Stato attuale della chiesa

Lo stato materiale di questa chiesa è così deplorabile che più non si potrebbe immaginare. L’edificio per la maggior parte scoperto a modo che gli abitanti sono costretti di assistere ai divini uffici a cielo nudo; le pareti ruvide e sconcie, il vacuo ingombro di materiali, il Sancta Santorum sudicio e disordinato, i libri liturgici rosi dalle tarle e scompagnati a segno che si rendono quasi inservibili, e questi con altri utensili collocati disordinatamente sopra la mensa sulla quale si celebra ed è riposto il Ssmo Sacramento che io ho trovato rinchiuso nel tabernacolo unitamente ad una bottiglia nera contenente dell’acqua santa; i sacri arredi pochi e assai deteriorati, le immagini logore e sparse senza ordine, questo è quanto si presenta alla vista di chi va ad osservare questa miserabile chiesa. Non reggendomi il cuore a tanta desolazione ho creduto bene di lasciare al parroco scudi venti acciò si impegnassero per la pulizia immediata ed urgente, ed intanto ho diretto una lettera al Nunzio Apostolico con una supplica del curato tendente ad ottenere dal real governo un sussidio bastevole almeno a coprire il tetto, né ho lasciato di sollecitarlo ad impegnarsi per quest’oggetto.

La popolazione di Villa Badessa ascende a circa quattrocento individui. Come questi sono all’estremo ignoranti in materia di Religione, e per lo passato furono diretti sempre da sacerdoti sospetti di scisma, così sembrano imbevuti di scismatici pregiudici, onde avviene che manifestino una specie di avversione ai latini e a tutto ciò che è di rito latino. Invano finora si è tentato di indurli a ricevere la cresima da un Vescovo, mostrandosi persuasi che loro basti quella che dicono aver ricevuta nell’amministrazione del Battesimo. Io vedendo l’impossibilità di torli di errore e prevedendo li gravi sconcerti che nascerebbero se si volessero costringere, sono rimasto inteso col vescovo di Penne e col loro parroco, di lasciarli tranquilli per ora affinché mediante le opportune istruzioni catechistiche si persuadano soavemente a ricevere un giorno questo insigne sacramento. Frattanto il curato che fin’ora amministrava la Cresima in un col Battesimo, dietro le mie ammonizioni mi ha promesso che d’ora in poi si sarebbe astenuto da ciò fare, adoperando solo quelle unzioni che non costituiscono il sacramento della Cresima.

Gli altri gravi abusi da me trovati in questa chiesa sono: che non si segue il Calendario Gregoriano, che le specie sacramentali non vengono rinnovate ogni otto o quindici giorni, che gli oli santi benché da qualche tempo in qua si prendano dall’Ordinario diocesano, pure non si rinnovano ogni anno, che nel sacramento della confessione si adopera la formola deprecatoria e non quella del Concilio Fiorentino, che in una parola si pecca contro tutti i punti della bolla benedettina. Siccome però ho osservato che ciò proveniva dalla ignoranza o indolenza del parroco, così dopo avergli date le opportune istruzioni e aver fatto intesa la curia vescovile di tutti questi abusi, ho ordinato una traduzione italiana della Bolle medesima affinché il parroco possa intenderla ed osservarla, il che mi promise di fare. Però è sempre necessario che la Sagra Congregazione colla sua suprema autorità imponga sia al Vescovo che al parroco l’osservanza di questi punti importanti. Finalmente non esistendo in quella colonia alcun catechismo, il parroco si trova costretto a spiegarlo oralmente ai fanciulli; perciò io ho promesso al medesimo che la Sagra Congregazione lo provvederebbe quanto prima di varie copie di qualche piccolo catechismo stampato in Italiano; com’anche di una muta di libri liturgici.

La Sacra Congregazione non ignora essere in Villa Badessa un sacerdote di nome Ciriaco d’Andrea, il quale si portò già in Roma per essere abilitato, ma fu lasciato sospeso per la sua grande ignoranza. Al mio arrivo colà mi fu presentata dalla maggior parte della colonia una supplica, che rimetto alla Sacra Congregazione, nella quale mi si domanda la riabilitazione di questo sacerdote. Il parroco mi assicurò che la di lui condotta da qualche tempo è soddisfacente, e che d’altronde ha imparato tanto da potere convenientemente celebrare. Mi soggiunse di più che la di lui riabilitazione sarebbe molto necessaria non potendo egli solo bastare ai bisogni della popolazione. Non fidandomi di tutto ciò, ho richiesto che il medesimo papà Ciriaco si provvedesse di un certificato del parroco sulla sua scienza e condotta, e di più presentasse in scriptis la professione di fede con promessa di continuare lo studio, e di sottoporsi a capo di un anno ad un esame innanzi alla curia vescovile. Quando mi giungeranno queste carte le manderò alla S. Congregazione rimettendo al di Lei savio giudizio il decidere se dietro tali documenti convenga o no contentare quella popolazione con riabilitarlo. Sono però di opinione che non convenga per ora di dargli la carica di economo, come si domanda nella supplica, poiché questa carica importa anche la facoltà di ascoltare le confessioni e di amministrare gli altri sacramenti.

Con mia sorpresa poi ritrovai ritornato di recente dalla Grecia papà Nestore Palli, quel medesimo di cui si è parlato di sopra. Egli è naturalmente sospeso, e perciò si presentò a me per ottenere la riabilitazione. Come però costui per i suoi antecedenti comparisce molto sospetto e pericoloso, ed è cagione di partiti nella popolazione, non solo non credo che convenga di abilitarlo, ma mi sono adoperato presso il Vescovo di Penne e il Nunzio Apostolico acciò si procurasse di allontanarlo dalla colonia (Besa/Roma).

 

PITTSBURGH

COMMENTO CATECHETICO

DELLA DIVINA LITURGIA

 

Nel passato avevamo pubblicato in nostra traduzione italiana diversi articoli dell’arciprete ruteno p. David M. Petras. Di lui è apparso nei mesi scorsi un prezioso volume di catechesi liturgica: “Time for Lord to Act – A cathechetical Commentary on the Divine Liturgy, Byzantine Catholic Metropolia of Pittsburgh” (66 RuverviewAvenue, Pittsburgh PA 1514-2253).

Il commento della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo è organizzato in quattro parti:

Introduzione: Riforma liturgica nella Chiesa bizantina (pp.5-22); I. Liturgia e spiritualità (pp.23-44); II. Preparazione, Assemblea e riti catechetici (pp.45 –79); III: Anafora pp.71- 122; IV. Riti di comunione. Si aggiunge un utile glossario.

Riportiamo in nostra traduzione una breve sezione dell’introduzione:

 

La liturgia dovrebbe essere più breve?

Da giovane, quando ero studente di Liturgia, feci una volta un viaggio in Slovacchia per visitare i paesi dei miei nonni. Dovemmo attraversare Praga. Era domenica. Io ed il mio amico trovammo una chiesa greco-cattolica dove assistemmo alla Divina Liturgia. Il pastore apprezzò la nostra visita e ci invitò a colazione. Mi chiese cosa studiassi a Roma e quando gli risposi “Liturgia”, mi si accostò e disse: “Per favore, mi puoi dire come accorciarla?”

 

Negli ultimi trent’anni, ho trovato che questa è una delle principali preoccupazioni di sacerdoti e fedeli nella nostra Chiesa. Il desiderio di rendere la Liturgia il più breve possibile deriva dall’idea, non del tutto consapevole, che prendere parte alla Liturgia sia soltanto un obbligo da rispettare per essere nelle grazie di Dio. La Liturgia vale poco di per sé ed il tempo trascorso nella Liturgia è noioso. Più è svolta velocemente, meglio è. Oggi, comunque, questo atteggiamento strettamente legalistico è meno comune.

 

La nostra percezione della Liturgia è influenzata dal modo in cui apprendiamo la verità o, per dirla in modo più secolare, dal modo in cui la realtà ci viene presentata. Nella nostra Chiesa, l’icona è la finestra verso la realtà, ma nella società in cui viviamo, la televisione è diventata la finestra verso il mondo. Questo ha un impatto sulla vita di ognuno, anche su quella dei pochi che reagiscono contro di essa e si rifiutano di guardarla. Naturalmente non c’è niente di intrinsecamente negativo nella televisione, dato che è un dono di Dio, ma, come ogni beneficio donatoci, noi siamo in grado di distorcerne il valore. Non mi riferisco semplicemente al contenuto di ciò che viene mostrato in televisione, ma allo strumento stesso. Per la sua natura specifica, la televisione può rendere più difficile la distinzione tra realtà e finzione. Una storia inventata può assumere le parvenze della realtà, mentre la realtà può diventare una storia tra le tante altre. Non solo. La televisione fa del divertimento/intrattenimento il valore più importante della vita. E la Liturgia, che non è divertimento ma comunione con Dio, viene giudicata in base agli stessi criteri. Poiché i programmi televisivi durano in media un’ora, un’ora diventa anche la durata massima che si concede alla Liturgia, e se la nostra preghiera non “intrattiene” abbastanza, ecco che un’ora è perfino troppa.

 

La domanda fondamentale è: qual è il posto della Liturgia nella nostra vita di fede? I nostri nonni dedicavano più tempo alla Liturgia, spesso due ore o ancora di più, ed era la cosa più importante che facevano durante tutta la settimana. Noi adesso li vediamo come “primitivi”, antiquati, ma erano forse più saggi di noi. Uno dei Padri della Chiesa ha detto che ci vogliono due ore di preghiera per arrivare alla presenza di Dio. Di nuovo, so bene che questo non è accettabile per la sensibilità odierna abituata ai parametri temporali televisivi di un’ora, ma dobbiamo essere umili abbastanza da ammettere che la nostra fede in Dio ed il nostro desiderio di Dio si sono indeboliti. Al contempo, mi sento riconfortato dal fatto che c’è stato un certo ritorno al passato dai tempi della mia gioventù. Allora, una o due generazioni fa, si era tutti minimalisti e la Liturgia più corta era quella ideale. Da allora, abbiamo riscoperto in un certo senso il valore della spiritualità, anche se tendiamo a separarla dalla preghiera liturgica e a collegarla piuttosto al nostro rapporto personale con Dio.

Qualsiasi Chiesa ritenga che l’opzione migliore sia quella della Liturgia più breve è ovviamente una Chiesa morta. Se pensiamo questo, allora crediamo che il nostro valore più grande, ovvero essere alla presenza del nostro Signore, sia ormai vuoto e non esista nient’altro. La Liturgia non è divertimento, anche se molti sono convinti del contrario; le mega-chiese che allestiscono spettacoli per i loro fedeli sono in aumento. La Liturgia è comunità: ciò significa che tutti noi dobbiamo partecipare attivamente, unendoci a persone con le quali non sempre ci sentiamo a nostro agio e sopportando momenti di noia, di non divertimento. In quanto comunità, la Liturgia spesso richiede lavoro ed impegno, valori difficili per una società dominata dallo spirito mediatico dell’ “entertainment”.

 

Allo stesso tempo, è chiaro che la Liturgia non deve per forza essere il più possibile noiosa. I fedeli hanno il diritto di udire il Vangelo in modo chiaro ed ascoltare una predicazione cristiana che sia almeno sincera, anche se non tutti i sacerdoti hanno le stesse capacità retoriche. Le varie attività della Liturgia - preghiere, rituali, gesti, simboli, musica, arte - dovrebbero essere realizzate nel miglior modo possibile. Se scendono al di sotto degli standard minimi, siamo chiamati a compiere ogni sforzo per migliorarle. La Liturgia è opera di Dio, ma se non vi riversiamo la nostra fede, essa rischia di diventare un gesto vuoto, incapace di santificarci.

Il gesto di versare acqua calda nel calice prima della Comunione può essere un simbolo di questo, un simbolo del calore della nostra fede. Nel compierlo, il sacerdote dice: “Il fervore della fede, piena di Spirito Santo”.

La Liturgia è sempre presenza di Cristo, che trasforma grazie allo Spirito i doni del pane e del vino da noi offerti nel suo corpo e nel suo sangue. L’acqua calda non cambia i doni, ma indica che dobbiamo versare tutta la nostra fede nella preghiera offerta al Signore. Se portiamo la fede nella Liturgia, il tempo diventa allora meno importante e, alla fine, scompare del tutto (Besa/Roma).

 

VATICANO

NUOVO AMBASCIATORE DI ALBANIA

 

Il nuovo ambasciatore della Repubblica di Albania (S.E. Rrok Logu) ha presentato le lettere credenziali il 29 settembre 2006. Il nuovo ambasciatore è nato nel 1962. Docente di ingegneria civile presso il Politecnico di Tirana, è stato anche consulente dell’Arcidiocesi di Tiranna - Durrës per i rapporti con le istituzioni statali, e membro della Commissione statale per i Culti.

Il Santo Padre ha rivolto il seguente discorso sulle relazioni tra la Santa Sede e l’Albania. Lo riportiamo integralmente:

Signor Ambasciatore,

nel darLe il benvenuto all’inizio della sua missione, La ringrazio per le cortesi espressioni che mi ha rivolto e per i sentimenti di profonda stima che ha voluto manifestare nei confronti della Santa Sede. La prego di significare al Signor Presidente della Repubblica che ricambio cordialmente i suoi saluti, mentre estendo il mio pensiero all’intero Popolo albanese, la cui aspirazione alla verità e alla libertà, come Ella ha opportunamente osservato, non è stata cancellata nemmeno dalla lunga e pesante dittatura comunista, dalla quale è uscito non molti anni or sono. Per crescere in un clima di autentica libertà occorre un contesto etico-spirituale adeguato, fondato su una concezione dell’uomo e del mondo che ne rispecchi la natura e la vocazione. L’Europa, con il suo ricchissimo patrimonio di idee e di istituzioni, ha costituito certamente nel corso di questi due millenni un laboratorio privilegiato di civiltà, anche se a costo di quali e quanti travagli. Quante guerre! Fino a quelle del secolo scorso, che hanno assunto proporzioni mondiali. L’Albania aspira ad integrarsi anche istituzionalmente con le nazioni europee, sentendosi ad esse già legata non solo per motivi geografici, ma soprattutto per ragioni storico-culturali. Non posso che augurare che tale aspirazione trovi una valida e piena realizzazione, e che all’armonico processo di unificazione dell’Europa possa offrire un proprio peculiare contributo. Signor Ambasciatore, ho molto apprezzato che Ella abbia sottolineato, sia guardando al passato che al presente, quanto siano state importanti la presenza e l’opera della Chiesa Cattolica in Albania, per la promozione della fede e dei valori spirituali come pure il sostegno a molteplici situazioni di bisogno. A questo proposito vorrei ricordare Madre Teresa, proclamata beata nel 2003 dal mio venerato predecessore Giovanni Paolo II. Con la testimonianza di una vita evangelica e con il coraggio disarmante dei suoi gesti, delle sue parole dei suoi scritti, questa figlia eletta dell’Albania ha annunciato a tutti che Dio è amore e che ama ogni uomo, specialmente chi è povero ed abbandonato.

In realtà, è proprio l’amore la vera forza rivoluzionaria che cambia il mondo e lo fa progredire verso il suo compimento; di questo amore la Chiesa intende dare testimonianza con le sue opere educative ed assistenziali, aperte non solo ai cattolici ma a tutti. E’ questo lo stile che ha insegnato Gesù Cristo: il bene, cioè, deve essere fatto per se stesso e non per altri fini. Nel sottolineare quest’impegno della Chiesa nell’esercizio dell’amore evangelico, desidero ricordare che un ‘eminente forma di carità è l’attività politica vissuta come servizio alla polis, alla “cosa pubblica”, nell’ottica del bene comune. Tale servizio si sentono chiamati i cattolici, specialmente i fedeli laici, nel rispetto della legittima autonomia della politica e collaborando con gli altri cittadini per la costruzione di una nazione prospera, fraterna e solidale.

Molte sono le sfide che l’Albania deve affrontare in questo momento. Vorrei citare, tra gli altri problemi, l’emigrazione di molti suoi figli. Se da una parte è necessario combattere le cause di tale fenomeno, occorre anche creare le condizioni perché quanti lo desiderino possano ritornare in patria. E mi piace qui rendere omaggio agli albanesi che, fedeli ai migliori valori della loro tradizione, sanno farsi apprezzare in Italia, in Europa e in altri Paesi del mondo.

Per quanto poi riguarda i rapporti ufficiali tra la Chiesa Cattolica e lo Stato, esprimo apprezzamento per la normativa – cui Ella ha fatto riferimento – approvata al fine di rendere esecutivo l’Accordo del 2002 tra la Santa Sede e la Repubblica di Albania, ed auspico che opportune intese seguano a regolare pure gli aspetti economici che rivestono non poca importanza. La Santa Sede vuole in tal modo contribuire al consolidamento in Albania dello stato di diritto e del necessario quadro giuridico per il reale esercizio dei diritti dei cittadini nell’ambito religioso. Ciò favorirà inoltre la convivenza tra le diverse confessioni religiose presenti nel Paese, che hanno saputo finora offrire un esempio di vicendevole rispetto e collaborazione, da conservare e promuovere.

Signor Ambasciatore, formulo a Lei i migliori auguri per una serena e proficua missione, assicurandoLe la cordiale collaborazione di quanti lavorano nei vari Uffici della Sede Apostolica. Mi è caro riecheggiare, al termine di queste riflessioni, l’auspicio che il Servo di Dio Giovanni Paolo II rivolse al Popolo albanese durante la storica visita del 25 aprile 1993, quello cioè di “proseguire uniti e saldi nel cammino che conduce alla piena libertà, nel rispetto di tutti e seguendo le orme a voi familiari della pacifica convivenza, dell’aperta collaborazione ed intesa fra le diverse componenti etniche, culturali e spirituali” (Discorso della cerimonia di benvenuto, n. 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 1 [1993], 2003).

Su questa strada l’Albania potrà contare sul sostegno della Chiesa cattolica e, in particolare, della santa Sede. Lo assicuro insieme con il mio ricordo nella preghiera, mentre invoco le celesti benedizioni su di Lei e sulla sua famiglia, sul Presidente della Repubblica e sull’intero Popolo albanese (Besa/Roma).

 

ROMA

NUOVO AMBASCIATORE DI ALBANIA

PRESSO IL QUIRINALE

 

Il Dr. Llesh Zef Kola è il nuovo ambasciatore presso il Quirinale. Nato a Lezha nel 1960. Diplomatico di carriera. Ha gia esercitato il servizio diplomatico presso le ambasciate di Algeria e di Madrid, e nel Ministero degli esteri. Dal settembre 2005 era diventato Capo Gabinetto del Ministero degli esteri.

Il Dr. Visar Zhiti, poeta rinomato, è l’addetto culturale dell’Ambasciata (Besa/Roma).

 

COSENZA

NUOVI STUDI SUGLI ITALO-ALBANESI

 

In breve tempo sono apparsi tre ben documentati studi sugli italo-albanesi dello storico Attilio Vaccaro dell’Università della Calabria:

Attilio Vaccaro, I Greco-Albanesi d’Italia- Regime canonico e consuetudini liturgiche, Lecce 2006;

Attilio Vaccaro, Sulle tracce delle comunità albanesi nel mediterraneo – Istruzione religiosa e tradizione artistica (secoli XIII-XVII), Argo, Lecce, 2006.

Attilio Vaccaro, I rapporti politico-militari tra le due sponde adriatiche nei tentativi di dominio dell’Albania medievale (secoli XI-XIV), in “Studi sull’Oriente Cristiano” dell’Accademia Angelica-Costantiniana, 10/1, pp. 13-71, Roma 2006.

     Il primo studio costituisce una ricostruzione della situazione degli albanesi in Italia nei secoli XIV e XVI, il loro impatto con la cultura italiana del tempo e con la Chiesa latina per l’aspetto liturgico e disciplinare diverso. Egli indaga il “contesto ecclesiastico canonico pretridentino e postridentino” relativamente alla normativa circa i sacramenti. Giuseppe Frega, decano dell’università della Calabria, nella prefazione scrive: “Il lavoro del Vaccaro viene ora a colmare una lacuna qual è proprio quella dei primi tempi della loro (degli albanesi) presenza nell’Italia Meridionale e dei loro usi e costumi religiosi”. In questo lavoro l’autore fa una presentazione organica dei dati emersi nell’ampia ricerca storica documentata nella bibliografia.

      Il secondo volume ricostruisce le problematiche relative all’istruzione religiosa e alla tradizione artistica in un arco di tempo che copre i secoli XIII-XVII in tre capitoli:

  1. Testi liturgici;
  2. Elementi distintivi della religiosità popolare;
  3. Tracce dell’iconografia bizantina albanese ed italo-albanese.

     Una appendice su “Sacre Immagini tra passato e presente: l’esempio della cattedrale di Lungo”, arricchisce e completa il volume. Si tratta questo di un aspetto interessante per comprendere nella sua integralità la dimensione culturale e religiosa degli italo-albanesi. L’autore stesso è anche iconografo e diverse sue icone e affreschi si trovano in varie chiese dell’eparchia di Lungo.

     Nel terzo studio Attilio Vaccaro prende in esame i rapporti militari tra l’Italia e l’Albania con un perseverante tentativo di dominio dell’Albania medievale, coprendo i secoli XI-XIV. Un periodo quindi che precede la venuta degli Albanesi in Italia, comunque non senza influssi preparatori sulla loro venuta. Viene presentata la politica dei Normanni, quella degli Svevi e quella angioina. Verso il termine del dominio angioino, conclude il Vaccaro, l’Albania “si avviava sempre più ad essere un territorio controllato solo dalle potenti famiglie albanesi”. Sono queste famiglie che stringono l’alleanza con Giorgio Castriota per la resistenza agli eserciti ottomani.

Si tratta di un apporto storico che illumina diversi aspetti della situazione albanese che precede l’epoca di Skanderbeg (Besa/Roma).

 

PIANA DEGLI ALBANESI

PARAMENTI LITURGICI ANTICHI

 

A cura di papàs Jani Pecoraro, arciprete di Piana degli Albanesi, è apparso un bel volume dal titolo “Amfia.  Paramenti liturgici antichi della Cattedrale S. Demetrio M., Piana degli Albanesi 2006”.

 

Il curatore nella prefazione scrive: “La necessità di mostrare al pubblico una piccola parte del patrimonio dell’eparchia di Piana degli Albanesi mi ha spinto a mettere in luce una particolare ricchezza della Cattedrale di S. Demetrio M.” Egli prima di trattare delle “antiche vesti liturgiche locali” ha preposto “uno studio sulla tradizione dei paramenti sacri nella Chiesa bizantina”. Si tratta dunque di vesti liturgiche bizantine confezionate sul luogo, ma nello stile bizantino tradizionale. Il curatore ha fatto anche una ricerca storica sull’origine ed è pervenuto a questa conclusione: “E’ quasi certo che l’arte del ricamo, come attività diffusa a Piana sia nato subito dopo la fondazione del Collegio di Maria avvenuta nel 1714”. La collezione dei paramenti sacri  di Piana  per certi versi “si ispira all’arte del ricamo siciliano sia nella tecnica che in alcuni richiami stilistici.

 

La pubblicazione è strutturata in quattro capitoli:

  1. Origine dei parati liturgici,
  2. Significato e Uffici per l’uso dei parati:
  3. Le singole parti (nome descrizione, uso),
  4. Parati dell’eparchia di Piana degli Albanesi.

 

Segue una parte sui “Paramenti liturgici in mostra” in cui vengono riprodotti a colori 41 parati o loro parti. Si tratta dei “pezzi” esposti in una mostra (1 aprile – 1 maggio 2006) al Museo Civico “Ritiri”. L’iniziativa è importante culturalmente e anche particolarmente  utile per gli insiti aspetti catechetici. Oltre a presentare il loro uso pratico, aiuta la comprensione del loro simbolismo (Besa/Roma).

COSENZA

DIZIONARIO BIOBIBLIOGRAFICO

DEGLI ITALO-ALBANESI

 

Nella collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia” è stato pubblicato un prezioso volume sulle personalità arbëreshe che si sono distinte in qualche disciplina culturale: letteraria, storiografica, scientifica, musicale, folcloristica, religiosa e militare (Giovanni Laviola, Dizionario bibliografico degli Italo-Albanesi, Edizioni Brenner, Cosenza 2006, pp. 308, €.38). E’ il frutto di una trentina di anni per una silenziosa raccolta dei dati, servendosi di libri, riviste, segnalazioni bibliografiche precedenti parziali, di contatti e consultazioni personali. Ne è autore il prof. Giovanni Laviola, scrupoloso e rigoroso ricercatore di storia, autore di molte pubblicazioni riguardanti fenomeni e avvenimenti calabresi e italo-albanesi. Egli è nato a Spezzano Albanese il 3 settembre 1915 e vive a Trebisacce (Cs). Il dizionario è il segno della stima, che egli testimonia per i posteri, per tutti coloro che hanno contribuito alla salvaguardia e alla promozione della Comunità albanese in Italia dall’Abruzzo alla Sicilia. Di ogni persona segnalata vengono presentati dati biografici essenziali, la sua opera, in particolare i dati bibliografici, tanto su quanto ha prodotto quanto altri hanno scritto e sui giudizi relativi. Al di là di eventuali lacune e imprecisioni, sempre possibili in opere del genere, ogni italo-albanese deve essere grato all’autore per una sintesi così documentata dell’avventura culturale arbëreshe.

Per la festa nazionale di Albania 2006 l’opera di Giovanni La viola sarà presentata al Circolo Besa di Roma (Besa/Roma).

 

VENEZIA: SUSSIDIO LITURGICO

PER I ROMENI GRECO-CATTOLICI

 

Gli immigrati in Italia costituiscono un numero sensibilmente crescente. Il “Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes - Elaborazione su dati del Ministro degli Interni /Istat”(2005) ha riportato importanti informazioni sul movimento di popolazioni dall’Est Europeo in Italia.

“Dal 1970 ad oggi in Italia si è passati da meno di 100.000 immigrati a quasi 3.000.000 con un aumento di ben 30 volte ed un elevato ritmo di crescita negli ultimi cinque anni”. Tra i paesi di provenienza si indicano la Romania, l’Albania, la Jugoslavia, la Bulgaria, la Macedonia,l’Ucraina, la Bielorussia.

In gran parte essi sono cristiani, ortodossi per la maggioranza, ma anche cattolici orientali (Romania, Ucraina, , Bulgaria ecc.).

L’accoglienza degli immigrati cristiani, non si può limitare ad una questione di sistemazione nel campo del lavoro e, in linee generali, di integrazione nell’ambito sociale. Occorre tenere presenti le esigenze religiose. L’Istruzione  del Pont. Consiglio per i migranti (2004) afferma: “I migranti cattolici di rito orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare attenzione pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l'obbligo giuridico di osservare dovunque ‑ quando sia possibile ‑ il proprio rito, inteso come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (n. 52). I vescovi devono aver cura di questi cristiani di diversa tradizione liturgica e devono vigilare “affinché nessuno si senta limitato nella sua libertà a motivo della lingua o del rito (Ibidem).

Tra i vari bisogni e problemi che emergono – pastorali, liturgici, disciplinari – per gli emigrati vi è anche quello dei libri liturgici con le implicazioni della lingua del paese di arrivo. Per ovviare a quest’ultimo problema, per i fedeli romeni uniti con Roma, o greco-cattolici, viventi nel Triveneto e in Emilia-Romagna, è stata presa l’iniziativa opportuna di pubblicare un bel volume bilingue, romeno e italiano (Catre de Rugaciuni – Manuale di Preghiere, la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo e le principali preghiere del cristiano, Blaj 2005). Il volume è stato curato da due sacerdoti greco-cattolici romeni (p.V. Barbolovici e p. R.R. Salanschi) e da un italiano, il prof. Giuseppe Munarini di Padova. La pubblicazione ha la benedizione dell’Arcivescovo Maggiore della Chiesa Greco-cattolica Romena, S.B. Lucian, che ha scritto la prefazione e una raccomandazione del Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, il quale ha firmato una postfazione. “La Chiesa di Venezia – scrive il Patriarca – guarda con viva compiacenza  questa iniziativa editoriale della Chiesa Romena Unita con Roma”. E riferendosi alle comunità romene presenti nel Patriarcato di Venezia aggiunge: “Certo, il cammino di integrazione è ancora lungo ed ogni strumento che rende più agevole  la reciproca conoscenza  non può che essere accolto con grande soddisfazione ed incoraggiato nella diffusione”. L’Arcivescovo Lucian sottolinea i bisogni pastorali degli emigrati che in un diverso contesto culturale e sociale rischiano di dimenticare “i propri costumi e tradizioni e certamente ciò rende più difficile la manifestazione della propria fede, resa visibile soprattutto  con la partecipazione alla Santa Liturgia; essa e le preghiere quotidiane sono essenziali  alla vita di un cristiano”. A ciò vuole rispondere la presente pubblicazione. “La sua edizione ci riempie di gioia – conclude l’Arcivescovo – perché è utile e proprio necessaria ai fedeli romeni e perché fa conoscere il nostro rito ai cristiani d’occidente”.

Il volume contiene, dopo una breve presentazione della storia della Chiesa Romena greco-cattolica, i testi liturgici della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, l’ufficio del vespro, l’ufficio per i defunti, la paraklisis alla Madre di Dio e le principali preghiere quotidiane. I testi sono in romeno tratti dai libri liturgici in uso nella Chiesa romena greco-cattolica e in italiano. La traduzione italiana della Divina Liturgia è quella in uso nella Chiesa italo-albanese ed è stata approvata (1967) dalla Congregazione per le Chiese orientali.

In appendice, solo in lingua romena, si presenta una antologia di canti popolari: canti dei salmi, canti tradizionali religiosi, mariani e natalizi (colinde).Si tratta di un aiuto concreto alla comunità greco-cattolica romena in Italia per rafforzare e vivere la sua fede nel quotidiano e nell’assemblea liturgica (Besa/Roma).

 

MACEDONIA

FESTIVAL DELLA POESIA

 

A Tetova, nella Macedonia albanese, si è tenuto un Festival Internazionale della poesia: “Ditët e Naimit” (I giorni di Naim – 19-22 ottobre 2006 – X edizione), dedicato fin dalla sua istituzione al poeta del XIX secolo Naim Frashëri (1846 – 1900).

Gli albanesi della Macedonia, più di 600.000 abitanti, svolgono una interessante attività culturale, sia a livello di ricerca scientifica che a livello di divulgazione. Il Festival Internazionale della poesia vede riuniti ogni anno un numero considerevole di poeti provenienti da tutte le parti del mondo che presentano un florilegio di poesie che vengono lette nelle lingue originali e in traduzione albanese. Quest’anno degli albanesi d’Italia vi ha partecipato la Dr.ssa Caterina Zuccaro e il poeta e scrittore Pierfranco Bruni.

Gli organizzatori del Festival hanno colto l’occasione per pubblicare un volume antologico delle poesie della Zuccaro: Zëmra e dheu (Tetova, 2006, prefazione di Ahmet Selmani), che è stato presentato nell’ambito delle attività promozionali del Festival stesso, presso l’Università del Sud-est europeo di Tetova.

Nella circostanza gli organizzatori hanno presentato anche il volume antologico della poesia italiana contemporanea, tradotto in albanese dalla stessa poetessa Caterina Zuccaro. Il volume dal titolo “Nga njëri breg a tjetri i këtij deti” (D’una o dell’altra riva di questo mare) è stato pubblicato in Italia nel 2006 a cura del Comitato Nazionale per le Minoranze Etnico-linguistiche in Italia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Curato dal dr. Pierfranco Bruni, si avvale di una Presentazione del dr. Luciano Scala, Direttore per i Beni Librari e gli Istituti Culturali, e di una Introduzione dello stesso Bruni.

Pensata in particolare come occasione di avvicinamento alla poesia italiana contemporanea e rivolta a lettori albanesi, l’antologia bilingue accoglie, accanto ad autori di fama nazionale, voci di poeti radicati nelle zone dell’Italia meridionale che appartengono anche alle comunità linguistiche italo-albanesi, tramiti privilegiati di un incontro e di un dialogo tra l’Italia e l’Albania” (Luciano Satta, ivi, p. 184). Sono presenti 24 poeti italiani viventi: V. Andreoli, A. Bevilacqua, G. Bonaviri, C. Calabrò, G. Conte, E. De Luca, F. Esposito, B. Forte, F. Fusca, D. Giancane, D. Maffia, G. Malgieri, E. Masneri. A. Merini, S. Mignano, G. Picaro, P. Rasulo, O. Rossani, C. Serricchio, M. L. Spaziani, S. Trevisani, N. Vacca, N. Ventola, A. Zanzotto (Besa/Roma).

 

S. BENEDETTO ULLANO

150° ANNIVERSARIO

MORTE DI AGELILASO MILANO

 

Il 31 ottobre ha avuto luogo a S. Benedetto Ullano una conferenza sul “Il 150° anniversario della morte di Agesilao Milano” (1830-1856), patriota nativo di S. Benedetto Ullano, ex alunno del Collegio Corsini di S. Demetrio Corone, impiccato nel 1856 per avere attentato alla vita del re Ferdinando II Borbone. Il prof. Leopoldo Conforti ha presentato Agesilao Milano come “patriota dimenticato” sulla base di documentazione inedita dell’Archivio di Stato di Napoli.

Il prof. Italo Costante Fortino ha trattato di alcune opere letterarie (tragedia di Nicola Romano e poema di Giovanni Jatta) che hanno come protagonista Agesilao Milano. Inoltre ha analizzato la composizione poetica (“Ode a Marco Boçari”) in cui il Milano canta l’estremo sacrificio del patriota albanese, morto per l’indipendenza della Grecia. Un gruppo canoro locale ha eseguito canti civili e religiosi della tradizione sanbenedettese. Ha coordinato la manifestazione il prof. Alfio Moccia. (Besa/Roma).

 

ROMA

FESTA NAZIONALE DI ALBANIA

 

Per la festa nazionale di Albania (2006) la Comunità arbëreshe di Roma organizza due eventi: una conferenza e una celebrazione liturgica.

Sabato 25 novembre, ore 17,30, nella sala di Via dei Greci 46 il prof. Pietro De Leo, ordinario di storia presso l’università della Calabria presenterà il “Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi” di Giovanni Laviola, appena pubblicato (2006) dalle Edizioni Brenner di Cosenza nella collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia”.

Domenica 26 novembre, ore 10,30, nella chiesa di S. Atanasio (Via del Babuino 149), sarà celebrata la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo in lingua albanese per tutti gli albanesi viventi in Albania, nella Kosova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora antica e recente (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

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HESYCHIA (14): CONFORMARE LA PROPRIA VOLONTÁ AL VOLERE DI DIO

 

Fonte primaria di inquietudine per l’uomo è la sua volontà in un duplice versante: l’abulia che prima o poi genera scontentezza e il volere sempre altro in più perché insoddisfatti per ogni situazione raggiunta. “Bramate e non riuscite a possedere…Invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerre” (Gc 4, 2). L’inquietudine più profonda nasce dal desiderio e dalla volontà malata dell’uomo che tende a obiettivi non conformi alla volontà di Dio.

 

1. Conformarsi al volere di Dio sempre, dovunque e comunque. E’ questa la vocazione del cristiano che deve cercare ciò che Dio a lui personalmente chiede, farlo proprio e realizzarlo, sicuro che Dio che lo ha chiamato gli dà anche il sostegno nel cammino e la luce per non perdere la meta. La Sacra Scrittura, l’Evangelo di Gesù Cristo, i comandamenti, le parabole, la predicazione viva della Chiesa sono i luoghi dove trovare qual è la volontà di Dio sull’uomo e quali sono gli strumenti per realizzarla. Lo sforzo spirituale consiste nel modellare la propria volontà a quella del Signore individuata per ciascuno e seguirla con fiducia, con abbandono filiale e amorevole. Fin quando ciò non avviene si vive in tensione, con insoddisfazione, forse con senso di colpa, certamente inquieti nel profondo.

“Siate santi perché io sono santo” – ripetutamente proclamato nelle Scritture – viene tradotto in altre parole da Gesù Cristo: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt  ). L’orientamento di modellare se stessi a Dio è la forma della realizzazione dell’uomo, del suo perfezionamento, della sua crescita a misura di Cristo che si sperimenta quando il credente può dire che certamente egli vive, ma propriamente non è lui che vive, perché è Cristo che vive in lui (Gc 2,20). I suoi sentimenti, i suoi desideri, la sua volontà combaciano con quella del Signore.

 

2. Nella sua vicenda terrena Gesù Cristo ha dato l’esempio supremo di come conformare la propria volontà a quella di Dio Padre. Più volte egli dichiara la sua obbedienza al Padre che lo ha mandato nel mondo per la salvezza dell’umanità. Egli è il Figlio di Dio, Dio vero da Dio vero, ma egli si è incarnato ed è in tutto simile all’uomo. Vero Dio e vero uomo. Ha quindi una propria volontà. La Chiesa ha lottato e ha vinto la lotta contro l’eresia monotelita che sosteneva che in Gesù Cristo vi fosse una sola volontà, quella divina che avrebbe assorbita e annullata quella umana. Alla vigilia della sua passione e morte emergono le due volontà : quella divina e quella umana. Egli doveva essere elevato sulla croce per radunare i figli dispersi: Questa era la via dell’economia di salvezza. Questa era la volontà divina. Ma Gesù sente tutta la tragedia della morte. La sua volontà di vero uomo è quella di scansarla, di evitarla, di esserne liberato. E nell’orto degli olivi, nella solitudine, prega il Padre: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,39). Egli vorrebbe diversamente e lo chiede, ma adegua la sua volontà (plēn ouch ōs egō thèlō) alla volontà del Padre (all’ōs sy). E’ questa anche la via per ogni cristiano. Ce lo ricorda S. Paolo che può invitare ad essere suoi imitatori come egli è imitatore di Cristo. Diventare ad immagine e somiglianza della vera Immagine di Dio che è il suo Figlio unigenito incarnato, significa soprattutto conformare la propria volontà a quella del Signore.

 

3. Il processo del divenire cristiano (kerygma, catechesi, ricezione dei sacramenti, mistagogia) implica la purificazione e l’educazione  della propria volontà per conformarla a quella di Dio. La vita ascetica tende a questo e da questo dipende ogni espressione della vita quotidiana quando è vissuta alla luce del disegno di Dio su ciascuno. Questo orientamento non riguarda soltanto i grandi asceti del passato presenti nei calendari liturgici (Antonio, Pacomio, Benedetto da Norcia, Nilo di Rossano, Francesco di Paola, ecc.), o quelli dediti per particolare vocazione alla vita spirituale (eremiti, cenobiti, comunità di vita consacrata), ma anche e ugualmente ad ogni singolo cristiano che vive in questo mondo chiamato alla sequela di Cristo e impegnato a darne testimonianza affinché l’Evangelo raggiunga gli uomini là dove essi concretamente vivono. Ogni semplice cristiano è testimonianza di una dimensione trascendente: la volontà di Dio che si realizza tra gli uomini.

 

4. A mano a mano che il cristiano sente crescere in sé la presenza di Dio e la sua volontà si conforma a quella misteriosa presenza si trasforma anche il suo stato d’animo fondamentale in pace con Dio. Si trasforma ugualmente il suo rapporto con gli altri, considerati non solo fratelli, ma membri dell’unico corpo di Cristo. La serenità interiore acquisita si manifesta anche nel rapporto con il prossimo nel vincolo della pace e dell’amore.

La sintonia della volontà umana con quella divina è la condizione basilare e prerequisita per la piena serenità dello spirito umano (Besa/Roma).

Roma, 8 novembre 2006

 

 

 

S. A T A N A S I O

COMUNITA’ CATTOLICA BIZANTINA

Via dei Greci 46 – 00187 Roma


 

IL NATALE

HA FATTO SORGERE TE, ORIENTE DALL’ALTO

 

Con questa espressione l’apolytìkion di Natale introduce alla comprensione dell’arcano evento dell’Incarnazione e del significato della Nascita di Gesù Cristo come manifestazione del mistero che scende dall’alto, dalla volontà salvifica di Dio. La nascita di Gesù secondo la carne rende possibile la conoscenza della “giustificazione”, realizzata da Gesù Cristo, “sole di giustizia”, “oriente dall’alto”. E chiama tutti all’adorazione.

La stella, gli angeli, i pastori, i magi sono orientati verso un’umile grotta: “Colui che è nato in una grotta ed è stato posto in una greppia per la nostra salvezza è il Cristo, Dio nostro”. Il creato intero e l’umanità hanno atteso la redenzione, ora glorificano Dio nell’alto dei cieli e invocano la pace in terra.

Il primo inno idiòmelo del vespro di Natale, con riferimenti all’antico e al nuovo Testamento, invita a far festa e invoca la misericordia divina. L’inno, firmato da Germano, così canta:

“Venite esultiamo per il Signore, esponendo questo mistero. Il muro di separazione che era frammezzo è abbattuto; la spada di fuoco si volge indietro e i cherubini si ritirano dall’albero della vita. E anch’io godo del paradiso di delizia, da cui ero stato scacciato per la disubbidienza. Poiché la perfetta immagine del Padre, l’impronta della sua eternità, prende forma di servo, nascendo da Madre ignara di nozze, senza subire mutamento: Ciò che era è rimasto: Dio vero; e ciò che non era ha assunto, divenendo uomo per amore degli uomini. A lui acclamiamo: O Dio, che sei nato dalla Vergine, abbi pietà di noi”.

L’inno invita all’esultanza natalizia perchè Cristo è la nostra pace, venendo tra noi Colui che ha abbattuto “il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14). E ha riconciliato tutti con il Padre.

L’inno adopera diverse espressioni e simboli biblici: il paradiso, i cherubini in guardia dell’Eden, la spada di fuoco. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio “scacciò l’uomo e pose ad oriente dell’Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita (Gen 3,24).

Questa separazione viene abbattuta con l’Incarnazione del Verbo di Dio, “perfetta immagine del Padre, impronta della sua eternità”. Pertanto canta l’innografo: “Anch’io godo del paradiso di delizia”.

L’augurio di Buon Natale comprende il coinvolgimento vitale in questa storia di redenzione, di esultanza e di dossologia.

Natale 2006

Eleuterio F. Fortino

 

 

Mistagogia

in S. Atanasio

 

Il Consiglio della Chiesa di S. Atanasio ha deciso di studiare nell’anno 2007:

 

I sacramenti
nella Chiesa Bizantina

 

1. I sacramenti dell’iniziazione cristiana (17 febbraio 2007)

2. Riti della Penitenza (17 marzo 2007)

3. Il Matrimonio, sponsali e nozze (21 aprile 2007).

 

Le conferenze saranno tenute da p. Miguel Arranz professore emerito del Pontificio Istituto Orientale e della Pontificia Università Gregoriana.

Gli incontri avranno luogo nella sala del Circolo italo-albanese di cultura “Besa – Fede” di via dei Greci 46, con inizio alle ore 17,30.

Il programma è coordinato dal diacono prof. Luigi Fioriti.

 

Altri eventi

 

·         6 maggio: Pellegrinaggio a Casamari e Trisulti:

coordinamento, prof.ssa Maria Franca Cucci.

·         Mese di giugno: Incontro dei giovani battezzati nella chiesa di S. Atanasio:

coordinamento, ins. Agnese Ierovante (Besa/Roma).

 

Lo scorso anno sono state studiate le feste (despostiche, teomitoriche e quelle dei santi) con lezioni dell’Archimandrita p. Giorgio Gharib del Patriarcato greco melkita cattolico.



“FA SENTIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI”

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI 2007

18 – 25 gennaio

 

 

Testo biblico di base

 

“Poi Gesù lasciò la regione di Tiro, passò per la città di Sidone e tornò ancora verso il lago di Galilea attraverso il territorio delle Dieci Città.

Gli portarono un uomo che era sordomuto e lo pregarono di porre le mani sopra di lui.

Allora Gesù lo prese da parte, lontano dalla folla, gli mise le dita negli orecchi, sputò e gli toccò la lingua con la saliva. Poi alzò gli occhi al cielo, fece un sospiro e disse a quell’uomo: «Effatà!», che significa: «Apriti!». Subito le sue orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto bene.

Gesù ordinò di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava pubblicamente. Tutti erano molto meravigliati e dicevano: «È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco 7, 31-37).


 

 

Presentazione del tema


 

Tutti erano molto meravigliati e dicevano: «È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco 7, 31-37).

Ascolto e annuncio: due dimensioni essenziali per la vita cristiana e per lo stesso impegno ecumenico. Il brano evangelico proposto per la preghiera per l’unità di quest’anno ricorda inoltre che, in assenza di queste dimensioni, il Signore interviene e guarisce l’uomo perché, riportato alla condizione che corrisponde alla natura redenta, possa realizzare se stesso e vivere nella comunione con gli altri, mettendosi in contatto con loro, dopo aver riacquistato la capacità di “sentire e parlare”.

La proposta iniziale di questo tema è venuta da un gruppo ecumenico del Sud Africa, avendo come spinta contingente una situazione particolare locale, in cui si stenta a “parlare” per remore personali e per condizionamenti sociali. Una tale situazione si manifesta anche altrove, là dove la reticenza diventa connivenza con il male, per timore o per interesse.

La proposta proveniente dal Sud Africa è stata rielaborata e preparata per la divulgazione internazionale dal Comitato misto per la preghiera tra il Consiglio Ecumenico delle Chiese e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

 

  1. Ascoltare e comunicare

 

Le dimensioni di ascolto e di annuncio sono strettamente connesse.

Il brano evangelico, nello

stile sobrio, sintetico di Marco, lo esprime in modo efficace.

 

Presentarono a Gesù “un uomo sordo e muto, pregandolo di imporgli le mani”. Il contesto è esplicitamente religioso, come indica la domanda di “imporgli le mani” perché la guarigione che può operare “il profeta” proviene dalla potenza di Dio. Gesù compie un atto e pronuncia una parola, ad immagine della struttura sacramentale. Innanzitutto porta in disparte, lontano dalla folla, il sordomuto. L’incontro vero con il Signore è strettamente personale, come la conversione è sempre personale. Quindi mise le proprie dita nelle sue orecchie e con la propria saliva toccò la lingua. Ordinò: “Effatà” cioè, “Apriti”, sordomuto! “Apriti”, apritevi orecchie, apriti lingua, sciogliti per comunicare agli altri quanto il Potente ha operato in te. Altrettanto sobria ed essenziale è la sintesi: “Subito le sue orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto bene (Mc 7,37). Poter ascoltare e poter parlare è un dono di Dio.

 

2.         Beati colo che ascoltano

 

L’ascolto della Parola di Dio è prioritario nella visione cristiana.

Solo dopo aver ascoltato l’Evangelo di salvezza si può parlare agli altri per comunicarlo. Ciò che ha operato con la guarigione del sordo muto Gesù lo dichiara anche con le parole. Nell’episodio di Marta e Maria. Entrambe le sorelle intendono accogliere amichevolmente e degnamente Gesù nella loro casa. Marta si preoccupa di “molte cose”, di tutto quanto è necessario e utile per una tale accoglienza, mentre Maria “si era seduta ai piedi del Signore e ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39).

Alle proteste di Marta Gesù le dà l’indicazione fondamentale di ogni credente: “Tu ti inquieti e affanni per molte cose. Una sola cosa è necessaria. Maria invece ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta” (Ibidem, 41). In maniera più tagliente Gesù ribadisce questo suo insegnamento alla donna che elogiava sua Madre perché lo aveva portato in grembo chiamandola beata. Gesù ribadisce: “Beati piuttosto (menoùn - quinimmo) coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28).

 

3.         Ascoltare e comunicare nell’ecumenismo

 

Uno dei modi per mettere in pratica la Parola di Dio è annunziarla agli altri. Parlare, quindi. “Andate in tutto il mondo, predicate l’Evangelo ad ogni creatura” (Mc 15,15). La questione ecumenica è legata a questo mandato.

Il Decreto del Concilio Vaticano II fa esplicito riferimento a questo versetto e dichiara che “tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (UR,1).

La divisione, come già da quasi un secolo ha messo in rilievo la conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910), indebolisce l’annuncio cristiano. Come possiamo annunciare da cristiani divisi che Gesù è l’unico Signore e Salvatore del mondo? La questione si radica nella preghiera stessa di Gesù: “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21).

Parlare con gli altri per riflettere sulla Parola di Dio e trarne le conseguenze che impegnano gli uni e gli altri fa parte dell’intero movimento ecumenico. Il dialogo è strumento essenziale della ricerca della piena unità dei cristiani, nelle molteplici dimensioni di presentazione della propria fede, di ascolto della esposizione degli altri, del confronto e del tentativo di instaurare convergenze e soluzioni dei problemi controversi. Il decreto sull’ecumenismo lo segnala con chiarezza.

Enumerando le iniziative per la ricerca dell’unità, segnala le conversazioni che si tengono “con intento religioso” tra i cristiani e in particolare “il dialogo avviato tra esponenti debitamente preparati della propria comunità, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunità e ne presenta con chiarezza le caratteristiche.

Infatti con questo dialogo tutti acquistano una cognizione più vera e una più equa estimazione della dottrina e della vita di entrambe le comunioni ed inoltre quelle comunioni conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune” (UR,4).

Il brano evangelico scelto per questa settimana ci ricorda un’altra dimensione. “Gesù ordinò di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava pubblicamente” (Mc 7,36). Ciò corrispondeva alla progressiva rivelazione del segreto messianico, necessario per la maturazione della fede dei seguaci di Gesù.

Ma ci segnala anche un altro aspetto della predicazione: quello della testimonianza. L’annuncio attraverso le opere. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,15).

Ciò vale anche per l’ecumenismo. Vivere già da ora, per quanto possibile, la comunione esistente significa favorire concretamente la maturazione dell’unità.

Lo aveva intravisto il decreto Unitatis Redintegratio quando affermava: “Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme all’Evangelo”.

 

4.         Chi ha orecchi da intendere intenda

 

Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,11). Si può avere orecchi e non sentire, non voler sentire, non ascoltare. Lo Spirito dice a ciascun cristiano: chi ha orecchi da intendere intenda. Lo Spirito dice alle Chiese del nostro tempo che l’unità dei Cristiani è intimamente legata alla evangelizzazione ed anche alla ri–evangelizzazione. Gesù lo aveva indicato nel modo sublime della preghiera. Ha pregato che i suoi discepoli siano uniti, siano uno, una cosa sola, affinché il mondo, l’umanità creda nel Figlio di Dio, Signore e Salvatore del mondo. E così il mondo, l’umanità intera, sia salva.

Eleuterio F. Fortino

 

 


 

LA COMUNITA’ ARBËRESHE DI ROMA

PREGA PER TUTTI GLI ALBANESI

 

Per la festa nazionale di Albania (28 novembre 2006) la Comunità arbëreshe di Roma ha organizzato due incontri: uno culturale e uno spirituale.

Nel primo il prof Pietro De Leo, ordinario di storia nell’Università della Calabria, ha presentato il volume dello storico Giovanni La viola:

 

“Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi”

appena pubblicato (2006) dalle Edizioni Brenner di Cosenza

nella collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia”.

 

La pubblicazione è una vera enciclopedia di tutte le personalità della cultura arbëreshe da Luca Matranga (1592) ad oggi con 762 personaggi segnalati (letterati, storici, ecclesiastici, patrioti, cultori). Anche i viventi sono ampiamente presenti. E’ il frutto di una trentina di anni di silenziosa raccolta dei dati, servendosi di libri, riviste, segnalazioni bibliografiche precedenti parziali, di contatti e consultazioni personali. Ne è autore il prof. Giovanni Laviola, scrupoloso e rigoroso ricercatore di storia, autore di molte pubblicazioni riguardanti fenomeni e avvenimenti calabresi e italo-albanesi. Di ogni persona segnalata vengono presentati dati biografici essenziali, la sua opera, in particolare i dati bibliografici, tanto su quanto ha prodotto, quanto su ciò che altri hanno scritto e sui giudizi relativi. Ogni italo-albanese deve essere grato all’autore per una sintesi così documentata dell’avventura culturale arbëreshe.

 

Nel secondo incontro, domenica 26 novembre, nella chiesa di S. Atanasio (Via del Babuino 149) regolarmente  frequentata dagli Arbëreshë di Roma, è stata celebrata la

 

Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo in lingua albanese

Cantata nella musica dello jeromonaco arbëresh Nilo Somma

 

Si è pregato per tutti gli albanesi viventi in Albania, nella Kosova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora antica e recente.

All’omelia mons. Eleuterio F. Fortino, commentando la pericope evangelica del giorno (Luca 18, 18-27) ha riproposto la domanda:“Cosa  devo fare per ottenere la vita?” e ha riportato la risposta di Gesù: “Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre”.

Queste indicazioni etiche interessano le singole persone e gli stessi popoli che intendono costruire una società ordinata e orientata al bene comune e a quello delle singole persone. “Sono particolarmente appropriate per la nostra patria di origine avviata verso un sostanziale rinnovamento politico, sociale, spirituale”.

L’esigenza di rinnovamento morale è presente in Albania come mostrano diverse iniziative e pubblicazioni recenti. mons. Eleuterio F. Fortino ha citato lo studio di don Basilio Petrà, professore universitario di etica: “La coscienza secondo lo Spirito. Per una comprensione cristiana della coscienza morale”, tradotta (Tirana, 2006) in albanese dal rev. Arian Shkurti; e il primo volume dell’opera “Il senso religioso” di don Luigi Giussani, tradotta in albanese dal prof. Ferdinand Leka (settembre 2005).

Nella presentazione della traduzione albanese a Tirana è stato sintetizzato il senso in questa espressione: “Occorre ricostruire l’umano e non solo strade e case” (Besa/Roma).

 

 

 

BESA

CIRCOLO ITALO-ALBANESE DI CULTURA

Via dei Greci 46 -00187 Roma

Informazioni

ROMA: IL PRIMATE DI GRECIA IN VISITA AL PAPA

 

Per la prima volta l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Sua Beatitudine Christodoulos ha fatto visita ufficiale (13-16 dicembre 2006) al S.S. Benedetto XVI e alla Chiesa di Roma. La visita era stata approvata dal Santo Sinodo e l’Arcivescovo era accompagnato da un seguito di nove ecclesiastici tra cui quattro metropoliti. Si è svolta in un clima caloroso e cordiale. L’Arcivescovo ha incontrato il Papa con cui ha firmato una Dichiarazione Comune di impegno per il proseguimento del dialogo e per una collaborazione culturale e pastorale. A nome del Santo Padre è stata consegnata una parte delle catene della prigionia di S. Paolo che si conservano nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura. Per l’occasione è stata cantata una Deēsis con preghiere e tropari  composti per l’occasione dallo stesso Arcivescovo. La Pontificia Università Lateranense Gli ha conferito una Laurea Honoris causa in Scienze giuridiche. L’Arcivescovo Christodoulos ha avuto conversazioni con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. La visita è segno della svolta positiva che l’Arcivescovo è riuscito ad imprimere ai rapporti tra la Chiesa ortodossa di Grecia e la Chiesa cattolica.

 

ROMA: INCONTRO DEI BATTEZZATI NELLA CHIESA DI S. ATANASIO

 

Domenica 17 dicembre 2006, in preparazione del Natale, ha avuto luogo un incontro dei battezzati nella chiesa di S. Atanasio da 15 anni a questa parte, coordinato dall’Ins. Agnese Jerovante. Dopo la celebrazione della Divina Liturgia vi è stato un incontro di fraternità con un’agape assieme ai genitori e con giochi per i bambini. L’iniziativa gioiosa, con esito felice, sarà ripetuta nel mese di giugno del prossimo anno, la domenica precedente la festa di S. Giovanni Battista, a Grottaferrata.

 

KOSSOVA: NUOVO AMMINISTRATORE APOSTOLICO

 

Il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico di Prizren (Kossova) S.E. Rev.ma Mons. Dodë Gjergji, trasferendolo dalla diocesi di Sapë (Albania). Questi finora era stato Segretario della Conferenza Episcopale Albanese. Succede a S.E Mons. Mark Sopi, di recente deceduto.

 

ALBANIA: NUOVO VESCOVO DI SAPË

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Sapë (Albania) il Rev. Mons. Lucjan Augustini, finora Vicario Generale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Shkodrë-Pult (Albania).

 

ROMA: L’ICONA DI MARIA “SEDES SPIENTIAE” IN ALBANIA

 

Nel suo pellegrinaggio di paese in paese dal Giubileo del 2000 in poi, per l’anno prossimo l’icona “Sedes Sapientiae”, con cerimonia in S. Pietro, presente S.S. Benedetto XVI, è stata consegnata dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario di S.S. Benedetto XVI,  alla delegazione studentesca dell’Albania.

 

ROMA. RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA LA SANTA SEDE E IL MONTENEGRO

 

La Santa Sede e la Repubblica di Montenegro, ora indipendente, desiderosi di promuovere rapporti di mutua amicizia, hanno deciso di stabilire relazioni diplomatiche a livello di Nunziatura Apostolica e di Ambasciata (Besa/Roma).

 

 

Circolare ottobre 2006                                                                                                                       187/2006

 

 

Sommario

 

I detti di Gesù (45): “Misericordia io voglio e non sacrificio”.................................................. 1

ROMA: Oriente cristiano in Italia .............................................................................................. 2

CIVITA: I Papades - Testimoni di fede..................................................................................... 7

BELGRADO: Dialogo cattolico-ortodosso – Conciliarità e autorità nella Chiesa............................ 9

LUNGRO: Tre chirotonie presbiterali...................................................................................... .10

KOSOVA: Tre monumenti ortodossi – Luoghi del patrimonio mondiale...................................... .10

LUNGRO: Coro polifonico italo-bizantino.................................................................................. 10

ROMA: Hesychìa: Cammino di ascesa verso la tranquillità dell’anima....................................... 11

 

 

 

Tà lòghia - I detti di Gesù (45): “Misericordia io voglio e non sacrificio”

 

Gesù ha appena chiamato alla sua sequela Matteo, esattore delle imposte, funzione sociale generalmente malvista. Ora sta a tavola assieme “a molti pubblicani e peccatori”. Al vedere ciò alcuni farisei, gruppo religioso zelota e puritano, chiesero ai discepoli: “Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori?” (Mt 9, 11). Le norme rigoriste proibivano una tale comunione per un rabbino che osserva la legge. Gesù li udì e rispose dicendo che egli era venuto a cercare i peccatori per “richiamarli” alla conversione. E ad essi che si riferivano alla Legge disse: “Andate ad imparare che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13). Richiede che si comprenda il senso della legge e il suo scopo che è quello di orientare la vita secondo la volontà di Dio.

Gesù rinvia al profeta Osea il quale, secondo la traduzione della CEI, dice: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,5). Dio esige – “Io voglio” – l’amore (la misericordia) più degli olocausti (sacrifici cultuali). “Misericordia (hèleon) io voglio e non sacrificio (thysìan)”. Sulla base della Scrittura Gesù “rimprovera ai farisei il loro legalismo che li fa insensibili ai reali bisogni dello spirito” (Lancellotti). E’ una distorta interpretazione della Legge che Gesù rifiuta e non la Legge stessa a cui anzi fa riferimento. Gesù sembra dire: prima di parlare e rimproverare andate e imparate. Dio vuole amore e misericordia: comprensione, conversione, perdono, riconciliazione, comunione. Il profeta Osea ed altri profeti e l’evangelista “non condannano il culto per i riti con cui si esplica, ma invitano a posporre l’esattezza rubricistica alla legge della misericordia e della carità (Ortensio da Spinetoli). Dio è misericordia e i suoi discepoli sono chiamati ad essere misericordiosi per ché siano figli dell’Altissimo.

La Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo e di S. Basilio, all’invito del diacono di disporsi ad offrire la santa oblazione, fa proclamare al popolo che l’Eucaristia che ci si appresta a celebrare è: “Misericordia (hèleon) di pace e sacrificio (thysìan) di lode”. Dio è misericordioso con gli uomini. Ha dato il suo Figlio in sacrificio per la riconciliazione e la pace con l’umanità e la Chiesa offre la propria doxologia con un sacrificio di lode, invocando il Signore che l’accetti sul suo altare celeste e che a Lui sia gradito (Besa/Roma).


 


ROMA
ORIENTE CRISTIANO IN ITALIA
 

Si presenta qui la seconda parte della conferenza di mons. Eleuterio F. Fortino al Santuario del Divino Amore:

 
Rapporti fra la Chiesa cattolica
e le componenti dell’ <Oriente Cristiano> in Italia

 

     Si è di fronte ad una situazione multietnica e multiconfessionale. Tralasciando gli immigrati protestanti che non rientrano nel tema di oggi, consideriamo i rapporti con i cristiani orientali.

a.  Vi si incontrano sempre più orientali cattolici. Nei loro bisogni (luoghi di culto, matrimoni, celebrazione dei sacramenti, assistenza liturgica, concelebrazione tra latini e orientali, ecc.) sono da applicare le norme di diritto interrituale presenti nei due Codici di Diritto Canonico.

b.  La presenza degli ortodossi risulta incrementata negli ultimi anni. Nei rapporti con essi occorre avere presente anche particolari situazioni determinate dalla Chiesa di origine (Chiese ortodosse e Antiche Chiese ortodosse d’Oriente, e all’interno di queste due categorie occorre avere presente le specificità di ciascuna di esse: per es. Chiesa greca, Chiesa russa, chiesa romena, chiesa serba, chiesa copta, chiesa etiopica, chiesa eritrea, chiesa armena ecc.). Tutte queste distinzioni possono influire nelle scelte pastorali nei loro confronti per favorire un’azione costruttiva di servizio e di comunione.

Nel rapporto ecumenico con queste Chiese occorre avere presente come sicura guida pastorale alcuni documenti principali:

-    Il Decreto Conciliare sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio (1964), in particolare i principi cattolici dell’ecumenismo;

-    L’Enciclica di Giovanni Paolo II sull’impegno ecumenico Ut Unum Sint (1995);

-    Il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo (1993).

     Il Pontificio Consiglio per la pastorale dei migrati e degli itineranti ha studiato da vicino l’intera problematica delle migrazioni  e ne ha dato anche alcune direttive che riguardano il nostro tema. Riporto soltanto le indicazione circa:

 

“Accoglienza e solidarietà” (39- 43)

41. Per questo l'intera Chiesa del Paese di accoglienza deve sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei migranti. Nelle Chiese particolari va dunque ripensata e programmata la pastorale per aiutare i fedeli a vivere una fede autentica nel nuovo odierno contesto multiculturale e plurireligioso.                   

     Con l'aiuto di operatori sociali e pastorali, è così necessario far conoscere agli autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri.

 

I “Migranti cattolici di rito orientale” (52- 55)

52. I migranti cattolici di rito orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare attenzione pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l’obbligo giuridico di osservare dovunque ‑ quando sia possibile ‑ il proprio rito, inteso come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (cfr. CCEO can. 28, §l).

     Di conseguenza “anche se affidati alla cura del gerarca o del parroco di un’altra Chiesa sui iuris, rimangono tuttavia ascritti alla propria Chiesa sui iuris” (CCEO can. 38); anzi, l’usanza, pur a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l’iscrizione alla medesima (CIC can. 112, §2). Vi è, infatti, divieto di “cambiare rito senza il consenso della Sede Apostolica” (CCEO can. 32 e CIC can. 112, §1).

     I migranti cattolici orientali, poi, fermo restando il diritto e il dovere di osservare il proprio rito, hanno pure il diritto di partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche di qualunque Chiesa sui iuris, quindi anche della Chiesa latina, secondo le prescrizioni dei libri liturgici (cfr. CCEO can. 403, §1).

La gerarchia deve curare inoltre che coloro i quali hanno relazioni frequenti con fedeli di altro rito lo conoscano e venerino (cfr. CCEO can. 41) e vigilerà affinché nessuno si senta limitato nella sua libertà a motivo della lingua o del rito (cfr. CCEO can. 588).

 

53. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (CD 23) in effetti stabilisce che: “Dove si trovano fedeli di diverso rito, il vescovo deve provvedere alle loro necessità, sia per mezzo di sacerdoti o parrocchie dello stesso rito; sia per mezzo di un vicario episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se opportuno, insignito anche del carattere episcopale; sia da se stesso come ordinario di diversi riti”.

     Inoltre “il vescovo può costituire uno o più vicari episcopali che, in forza del diritto ... nei riguardi dei fedeli di un determinato rito, godono dello stesso potere che il diritto comune attribuisce al vicario generale” (CD 27).

 

54. Conformemente al dettato conciliare, il CIC (can. 383, §2) stabilisce quindi che se il vescovo diocesano “ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia mediante un vicario episcopale”. Questi, a norma del can. 476 del CIC, “ha la stessa potestà ordinaria che, per diritto universale ... spetta al vicario generale” anche in rapporto ai fedeli di un determinato rito. Il CIC, dopo aver enunciato il principio della territorialità della parrocchia, stabilisce infatti che, “dove risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del rito” (can. 518).

55. Qualora così si proceda, tali parrocchie faranno giuridicamente parte integrante della diocesi latina, e i parroci del medesimo rito saranno membri del presbiterio diocesano del vescovo latino. E’ da notare, tuttavia, che sebbene i fedeli, nell’ipotesi prevista dai suddetti canoni, si trovino nell’ambito della giurisdizione del vescovo latino, è opportuno che questi, prima di istituire parrocchie personali o designare un presbitero come assistente o parroco, o addirittura vicario episcopale, entri in dialogo sia con la Congregazione per le Chiese Orientali, sia con la rispettiva gerarchia, e in particolare con il Patriarca.

Varrà qui ricordare infatti che il CCEO (can. 193, §3) prevede, quando i vescovi eparchiali “costituiscono questo tipo di presbiteri, di parroci o sincelli per la cura dei fedeli cristiani delle Chiese patriarcali”, che essi “prendano contatto con i relativi patriarchi e, se sono consenzienti, agiscano di propria autorità informandone al più presto la Sede Apostolica; se però i patriarchi per qualunque ragione dissentano, la cosa venga deferita alla Sede Apostolica” (54).

Sebbene nel CIC manchi una espressa disposizione a questo proposito, per analogia essa dovrebbe però valere anche per i vescovi diocesani latini.

 

I “Migranti di altre Chiese e Comunità ecclesiali”

(56-60)

56. La presenza, sempre più numerosa, anche di immigrati cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica, offre alle Chiese particolari nuove possibilità di vivere la fraternità ecumenica nella concretezza della vita quotidiana e di realizzare, lontani da facili irenismi e dal proselitismo, una maggiore comprensione reciproca fra Chiese e Comunità ecclesiali.

Si tratta di possedere quello spirito di carità apostolica che da una parte rispetta le coscienze altrui e riconosce i beni che vi trova, ma che può attendere anche il momento per diventare strumento di un incontro più profondo fra Cristo e il fratello.

     I fedeli cattolici non devono dimenticare infatti che è anche servizio e segno di grande amore, quello di accogliere i fratelli nella piena comunione con la Chiesa. In ogni caso “se sacerdoti, ministri o comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica non hanno un luogo, né oggetti liturgici necessari per celebrare degnamente le loro cerimonie religiose, il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e anche prestar loro gli oggetti necessari per il loro culto.

     In circostanze analoghe può essere loro consentito di fare funerali o di celebrare ufficiature in cimiteri cattolici” (55).

57. Da ricordare qui è poi la legittimità, in determinate circostanze, per i non cattolici, di ricevere l’Eucarestia assieme ai cattolici, secondo quanto afferma anche la recente Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Infatti “Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale.

     In tal senso si è mosso il Concilio Vaticano II, fissando il comportamento da tenere con gli orientali che, trovandosi in buona fede separati dalla Chiesa cattolica, chiedono spontaneamente di ricevere l’Eucaristia dal ministro cattolico e sono ben disposti (cfr. OE 27).

     Questo modo di agire è stato poi ratificato da entrambi i Codici, nei quali è considerato anche, con gli opportuni adeguamenti, il caso degli altri cristiani non orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica” (cfr. CIC can. 844, §§3‑4 e CCEO can. 671, §§3‑4).

 

58. Ad ogni modo si avrà un reciproco, particolare riguardo dei rispettivi ordinamenti, come raccomandato nel Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull'ecumenismo: “I cattolici devono dar prova di un sincero rispetto per la disciplina liturgica e sacramentale delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, e queste ... sono invitate a mostrare lo stesso rispetto per la disciplina cattolica”.

     Tali disposizioni e l’ “ecumenismo della vita quotidiana” (pag. 64), nel caso dei migranti, non mancheranno di avere benefici effetti. Momenti salienti d'impegno ecumenico potranno essere, in ogni caso, le grandi feste liturgiche delle differenti Confessioni, le tradizionali Giornate mondiali della pace, del migrante e del rifugiato e la Settimana annuale di preghiera per l'unità dei cristiani.

 

Bibliografia

Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Istruzione “Erga Migrantes Caritas Christi”, 3 maggio 2004.

 

L’Istruzione rinvia al Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo al quale del resto si ispira. Riportiamo alcune norme del Direttorio:

 

Condivisione di attività e di risorse spirituali
DE: 102 - 142

 

I cristiani possono essere incoraggiati a condividere attività e risorse spirituali, cioè a condividere quell’eredità spirituale che essi hanno in comune, in una maniera e ad un livello adeguati al loro stato attuale di divisione” (n.102).

La condivisione deve riflettere questa duplice realtà:

a)  la reale comunione esistente (n.104)

b)  il carattere incompleto di tale comunione (n.104,2).

Si ricorda inoltre:

La concelebrazione eucaristica è una manifestazione visibile della piena comunione di fede”. “Non è permesso concelebrare l’Eucaristia con ministri di altre Chiese e Comunità ecclesiali” (n.104e).

 

Preghiera comune

DE 108-115

·       “La conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche  per l’unità dei cristiani, si devono ritenere  come l’anima di tutto il movimento ecumenico” (UR 8).

·       “Queste preghiere in comune  sono senza dubbio un mezzo efficace  per impetrare la grazia dell’unità, e sono una genuina manifestazione  dei vincoli con i quali i cattolici  sono ancora uniti con questi altri cristiani” (DE 108, UR 8).

·       Occasioni: (esempi): preghiera per la pace, questioni sociali. Dignità della famiglia, povertà, fame, violenza ecc., festa nazionale, riunioni tra cristiani per lo studio e l’azione (DE 19).

·       “La preghiera comune dovrebbe avere però come oggetto innanzitutto la ricomposizione  dell’unità dei cristiani” (DE 110).

·       “Tale preghiera dovrebbe essere preparata di comune accordo  con l’apporto di rappresentanti di Chiese e Comunità ecclesiali o altri gruppi” (DE 111).

·       “ Sulla via ecumenica  verso l’unità il primato spetta senz’altro alla preghiera comune” (Ut Unum Sint 22).

·       Una occasione particolare e che si estende sempre più, ma da promuovere ulteriormente, è la “settimana di preghiere per l’unità dei cristiani” (18-25 gennaio).

 

Alla preghiera può partecipare l’intero popolo di Dio, anche coloro che non si dedicano specialmente all’azione ecumenica.

 

“Condivisione della liturgia non sacramentale e cooperazione pastorale”

DE 116-121

·       “In certe occasioni, la preghiera ufficiale di una Chiesa può essere preferita a celebrazioni ecumeniche preparate per l’occasione” (DE 116).

·       “Nelle celebrazioni liturgiche che si fanno in altre Chiese  e Comunità ecclesiali, si consiglia ai cattolici di prendere parte ai salmi, ai responsori….Se i loro ospiti lo propongono possono proclamare una lettura o predicare” (DE 117).

·       “In una celebrazione  liturgica cattolica, i ministri  delle altre Chiese e Comunità ecclesiali possono avere il posto e gli onori liturgici che convengono al loro rango e al loro ruolo” (DE 119).

·       “A prudente giudizio dell’ordinario del luogo, il rito delle esequie della Chiesa cattolica può essere concesso a membri di una Chiesa e di una Comunità ecclesiale non cattolica, a condizione che ciò non sia contrario alla loro volontà, che il loro ministro ne sia impedito e che non si oppongono le disposizioni generali del diritto” (DE 120).

·       “Le benedizioni ordinariamente impartite ai cattolici possono essere impartite anche agli altri cristiani, vivi e defunti…” (DE 121).

·       Quando è necessario “il vescovo diocesano può permettere (a comunità o ministri non cattolici) di usare una Chiesa o un edificio cattolico ed anche prestare loro gli oggetti necessari per il culto” (DE 137).

·       “Nelle scuole e istituzioni cattoliche si deve fare ogni sforzo per rispettare la fede e la coscienza degli studenti e dei docenti che appartengono ad altre Chiese e Comunità ecclesiali”… “I ministri ordinati delle altre comunità possano esercitare senza alcuna difficoltà il loro servizio spirituale e sacramentale per i loro fedeli che frequentano tali scuole o istituzioni” (DE 141).

·       “Negli ospedali e nelle case  per persone anziane e nelle istituzioni analoghe dirette da cattolici, le autorità devono darsi premura di avvertire i sacerdoti e i ministri delle altre Comunità cristiane della presenza dei loro fedeli e agevolarli perché possano far visita a dette persone e portar loro un aiuto spirituale e sacramentale…” (DE 142).

 

Condivisione di vita sacramentale

DE 122-136

     Nel Direttorio ecumenico le norme su “La condivisione di vita sacramentale, in particolare dell’Eucaristia” (nn. 122-136) sono organizzate in base ad una chiara distinzione in due sezioni:

·       rapporti con le Chiese ortodosse (nn. 122-128)

·       e con le “altre Chiese e Comunità ecclesiali”, cioè con le Comunità ecclesiali provenienti dalla Riforma (nn. 129-136).

 

Con i membri delle varie Chiese orientali
(“non in piena comunione con Roma”)

DE 122-128

 

Affermazioni di base:

·       Quelle chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti, e soprattutto in forza della successione apostolica  il sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli” (UR 15, DE 122).

·       Per mezzo della celebrazione dell’Eucaristia del Signore, in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce (UR 15)

·       Circa l’amministrazione di tre sacramenti (Eucaristia, penitenza e unzione degli infermi) i due Codici di diritto canonico per la Chiesa latina e per le Chiese orientali presentano due norme:

 

1. Una per i cattolici:

     “Ogni volta che una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli - e perché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo - è lecito ad ogni cattolico, per il quale sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da parte di un ministro della Chiesa orientale” (n.123 -  cfr. CJC 844,2 e CCEO 671,2).

 

N.B. Si richiede l’impossibilità fisica o morale di accedere al sacerdote cattolico.

 

2. L’altra per gli ortodossi:

     I ministri cattolici possono amministrare lecitamente i tre sacramenti (Eucaristia, penitenza e unzione degli infermi) agli ortodossi “qualora questi lo richiedano spontaneamente e abbiano le dovute disposizioni” (DE 125, cfr. CJC 844,3 e CCEO 671,3).

     Non viene considerata la condizione che non sia possibile accedere al ministro ortodosso. Questa reciprocità “ineguale” – che proviene dal CJC e dal CCEO – è stata criticata dagli ortodossi e considerata come tentativo di proselitismo latente. Tuttavia, tanto i due codici che il DE attirano l’attenzione sulla disciplina delle Chiese ortodosse.

     Il DE chiede ai ministri cattolici di “evitare ogni proselitismo, anche solo apparente” (DE 125).

 

3. Altre disposizioni

Testimoni al matrimonio:

“Una persona appartenente ad una Chiesa orientale può fare da testimone a un matrimonio in una chiesa cattolica”… e viceversa (DE 128).

 

NB.                                                                          In un matrimonio celebrato nella Chiesa ortodossa occorre che “Il/la testimone sia ortodosso/a” (Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, p. 95).

 

Un ministro cattolico in un matrimonio ortodosso

“Un ministro cattolico può presenziare e prendere parte, in una chiesa orientale, ad una cerimonia di matrimonio, celebrata secondo le norme” (DE 128).

Padrini

“Il ruolo di padrino ad un battesimo conferito in una Chiesa orientale ortodossa non è interdetto ad un cattolico se invitato” (DE 98b).

“In forza alla stretta comunione esistente tra la Chiesa cattolica e le Chiese orientali ortodosse, è consentito per un valido motivo, ammettere un fedele orientale con il ruolo di padrino, congiuntamente da un padrino cattolico (o una madrina) al battesimo di un bambino o di un adulto cattolico…” (DE 98b).

NB. Invece in un battesimo nella Chiesa ortodossa “Il padrino o la madrina deve essere cristiano ortodosso” (Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, p. 94).

 

Battesimo a figli di genitori ortodossi

CCEO can. 681, § 4: “Il bambino sia di genitori cattolici sia di genitori acattolici, che si trova in pericolo di morte tale da far ritenere prudentemente che morirà prima di raggiungere l’uso della ragione, è battezzato lecitamente”.

Can 681, § 5: “Il bambino di cristiani acattolici è battezzato lecitamente, se i genitori oppure uno di essi o chi ne fa legittimamente le veci lo richiedono e se ad essi è fisicamente  impossibile recarsi dal proprio ministro”.

(In questo caso rimane ai genitori l’obbligo di educarlo nella fede della propria chiesa, come si deduce dal § 1 dello stesso canone che dichiara: “Perché un bambino sia lecitamente battezzato si esige che vi sia la fondata speranza  che sarà educato nella fede della Chiesa cattolica, fermo restando il § 5).

 

Valore del battesimo cattolico per gli ortodossi

     Il Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, p. 94 riporta:

“Nel caso di conversione di un eterodosso all’Ortodossia, qualora siano battezzati nel nome della Santissima Trinità, viene amministrata solo la santa cresima, dopo che sono stati istruiti nella fede ortodossa”.

 

Matrimonio di due fedeli non cattolici può essere celebrato da un sacerdote cattolico:

CCEO can. 833, §1: “Il gerarca del luogo può concedere a qualsiasi sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli di una chiesa orientale acattolica, i quali non possono recarsi dal proprio sacerdote senza un grave disagio, se lo chiedono spontaneamente e purché nulla ostacoli la valida e lecita celebrazione del matrimonio”.

 

§ 2: “Il sacerdote cattolico, se è possibile, prima di benedire il matrimonio renda nota della cosa la competente autorità di quei fedeli”.

Matrimoni Misti

DE 143 -160

 

Il Direttorio Ecumenico contiene una sezione sui “Matrimoni misti” (DE 143-160) sull’intera problematica (aspetti teologici, canonici, pastorali).

 

A.        Matrimoni misti fra una parte cattolica e una parte ortodossa

·       La celebrazione di un matrimonio tra una parte cattolica ed una parte ortodossa necessita della “espressa licenza dell’autorità  competente (CJC can. 1124, CCEO can. 813).

·       Per avere questa licenza dall’ordinario del luogo, la parte cattolica “deve fare  sincera promessa  che farà tutto secondo le sue possibilità affinché l’intera prole sia battezzata ed educata nella Chiesa cattolica” (CJC can. 1125, §1 - CCEO can. 814, §1). La parte non cattolica deve essere informata di quest’obbligo della parte cattolica (Ibidem, § 2).

·           Per questi matrimoni “la forma canonica deve essere osservata solo per la liceità” (CJC can. 1127, § 1, CCEO can. 834, §2).

·           “E’ vietato che prima o dopo  la celebrazione canonica, si abbia del medesimo matrimonio un’altra celebrazione religiosa  per prestare o per rinnovare  il consenso matrimoniale. Egualmente non si faccia una celebrazione religiosa nella quale un assistente cattolico e un ministro non cattolico insieme, ciascuno secondo il suo rito, richiedano il consenso delle parti” (CJC can. 1127, §3 ).

·           Il coniuge cattolico di  un matrimonio misto deve essere pastoralmente aiutato “per poter adempiere i suoi obblighi”; i pastori aiutino i coniugi di un matrimonio misto” a favorire l’unità della vita familiare” (CJC can. 1128, CCEO can. 816).

 

B.      Per quanto riguarda la partecipazione all’Eucaristia il Direttorio prevede:

·       I matrimoni misti generalmente hanno luogo “al di fuori della liturgia eucaristica” (n. 159).

·       “Il vescovo diocesano può permettere la celebrazione dell’Eucaristia” (Ibidem, cfr. Ordo Celebrandi Matrimonium, 8).

·       “In quest’ultimo caso, la decisione di ammettere o no la parte non-cattolica del matrimonio alla Comunione eucaristica va presa in conformità delle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali, quanto per gli altri cristiani” (n. 159).

·       Ma il DE aggiunge un richiamo particolarmente importante per la pastorale e per l’ospitalità eucaristica. Il richiamo è questo: occorre certamente applicare le norme generali, ma “tenendo conto di questa situazione particolare che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati” (Ibidem).

·         Coloro che eventualmente in un matrimonio misto chiedono l’Eucaristia hanno ricevuto due sacramenti: il battesimo e il matrimonio cristiano.

·         Anche per la vita normale – dopo la celebrazione del matrimonio – di una coppia sorta da un matrimonio misto, nel resto della vita “la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale (n. 160) e vanno osservate sempre le norme generali e le indicazioni pastorali date dal vescovo o dalla conferenza episcopale.

 

Prassi della Chiesa ortodossa greca in Italia

 

Il Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, p. 95, indica che per la celebrazione di un matrimonio misto:

Occorre “una dichiarazione firmata della parte eterodossa, in cui assume la responsabilità morale di battezzare ed educare i figli nella Chiesa ortodossa”;

Occorre “che il/la testimone sia ortodosso/a”;

“E’ proibita la concelebrazione del sacramento del matrimonio da parte di sacerdoti ortodossi, con ministri di culto eterotodossi”.

 

Bibliografia

Sussidio per l’Italia particolarmente dei matrimoni con i protestanti: Mario Polastro – Igli Vicentini (a cura), Matrimoni misti interconfessionali – Documenti delle Chiese 1970-2000, Pinerolo 2005

 

Proposizione 41 del Sinodo dei vescovi (2005)

 Ammissione dei fedeli non cattolici alla Comunione:

“Sulla base della comunione di tutti i cristiani, che l’unico battesimo già rende operante, anche se non ancora in maniera completa, la separazione alla mensa del Signore è sperimentata giustamente come dolorosa. Sia dentro la Chiesa cattolica come da parte dei nostri fratelli e sorelle non cattolici, viene avanzata di conseguenza molto spesso la richiesta urgente della possibilità di comunione eucaristica tra i cristiani cattolici e gli altri.

     Si deve chiarire che l’Eucaristia non designa e opera solo la nostra personale comunione con Gesù Cristo, ma soprattutto la piena communio della Chiesa. Perciò chiediamo che i cristiani non cattolici comprendano e rispettino il fatto che per noi, secondo l’intera tradizione biblicamente fondata, la comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengono intimamente e quindi la comunione eucaristica con i cristiani non cattolici non è generalmente possibile.

     Ancor più è esclusa una concelebrazione ecumenica. Parimenti dovrebbe essere chiarito che in vista della salvezza personale l’ammissione di cristiani non cattolici all’Eucaristia, al sacramento della penitenza e all’unzione dei malati, in determinate situazioni individuali sotto precise condizioni è possibile e perfino raccomandata (UR 8,15; Direttorio Ecumenico 129-131; CIC 844, § 3 e 4; CCEO 671, § 4; Lettera enciclica Ut unum sint 46; Lettera enciclica Ecclesia de Eucaristia 46). Il Sinodo insiste perché le condizioni espresse nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1398-1401) e nel suo Compendio (293) siano osservate.

 

Osservazione conclusiva

     La presenza di cristiani orientali nelle nostre diocesi offre l’opportunità per esercitare la carità con una accoglienza fraterna e nello stesso tempo vivere insieme quelle dimensioni della comunione esistenti, anche con la preghiera comune e con la condivisione di vita non sacramentale e sacramentale sulla base dell’unità esistente e nei limiti indicati dalla normativa canonica.

“Da tale unità fondamentale, ma parziale, si deve ora passare all’unità visibile e necessaria e sufficiente, che si iscriva nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si esprimerà nella concelebrazione eucaristica” (Ut Unum Sint, 78) (Besa/Roma).

 

CIVITA: I PAPADES
TESTIMONI DI FEDE

 

La tradizione religiosa arbëreshe è stata trasportata fino a noi, di generazione in generazione, da una solida catena di sacerdoti, nella gran parte, anonimi. Vorremo contribuire a ritrovare  le loro figure spirituali.

Abbiamo chiesto all’arciprete di Civita, p. Antonio Trupo, di presentarci la figura di alcuni suoi predecessori:

 

I nostri antenati, venendo in Italia per sfuggire alla dominazione turca, sono stati guidati anche dai loro papades. Questi trovarono benevola accoglienza presso i vescovi latini, le badie dei religiosi, tenendo conto anche che siamo dopo il Concilio di Firenze (1439), conclusosi con un Bolla di unione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. La loro presenza attiva, responsabile e garante, benché di tradizione bizantina, è stata di valido aiuto nel loro inserimento in Italia. Pertanto va a loro il grande merito insieme a insigni rappresentanti laici di aver programmato e realizzato la sistemazione in terra straniera e non sempre ospitale di questi immigrati albanesi, disseminati in tutto il sud Italia.

Solo alcuni nomi sono noti per aver firmato i contratti, le cosiddette “Capitolazioni” con l’autorità del luogo e per aver scritto in difesa della loro popolazione. Con tenacia e con orgoglio di appartenenza e col sentirsi tutt’uno con i loro corregionali e connazionali, li hanno guidati e protetti.

     Con tutte le loro debolezze, limiti e difficoltà incontrate, ma conoscitori dello spirito umano, anche per loro studi umanistici, filosofici e teologici sia a S. Demetrio Corone che a Roma e per il loro amore fraterno verso tutti, sono stati punti di riferimento, propulsori di unità e di amalgama fra le diverse esigenze dei componenti della comunità.

     Dai registri parrocchiali di Civita, iniziati nel 1610, risulta un numeroso elenco di sacerdoti nella loro funzione di amministratori di sacramenti. Il primo è D. Frascino Giovanni. Seguono Bellusci, Dorsa, Stamati, Comino Alfonso, Lopez, Bellizzi, D’Agostino, Pellicano, Zucchero ed Emmanuele.

Civita possiede i libri liturgici del 1700, consumati dal tempo e dal continuo uso, segno della preghiera costante, da cui si ispiravano per la loro vita spirituale e quella della comunità. Però voglio soffermarmi sugli ultimi parroci, impegnati per quasi due secoli a servizio della parrocchia di Civita.

 

Pellicano Nicola (1847-1873)

Proviene da una famiglia benestante e numerosa di origine reggina, ma presente in questo paese già a metà del 1600. Di lui è scritto nella lapide posta in chiesa, in latino: Don Nicola arciprete Pellicano di vita integra, perito nel campo letterario, per molte sue cure rifece, aumentò, abbellì questa chiesa, con l’intervento del pittore Vincenzo Capaccio 1858.

Da un documento notarile del 1641, la chiesa parrocchiale di S. M. Assunta era già in buona fase di costruzione con le tre navate.

Una certa signora Camodeca Martina di Castroregio, vedova di Giovanni Bellusci, afferma di aver fatto costruire una cappella dentro la Chiesa Madre di detto casale in onore della Madonna del Rosario e che i figli la decorassero e la custodissero. Siamo ai primi del 1600, ancora memori della famosa battaglia di Lepanto, in cui i cristiani sconfissero gli ottomani.

La suddetta signora ha voluto ricordare questo evento con la cappella dedicata alla  santa Protettrice del popolo albanese.

Non ci sono documenti che attestino il tipo di intervento. Si suppone che abbia ampliato la sacrestia e il campanile. Rimangono ancora le testimonianze degli affreschi sul soffitto a volta a botte incannucciato in buono stato. Le altre due navate laterali hanno le volte a botte in pietra e in mattoni. Partendo dall’entrata sono raffigurati l’Immacolata, S. Biagio vescovo e martire, la Trinità, infine la Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina.

Decorò tutta la chiesa con vera arte, fiori, viti, volti angeli, stucchi barocchi, semplici e piacevoli. Questa decorazione scomparve con i lavori effettuati nel 1937. Gli ultimi anni si ammalò gravemente e gli successe il nipote Pellicano Antonio. Tra le carte conservate nell’archivio parrocchiale risulta che ha compilato un lavoro prezioso e circostanziato: Lo stato delle anime (1864). Di questo rimangono appena tre fogli. Sono però segni dell’impegno pastorale e di una buona conoscenza delle famiglie di Civita. Un altro Stato d’anime è del 1780, che indica i vari rioni, capofamiglia, nucleo familiare.

Da notare che i battesimi, annualmente, superavano le cento unità, così anche i defunti.

 

Pellicano Antonio (1873-1908)
Di questi non ci sono scritti in possesso della parrocchia, eccetto i registri parrocchiali da lui trascritti.
Però durante il suo parroccato sono iniziate le emigrazioni verso il nord America. Nei primi anni del 1880, “settanta” uomini hanno lasciato il paese.

Con le rimesse, frutto del loro lavoro, si è sviluppato il rione “Magazzeno”, con vie ampie e diritte, e il benessere familiare prosperò con l’acquisto di proprietà terriere verso Lauropoli e il monte di Cassano. Anche lo stile di vita si “americanizzò”.

Nel 1896 si pose l’orologio meccanico sul campanile che, assieme alle campane, con i suoi rintocchi, ha segnato e continua a segnare la vita dei civitesi.

 

Mons. Giovanni Mele (1909-1913):

Di animo mite, cordiale e scrupoloso, iniziando a Civita i suoi primi passi di sacerdote e vivendo con le due sorelle, egli con puntualità e sobrietà si dedicava al suo esercizio sacerdotale, impartendo il catechismo ai ragazzi e agli adulti. Nel 1913 viene trasferito a Lungro, nel 1919 è eletto primo vescovo della nuova diocesi. La sua calligrafia sui registri è chiara, precisa e inconfondibile. E’ il primo parroco non civitese, che ha dovuto prendere in affitto una casa costruita con le rimesse degli emigrati americani, perché prima ogni sacerdote abitava presso la propria famiglia.

Il tempio di culto, grande e maestoso, era sprovvisto di struttura pastorale e di abitazione per il parroco.

 

D’Agostino Domenico (1914-1935)

Proviene da Plataci, dove svolse il suo primo ministero (1907-1914). Era un vulcano nel suo parlare, nel suo agire, aperto, socievole, generoso e intelligente. Si ricorda ancora con simpatia la sua voce brillante che incantava per le sue battute particolari. Anche oggi gli anziani dicono: “Ngle Zoti D’Agostino, thoj, këntonjei, bënjei”. Un vero testimone di fede!

Di carattere insofferente e quieto, cambiò diverse abitazioni. Prima abitò negli stretti locali della sacrestia e del Campanile, fornendoli di servizi di acqua corrente. Sua madre era una donna veramente santa: non consumava mai da sola i cibi, vi era sempre qualche povero accanto a lei e al figlio. Negli anni 1916-1928 tenne le cosiddette missioni popolari. La croce, posta all’inizio del paese, le testimoniano.

Scrive al Papa Pio XI, al prefetto di Cosenza, ai vescovi di Cassano e di Lungro, ponendo la necessità di una struttura pastorale e di una casa canonica. Voce non esaudita!

Pone attenzione particolare verso la gioventù, l’Azione Cattolica e il gruppo “Le Figlie di Maria”, il quale gruppo si impegnò per l’impianto elettrico in chiesa (1924). In questo periodo scomparvero le congreghe religiose.

Nel 1935 ebbe l’idea di voler cambiare parrocchia, perché insoddisfatto delle sue attività pastorali. Una richiesta non pienamente convinta, ma una forma di protesta. Mons. Mele accettò le sue dimissioni e nominò Francesco Camodeca, trasferendolo da Eianina. D’Agostino scrive al vescovo di voler ritirare le dimissioni. Gli fu risposto un po’ duramente che ormai era tardi. Per alcuni mesi va a Plataci, poi Eianina, ed infine a S. Giorgio, dove muore nel 1944 per un infarto.

 

Camodeca Francesco (1935-1985)

Da nobile famiglia dei Coronei di Castroregio, aveva compiuto gli studi medi, come D’Agostino, presso il seminario di Cassano e ordinato sacerdote il 27 dicembre 1927 a Roma da mons. Isaia Papadopulos. Svolse il primo ministero ad Eianina dal 1928 al 1935.

Venne a Civita il 22 dicembre 1935, dove rimase per cinquant’anni. Nel 1985 si dimise da parroco per l’età avanzata e le difficoltà  di adempiere agli obblighi pastorali. Ancora si conservano le sue prime omelie.

Uomo colto, prudente e riservato, fu stimato ed apprezzato da mons. Mele che gli affidò diversi incarichi: Presidente del Tribunale Ecclesiastico Diocesano, Cancelliere della Curia vescovile, Direttore ufficio amministrativo, Assistente dell’Azione Cattolica, il delicato compito di Delegato vescovile. Negli anni ’30 e ’40 è stato uno dei maggiori collaboratori nella vita della giovane eparchia.

A Civita aprì una scuola media privata, insegnando egli stesso italiano, latino, greco, matematica, storia e geografia, per venire incontro alle famiglie e ai giovani che non potevano raggiungere Castrovillari, dove venivano presentati agli esami di stato. Molti dei professionisti di oggi lo ricordano con stima e simpatia. Il suo impegno scolastico non lo distolse dalle attività pastorali. Impartiva con puntualità ogni giorno in quaresima il catechismo ai ragazzi della V elementare e curava con scrupolosità i giovani dell’Azione Cattolica. Per le classi I, II, III e IV impegnò le ragazze dell’Azione Cattolica. E’ stato un lavoro fruttuoso anche perché le signore, oltre il catechismo, hanno preso in cura anche la chiesa, con la pulizia, con il cucire e ricamare a uncinetto le tovaglie, che ancora oggi si possono ammirare.

            D’Agostino sognava una degna abitazione per il parroco con i vari  uffici. Ci riuscì Camodeca nel 1956. Con l’aiuto della S. Congregazione Orientale, acquistò una casa ampia e comoda nel rione Magazzino con un giardino, dove nel 1963 costruì anche la scuola materna, finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno e affidata alle suore basiliane. Oggi, chiusa per mancanza di bambini, è diventata casa di accoglienza e struttura per le attività parrocchiali.

Il suo pensiero è rivolto anche alla chiesa come edificio. Nel 1937 un benefattore civitese G.B. Scaracchio, residente in Brasile, diede un congruo contributo per rifare il pavimento in mattoni di cemento, decorare la chiesa e acquistare le prime sedie.

Lo attesta una lapide posta alla navata laterale. Nel 1977, in occasione del suo cinquantesimo di sacerdozio, mons. Giovanni Stamati lo insignì del titolo di archimandrita.  Ha lasciato questo mondo per la casa del Padre il 3 marzo 1989, all’età di 86 anni. Il vescovo, nella sua circolare diretta al clero e ai fedeli, scriveva: “L’archimandrita Francesco Camodeca ha servito la Chiesa con fedeltà, amore e zelo pastorale”.

La sua salma riposa nel cimitero di Civita. I validi collaboratori di questi ultimi parroci sono stati i sacerdoti: Bellusci Francesco, Bellusci Angelo, Emmanuele Nicola e Pellicano Giuseppe Maria, morto nel 1941. Da allora Civita non ha espresso alcun altro sacerdote, benché negli anni ’50 e ’60, un forte nucleo di ragazzi frequentò i seminari minore e maggiore.

 

Conclusione

I due Pellicano hanno avuto la loro formazione culturale e spirituale nel Collegio di S. Adriano in S. Demetrio Corone, invece Mele, D’Agostino, Camodeca, prima frequentarono le scuole medie nel seminario di Cassano, poi filosofia e teologia presso il Pontificio Collegio Greco di Roma, diretto dai padri Benedettini.

Tutti hanno profuso un intenso impegno culturale e spirituale.

 

Dagli ultimi tre, provenienti da Roma, si aspettava che dessero un tono specifico nel campo liturgico e strutturale degli edifici di culto, ma prigionieri delle dure scorie di ibridismo formate nel passato, sotto orientamento dei vescovi latini non riuscirono a riscoprire la loro identità di Chiesa bizantina, di valorizzare il proprio patrimonio liturgico e teologico, modificare strutture interne: iconostasi, altari e altro spazio sacro, e introdurre le icone secondo i canoni dell’arte bizantina.

 

Infatti nel 1900 sono state ancora moltiplicate e incentivate usanze latine, come statue, via crucis, novene, benedizioni vespertine, il rosario e altre preghiere in latino, anche sotto l’influsso selle missioni popolari dei vari padri Passionisti e Redentoristi, tralasciando le ufficiature come Paraklisis, Akathistos, Proiasmena.

Ancora oggi la signora Vavolizza Rachele, anni 103, canta e prega in latino.

Però nelle grandi festività veniva celebrato il Mattutino e le varie Ore, il Vespro solenne e cantato in greco in musiche tradizionali, secondo un Tipikon locale, conservato ancora nell’archivio parrocchiale, che fa riferimento a quello di Costantinopoli. (Besa/Roma).

BELGRADO

DIALOGO CATTOLICO-ORTODOSSO

“conciliarità e autorità nella chiesa”

 

A Belgrado, ospitata dalla Chiesa serba, ha avuto luogo la IX sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Riportiamo in traduzione italiana il comunicato divulgato a conclusione della sessione:

 

IX  Sessione Plenaria

La nona sessione plenaria della Commissione Mista  Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme si è tenuta a Belgrado, in Serbia, dal 18 al 25 settembre 2006 allo scopo di continuare la ricerca, avviata nel 1980,  del ristabilimento della piena comunione.  La Chiesa ortodossa di Serbia ha generosamente offerto l’ospitalità all’incontro.  Esso si è ufficialmente inaugurato nella cappella del Patriarcato serbo  alla presenza di Sua Santità il Patriarca Pavle, che ha dato il benvenuto ai membri della Commissione assicurandoli del suo sostegno nella preghiera. Il Patriarca ha affermato: “….Benvenuti  in questa Casa del Signore della nostra Chiesa, tra il nostro popolo e nella mia casa! La mia umile preghiera avvolgerà il vostro  Dialogo Teologico di amore e di verità, per il quale siete riuniti qui. Ciò che è ben più significativo, e che è anzi più importante di tutto, è che voi siate fortificati dalla grazia dello Spirito Santo, che corregge tutte le nostre manchevolezze e guarisce tutte le nostre debolezze”.

La Commissione ha invocato lo Spirito Santo sui suoi lavori.

     Nella prima sessione dell’incontro, che si è svolto presso il Centro Internazionale Sava, i co–presidenti della Commissione, S.E. il Cardinale Walter Kasper e S.E. il Metropolita Ioannis di Pergamo, hanno introdotto i lavori della Commissione; il Metropolita di Zagabria, Jovan, ha dato il benvenuto ai presenti a nome del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Serbia.

 

Il Primo Ministro serbo, Dott. Vojislav Koštunica, si è rivolto alla Commissione affermando: “…Le Chiese d’Oriente e d’Occidente con il loro dialogo stanno offrendo uno straordinario esempio, e questo incontro teologico a Belgrado costituisce un punto di riferimento lungo il cammino. Il più grande dono che può essere fatto all’umanità contemporanea è quello di convincere i popoli, e forse prima di tutto le élite politiche, che il dialogo non ha alternative,  e che ogni forma di esercizio della forza, di comando o di imposizione di modelli e soluzioni proprie – principalmente al servizio di interessi personali – lungi dall’edificare la pace, la fiducia, la solidarietà e la cooperazione,  distrugge ciò che resta dei ponti tra popoli e comunità che si fronteggiano…”. Il Primo Ministro ha anche offerto un ricevimento ed una cena a tutti i partecipanti all’incontro.

La Commissione è composta da 30 membri ortodossi e

altrettanti membri cattolici, ed è moderata da due co–presidenti, S.E. il Cardinale Walter Kasper e S.E. il Metropolita di Pergamo, Ioannis (Patriarcato ecumenico). S.E. il Metropolita di Sassima, Gennadios (Patriarcato ecumenico) e Mons. Eleuterio F. Fortino (Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani) svolgono il compito di co–segretari della Commissione. La Delegazione cattolica a Belgrado era presente al completo, ad eccezione di due membri, che non hanno potuto prendervi parte. I membri ortodossi rappresentavano il Patriarcato ecumenico, il Patriarcato di Alessandria e di tutta l’Africa, il Patriarcato di Antiochia, il Patriarcato di Gerusalemme, il Patriarcato di Mosca, il Patriarcato di Serbia, il Patriarcato di Romania, il Patriarcato di Georgia, la Chiesa di Cipro, la Chiesa di Grecia, la Chiesa di Polonia, la Chiesa d’Albania, la Chiesa delle Terre Ceche e di Slovacchia, la Chiesa di Finlandia.

La Commissione ha discusso un testo dal titolo:  Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche dalla natura sacramentale della Chiesa: conciliarità e autorità nella Chiesa”, a tre livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale.

Il testo era stato preparato dal Comitato Misto di Coordinamento della Commissione riunito a Mosca nel 1990. Esso avrebbe dovuto essere presentato alla sessione plenaria della Commissione a Freising (Germania), nello stesso anno 1990, ma non fu discusso né in quell’occasione né successivamente poiché gli eventi allora in corso in Europa Orientale imposero alla Commissione di trattare il tema dell’«uniatismo» in relazione al dialogo ecumenico. Nell’attuale incontro, il documento preparato a Mosca è stato attentamente esaminato in uno spirito, condiviso dalle due parti, di genuino impegno a ricercare l’unità.

La  Commissione ha nominato un comitato di redazione con l’incarico di emendare il documento sulla base delle numerose osservazioni e commenti espressi durante la discussione del testo. Il documento così emendato sarà l’oggetto dei dibattiti della prossima sessione plenaria della Commissione che si terrà nel 2007, ospitata dalla Chiesa cattolica.

Durante la settimana dell’incontro, i delegati cattolici  sono stati presenti alla Divina Liturgia nella chiesa di San Marco, celebrata in occasione della Festa della Natività della Madre di Dio, la Theotokos; i membri ortodossi, su invito dell’Arcivescovo di Belgrado, S.E. Mons. Stanislav Hočevar, sono stati presenti ad una Messa nella cattedrale cattolica di Belgrado  dedicata all’Assunzione della Santa Vergine. I membri della Commissione hanno anche avuto l’opportunità di visitare lo storico Monastero di Ravanica dove il vescovo di Branichevo, S.E. Ignatij, ha offerto loro una cena.   La domenica 24 settembre, il Presidente della Serbia, S.E. Boris Tadić ha offerto una cena presso la sua residenza in onore della Commissione.

     L’incontro della Commissione Mista è stato caratterizzato da uno spirito di amicizia e di fiduciosa collaborazione. I membri della Commissione hanno profondamente apprezzato la generosa ospitalità della Chiesa ortodossa di Serbia ed essi raccomandano, con particolare intensità, la continuazione dei lavori del dialogo alle preghiere dei fedeli (Besa/Roma).

 

LUNGRO
TRE CHIROTONIE PRESBITERALI

 

Nell’eparchia di Lungro, prossimamente, avranno luogo tre chirotonie presbiterali. Domenica 15 ottobre il diacono Ivan Pitra verrà ordinato nella Cattedrale; domenica 29 ottobre, il diacono Marcello Iancu nella chiesa parrocchiale di S. Benedetto Ullano; domenica 5 novembre, il diacono Raffaele De Angelis nella chiesa parrocchiale di Acquaformosa.

Nella circolare di settembre, il vescovo di Lungro, mons. Ercole Lupinacci, scrive: “Invito tutti ad offrire preghiere e sacrifici per gli ordinandi, perché lo Spirito Santo li riempia dei suoi doni e li conformi a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, per la gloria del Padre e la santificazione del popolo di Dio” (Besa/Roma).

 

KOSOVA

TRE MONUMENTI ORTODOSSI

luoghi del patrimonio mondiale

 

Il Comitato dell’UNESCO per il  Patrimonio Mondiale, nella riunione di luglio, tenuta a Vilnius (Lituania), ha deciso di includere tre monumenti che si trovano nella Kossova: la chiesa di Nostra Signora di Ljeviš, il monastero di Gračanica e il Patriarcato di Peć.

La chiesa di N.S. di Ljeviš si trova a Prizren ed è stata costruita nel 1307; le decorazioni di Gračanica sono state terminate nel 1321; le decorazioni del complesso di Peć sono della metà del secolo XIV (Besa/Roma).

 

LUNGRO
CORO POLIFONICO ITALO-BIZANTINO

 

Per il XXV anniversario della chirotonia episcopale del vescovo di Lungro mons. Ercole Lupinacci, il coro polifonico bizantino italo-albanese, diretto dal prof. Giovan Battista Rennis, ha registrato un’ interessante antologia di canti della liturgia bizantina in un CD offerto in omaggio e augurio per il vescovo. Iniziativa utile da continuare con la registrazione delle principali akolouthie in modo da favorirne l’apprendimento e la divulgazione nelle varie Comunità italo-albanesi per rafforzare il canto della preghiera nella liturgia (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

70

HESYCHIA (13): CAMMINO DI ASCESA VERSO LA TRANQUILLITA’ DELL’ANIMA

 

L’hesychìa prevede un cammino in salita. Tre immagini biblico - patristiche ci illustrano il processo verso la tranquillità dell’anima e del corpo: la scala con i suoi gradini indica la lenta progressione, il Monte (Sinai e Tabor) l’ascesa alla visione di Dio e la crescita alla misura di Cristo vera immagine di Dio. L’hesychìa non è accidia, non è passività, ma tensione continua verso la perfezione e la santità a cui Gesù Cristo ha chiamato i suoi seguaci.

 

1. Il metodo per l’acquisizione della hesychìa insegnato da Giovanni Climaco (VI-VII sec.) attualmente si chiama La Scala (klimax). Da qui proviene il nome climaco che la tradizione dà all’autore “Abba Giovanni, egumeno dei monaci del Monte Sinai”. Il titolo originale dell’opera - come risulta da vari manoscritti - era Tavole Spirituali (Plàkes pneumatikaì) a causa del paragone tra l’egumeno che conduce i suoi monaci verso Dio attraverso la liberazione delle passioni e Mosé che libera Israele dalla schiavitù del faraone. L’immagine della scala si fonda sulla visione-sogno di Giacobbe e conferisce l’unità all’intera opera del Climaco. Giacobbe vide una scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo (Gen 28,12). Il Climaco rivolto a Dio-Carità in un discorso diretto chiede spiegazioni: “Come si può compiere una tale ascensione! Quali sono i gradini che formano insieme questa scala” (XXX, 18 ). La Scala in 30 gradini individua il cammino verso Dio e verso la serenità interiore. La struttura de La Scala viene suddivisa in tre parti: Rottura con il mondo (gradini I-III); Virtù e passioni (gradini IV-XXVI; Unione con Dio (gradini XXVII-XXXX). E’ l’unione con Dio la vera causa della hesychìa.

Nel “Discorso al Pastore”, cioè a Giovanni Raiko cui è dedicata La Scala, il Climaco cita un salmo sulla fatica che occorre per crescere nella vita spirituale: “Quanta fatica è davanti a me finché non sono entrato nel santuario di Dio” (Sal 72,16-17). Ma anche aggiunge in paragone con Mosé: “Tu stai veramente seguendo le sue orme, e progredendo continuamente verso l’alto sei quasi arrivato a superarlo” (La Scala, Discorso al Pastore 100b). Sempre riferendosi all’egumeno Giovanni Raiko, il Climaco conclude la sua opera con queste parole: “Tu ormai hai raggiunto la cima della santa scala e ti sei unito alla carità e la carità è Dio stesso”.

 

2.  San Gregorio di Nissa (331c.- 394c.) nella “Vita di Mosè” aveva già descritto la salita sul monte Sinai e l’incontro con Dio come l’itinerario spirituale del cristiano. Per accostarsi al monte bisogna che il popolo sia purificato e abbia le vesti lavate e non superi il limite segnato da Mosé; soltanto quando suonerà il corno il popolo può salire sul monte (Es.19,10.12.13). Nel frattempo Mosé parla con Dio, riceve i comandamenti, accoglie e trasmette l’Alleanza (Es 20,19). Il Nisseno, dopo la narrazione storica della vita di Mosé fa  una lettura anagogica, una spiegazione introspettiva. “Colui che vuole accostarsi alla contemplazione delle realtà che sono in alto deve prima purificare da ogni movimento sensibile e irrazionale il suo modo di vivere, lavare la sua mente” (Vita di Mosé 156). E occorre salire. Mosé “non interrompeva mai la sua salita. Una volta salito sulla scala, sulla quale Dio era appoggiato, - come dice Giacobbe - continuamente saliva sul gradino superiore” (Ibidem, 227). Sempre trovava un altro gradino. Mosé, nel dialogo con Dio, raggiunge uno stadio di serenità. San Gregorio scrive: “Fa della quiete la maestra degli insegnamenti sublimi e così illumina la sua mente con la luce che brilla dal roveto” (Ibidem, 308). Nelle opere del Nisseno trova una condizione predominante l’apàtheia, intesa non come chiusura alle influenze esterne, ma come superamento delle passioni e restaurazione dello stato paradisiaco, sereno, pacifico. Come impassibilità raggiunta. L’apàtheia è la vita soprannaturale dentro l’anima, secondo il Danielou (Platonisme, p. 84). La brama inesausta dell’anima di giungere sempre più in alto attraversa l’intera scala  dell’esperienza spirituale e culmina nella mistica. “La vita mistica è il culmine della conoscenza, un grado superione alla gnosi” (Claudio Moreschini, Opere di Gregorio di Nissa, p. 35). In questa nuova situazione l’animo umano ritrova la sua quiete.

 

3.  Queste immagini spaziali presuppongono o almeno esigono il cammino interiore, la nascita dell’uomo nuovo e la sua crescita fino alla misura stessa di Cristo. Nel battesimo l’uomo rinasce ad una vita nuova  ed è chiamato ad essere “conforme all’immagine” del Figlio di Dio, primogenito dell’umanità. Non si tratta di una conformità esteriore, ma di una conformità che tocca l’essere stesso. Ciò indica il termine sýmmorphos (conforme). Morphê in S. Paolo significa il modo di essere; per il battezzato la nuova condizione esistenziale, che si manifesta nella vocazione ad avere anche gli stessi sentimenti di Gesù mantenendoli nel vincolo della pace. L’immagine che può sintetizzare l’intero processo spirituale verso la hesychìa è la progressiva trasfigurazione (metamòrphôsis) in cui i credenti (2 Cor 3,18) sono  trasformati “di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito” (Besa/Roma).

 

Roma, 8 ottobre 2006

 

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Circolare settembre 2006                                                                                                                  186/2006

Sommario

 

I detti di Gesù (44): E non gettate le vostre perle ai porci…………...………….….……………..1

BELGRADO: Dialogo teologico fra le Chiese Cattolica e Ortodossa............................................ 2

LUNGRO: Comunità arbëreshe bizantina................................................................................... 2

ROMA: Oriente Cristiano in Italia.............................................................................................. 5

MEZZOIUSO: XXV anniversario della morte di mons. Giuseppe Perniciaro................................. 8

TIRANA: Nominato il vescovo ausiliare..................................................................................... 9

UCRAINA: Catechismo greco - cattolico................................................................................... 9

CASTROVILLARI: Una nuova parrocchia dell’eparchia di Lungro............................................. 9

CALABRIA: Le parole non costano niente................................................................................. 9

LUNGRO: XXV di Chirotonia episcopale di mons. Ercole Lupinacci.......................................... 10

ROMA: Autografo di Benedetto XVI....................................................................................... 10

ROMA: Hesychìa: L’Ascesi e la tranquillità dell’anima e del corpo....................................... 11

 

 

Ta lòghia – I detti di Gesù (44): “E non gettate le vostre perle ai porci”

 

            Gesù sta insegnando ai suoi discepoli la vera pratica religiosa. Dà un insieme di consigli che racchiude una sintesi del suo annuncio. Alcune affermazioni di Gesù, nell’apparente semplicità, esprimono paradossi che per la loro comprensione esigono un’attenta analisi avendo presente il complesso generale del Vangelo. Altrimenti si rischia si vanificare o di alienare l’insegnamento stesso di Gesù. Egli ha appena ordinato di non giudicare “per non essere giudicati” (Mt 7,1) e immediatamente dà un consiglio che implica un giudizio di discernimento. “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranare” (Mt 7,6). Cosa sono le cose sante, cosa sono le perle? E chi rappresentano i cani e chi i porci? Una facile identificazione di categorie (stranieri, peccatori, eretici) contraddice alla missione salvifica universale di Cristo e al seguente consiglio: “Quello che ascoltate all’orecchio, predicatelo sui tetti”(Mt 10,27).

“Le cose sante” (tò àghion), quest’espressione nell’A.T. e nel tempo di Gesù designa le vivande offerte in sacrificio e pertanto: “Nessun estraneo ne deve mangiare perché sono cose sante” (Es 29, 33).  Si tratta quindi di “cose” preziose.“Le perle” (margarìtas) sono cose di valore, con percezione immediata. Gesù per entrambe richiede un rispetto intransigente. Non devono essere calpestate – disprezzate, sporcate, manipolate – tanto da escludere dal loro contatto cani e porci. Non bisogna confondere le perle con le ghiande. Nella tradizione esegetica si trova l’identificazione di queste “cose sante” e “perle” nel Vangelo, nella dottrina cristiana, nei sacramenti, secondo i casi.

“I cani” e i porci” sono certamente espressioni che per la mentalità giudaica del tempo – quella di coloro che ascoltavano Gesù – significavano individui “che per loro testimonianze hanno mostrato di essere pienamente induriti” (Calvino il riformatore). L’espressione non limita la predicazione, ma sembra rilevare che per alcuni è inutile, quando non è di peggiore esito perché, respinto l’annuncio, essi possono rivoltarsi a sbranare gli annunciatori.

La Liturgia bizantina usa in positivo l’espressione. All’approssimarsi della partecipazione all’Eucaristia, il diacono ammonisce: “Le cose sante (i santi doni -tà àghia) ai santi”. S. Giovanni Crisostomo (Omelie sul Vangelo di Matteo, 23,3) ha presente un altro uso liturgico: “Perciò celebriamo i misteri a porte chiuse e allontaniamo i non iniziati…perché i più sono ancora troppo imperfetti per essi” (Besa/Roma).


 

BELGRADO

DIALOGO TEOLOGICO

FRA LE CHIESE CATTOLICA E ORTODOSSA

 

La Commissione mista Internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo Insieme terrà la prossima sessione plenaria a Belgrado, dal 18 al 25 settembre 2006. Sarà ospitata dal Patriarcato ortodosso di Serbia.

I precedenti documenti riguardanti il tema della comunione pubblicati dalla Commissione mista sono:

·                     “Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia, alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera 1982);

·                     “Fede, sacramenti e unità della Chiesa” (Bari 1987);

·                     “Il sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, 1988);

·                     “L’uniatismo, metodo del passato e l’attuale ricerca dell’unità (Balamand, Libano, 1993).

Nel 2000 la Commissione s’incontrò a Baltimora (Usa), per approfondire gli aspetti ecclesiologici e canonici di quest’ultimo tema, ma non riuscì a concordare alcun testo comune.

A Belgrado la Commissione esaminerà il progetto: Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: conciliarità ed autorità nella Chiesa”.

Tale testo sarà studiato tenendo in considerazione l’indicazione del Comitato Misto di Coordinamento (15 dicembre 2005) di introdurre nello studio le due questioni connesse del cosiddetto “uniatismo” e del primato del vescovo di Roma, questioni tra di esse connesse.

Riferendosi a questa nuova fase di dialogo Papa Benedetto XVI ha affermato che è necessario avere il primordiale desiderio di fare tutto il possibile per ristabilire la piena comunione. Essa “è comunione nella verità e nella carità. Non possiamo accontentarci di fermarci lungo il cammino, ma con coraggio, chiarezza ed umiltà, dobbiamo cercare senza sosta la volontà di Gesù Cristo, anche se essa non corrisponde ai nostri semplici disegni umani. La piena unità e la riconciliazione richiedono la sottomissione della nostra volontà alla volontà di nostro Signore (15 dicembre 2005).

In vista del prossimo incontro i co-presidenti hanno riaffermato lo scopo del dialogo così come esso era stato formulato al suo inizio nel 1980 a Rodi:

Lo scopo del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa è il ristabilimento della piena comunione. Tale comunione, basata sull’unità di fede secondo l’esperienza comune e la tradizione della Chiesa primitiva, troverà la sua piena espressione nella comune celebrazione dell’Eucaristia”.

La Commissione Internazionale è composta da 60 membri (Metropoliti, Cardinali, vescovi e teologi).

Co-Presidenti sono il Cardinale Walter Kasper (Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani) e il Metropolita Ioannis di Pergamo (Patriarcato ecumenico).

Co-segretari: il Metropolita Gennadios di Sassima (Patriarcato Ecumenico) e Mons. Eleuterio Fortino, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (Besa/Roma).

 

LUNGRO

COMUNITÀ ARBËRESHE BIZANTINA

 

Abbiamo chiesto al prof. Giovan Battista Rennis, protopsalte della Cattedrale di Lungro, una presentazione della comunità arbëreshe di Lungro nei suoi lineamenti storici e religiosi, che riportiamo qui di seguito:

 

Le origini: il monastero italo-greco Sancta Maria

a Fontibus

 

Era il 1525. Dopo circa quattro secoli di attività, i monaci italo-greci lasciavano il centro monastico di Sancta Maria a Fontibus, che aveva reso il casale di Lungro uno dei luoghi più rinomati del territorio. I primi segni della sua decadenza si erano già registrati nel 1457, allorché l’abate Elia di Carbone era andato a vivere nel convento domenicano di Altomonte, a pochi chilometri da Lungro, propter eius desolationem, a causa delle rovine dell’edificio monastico. Un secolo più tardi il monastero fu trasformato in commenda, sotto la tutela dei cardinali Giulio Roma e Niccolò Colonna, che tentarono di ristrutturarlo, ma inutilmente. Ormai la civiltà italo-greca nel Meridione d’Italia era definitivamente terminata. I monaci di Lungro, però lasciarono un casale autonomo dalle ingerenze della contea di Altomonte e ricco di testimonianze legate alla tradizione bizantina, quali biografie di Santi orientali e italo-greci, codici melurgici, una chiesa bizantina in onore della Vergine Assunta, del XII secolo, preesistente al monastero, della quale faceva parte un affresco raffigurante la Santa Parasceve, conservato oggi in cattedrale, e diverse chiesette dedicate a Santi orientali ed italo-greci, disseminate nelle zone periferiche del paese, tra cui quella in onore di S. Pietro apostolo, di S. Parasceve, di S. Ippolito martire (il carceriere di S. Lorenzo) e di S. Fantino il Taumaturgo. Il monastero ospiterà i frati domenicani di Altomonte, che vi dimoreranno per circa più di un secolo, dal 1525 al 1635, per poi essere ceduto al clero secolare.

 

Gli insediamenti albanesi

 

Alla fine dello XV secolo, poco prima che i monaci lasciassero il monastero per essere ospitati in un altro ancor più famoso denominato di “San Sozonte” (odierna S. Sosti), nel casale di Lungro si insediarono i profughi albanesi (decennio 1480-1490), per i quali l’abate Paolo della Porta, originario di Sorrento, stipulò i capitoli. Gli albanesi di Lungro nonostante difficoltà di ordine economico, sociale e religioso, sorte ai primi tempi del loro insediamento, segnarono una svolta decisiva nel controllo del territorio. Se nel periodo medioevale, infatti, le attività sociali si svolgevano nella zona del borgo, a sud del casale, dov’era situata la chiesetta bizantina di S. Maria Assunta, a poca distanza dal monastero, dal XV secolo in poi la loro presenza determinò lo spostamento dell’asse di interesse sociale verso Nord, perché fosse più efficiente il sistema difensivo in caso di minacce esterne.

L’attività economica, basata principalmente sull’agricoltura e sulla pastorizia, puntava sulla miniera di salgemma, un riferimento lavorativo sicuro, sia per Lungro sia per i casali limitrofi, nonostante l’estrazione del sale comportasse continui rischi per l’incolumità degli operai a causa della mancanza di apparecchiature idonee. Era duro lavorare sotto terra, a dorso nudo, dove la morte era sempre in agguato per le improvvise cadute di pezzi di salgemma che si staccavano dalle pareti.

Dal punto di vista demografico l’arrivo degli albanesi determinò un notevole incremento che andò via via crescendo. Se nel 1532, circa 60 anni dopo il loro insediamento, Lungro contava 67 fuochi (famiglie) di origine albanese, tredici anni più tardi si arrivò a 149.

L’aspetto religioso presentava una realtà più complessa. Il centro monastico di Sancta Maria a Fontibus, fino a quando non si insediarono i frati domenicani, nel 1525, rappresentò l’unico punto di riferimento per i fedeli arbëreshë immigrati. Gli ultimi monaci rimasti, come un certo Fra’ Dionisio, che teni scola di litteri greci in dicto casale di Lungaro, insegnavano lingua greca agli allievi, alcuni dei quali intraprendevano la via del sacerdozio, così come testimonia l’arciprete della chiesa di S. Niccolò di Mira in Lungro. Egli, nel 1575, essendo stato incaricato dalla S. Sede, quale visitatore dei monasteri italo-greci del territorio, annotava di essere stato ospite al monastero di Sancta Maria a Fontibus, dove avevano dimorato monachi graeci e ricordava di essere stato egli stesso illorum discipulus. Dato il notevole aumento demografico, nacque l’esigenza di costruire una chiesa più vasta, probabilmente sulle rovine di quella bizantina d’epoca medioevale, che sarà dedicata a S. Niccolò di Mira. Fu aperta al culto nel 1547 e già 30 anni più tardi contava dodici sacerdoti, tra i quali Pietro Matino, sei diaconi, tra questi Giorgio Burrelee e l’arciprete che era stato discepolo dei monaci italo-greci.

E’ di questo periodo la costruzione di un’edicola, alle porte del casale, raffigurante la Vergine assisa in trono con il Bambino in grembo, venerata ancora oggi dai lungresi sotto il titolo di S. Maria di Costantinopoli o dell’Odigitria (colei che indica la via, cioè il Cristo), comunemente chiamata Santa Maria dell’Icona e la costruzione della chiesetta in cima al paese in onore di S. Elia il Profeta, che, nel Seicento, allorquando fu aperto il convento dei Padri carmelitani, conobbe un culto straordinario tra i lungresi.

 

 

La comunità socio ecclesiale dal XVII secolo in poi

 

Nel Seicento la comunità italo-albanese di Lungro, che contava già 700 abitanti, era ben organizzata dal punto di vista ecclesiale, grazie alla presenza di parecchi sacerdoti, diaconi e suddiaconi. Due in particolare furono le famiglie albanesi di illustri origini, Cortese e De Marchis, a dare alla comunità un consistente numero di presbiteri e vescovi.

Nella prima metà del secolo officiavano nella chiesa di S. Nicola di Mira parecchi sacerdoti fra cui Giorgio Cortese, arciprete di Lungro. Tra i suoi coadiutori vi fu Antonio Cortese, colui che concesse un proprio terreno ai Padri carmelitani per la costruzione del convento (1608).

Del monastero di Sancta Maria a Fontibus, ormai decadente, si prese cura il cardinale commendatario Giulio Roma, che fece restaurare, a partire dal 1634, alcune stanze dell’edificio, rimaste poco agibili e con muri diroccati, soprattutto dopo il terremoto del 1456.

Arciprete di Lungro fu anche Carlo di Marco (il cognome sarà tramutato in De Marchis dal figlio mons. Gabriele de Marchis), padre di numerosi figli, la maggior parte dei quali seguì la carriera ecclesiastica. I primi due furono nominati vescovi: mons. Gabriele, nel 1717, vescovo di Sora (Frosinone) e mons. Niccolò vescovo ordinante e presidente del Collegio Corsini a S. Benedetto Ullano.

Il Seicento si caratterizzò a Lungro come un periodo di assestamento e di sviluppo del rito bizantino, anche se non mancarono sacerdoti che passarono al rito latino. Ma fu soprattutto il clero religioso che in questo secolo ebbe una fioritura non indifferente, per la presenza dei frati domenicani, che dimorarono nel monastero di Sancta Maria a Fontibus fino al 1635, e dei frati carmelitani, attivi fin dal 1608.

L’attività monastica si sviluppò nell’arco di circa due secoli (1608-1808), grazie ad una costante presenza di monaci, la quale permetterà la sopravvivenza del convento anche dopo la Bolla di papa Innocenzo X Instaurandae vitae regularis, del 1652, che obbligava i centri monastici con meno di sei membri a chiudere.

La presenza dei frati domenicani e carmelitani influì sulle pratiche religiose dei fedeli lungresi. Si sviluppò in particolare il culto in onore della Vergine del Carmelo, che declassò l’antica tradizione della devozione alla Vergine Assunta, protettrice del Casale, sin dal secolo XII.

I fedeli di Lungro, nonostante il convento carmelitano fosse ubicato fuori paese, frequentavano le cerimonie religiose dei frati, soprattutto nel giorno della festa.

Per gli arbëreshë il Settecento rappresentò una svolta spirituale e culturale, grazie all’apertura del pontificio Collegio Corsini di S. Benedetto Ullano, che offrì al clero italo-albanese la possibilità di studiare e di ordinarsi in Calabria. Nella comunità di Lungro, che in questo secolo contava già 2000 abitanti, si ebbe anche un buon numero di giovani che abbracciò la vita monastica dei Cappuccini o quella secolare di tradizione latina, come fu per mons. Gabriele de Marchis, uno dei più illustri. Anche il Settecento registrò una numerosa presenza di sacerdoti, tra cui spicca la figura dell’arciprete Domenico Damis, che fece costruire l’attuale cattedrale, aperta al culto nel 1822.

L’Ottocento fu caratterizzato da due fronti ben collaudati: la fiorente vita ecclesiale per la presenza di sacerdoti attivi ed intelligenti, quali Gabriele Isacco De Marchis, eletto poi vescovo ordinante e presidente del Collegio di S. Adriano, Nicola Cucci, Filippo Antonio Samengo, Giuseppe Scaglione, e la vita socio-politica, per cui Lungro divenne uno dei centri più attivi anche dal punto di vista patriottico, grazie all’intraprendenza di uomini illustri, quali Domenico Damis, che partecipò a fianco di Garibaldi alla spedizione dei Mille, combattendo nella battaglia del Volturno a capo di circa 500 volontari lungresi. Entrato poi nell’esercito vi percorse tutti i gradi fino a quello di tenente generale. Insieme a lui vanno ricordati altri coraggiosi patrioti, come suo fratello Angelo Damis, Vincenzo Stratigò e Pasquale Trifilio.

 

La comunità lungrese nell’età moderna e

contemporanea

 

Il Novecento registrò - e non solo a Lungro - un depauperamento di sacerdoti. La società era ormai cambiata e movimenti anticlericali e massoni davano filo da torcere al clero. Ne sapeva qualcosa il giovane arciprete Giovanni Mele, che nei suoi anni di arcipretura a Lungro dal 1913 al 1919, fu costretto a sopportare le loro angherie.

Ma il Novecento fu l’epoca della svolta per le comunità italo-albanesi bizantine, grazie all’intervento mirato di Papa Benedetto XV, il quale istituì una diocesi che raggruppasse appunto queste comunità sotto la giurisdizione di un vescovo proprio. Lungro fu scelta quale sede della novella eparchia e Giovanni Mele fu chiamato a governarla, in tempi davvero difficili. Si doveva ri-creare una coscienza religiosa nei fedeli e la consapevolezza di appartenere ad una diocesi con una fisionomia ecclesiale particolare: vivere e testimoniare la tradizione bizantina. La realtà era critica, se si pensa che mons. Mele si trovò da solo a provvedere ai bisogni della diocesi, anche alle cose più comuni, come ad es. fare l’anagnostis in chiesa, per mancanza di clero. Si prodigò per trovare una dimora per la curia, per far fronte ai gruppi facinorosi, che nel 1921 deturparono la statua del Cristo morto, per mantenere la tranquillità tra i fedeli, sempre sul piede di guerra ai primi ritocchi della cattedrale, allorché si trattò di innalzare l’iconostasi ed eliminare gli altari laterali, per incrementare le vocazioni, attraverso le vie più opportune. Né mancò di operare per il clero anziano.

Ma il periodo storico non era meno critico, se si pensa alla miseria sociale causata dal primo conflitto mondiale, alla disoccupazione, all’ignoranza della gente, all’emigrazione. In pochi anni però la comunità lungrese seppe trovare energie vitali, grazie a persone che generosamente offrirono denaro per alleviare le condizioni di famiglie povere e per abbellire la cattedrale, grazie ad una nuova generazione di sacerdoti preparati al Pontificio Collegio Greco di Roma, che dette un forte impulso all’incremento della tradizione bizantina.

Non solo. Lungro, uno dei pochi centri arbëresh a conservare gelosamente il patrimonio musicale popolare, riprese le tradizioni popolari e l’esecuzione dei canti, un vasto patrimonio musicale che spazia dal genere epico a quello d’amore, dal genere familiare a quello processionale e paraliturgico.

Lungro inoltre ha opportunamente sviluppato, sin dall’indomani della erezione dell’eparchia, una realtà corale polifonica, vanto della cattedrale e di tutte le comunità italo-albanesi bizantine, che ha conservato e alimentato diverse fasi melurgiche, da quella tradizionale, chiamata anche italo-greca, a quella neo-bizantina.

Dal punto di vista socio-ecclesiale, Lungro ha vissuto un periodo di floridezza economica, grazie all’apertura di alcune fabbriche, negli anni ’60 del secolo scorso, ma ha sofferto per la chiusura della miniera di salgemma, che, seppur attanagliata per secoli da tanti problemi interni, riusciva ad offrire alla comunità e ai paesi viciniori un certo benessere economico. E’ stato un periodo attivo anche per la Chiesa, la quale, dopo gli anni bui della seconda guerra mondiale, che hanno visto l’arciprete Giovanni Stamati e il clero lottare contro le ideologie comuniste, molto radicate a Lungro, ha vissuto una fase storica positiva, contrassegnata dalla consacrazione episcopale di mons. Stamati. Egli ha dato una forte spinta alla rinascita della cultura arbëreshe e delle espressioni della tradizione bizantina.

Con lui ha avuto inizio la fase di ristrutturazione delle chiese della diocesi, in modo particolare della cattedrale, che vennero adattate ai canoni dell’arte bizantina, e quella della formazione liturgica delle giovani generazioni.

Un discorso innovativo ripreso dall’arciprete Mario Pietro Tamburi, che sin dall’inizio si è impegnato anche per la ristrutturazione delle chiesette del paese, alcune delle quali sono state arricchite di icone ed affreschi bizantini.

Oggi la situazione religiosa è nel complesso positiva, mentre dal punto di vista socio-economico si registra una condizione allarmante a causa della chiusura delle fabbriche, del fenomeno della denatalità e, soprattutto, per la fuga di massa da parte dei giovani, che preferiscono trasferirsi al centro e nord d’Italia, dove possono trovare lavoro.

Una situazione grave che mette in crisi la stessa sopravvivenza della cultura arbëreshe, minata dallo scarso interesse della gente sull’uso della lingua materna, specie tra le generazioni più giovani, e il patrimonio tradizionale.

La liturgia eucaristica nei pontificali viene celebrata in greco, mentre la domenica e nelle grandi feste, oltre che in greco anche in albanese e in italiano, per rispondere alle esigenze della difformità linguistica presente nel popolo. Quotidianamente vi è una liturgia celebrata in lingua albanese. I Vespri, le Ore, la Paraklisis, l’Akathistos si celebrano parte in italiano e parte in greco.

Abbastanza bene regge all’urto dei difficili tempi moderni la tradizione bizantina, cui la gente è molto legata, anche se dovrebbe essere maggiormente formata e guidata a viverla più autenticamente nella fede, con una comprensione più cosciente della propria identità ecclesiale (Besa/Roma).

 

Bibliografia

Giovan Battista Rennis, La tradizione popolare della Comunità arbëreshe di Lungro, Ed. Il Coscile, Castrovillari 2000;

Domenico De Marchis, Cenno monografico-storico del Comune di Lungro, Napoli 1858;

Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, libri tre, Roma 1758, 1760, 1763 (ristampa, Cosenza 1986);

Cirillo Korolevskij, Relazione sugli Albanesi di Calabria nel 1921, in “Risveglio-Zgjimi”, XVII (1979), nn. 1-2, pp. 8-30.

 

ROMA

ORIENTE CRISTIANO IN ITALIA

 

Al Santuario del Divino Amore, sabato 18 marzo 2006 mons. Eleuterio F. Fortino, ha tenuto una conferenza sulla presenza storica ed attuale in Italia di comunità orientali, cattoliche e ortodosse. Ne riportiamo lo schema della prima parte della conversazione:

     Il tema generale della conversazione (“Oriente Cristiano in Italia”) senza determinazioni storiche ed ecclesiali richiede un inquadramento che puntualizzi le varie epoche storiche, la presenza della “Chiesa Greca” in Italia tra il primo e il secondo millennio, le immigrazioni dopo la caduta di Costantinopoli (1453), la presenza di Chiese ortodosse, di Antiche Chiese orientali, di Chiese orientali cattoliche. Naturalmente penso che l’interesse principale sia la situazione odierna, incrementata da nuove immigrazioni, e, nell’attuale situazione ecumenica, la possibilità di convivenza fraterna come contributo alla piena unità fra cattolici e ortodossi.

 

I. Parte: delineamenti della situazione

 

I.         La Chiesa Greca in Italia

 

La bizantinizzazione dell’Italia dal secolo VI (553) al secolo XVI – epoca di Giustiniano – ha avuto un’importante espressione politico-amministrativa con l’esarcato di Ravenna ed in seguito con i vari strateghi e catepani. Soprattutto nell’Italia Meridionale si è costituita un’attiva e fiorente presenza della Chiesa greca con metropolie, diocesi, monasteri, centri amministrativi e culturali. I monumenti lasciati (chiese, codici, vite di santi, icone, affreschi e miniature) lo testimoniano tuttora.

 

·       Nella giurisdizione del primate d’Italia, il Papa di Roma, vivevano comunità di tradizione liturgica diversa nella piena comunione. In quell’epoca diversi Papi sono stati orientali.

·       In questo periodo non si può parlare di ortodossi e di cattolici – nel significato odierno – ma piuttosto di greci e latini che vivevano nella piena comunione.

·       Dal punto di vista politico l’Italia Meridionale faceva parte dell’impero bizantino, mentre dal punto di vista religioso era nella giurisdizione del Papa di Roma.

·       Ma non tutto è sempre stato pacifico. Nel 732/33 l’imperatore iconoclasta Leone l’Isaurico trasferì la Calabria e la Sicilia (e l’Illirico) dalla giurisdizione di Roma a quella di Costantinopoli. I Papi non accettarono mai questo “strappo” di giurisdizione.

·       I Normanni occupanti ristabilirono nel secolo XI la giurisdizione del Papa. Per la Chiesa “greca” cominciò un periodo di progressiva crisi.

·       Anche qui a Roma vi furono monasteri e presenze culturali greche importanti.

·       L’insieme ha costituito un patrimonio storico, culturale e spirituale importante, ma anche un testimonianza singolare della presenza di due tradizioni ecclesiali sotto l’unica giurisdizione del Primate d’Italia.

·       Di quel florido monachesimo bizantino in Italia rimane unico testimone il Monastero esarchico di Grottaferrata.

 

Bibliografia:

Vera von Fallkenhausen, I bizantini in Italia, in Guglielmo Cavallo e VV. “I Bizantini in Italia”, Libri Schveiwiller, Milano MCMLXXXII, pp. 3-136.

J. Gay, L’Italie Méridionale e l’empire byzantin depuis l’avènement de Basile I jusq’à la prise de Bari par les Normands (867-1071), Paris 1097.

M.V.Anastos, The tranfert of Illyricum oriental, Calabria and Sicily to the jurisdiction of the Patriarchate of Constantinople in 732-733, in “Studi bizantini e neoellenici”, 9 1957), pp. 14-31.

Vitalien Laurent, L’Eglise de l’Italie méridionale entre Rome e Bysanze à la veille de la conquête normande, in La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo”, Editrice Antenore, Padova 1973, pp. 3-25.

Vittorio Peri, Chiesa latina e Chiesa greca nell’Italia post-tridentina, Ibidem, pp. 271- 469.

Idem, Chiesa romana e “rito”greco, Paideia Brescia, 1975.

AA.VV., San Nilo (1004-2004), Il monastero italo-bizantino di Grottaferrata, De Luca Editori d’Arte, Roma 2005.

 

II.      Immigrazioni nel secolo XV

 

Nel secolo XV due avvenimenti politici determinarono due diverse immigrazioni in Italia: l’occupazione dell’Albania da parte dei turchi e la caduta di Costantinopoli.

 

a.        Immigrazione albanese

L’occupazione dei turchi maomettani dell’Albania - Epiro causò la venuta in Italia di un cospicuo numero di persone che parlavano l’albanese e usavano la liturgia bizantina. A causa dei rapporti che l’eroe nazionale Giorgio Castriota detto Skanderbeg aveva avuto con il Regno di Napoli, questo flusso migratorio si orientò verso l’Italia Meridionale.

·       Questa immigrazione ha avuto luogo dopo il Concilio di Firenze (1439) che aveva sancito l’unione fra greci e latini.

·       Le varie popolazioni sono state accolte generalmente nei luoghi dell’antica bizantinizzazione e molti sono stati inseriti nelle amministrazioni ecclesiastiche (chiese, monasteri, feudi tenuti da ecclesiastici).

·       Sono stati accolti come fratelli nella fede: non è stata chiesta loro alcuna abiura o nuova professione di fede.

·       Lo storico Vittorio Peri (+2005) in uno degli ultimi studi è tornato a documentare e precisare che l’arrivo degli Albanesi in Italia ha avuto luogo nel periodo seguente al Concilio di Firenze (1439) in regime di unione fra greci e latini. Egli scrive che gli Albanesi erano stati accolti “legalmente in Italia come membri cattolici della Chiesa greca riunita alla Romana nel Concilio di Firenze” (cfr. Chiesa e Società nel Mezzogiorno. Studi in onore di Maria Mariotti, Rubettino, 1998, vol. I. p. 204).

·       Queste comunità, pur mantenendo le proprie tradizioni liturgiche e disciplinari sono state inserite inizialmente nelle diocesi latine. Nel secolo XVIII sono stati istituiti due seminari propri, uno in Calabria (1732) ed uno in Sicilia (1734), e creati due Vescovi ordinanti per le ordinazioni e per salvaguardare la tradizione bizantina. Iniziativa positiva ma insufficiente. Nel secolo XX prima Benedetto XIV creò la diocesi di Lungro in Calabria (1919) e quindi Pio XI quella di Piana degli Albanesi in Sicilia (1937). Nello stesso anno l’antico Cenobio di Grottaferrata è stato elevato a Monastero esarchico.

·       Queste tre Circoscrizioni oggi continuano la tradizione bizantina in Italia nella Chiesa cattolica. Di recente (2004-2005) esse hanno celebrato il II Sinodo Intereparchiale. Il primo si era tenuto nel 1940 sempre a Grottaferrata.

 

Bibliografia:

Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, libri tre, Roma 1758, 1760, 1763 (ristampa, Cosenza 1986).

Eleuterio F. Fortino, Chiesa bizantina albanese in Calabria, Tensioni e comunione, Editoriale Bios, Cosenza 1994.

Anonimo (un italo-albanese di Sicilia), Notizia distinta degli italo-greci e degli italo-albanesi, esposta da mons. Giuseppe Schirò, arcivescovo di Durazzo, già vicario apostolico in Cimarra nell’Epiro. In occasione di dover rispondere ad alcuni quesiti proposti da un personaggio, In Roma 1742.

A. Vaccaro, Italo-Albanensia. Repertorio bibliografico sulla storia religiosa, sociale, economica e culturale degli Arbëreshë dal secolo XV ai nostri giorni, Editorale Bios, Cosenza 1994.

 

b.             Immigrazione greca

Con la caduta di Costantinopoli sotto gli Ottomani (1453) si è avuta in Italia una consistente immigrazione di greci da Costantinopoli e dalle zone occupate (uomini di cultura che hanno contribuito all’umanesimo italiano e al rinascimento, semplici fedeli che si spostavano per lavoro, in genere commercianti).

·       Nelle grandi città e in particolare nei porti (Trieste, Napoli, Genova, Livorno, ecc.) si costituirono comunità stabili con propri sacerdoti;

·       Il rapporto con le Chiese madri di origine mantenne la loro caratteristica di cristiani ortodossi. Queste comunità conobbero vicende alterne ma nuove immissioni di nuovi membri provenienti dall’oriente le mantennero vive, fino al momento in cui il Patriarcato ecumenico le affidò alla metropoli di Austria quale esarcato per l’Italia (1963).

·       Nel 1991 è stata creata la metropoli d’Italia (“Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia”) con sede a Venezia e con un proprio metropolita, riconosciuta anche dallo stato italiano. Negli ultimi anni le comunità greche in Italia sono cresciute con presenza nella grandi città italiane. Ne è responsabile il Metropolita Gennadios (Castello 3422, Campo dei Greci 1, 30122 Venezia, www.ortodossia.it).

·       Le Comunità parrocchiali sono distribuite in tre vicariati:

1.    Vicariato arcivescovile dell’Italia settentrionale

2.    Vicariato arcivescovile dell’Italia Centrale

3.    Vicariato arcivescovile dell’Italia Meridionale e delle Isole.

Ciò mostra che la presenza greco-ortodossa è estesa in tutta l’Italia e quindi è possibile avere  un contatto per ogni questione e per iniziative di collaborazione. E’ possibile discutere anche eventuali problemi che emergono nei rapporti.

 

Bibliografia:

Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, Calendario 2006;

Dìptyka tis Ekklisias tis Hellados, 2006

www.ortodossia.it

 

III.        Altre immigrazioni

 

1.    Contemporaneamente si costituivano in Italia comunità ortodosse di altra nazionalità:

·         Comunità romene: Nella seconda parte del secolo XX si sono costituite in diverse città italiane comunità romene assistite da propri sacerdoti. Si sono incrementate con la caduta del comunismo in quel paese e con l’iniziativa di ingresso nella Comunità Europea. Da un anno è stato nominato anche un vescovo ausiliare per l’Italia dalla metropoli di Francia. Ma questo convegno prevede una relazione apposita.

·       Comunità russe: alcune fanno capo all’Esarcato delle Comunità ortodosse russe in Europa Occidentale del Patriarcato ecumenico, altre si trovano nella giurisdizione del Patriarcato di Mosca.

·       Comunità serba: a Trieste.

·       Comunità bulgara a Roma.

 

2. In tempi più recenti si sono costituite diverse comunità delle Antiche Chiese ortodosse d’Oriente (Copta, etiopica, eritrea, armena). A Roma risiede un vescovo copto ed uno etiope. Su queste Chiese è prevista una relazione in questo convegno.

 

IV.                   Chiese e Collegi orientali cattolici a Roma

 

Roma è tradizionalmente una città in cui sono presenti molte comunità orientali. Il primo Collegio Pontificio Orientale a Roma è quello greco di S. Atanasio (Gregorio XIII, 1577) con annessa omonima Chiesa.

 

Si riporta un elenco preso da una pubblicazione della Congregazione per le Chiese Orientali (1999):

·       Rito alessandrino etiopico: Santo Stefano degli Abissini (all’interno del Vaticano); e

·       S. Tommaso in Parione (via Parione 33);

·       Rito siro: Santa Maria in Campo Marzio (Piazza Campo marzio 45);

·       Rito maronita: S.Giovanni Marone (V. Aurora 6);

·       Rito siro-caldeo: S. Maria degli Angeli e dei martiri (Via Cernaia 9);

·       Rito siro-malabarese: Santa Caterina dei Funari (Via dei Funari);

·       Rito bizantino-greco: Sant’Atanasio (Via del Babuino 149);

·       Rito bizantino-russo: Sant’Antonio Abate (Via Carlo Alberto 2a);

·       Rito bizantino ucraino: Santa Sofia (Via di Boccea 478); e

·       Santi Sergio e Bacco (P.za Madonna dei Monti 3);

·       Rito bizantino-romeno: San Salvatore (Piazza delle Coppelle 72b);

·       Rito greco-melchita: Santa Maria in Cosmedin (Piazza Bocca della verità 18);

·       Rito Armeno: S. Biagio degli Armeni (Via Giulia 64); e

·       S. Nicola da Tolentino (Salita S. Nicola da Tolentino 17).

 

A Roma vi sono anche diversi collegi cattolici orientali:

·       Pontificio Istituto Orientale  (Piazza S. Maria Maggiore 7);

·       Pontificio Collegio Armeno (Salita S. Tommaso da Tolentino 7);

·       Pontificio Collegio Etiopico (all’interno del vaticano);

·       Pontificio Collegio Greco (Via del Babuino 149),

·       Pontificio Collegio Maronita (Via di Porta Pinciana 14);

·       Pontificio Collegio Pio Romeno (Passeggiata del Gianicolo 5);

·       Pontificio Collegio Russo (Via Carlo Cattaneo 2);

·       Pontificio Collegio Ucraino (Passeggiata del Gianicolo 7);

·  Istituto S.Giovanni Damasceno (V C.Emmanuele 1);

·       Pontificio Istituto Ucraino (Via Boccea 480).

Vi sono a Roma anche le procure di diverse Chiese orientali e di Congregazioni ed Istituti.

 

Bibliografia:

Congregazione per le Chiese Orientali: Il Grande Giubileo del Duemila e le Chiese Orientali cattoliche, Sussidio Pastorale, Libreria Editrice Vaticana, 1999.

 

V.    Immigrazione nel periodo post-comunista

dai paesi dell’Est europeo

 

Si riportano alcune informazioni riprese dal “Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes - Elaborazione su dati del Ministro degli Interni /Istat” (2005).

“Dal 1970 ad oggi in Italia si è passati da meno di 100.000 immigrati a quasi tre milioni, con un aumento di ben 30 volte ed un elevato ritmo di crescita negli ultimi cinque anni” (p. 69).

Alcuni dati: alla fine del 1970 gli stranieri sono 143.830; negli anni ’80 superano i 400.000; nel 1998 gli stranieri sono 645.423; nell’anno 2000 sono 1.380.000; nell’anno 2003 gli stranieri sono 2.193.999.

Nel 2004 dall’Europa dell’est sono stati dati 394.727 visti per ragioni di lavoro, di ricongiungimento di famiglie, per studio. Tra i paesi di provenienza vi sono Romania, Albania, Jugoslavia, Bulgaria, Macedonia, Ucraina, Bielorussia.

Nel 2004 per il Centro Italia sono stati dati 614.555 permessi di soggiorno di cui 330.695 nel Lazio (p..97).

Tra questi immigrati, per quanto riguarda il nostro tema, va rilevato che un gran numero è cristiano, ortodosso per la maggioranza, ma anche cattolico orientale (Romania, Ucraina, Bulgaria ecc.).

L’accoglienza degli immigrati cristiani, non si può limitare ad una questione di integrazione nel lavoro e, in linee generali, nel sociale. Occorre tenere presente le esigenze religiose. L’Istruzione (2004) del Pont. Consiglio per i migranti afferma che “Nelle Chiese particolari va dunque ripensata e programmata la pastorale per aiutare i fedeli a vivere una fede autentica nel nuovo odierno contesto multiculturale”. Per esempio il Dossier Statistico 2005 della Caritas/Migrantes dedica un capitolo a questo tema “Immigrazioni al femminile e Matrimoni Misti” (pp.131-158). Ma sorgono tutte le problematiche segnalate dalla Istruzione del Consiglio Pontificio per gli Immigrati e gli itineranti (luoghi di culto, matrimoni misti, communicatio in sacris ecc.).

 

Bibliografia: Caritas/Migrantes, Immigrazione, Dossier Statistico 2005, XV Rapporto. Aree di origine - Presenze-Inserimento - Territorio, Idos, Roma 2005.

 

VI.  Presenza di gruppi che non appartengono a nessuna Chiesa con cui la Chiesa cattolica

è in dialogo

 

Questi gruppi e le persone implicate vanno identificati e considerati sul luogo caso per caso.

·       possono sollevare intricati problemi,

·       ma nella chiarezza ecclesiologica, va sempre salvaguardata la carità verso le persone.

·       Sarebbe utile che sul luogo (nelle varie diocesi e nell’insieme delle diocesi) si facesse un rilevamento delle presenze che vi si trovano e si informino gli agenti pastorali e i fedeli sull’atteggiamento da tenere nei loro confronti.

 

NB. Si ricordano due gruppi presenti anche nel Lazio:

La Chiesa dei veri cristiani ortodossi di Grecia: Sacra metropoli di Milano e di Longobardia (Evloghios Arcivescovo di Milano, metropolita di Aquileja e di tutta la Longobardia – dal 2001).

Chiesa ortodossa in Italia (Antonio De Rosso Metropolita di Ravenna e d’Italia).

In futuro presenteremo la seconda parte della conversazione (Besa/Roma).

 

MEZZOIUSO

XXV ANNIVERSARIO DELLA MORTE

DI MONS. GIUSEPPE PERNICIARO

 

Riportiamo da Eco della Brigna (n.51/2006), pubblicazione periodica della parrocchia latina di Mezzoiuso, una nota dell’arciprete papàs Francesco Masi sul vescovo di Piana degli Albanesi, mons. Giuseppe Perniciaro, deceduto 25 anni fa:

 

L’eparchia di Piana degli Albanesi si appresta a ricordare mons. Giuseppe Perniciaro nel 25° anniversario della sua morte. Nacque a Mezzoiuso l’11 gennaio 1907. Compì i suoi studi nel Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio di Roma, conseguendo la laurea in Sacra Teologia nel 1928 presso l’Ateneo di Propaganda Fide e l’anno successivo conseguì la licenza in discipline orientali presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il 7 luglio 1929 era ordinato sacerdote con dispensa pontificia, essendo ancora molto giovane ed avendo ultimato gli studi con due anni di anticipo.

Rientrato da Roma, dal cardinale Luigi Lavitrano fu mandato al seminario greco di Palermo a ricoprire la carica di ministro di disciplina e successivamente fu nominato rettore del detto seminario.Ma si dedicò anche ad altre attività: fu insegnante di discipline orientali presso il seminario arcivescovile di Palermo. Fu uno dei grandi animatori delle settimane di studi per l’Oriente Cristiano. Nel 1930 si tenne la prima settimana di studi a Palermo, attorno al vescovo Paolo Schirò vi era un grande entusiasmo per l’attività. Un gruppo di giovani sacerdoti: Gaetano Petrotta, Giovanni Lopes, Nicola Scalora, Giuseppe Perniciaro lavorava intensamente per far conoscere in occidente l’oriente cristiano. In questa prima settimana di preghiere papàs Perniciaro partecipò attivamente con lezioni di liturgia e una comunicazione sulla missione dei monaci basiliani di Mezzoiuso in Cimarra. Impegno che profuse nelle successive settimane di preghiere. Nel 1934 fu l’organizzatore della commemorazione del 2° centenario del seminario greco di Palermo.

Quest’avvenimento costituì il debutto della sua vasta attività ecumenica: riuscì ad interessare numerose personalità e cultori di tradizioni orientali italiani e stranieri.

Il 26 ottobre 1937 veniva eletto vescovo. Iniziò subito a prodigarsi per la costruzione degli edifici vescovili e del seminario di Piana. Nel contempo si dedicò con grande zelo alla realtà socio-religiosa delle comunità albanesi di Sicilia, valorizzandone le caratteristiche bizantine oltre che culturali.

Suo grande merito è di aver saputo fare dell’eparchia di Piana una vera chiesa locale con piena giurisdizione, qualificata per accogliere attorno  ad un altare ed una cattedra i cristiani albanesi di Sicilia (12 luglio 1967) così come l’avevano sognata ma non vissuta tante passate generazioni.

L’ansia pastorale venne costantemente illuminata e guidata dal suo grande ideale ecumenico, che nel primo periodo della sua vita apostolica (1929-1961) si espresse con il promuovere settimane di studio per l’oriente, mentre dopo, in modo particolare dal 1970 al 1981, aggiunse aspetti qualificanti stabilendo delle relazioni con le Chiese di Costantinopoli, di Grecia e di Creta. Ultimo atto della sua vita  fu la mostra delle icone dell’eparchia di Piana degli Albanesi che l’arcivescovo di Palermo volle ospitare nel suo palazzo: manifestazione riuscita, chiusasi il 10 maggio 1981, presente una delegazione sinodale della Chiesa ortodossa di Creta. Non passò che un mese dalla chiusura della mostra delle icone che si addormentò nel Signore, lasciando una grande eredità spirituale, culturale ed ecumenica su cui dovrà camminare l’eparchia di Piana (Besa/Roma).

 

 

TIRANA

NOMINATO IL VESCOVO AUSILIARE

 

Il papa ha nominato vescovo ausiliare di Tirana-Durrës p. Giorgio Frendo, o.p. Vicario generale della medesima diocesi, assegnandogli la sede titolare di Butrinto (7.7.2006). Nato a Malta nel 1946, ordinato nel 1969, laureato in diritto canonico, dal 1997 è a servizio dell’Arcidiocesi di Tirana (Besa/Roma).

UCRAINA

CATECHISMO GRECO - CATTOLICO

 

Il 23 giugno 2006 una conferenza di rappresentanti delle varie diocesi ha esaminato il progetto di catechismo della Chiesa cattolica bizantina ucraina. Il titolo del catechismo è “Cristo è la nostra pasqua”.

Il progetto di stesura del catechismo ha già avuto l’accordo sulle basi concettuali, l’approvazione del Sinodo e sono stati già redatti i testi.

Con la conferenza di giugno si è inteso portare a conoscenza il testo integrale e ricevere eventuali reazioni per la redazione definitiva.

Il catechismo è strumento essenziale per la formazione nella Chiesa sui iuris (Besa/Roma).

 

 

CASTROVILLARI

UNA NUOVA PARROCCHIA

DELL’EPARCHIA DI LUNGRO

 

Gli spostamenti per ragioni di lavoro e di studio portano nelle città limitrofe e lontane un numero sempre maggiore di arbëreshë.

Così a Castrovillari sono confluite migliaia di italo-albanesi per i quali, con l’accordo del vescovo di Cassano, il vescovo di Lungro ha istituito una nuova parrocchia dopo un periodo di 15 anni di servizio saltuario in due chiese messe generosamente a disposizione dalla diocesi di Cassano. Ora il 28 luglio 2006 il sindaco di Castrovillari ha comunicato al vescovo di Lungro che il Consiglio comunale offre il terreno per la costruzione di una nuova chiesa, che, senza dubbio, verrà progettata secondo i canoni dell’architettura ecclesiastica bizantina.

Ciò costituirà anche un elemento caratteristico per la città di Castrovillari, la Hora degli arbëreshë del circondario. Il sindaco di Castrovillari Franco Blaiotta ha così scritto al vescovo di Lungro: “Il Consiglio comunale lo scorso 28 luglio ha deliberato la concessione gratuita dell’area sita in contrada Schiavello in favore dell’eparchia per l’edificazione di una parrocchia per i fedeli di rito cattolico-bizantino.

Un fatto importante per i tanti arbëreshë  che risiedono nel capoluogo del Pollino, ma anche un gradito obiettivo per la nostra comunità, che, da oltre 500 anni, condivide attese e speranze di un popolo e di una etnia, ormai parti integranti di questo territorio” (Besa/Roma).

CALABRIA

LE PAROLE NON COSTANO NIENTE

 

Nei “Racconti d’estate” il quotidiano cattolico “Avvenire” (2 agosto 2006) ha presentato un testo di Carmine Abate dal titolo amaro “Le parole non costano niente” sul tragico rapporto “promesse e realizzazioni” non realizzate. Carmine Abate è un italo-albanese che scrive in italiano su aspetti e problemi della vita degli albanesi di Calabria. Egli è nato nel 1954 a Carfizzi, un paese arbëresh in Calabria. Vive tra la Germania e l’Italia. Il suo primo romanzo è del 1991 “Il ballo tondo” (disponibile negli Oscar Mondadori), che racconta l’epopea, carica di suggestioni mitologiche e arcaiche di una comunità arbëreshe, insediatasi a Hora, attraverso la figura di un ragazzo. Con il secondo romanzo “La moto di Skanderbeg” (Fazi) ha avuto inizio il grande successo di critica che ha fatto conoscere l’autore al grande pubblico. Sono seguiti altri romanzi, sempre incentrati sul rapporto magico e poetico, con la propria terra, da “Tra due mari”(2002), alla “Festa del ritorno” (2004), all’ultimo “Il mosaico del tempo grande” (Mondadori, 2005). Questi romanzi scritti in italiano con reminiscenze calabresi e albanesi, sono sintomatici. Rappresentano il passaggio della realtà arbëreshe da comunità attiva e creativa, anche in campo letterario – vedi De Rada, Santori, Variboba, Serembe, Ujko, ecc. – a elemento passivo oggetto di descrizione nostalgica (Besa/Roma).

 

LUNGRO

XXV DI CHIROTONIA EPISCOPALE

DI MONS. ERCOLE LUPINACCI

 

Domenica 6 agosto, festa della Trasfigurazione, l’eparchia di Lungro ha festeggiato il XXV anniversario di chirotonia episcopale del vescovo mons. Ercole Lupinacci. Egli era stato nominato nel 1981 vescovo di Piana degli Albanesi (Palermo) e poi nel 1987 trasferito nell'eparchia di Lungro (Cosenza).

Nella cattedrale di S. Nicola di Mira egli ha presieduto la Divina Liturgia con la concelebrazione del presbiterio nella sua completezza e grande partecipazione di fedeli provenienti dai vari paesi arbëreshë. Hanno concelebrato anche l’arcivescovo maggiore degli ucraini, Card. Lubomir Husar, il vescovo di Mukacevo, Milan Sasik, il rettore del seminario greco-cattolico di Blaj (Romania) e diversi vescovi latini delle diocesi limitrofe, tra cui l’arcivescovo di Rossano, mons. Sante Marcianò, che ha preso possesso dell’Arcidiocesi da poche settimane.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato un messaggio gratulatorio (Besa/Roma).

 

ROMA

AUTOGRAFO DI BENEDETTO XVI

 

Il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al vescovo di Lungro, mons. Ercole Lupinacci, un messaggio augurale per il XXV di episcopato, che riportiamo qui di seguito:

 

Al Venerabile Fratello

Ercole Lupinacci

Vescovo di Lungro degli Italo-Albanesi

dell’Italia Continentale

 

Con piacere abbiamo ricevuto la notizia che, tu, Venerabile Fratello, il giorno 6 del prossimo mese di agosto nella festa della Trasfigurazione del Signore, compirai felicemente il 25° anniversario della consacrazione episcopale.

Desiderando di essere in qualche modo partecipe di tale evento, ti mandiamo questa lettera, per esprimerti i migliori auguri e manifestarti parimenti l’affetto che ci unisce a te nell’Episcopato.

Nell’anno 1981 Giovanni Paolo II, Nostro Predecessore di piissima memoria, conoscendo i tuoi meriti e la tua perizia nelle realtà ecclesiali, ti concesse la pienezza dell’ordine e ti proclamò Vescovo dell’Eparchia di Piana degli Albanesi. In seguito fosti trasferito nell’Eparchia di Lungro, che era stata sapientemente fondata dal nostro predecessore Benedetto XV, di felice memoria, e la rese immediatamente soggetta a questa Sede Apostolica.

Nello svolgimento del gravissimo ufficio di Pastore, con prontezza ti sei adoperato per governare, istruire e santificare i fedeli a te affidati e mostrar loro la fulgidissima luce e la perenne e assoluta novità del Vangelo di Cristo (cfr. S. Basilio, Omelia sul battesimo 1, 2), sollecito inoltre di favorire i legami di amicizia con i fedeli di rito bizantino dei Balcani e, principalmente, dell’Albania.

Pertanto in questo così fausto evento della tua vita, hai abbondantissimo motivo, Venerabile Fratello, di godere dei fruttuosi lavori compiuti e innalzare al Padre celeste, da Cui procedono i beni più grandi, di esaltare con inni doverosi: “Ti loderò, Signore, con tutto il cuore…Gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo(Ps 9, 2-3).

Gesù, Pastore buono delle anime, auspice la Vergine Maria “letizia di tutte le generazioni” (Inno Akathistos, 9), Ti custodisca, quale successore degli Apostoli e ministro della sua grazia e della sua misericordia, con la sua provvidenza e clemenza e ti arricchisca ancora di ogni abbondanza di celesti doni.

In segno della benevolenza e inclinazione del Nostro animo impartiamo affettuosamente, da questa Sede del Beato Pietro, la nostra Apostolica Benedizione a te, Venerabile Fratello, e per tuo tramite al Protosincello, al clero e ai fedeli di codesta carissima comunità di Lungro.

Benedictus PP XVI

 

Dal Vaticano 4 luglio 2006

Secondo del Nostro Pontificato (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

69

HESYCHIA (12): L’ASCESI E LA TRANQUILLITÀ DELL’ANIMA E DEL CORPO

 

L’hesychìa, la serenità del cristiano maturo, è la meta che si raggiunge dopo un lungo percorso, un cammino ascetico scosceso che attraversa tre campi: il corpo, la mente e il cuore. Il quotidiano esercizio (àschesis) della sobrietà, del dominio dei sensi, del controllo del pensiero alla luce dell’insegnamento evangelico, della stabilità del cuore, dà al credente quella condizione che S. Paolo ha espresso con un interrogativo drammatico: Chi ci può separare dall’amore di Dio? Non le avversità, non la stessa morte. S. Giovanni Climaco nella Scala del Paradiso afferma: “Le corone della pace e della quiete sono riservate a coloro che hanno valorosamente lottato” (Discorso XXVII).

 

1.  L’hesychìa del corpo è la disciplina dei costumi e dei sensi e la loro condizione pacificata” (Ibidem nella traduzione di Luigi d’Ayala Valva, Qiqajon Bose, 2005, p. 410). L’ascetica cristiana di ogni tempo ha insistito su questa disciplina personale e comunitaria. Il comportamento cristiano esige il dominio sul corpo e il suo equilibrio con l’uso moderato e sobrio del mangiare e del bere e del corretto uso della sessualità, richiamato negli stessi comandamenti. Pietro Pompilio Rodotà lo richiama per tutti i cristiani e non soltanto per i consacrati con voto religioso. “Il dono della castità non è concesso a tutti i fedeli: ma la purità deve essere indispensabilmente la virtù favorita di tutti i cristiani… Essa è propria di tutti gli stati e di tutte le età” (Riflessioni Morali” sulla venuta della Madonna del Buon Consiglio, Roma, 1770). La dimensione ecclesiale della sobrietà viene sottolineata dalla disciplina del digiuno, che oltre ad essere un consiglio personale, è una norma canonica e liturgica che prevede per il fedele bizantino quattro quaresime ogni anno. Si tratta di indicazioni e strumenti per l’esercizio personale quotidiano per raggiungere un equilibrio e una “condizione pacificata”. “La cella dell’esicasta sono i limiti del corpo” (La Scala, 411).

 

2.  L’hesychìa dell’anima è la disciplina dei pensieri e una mente inviolabile” (Ibidem). Un fonte vorticosa di turbamento della mente è il pensiero dell’uomo. Questa è naturalmente avviata alla ricerca della verità, alla comprensione degli eventi, ma è messa a dura prova dalla folla di opinioni mondane e dalla lotta ideologica contro la fede cristiana. La mente del credente tende naturalmente all’indagine della Rivelazione per coglierne il messaggio e trarne le indicazioni etiche per un comportamento coerente con la volontà di Dio. La storia della Chiesa mostra che questi due campi offrono possibilità immense di deviazioni, che raggiungono l’eresia e lo scisma, e in ogni modo sono fonti di dolorose sofferenze personali e di dissensi nel corpo della Chiesa. Una inquietudine ininterrotta attraversa i secoli. L’uomo di Dio non si allontana dalla ricerca di Dio, anzi l’affronta con amore, illuminato dalla grazia, disposto all’obbedienza della fede e nella pazienza richiesta per la comprensione delle cose incomprensibili. Il Climaco sintetizza: “L’abisso dei dogmi è profondo, ma la mente dell’esicasta si tuffa senza pericolo”. Ricorda con una efficace immagine le disposizioni richieste: “Non è sicuro nuotare vestiti, né tanto meno accostarsi alla teologia quando si è ancora posseduti dalle passioni” (Ibidem, 411).

 

3.  “Amico dell’hesychìa è un pensiero forte e risoluto che rimane sempre vigilante alla porta del cuore (Ibidem).“Cuore matto”. Una ispirata canzonetta italiana ha segnato un’intera generazione. Richiamava un’interna disposizione al vagare sentimentale, all’instabilità e alle forti emozioni che generano turbamento. L’inquietudine provocata dal cuore è stata fortemente sottolineata da S. Agostino nelle “Confessioni”. Inquieto è il cuore fino a quando non riposa nel vero Bene. Il cuore vaga alla ricerca di vari beni con “preoccupazione mondana” (Biotiken – biotica - vitale - corporale), segnala l’inno cherubino della Divina Liturgia. Gesù ai suoi ha indicato: “Accumulatevi, invece, tesori nel cielo…Perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,11). L’esicasta ha fatto questa scelta e vi è riuscito. Il Climaco conclude: “Esicasta è colui che dichiarato apertamente:<Pronto è il mio cuore, o Dio>, Sal 56,8”. Nello stesso tempo egli mette sull’avviso che bisogna rimanere “sempre vigilanti alla porta del cuore. L’uomo è chiamato alla perfezione, ma questa rimane sempre una meta. Forse anche l’esicasta perfetto è ancora in parte inquieto. Oppure la sua perfezione consiste proprio in una serena inquietudine?

 

4.  L’esicasmo è una corrente spirituale che, sorta in ambito bizantino  mediterraneo, si è diffuso nel mondo slavo e in quello romeno, con influssi anche in occidente. L’esicasmo risponde pure alle urgenze del turbolento e dispersivo mondo contemporaneo. Lo pseudo-Basilio scrive, nelle Costituzioni Ascetiche 5, che l’esicasta “anche se si trova nella pubblica piazza, al mercato, in montagna o nei campi, in mezzo ad una grande folla…unifica le profondità del suo cuore e medita ciò che deve” (Besa/Roma).

 

Roma, 8 settembre 2006, Natività di Maria.

 

 

 

Circolare luglio2006                                                                                                                          185/2006

Sommario

 

I detti di Gesù (43): “Alzati e cammina”.................................................................................... 1

ROMA: La festa dei Santi Pietro e Paolo - Segno di pace fra Roma e Costantinopoli.................... 2

ROMA: Don Lazër Shantoja-La pubblicistica e i nodi non risolti della storiografia albanese             3

S. PAOLO ALBANESE: Quale didattica per l’arbëresh? ........................................................... 8

GENAZZANO: Pellegrinaggio di S. Atanasio............................................................................. 9

PIANA DEGLI ALBANESI: L’uomo icona di Dio................................................................... 10

MEZZOIUSO: Il clero uxorato - Una realtà della Chiesa cattolica.............................................. 10

LUNGRO: XXV di chirotonia episcopale di S.E. Mons. Ercole Lupinacci................................... 10

S. COSMO ALBANESE: Convegno annuale............................................................................ 10

ROMA: Radix et Imago - Scuola romana di iconografia............................................................. 10

ROMA: Scelta del battesimo per un adulto................................................................................ 10

ROMA: Hesychìa: La preghiera continua e l’esicasmo.......................................................... 11

 

 

Ta lòghia - I detti di Gesù (43): “Alzati e cammina”

 

La storia, la letteratura mondiale, le scienze della psiche, ricordano che spesso l’uomo è prostrato, per cause fisiche, psichiche, culturali ed etiche, consce ed inconsce. E’ a quest’ uomo concreto, incapace di salvarsi da solo e che gli altri non sono in grado di guarire, che Cristo dice: “Alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua” (Mt 9, 6). Perché sei guarito nel fisico e nell’anima.

E’ appunto nel corso di una guarigione che Gesù dà un annuncio fondamentale che riguarda ogni uomo, la sua redenzione e il rinnovamento di vita (Mt 9 1-7). Gesù arriva nella “sua città”, a Cafarnao. Gli portano un paralitico steso su una barella. Non dicono nulla, ma il loro gesto è esplicito. Gesù “vede” e apprezza la loro fede. E diversamente dalle loro attese dice al paralitico: “Ti sono rimessi i peccati” (Mt 9,.2). Alcuni dei giudei presenti pensarono tra sé e sé: “Costui bestemmia”. Si arroga poteri divini. Solo Dio può rimettere i peccati. Ma non dicono nulla. Gesù “conoscendo i loro pensieri”, usando un ragionamento per sé improprio, ma adeguato al modo di pensare dei presenti - vale a dire, passando da una premessa inferiore ad una conclusione superiore - dice al paralitico “Alzati” . E spiega loro: cosa è più facile dire “alzati e cammina”  (Mt 9, 5) oppure “ti sono rimessi i peccati?”. Ma siccome voi pensate che io non possa rimettere i peccati, farò quello che voi avreste desiderato, ma questo vi mostrerà  che “il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati” (Mt 9, 6). Il paralitico è stato guarito e tornò a casa portando con sé la sua barella.

Questa guarigione è kerygmatica. Annuncia la buona novella per l’uomo, paralitico soprattutto nell’anima, imprigionato nei suoi peccati. Gesù viene e sana e salva. La Liturgia di S. Giovanni Crisostomo ha posto questa prospettiva storico-soteriologica nella stessa anafora. La ragione che determina la celebrazione dell’Eucaristia, del degno rendimento di grazia, è così proclamata: “Tu, Signore, dal nulla ci hai tratti all’esistenza e, caduti ci hai rialzati; e nulla hai tralasciato per ricondurci al cielo e a donarci il futuro tuo regno”. “Alzati e cammina” indica la condizione normale dell’uomo, capace di autospostarsi in modo “alzato”, ritto, diritto, capace di rivolgersi al Signore, liberato da ogni peccato. “Alzati” (ègheire) è uno dei verbi usati per indicare la risurrezione. E’ l’uomo risorto a novità di vita che può camminare verso la casa della vita eterna (Besa/Roma).



ROMA

LA FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO

SEGNO DI PACE

FRA ROMA E COSTANTINOPOLI

 

Sul numero di giugno del  mensile di Roma in lingua inglese “The Roman Forum – Nerws and Views about Rome” è stata pubblicata una nota di Eleuterio F. Fortino che riportiamo qui di seguito in lingua italiana:

 

La festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, nella seconda parte del secolo scorso, ha assunto una grande dimensione ecumenica, dando origine ad una nuova testimonianza di fraternità ecclesiale fra Roma e Costantinopoli. L’occasione è stata la celebrazione del XIX centenario del martirio dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno 1967), dichiarato dalla Chiesa di Roma come “anno della fede”. La Santa Sede aveva invitato il Patriarcato Ecumenico. Il venerato Patriarca Athenagoras accoglieva l’invito. Con lettera al Santo Padre Paolo VI (25 maggio 1967) Athenagoras annunciava “la nostra partecipazione a questa celebrazione, in unione con la nostra Santa Chiesa che venera in modo del tutto particolare ed onora le lotte ed il martirio di questi due grandi eroi della fede. Invieremo una delegazione patriarcale alle solennità che avranno luogo” (Tomos Agapis, 155). Venne a Roma una Delegazione composta da due metropoliti, Chrysostomos di Austria e Chrysostomos di Mira, dall’archimandrita Gennadios Zervos e dal diacono Kallinikos. In un telegramma di ringraziamento Paolo VI esprimeva questo auspicio: “Che il bacio di pace scambiato durante la liturgia sia segno premonitore della celebrazione che verrà un giorno come frutto della piena unità che noi ardentemente desideriamo vedere ristabilita nella piena fedeltà alla volontà del Signore” (Tomos Agapis, 170). Questo desiderio ha ispirato lo storico scambio di visite fra il Papa Paolo VI al Patriarcato Ecumenico (25 luglio 1967) e il Patriarca Athenagoras a Roma (26 ottobre 1967).

Dopo la morte del cardinale Bea (1968), veniva elevato al cardinalato e nominato Presidente del Segretariato pe l’unione dei Cristiani, Giovanni Willebrands  (aprile 1969). Questi prende l’iniziativa di fare visita al Patriarcato Ecumenico considerando la festa (30 novembre) di S. Andrea, fratello di S. Pietro, come l’occasione propizia.

Il Segretariato per l’Unione dei Cristiani informa il Patriarca che il cardinale Willebrands sarebbe stato accompagnato dal Segretario p. Jerôme Hamer, o.p., dal sottosegretario p. Pierre Duprey e da p. Eleuterio F. Fortino, officiale della sezione orientale.

Lo scopo di questa visita, oltre a partecipare alla celebrazione ortodossa della festa di S. Andrea, come scriveva il cardinale Willebrands al Patriarca Athenagoras, era quello di “fare il punto delle relazioni tra le nostre Chiese e di dare al nostro comune sforzo un nuovo impulso” (Tomos Agapis, 268).

Si delineava la prassi dello scambio regolare annuale di delegazioni per la partecipazione reciproca alle feste patronali. Una delegazione cattolica si reca al Patriarcato Ecumenico per la festa di S. Andrea e una ortodossa a Roma per la festa dei Santi Pietro e Paolo. Questa prassi si è consolidata diventando una “nuova tradizione”, come più volte è stata definita.

Questo scambio di visite (a giugno ed a novembre) è progressivamente cresciuto di interesse e di utilità per la concertazione delle iniziative fra Roma e Costantinopoli. In queste date hanno avuto luogo anche visite degli stessi Capi  di Chiesa. Il Papa Giovanni Paolo II ha fatto il suo primo viaggio ecumenico proprio al Patriarcato Ecumenico per la festa di S. Andrea (1979), annunciando assieme al patriarca Dimitrios I la composizione della Commissione Mista Internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. S.S. Bartolomeo I è venuto per la prima volta come patriarca, a Roma per la festa di S. Pietro nel 1995. Nel discorso pronunciato nella Basilica Vaticana il Patriarca Bartolomeo diretto al papa ha detto: “La festa dei santi Apostoli ha condotto la nostra umile persona e coloro che ci accompagnano in questa città dei grandi martiri della Chiesa, dei grandi trionfi dell’amore verso Dio…La nostra Chiesa della Nuova Roma festeggia qui con voi la festa patronale dell’antica Roma, il 29 giugno, la festa dell’apostolo S. Pietro, il protocorifeo, fratello di Andrea, e quella di S. Paolo, l’Apostolo delle nazioni” (Information Service, 1995, p.115).

La dimensione ecumenica veniva sottolineata da Papa Giovanni Paolo II nel discorso rivolto al Patriarca durante l’udienza concessa al patriarca e al suo seguito. Il Papa ha detto: “Nella vostra persona, Santità,  e in coloro che vi accompagnano, intendo salutare il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico e tutti gli ortodossi del mondo. Ai miei occhi, la vostra presenza manifesta il ricchissimo patrimonio culturale e la varietà dei doni delle Chiese ortodosse. Oggi e dopo i grandi cambiamenti  di questi ultimi anni, le Chiese ortodosse dedicano tutti i loro sforzi a riorganizzare la loro vita pastorale e la loro azione evangelizzatrice. Esse possono essere sicure della nostra simpatia e della nostra disponibilità per una collaborazione al servizio dell’annuncio dell’unico Evangelo” (Ibidem 114)). Un simbolo di un tale comune impegno è stato manifestato con la recita, durante la Liturgia Eucaristica sull’Altare della Confessione, del Credo nella forma originale in lingua greca fatta insieme dal Papa e dal Patriarca.

La presenza regolare a Roma di una delegazione ortodossa per la festa dei Santi Pietro e Paolo sottolinea la comunione esistente fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Giovanni Paolo II ha rilevato anche il sentimento di gioia fraterna che ne emana. Al Patriarca Bartolomeo e al suo seguito ha detto: “La vostra visita rende più ricca di gioia la solennità dei Santi Pietro e Paolo, festa patronale della Chiesa di Cristo che è a Roma” (Ibidem).

I discorsi e i gesti che si compiono in questa occasione manifestano la fede comune esistente fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, il riferimento all’apostolicità e alla successione apostolica, l’impegno comune per superare gli ostacoli che impediscono la piena unità e la concelebrazione dell’Eucaristia dell’unico Signore.

Il cammino verso l’unità, tra accelerazioni e ritardi, tra nuove difficoltà e tentativi di superamento, continua il suo corso sulla scia dei Santi fratelli Apostoli Pietro e Andrea, che hanno coronato la loro vita con il martirio, assecondati dal magistero di S. Paolo che nelle sue lettere ha profondamente esposto l’esigenza e la consistenza dell’unità della Chiesa.

Anche per la festa dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno) verrà a Roma una delegazione del Patriarcato Ecumenico e per la festa di S.Andrea (30 novembre) è annunciata la visita dello stesso Santo Padre Benedetto XVI al Patriarcato Ecumenico (Besa/Roma).

 

ROMA

DON LAZЁR SHANTOJA

LA PUBBLICISTICA E I NODI IRRISOLTI

DELLA STORIOGRAFIA ALBANESE

 

 Riportiamo il secondo intervento pronunciato nel corso della presentazione dell’Opera Omnia di Don Lazër Shantoja avvenuta al Circolo “Besa-Fede” il 29 aprile 2006. Lo scrittore Eugjen Merlika ha trattato il tema de “La pubblicistica e i nodi irrisolti della storiografia albanese”:

 

Il 5 marzo 1945 venne fucilato il primo martire della Chiesa cattolica albanese dell’era comunista, Don Lazër Shantoja. Era stato arrestato dai “liberatori” dell’Albania poco più di due mesi prima. Durante quei due mesi aveva subìto le torture più disumane che si potessero immaginare. Il corpo mutilato, con le membra troncate, in quel giorno di marzo, fu gettato in una fossa anonima insieme a quello di Sulçe Beg Bushati.

Cosi si chiuse il cerchio della vita di uno degli studiosi più eminenti del mondo albanese, la cui personalità si distingueva in diversi campi della letteratura, dando un contributo invero poderoso alla vita culturale del suo Paese. Egli era figlio delle tradizioni cattoliche di Scutari, la città più rappresentativa della cultura albanese. Crebbe e si formò, nella vita civile e religiosa, nell’Istituto Pontificio della sua città e nell’Università austriaca di Innsbruck. Mise radici e si sviluppò nella tradizione del clero cattolico che aveva avuto il ruolo principale nella custodia, nella crescita e nel consolidamento dell’identità nazionale e della cultura albanese durante il dominio multisecolare ottomano.

Shantoja entrò come un uragano nella confraternita  dei chierici intellettuali cattolici, i quali a partire da Buzuku, Bogdani, Bardhi ed altri e fino a Fishta, Mjeda, Gjeçovi, Marlaskaj ed altri dominarono con la loro personalità e la loro attività, nel corso dei secoli, nella sfera della resistenza  albanese al pericolo disgregatore dell’occupazione, rappresentando la spina dorsale della cultura e dell’idea nazionale. Mentre le istituzioni religiose cristiane dell’Europa medievale post-romana hanno avuto il merito riconosciuto di aver difeso i valori della cultura classica del lascito greco-romano dal pericolo della loro distruzione da parte dei barbari, bisogna dire che la chiesa cattolica albanese, durante il nostro medioevo che si è protratto fino al ventesimo secolo, resse e costituì l’elemento fondamentale per la rinascita della nazione albanese.

Don Lazër Shantoja, un giovanotto ventiquattrenne, appena consacrato sacerdote, viene nominato segretario dell’arcivescovo Monsignor Lazër Mjeda. Qui ha inizio la sua opera quasi trentennale al servizio della chiesa, della cultura e della società albanese nel periodo pieno di avvenimenti che diedero vita alla creazione ed al rafforzamento del primo Stato albanese unito. L’attività di Shantoja, grazie alla sua ricca formazione intellettuale, era molteplice. Poeta nato e prosatore maturo, oratore inarrivabile ed autentico tribuno politico, traduttore fra i più dotati nella letteratura albanese e profondo conoscitore delle lingue classiche ed europee principali, studioso attento del pensiero letterario, sociale e filosofico delle “elites” occidentali, Don Lazër Shantoja si distinse in particolare per il contributo fornito nel campo della pubblicistica e del pensiero sociale nei primi decenni del ventesimo secolo.

La pubblicistica di Shantoja possiede la bellezza cristallina di un lago alpino, nel quale si versano i torrenti impetuosi quando i temporali sferzano le montagne circostanti. Quei temporali sono gli avvenimenti politici vissuti in prima persona e riflessi nei suoi articoli. L’arco delle sue osservazioni è piuttosto ampio ed i suoi molteplici interessi si aggirano tutti intorno ad un’idea centrale che è il suo “credo”: la Patria, l’Albania, il suo sviluppo in direzione dell’Occidente. È un’idea insostituibile sia dell’autore che dei suoi amici e compagni di lotta, un’idea che illumina e dà un senso alla loro vita, percorsa da ogni genere di sacrifici e privazioni. I suoi articoli si trovano sparsi, pubblicati in diversi giornali dentro e fuori dall’Albania, dai quali emerge una personalità poliedrica.

Nell’insieme degli scritti pubblicati da “Shkolla e re” (“La nuova scuola”) dell’anno 1921, si distingue il desiderio dell’autore di seminare nei connazionali i principi della civiltà, di quella verità che sorge dagli insegnamenti dei filosofi e dall’esperienza dell’incivilimento nei secoli. In questi scritti vengono elencati i principi dell’educazione, della morale, della società nelle sue diverse manifestazioni, quali scuola, lavoro, carriera, arti, ecc. Vi si citano esempi di personaggi illustri, dei loro difficili cammini, dei loro successi, della loro fama, con l’unico fine di stimolare le ambizioni più nobili degli albanesi, che dovevano costruire ogni cosa con le proprie mani. Con uno stile sobrio e convincente Shantoja vuol dire ai suoi concittadini, e soprattutto ai giovani, che non c’è nessun ostacolo insormontabile quando esiste la volontà e il desiderio di andare avanti. Si tratta di insegnamenti preziosi che vengono diretti ad un popolo che ha appena imboccato la via dello sviluppo dopo secoli di giogo straniero che certamente non aveva favorito il detto sviluppo. L’autore fa parte di quella elite del suo popolo che si adopera con ogni mezzo verso la curiosità, l’interesse, il desiderio di progredire, per mettere alla prova l’intelligenza, la forza di volontà, la pazienza, doti queste tanto necessarie a superare le difficoltà e gli impedimenti che le circostanze storiche creavano agli albanesi con lo scorrere del tempo. Tramite gli esempi di molti personaggi illustri, la cui vita era iniziata fra grandi difficoltà ma che poi era sfociata in successi impensabili in campi diversi delle scienze, delle arti o della politica dei loro Paesi, Shantoja lancia il messaggio dell’ottimismo, della fede nella forza e nella costanza del suo popolo. Allo stesso tempo egli dice agli albanesi che nulla si vince facilmente, nulla viene regalato ma si conquista con sudore  e sacrifici. In questa via della rinascita della nazione e degli sforzi per camminare nelle orme dei popoli civili ognuno deve fare la sua parte. Ciò vale sia per le generazioni che per gli individui, per i leader che per i semplici cittadini.

Il Don Lazri cristiano e democratico si sforza di  cancellare i pregiudizi di casta, della razza scelta, delle “famiglie bene”, specie nel sistema scolastico, nella mentalità degli insegnanti che hanno un ruolo primario nella via allo sviluppo del Paese. Dal loro impegno nasceranno coloro che faranno progredire l’Albania in tutti i campi, gli amministratori e gli statisti, gli artisti ed i professionisti, nonché quella elite intellettuale che diventerà la colonna portante di una società che deve mirare a bruciare le tappe, a riguadagnare il tempo perduto per poter entrare a pieno diritto nei ranghi dei popoli civili. L’Albania ha bisogno di insegnanti che siano consapevoli della missione cruciale che li attende, e che considerino il loro compito non come un guadagno del momento, ma un utile per il futuro. Per l’autore “È chiaro che se gli insegnanti mirano solo a guadagnare il pane quotidiano, non avranno altro guadagno se non quello di fermare il respiro e far lavorare lo stomaco; i guadagni veri, spirituali e ideali, la soddisfazione di essere considerati e di essere fra i portatori di progresso del Paese spargendo un seme che un giorno darà frutti preziosi, per questi guadagni l’insegnante deve avere un ideale” (p. 63).

Il pensiero di Shantoja anticipa il progetto della società albanese, essendo egli stesso più evoluto rispetto alla mentalità prevalente del tempo. Egli frusta il patriarcalismo tradizionale ed il maschilismo caratteristico della concezione albanese del mondo e consiglia la tolleranza ed il rispetto dell’opinione (altrui), benché la concezione circa la donna non si salvi dalla mentalità del tempo e diventi inaccettabile al grado di sviluppo dell’Albania odierna.

I problemi dell’economia sono visti nel prisma della mentalità statalista. Il Governo e lo Stato devono essere i regolatori dell’economia, alias dirigerne la rotta ed il modo del suo funzionamento. Ci troviamo di fronte a concetti protezionistici che a prima vista favoriscono i produttori ed i consumatori albanesi, ma danno luogo ad un’economia rigida e chiusa che nel tempo non ha alcuna capacità di sviluppo.

La stampa, la sua forza, importanza, funzione ed influenza sullo Stato e sulla società costituiscono un altro tema degli scritti di Shantoja. Egli era piuttosto critico, specie verso la lingua scritta che, riprendendo un’espressione del Budi, “si perde e si imbastardisce”. “Più di ogni altra cosa dobbiamo criticare la fenomenale incapacità di molti scrittori che, senza alcuna preparazione scolastica si mettono a scrivere a casaccio su argomenti di cui non hanno alcuna competenza…. Al contrario, quando è necessario esaminare le questioni più delicate di filosofia, morale, sociologia, tutti, perfino cuochi e camerieri si dicono competenti…. Quale educazione può impartire al nostro popolo una colonna tenuta in piedi da un pescivendolo, da una penna spesso venduta e faziosa?.....” (p. 128) chiede con legittima rabbia sulle pagine di “Ora e maleve” (La fata delle montagne) l’erudito che aveva il privilegio di studiare nelle lingue originali i migliori risultati delle culture occidentali.

Shantoja era fautore della stampa libera e indipendente, che ha per scopo principale la presentazione della verità imparziale, una stampa che non sottostà alla forza del denaro o del potere, poiché in quel caso essa ribalta la sua missione, che è quella di plasmare l’opinione e la conoscenza del lettore con il corso degli avvenimenti di ogni giorno. Il suo interesse abbraccia diverse sfere della vita albanese, e la tematica degli scritti tocca, si può dire, l’intera gamma dei suoi fenomeni.

Gli scritti mostrano un quadro affatto ottimista dell’andamento dello Stato albanese, dei suoi problemi economici, finanziari ed amministrativi. In essi viene fatta un’analisi anatomica di questi aspetti e si mette l’accento su di un apparato amministrativo stragonfio che pesa come un macigno su di un’economia debole e sottosviluppata, per non dire inesistente. “È proprio necessario tutto questo personale? Tutto questo personale viene impiegato perché l’Albania e la sua ripresa ne ha bisogno, o perché questi vogliono vivere a spese dell’Albania?” si chiede amaramente l’autore. Si sente la preoccupazione del cittadino Shantoja che si spinge fin dentro ai meandri più nascosti del suo Paese e fa da eco alla povertà della maggior parte del popolo che certamente non potrà essere alleviata da questo tipo di organismo e di funzionamento dello Stato. La preoccupazione è sincera e combacia anche con la missione del parroco che ogni giorno tocca con mano le ristrettezze dei semplici cittadini che riempiono la parrocchia ogni domenica e che si ribella ed esplode quando vede “come si spreca il denaro, si prevarica la fatica dei poveri, del popolo, del contadino, del lavoratore. Per mantenere i parassiti…..che non sanno come vivere, se non sulle spalle dello Stato, con un impiego rubato e protetto…” (p. 131)  Non abbiamo a che fare con una strumentalizzazione di tipo marxista del fenomeno, ma con una grande sofferenza di colui che ama profondamente la sua gente. Questo dolore arriva fino alla rivolta ed alla disperazione quando vede che i criteri di assunzione della folla di impiegati non sono il merito e la capacità, ma il clientelismo ed il favoritismo politico. Sono piaghe aperte e mai chiuse fino ai giorni nostri, quando abbiamo ancora a che fare con questi fenomeni, che compromettono lo sviluppo.

Negli articoli pubblicati nell’ “Ora e maleve” si sente forte il polso del patriota, ma c’è anche forte dose di realismo. I problemi del Paese vengono affrontati con il cuore ma anche con la mente, soprattutto in senso critico. Lo scrittore ha un obiettivo chiaro, intorno al quale ruota tutto l’insieme delle sue preoccupazioni: l’Albania che si deve muovere sulla via dello sviluppo, del progresso, della civilizzazione. I fenomeni che impediscono questo cammino stanno sul filo del rasoio della critica del pubblicista, sono materie dei suoi pamflet politici, oggetto di frustate, a volte con toni molto aspri. Ma Shantoja non è un nichilista, non guarda soltanto ai lati oscuri del momento e del futuro della sua Patria, ma ha la capacità di vedere anche la luce nelle persone idealiste che si sforzano di preparare la strada sulla quale le generazioni future costruiranno lo Stato moderno. “L’Albania l’ha fatta l’intelligenza e dovrà essere retta dall’intelligenza, altrimenti non avremo un’Albania! IL serbatoio della forza più sana in Albania è il suo centro intellettuale. Quando ascoltiamo le conversazioni piene di conoscenza e di finezze di un Fan Noli, la dialettica rigorosa e misurata di un Luigj Gurakuqi, la parola elettrizzante di un Ali Kelcyra, la lingua chirurgica di uno Stavri Vinjau, le argomentazioni giuridiche di un Koço Tasi, noi dimentichiamo le esplosioni attuali ed un’unica, dolcissima parola risuona al nostro orecchio: Sì! L’Albania c’è!” (p. 143).

Shantoja è un idealista, ma nel suo idealismo c’è anche un certo pragmatismo. La storia del mondo gli ha insegnato che i popoli, nel cammino dello sviluppo, hanno raggiunto gli obiettivi che si prefiggevano quando avevano dei leader capaci e dediti alla causa. La loro presenza serve a dare tranquillità,  speranza e certezza per il futuro. Questa speranza viene alimentata dai giovani, dagli studenti che, nelle diverse nazioni europee, si formano tramite la conoscenza, la cultura e la professione, preparandosi a tradurle in fatti nel proprio Paese. Cosi nacque nell’Albania degli anni trenta quella elite culturale che dopo il 1944 sarebbe stata spietatamente annientata in quanto “intelligenza borghese”, avversaria del regime comunista.

In Albania sembra una fatalità storica il fatto che occorra sempre sperare in una nuova generazione che debba tirarla fuori dalla palude ed avviarla sulla strada del progresso. “ Le idee nascono, crescono e danno frutti solo in una terra vergine, nelle menti e nel cuore dei giovani: da loro nascono poi per far pulizia del marcio e di tutto ciò che impedisce il progresso o che si cristallizza in forme di un’era che è tramontata” (p. 244). Così scriveva Don Lazri nel 1924. 18 anni dopo Mustafa Kruja, allora Primo Ministro dell’Albania unita all’Italia, nell’intervista concessa al noto giornalista italiano Indro Montanelli, così si esprime:

“….Noi abbiamo un’aristocrazia stanca, attardata su principi che non si adattano più ai nostri tempi; una borghesia scarsa di numero, di mezzi e di preparazione; una massa di cui il 70% è analfabeta. La nostra speranza sono i giovani. I giovani hanno impeti che talvolta li trascinano un po’ lontano, ma sono animati da uno schietto amore per la loro patria, e sinceramente aspirano alla formazione di una coscienza nazionale e individuale. Molti di essi vanno a studiare in Italia. Ne tornano impazienti di portare il loro Paese al livello italiano. Spesso l’impazienza li spinge ad errori, ma sia benedetto chi erra per generosità: Io non voglio dei giovani pedissequamente obbedienti, ma coscienti e disciplinati. Naturalmente i primi renderebbero più facile il mio compito di governante, ma non mi darebbero nessuna garanzia per il futuro. E a noi quello che preme è solo il futuro”.

Dopo 60 anni, poggia nuovamente sui giovani la speranza di rimuovere la politica albanese fuori dal pantano ed il Paese dalla classifica di ultimo in Europa. Anche se in questo senso incorriamo spesso in delusioni, perché non tutto ciò che luccica è oro, penso che sia necessario un rinnovamento continuo della politica albanese. Purtroppo non la vede cosi la maggior parte della classe dirigente che difende le posizioni acquisite, senza contare che il tempo passa e non ci possono essere uomini per tutte le stagioni. Ciò nonostante è incoraggiante constatare un certo attivismo nelle amministrazioni pubbliche  da parte di parecchi giovani laureatosi all’estero.

Nella pubblicistica di Shantoja penso che un posto  di primo piano debba competere agli articoli che trattano avvenimenti e personaggi della politica albanese in un arco di tempo che copre circa un quarto di secolo. Lo scrittore era un attento osservatore degli stessi e, più che prendervi parte a livello importante, egli era una vittima responsabile di quei fatti. Subì carcere, confino ed esilio anche se non ha mai avuto cariche di rilievo, ed in realtà non è mai stato neanche deputato. Ma il prete poeta è in simbiosi con quegli avvenimenti ed i loro protagonisti, e la sua penna insieme all’oratoria, hanno avuto spesso un’influenza decisiva su di essi. Shantoja è sempre coerente con sé stesso e i suoi principi. Le opinioni possono anche cambiare, ma le valutazioni hanno un criterio determinante e fermo: l’interesse del Paese. Questo è il vero ed unico metro che vale per tutti e per tutto.

Lui si situava nell’ala dell’opposizione antizogista. Il suo idolo era Luigj Gurakuqi, leader dell’ opposizione negli anni 1921-24, che, cito: “Con una costanza esemplare, instancabile, spese la sua vita per un ideale ed un’Albania libera, grande, felice”. I martiri della libertà e della democrazia erano Avni Rustemi, lo stesso Gurakuqi, Bajram Curri, Hasan Prishtina, Elez Isufi, Zija Dibra, Ramiz Daci, Zef Ndoci, Mark Raka. I combattenti con i quali divise convinzioni ed ideali erano Mustafa Kruja, Stavo Vinjau, Qazim Koculi, Xhevat Korça ed altri. Sull’altare della Patria c’erano i suoi colleghi ben noti, quali Fishta, Gjeçovi, Mjeda, Harapi, Marlaskaj, ed altri. Nel campo avverso c’era Ahmet Zogu, Primo ministro, Presidente e più tardi Re dell’Albania, per una parte degli albanesi sinonimo del male al potere, circondato dagli aristocratici che lo appoggiavano come Eshref Frasheri, Faik Konitza, Mehdi Frasheri, ecc. o da killers e mandanti quali Baltjon Stambolla, Çatin Saraç, ed altri.

Shantoja penetra in questo microcosmo  di personaggi politici con la forza della sua penna, lasciandoci come scolpite le sue convinzioni ed i suoi pensieri, che sono frutto di punti di vista oggettivi e soggettivi dell’autore, e a volte anche delle sue passioni politiche. Si tratta comunque di testimonianze importanti, poiché nascono dalla penna di una persona senza pregiudizi, che valuta partendo dai fatti. I periodi ai quali si riferiscono gli scritti sono quelli del 1920-24, dell’esilio 24-39 e gli anni 39-43, quando l’Albania era occupata dagli italiani ma aveva uno status particolare in quanto si definiva unita al Regno d’Italia.

Sugli avvenimenti di questi periodi storici l’autore ha opinioni diverse. Imbevuto di convinzioni democratiche avanzate, egli appoggia senza riserve la Rivoluzione del giugno 1924 e quegli intellettuali insieme a quei giovani dell’Unione (Bashkimi) che erano i suoi portabandiera. Stranamente dedica pochi scritti al Governo di Noli e, al contrario, di più all’esilio politico che seguì alla sua caduta. Forse questo fatto testimonia la delusione del pubblicista Shantoja per quel governo e per il Primo ministro in persona, che in seguito attacca duramente. Dall’esilio in Jugoslavia, Austria e Svizzera egli si impegna nell’analizzare la situazione dell’Albania reale, dell’evoluzione del potere di Ahmet Zogu fino alla Monarchia, ma anche quell’alternativa rappresentata dai rifugiati politici albanesi antizogisti. In questa situazione di  conflitto forte e duraturo sembra non vi sia possibilità di dialogo e di intesa. Per Shantoja, cosi come per tutti i rifugiati politici che avevano lasciato l’Albania “Il mondo ha appreso che in Albania comanda un Presidente sanguinario, un Presidente che ammazza pagando alla luce del sole, un Presidente che parla solo con i sicari, che promette loro  l’aiuto di una potenza straniera, una liberazione a breve, una paga mensile….” ( p. 370)

Ma questo avversario politico, questo “Presidente sanguinario” quando lo vede ingiustamente discreditato da un giornale austriaco, ha il coraggio di chiedere al Cancelliere austriaco, Dr. Seipel, il suo intervento per ristabilire il prestigio dell’allora Primo ministro albanese. È una delle perle di questo libro, un esempio ideale della morale politica ad alto livello, una manifestazione fra la lotta politica, la sua etica ed il rispetto delle istituzioni, una lezione di stile per la politica odierna in Albania e altrove.    

Dal canto suo Zogu era consapevole della forza intellettuale dei suoi oppositori, ma sapeva anche che la loro mentalità europea non trovava terreno favorevole negli albanesi che richiedevano tempo per sbarazzarsi del loro modo di essere e di pensare orientale ereditato da cinque secoli. Egli cercò in tutti i modi di rendere inoffensiva questa Opposizione sparpagliata e frammentata in vari gruppi, Stati e convincimenti politici diversi. Questa guerra da lontano continuò fra insulti, anatemi, delegittimazioni e giuramenti reciproci fino al 7 aprile 1939, quando Mussolini e Ciano decisero di aggiungere anche la Monarchia albanese alla corona di Vittorio Emmanuele III, facendo sbarcare truppe di occupazione sulle sue spiagge.

Come tanti altri, anche il prete Shantoja lasciò la parrocchia nel Giura Bernese e tornò in Albania “liberata” dalla “tirannia” di Re Zog. Vide i cambiamenti intervenuti con speranza e fiducia nell’avvenire. Non giudicò l’occupazione una tragedia, ma un mezzo per unirsi all’Italia e tramite questa all’Europa civile, là dove egli sognava di vedere un giorno il suo Paese con i relativi benefici. Probabilmente sono stati gli scritti di questo periodo a costituire l’atto d’accusa più pesante che la giustizia comunista mosse ad una delle prime vittime delle sue leggi. Egli difende apertamente e con forza l’unione con l’Italia, non perché sia sensibile agli interessi di essa, poiché in alcuni suoi scritti precedenti, specie in riferimento all’uccisione di Gurakuqi, si esprime in modo piuttosto aspro nei riguardi dell’Italia. In questa unione di corone egli vide la possibilità che l’Albania si incammini sulla via del progresso. Se deve scegliere fra l’indipendenza nella povertà e la dipendenza nel benessere e nello sviluppo, egli sceglie quest’ultima. Egli fa parte di quella schiera di intellettuali e politici albanesi che consideravano i legami con l’Italia strategici e prioritari, l’amicizia con il popolo d’oltremare fondamentale per il futuro del loro Paese, e l’occupazione come un fatto transitorio che non danneggiava l’essenza interiore degli albanesi, di coloro che a volte con ironia, altre con disprezzo venivano chiamati “italofili”. In quella cerchia la figura più eminente era stato il leader Luigj Gurakuqi che, per Shantoja e per molti altri  era stato il modello di patriottismo.   Uscendo un momento dal quadro della pubblicistica di Don Lazer Shantoja, vorrei entrare in un altro argomento che mi sembra necessario e che nasce dalla lettura del libro. Come sono state trattate dalla nostra storiografia, ufficiale e non, queste vicende e persone che riempiono le pagine del libro di cui stiamo parlando, e c’è spazio per cambiamenti in quel senso?

Analizzando i tre periodi principali di cui si occupa Shantoja, ossia la Rivoluzione di giugno 1924 e l’Opposizione antizogista, il Regno di Zogu ed il suo ruolo, l’occupazione fascista e l’unione con l’Italia, mi sembra che le suddette vicende siano state trattate per più di mezzo secolo in forma manichea, tagliate col coltello, o bianche o nere.

Per la storiografia comunista, che purtroppo tramite gli studiosi e la mentalità continua ancora a dettare in forme diverse la sua logica: la Rivoluzione del giugno 1924 è stata un avvenimento epocale verso la democratizzazione del Paese, il periodo zogista un capitolo nero di tirannia e l’unione con l’Italia la più grande tragedia per l’Albania.

Oggi che ci siamo lasciati alle spalle il secolo scorso con tutti i lutti e le crudeltà derivate dalle ideologie totalitarie con conseguenze terribili per tutti, mi sembra che sia giunto il momento di fare un bilancio obiettivo, preciso e veritiero, di tutti quegli avvenimenti, di tutte le relative cause e conseguenze, ma anche delle vite dei loro protagonisti. Deve essere un bilancio fatto senza passione politica, che si assoggetti ad una analisi fredda di un ragionamento che deve avere come asse centrale soltanto una idea, cioè il vero interesse dell’Albania lontano dagli schemi ideologici, come materia per macinare nel suo mulino soltanto i fatti storici sgranati, puliti e non distorti. Gli studiosi cui spetta scrivere una storia veritiera del nostro Paese, devono essere come giudici imparziali che debbano analizzare quei fatti per ricavare da essi la verità incontrastabile. La loro missione dovrebbe essere lo scioglimento dei molti nodi irrisolti della nostra storiografia e la valutazione, nelle loro giuste dimensioni, dei personaggi politici implicati in essi. Penso che questo sia uno dei principali doveri della nuova generazione di studiosi albanesi, purtroppo pochi e scarsi, specie in questo campo.

È loro dovere ripulire la storiografia da termini quali “traditore della Patria”, “nemico del popolo”, “venduto”, “criminali” ed altra merce di questo genere, che un clima avvelenato dall’arbitrio comunista ha impietosamente proiettato su di essa. Sono convinto che il quadro che ne uscirebbe da un tale lavoro sarebbe la fotografia vera del nostro passato, con riferimento ai periodi storici di cui scrive Don Lazër Shantoja, ed avrebbe un aspetto ben diverso da quello che troviamo nei testi di storia e in parte anche da ciò che vediamo nei suoi scritti. Forse vi vedremmo la Rivoluzione di giugno 1924 ed il Governo di Noli come uno degli errori più gravi di una parte della classe politica di quel tempo, e Ahmet Zogu non solo come un tiranno che ordina le esecuzioni degli oppositori politici ma anche come uno degli statisti più distinti di questo Paese, con un contributo fondamentale nella costruzione delle strutture dello Stato albanese e del suo percorso nel periodo contemporaneo. Lo stesso dicasi per i cosiddetti “collaborazionisti”, non come “traditori” e “venduti” al fascismo, ma come patrioti di livello superiore che, per difendere gli interessi del proprio Paese in uno dei momenti più critici, non esitarono a porre sul suo altare ciò che di più prezioso avevano, la propria dignità umana e politica.

Sono convinto che lo staccio della storia, presto o tardi, compirà la sua funzione per dare ai giovani dell’Albania di oggi e di domani la possibilità di conoscere con esattezza ciò che hanno compiuto i loro progenitori, per scongiurare il grande inganno che noi e le generazioni precedenti hanno subito, come conseguenza dell’avvento di un progetto politico che è costato tanto alla nostra Patria. Noi dobbiamo stimolare questo processo non perché siamo nostalgici del passato, ma perché siamo fautori della verità e pensiamo che nei fondamenti dell’ avvenire della nostra società non debbano esserci né inganni né distorsioni malvagie.

A tal fine è utile anche la pubblicazione di questo libro, merito di un lavoro lungo, responsabile, pregevole e pieno di passione dei fratelli Marku, ai quali va il mio sincero ringraziamento e le mie congratulazioni più sentite, insieme all’augurio che questo lavoro possa continuare a vantaggio della verità storica, della cultura e della messa in luce dei valori nazionali, sepolti dalla polvere dell’oblio che per più di mezzo secolo il comunismo ha deliberatamente gettato su di essi (Besa/Roma).

 

SAN PAOLO ALBANESE

QUALE DIDATTICA PER L’ARBËRESH ?

 

Il 10 giugno 2006 si è tenuto a San Paolo Albanese (Potenza) un Convegno regionale sulla didattica dell’arbëresh.

Promosso dal Comitato Nazionale per le Minoranze etnico-linguistiche  in Italia, è stato organizzato dallo Sportello linguistico regionale dell’Università della Basilicata.

L’occasione del Convegno regionale è stata data dalla presentazione della Gramatikë arbëreshe di Emanuele Giordano (2006).

Il Presidente del Comitato Nazionale delle Minoranze etnico-linguistiche in Italia, Dr. Pierfranco Bruni, ha ribadito l’importanza del concetto di appartenenza quale punto forte per le minoranze linguistiche storiche. L’autore della Gramatikë arbëreshe, papàs Emanuele Giordano, ha ricordato che il suo lavoro di sistemazione della struttura linguistica dell’arbëresh si inserisce nella tradizione di studi che dal XIX secolo è giunta fino a noi, specificando che la sua Gramatikë arbëreshe rappresenta un supporto per quanti vogliano scrivere in un arbëresh corretto e purificato da infiltrazioni spurie. Tutti gli altri interventi (P. Abitante, A. Giordano, A. Formica, P. Del Puente) hanno suggerito criteri e metodi utili a rivitalizzare la lingua e la cultura arbëreshe, sulla base degli strumenti che offre la legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche in Italia (Legge 482 /1999).

Proponiamo la sintesi dell’intervento del Prof. Italo Costante Fortino dell’Orientale di Napoli.

 

Çilja didatëkë për aljbërishtin?

Quale didattica per l’ arbëresh?

 

1. Precedenti storici

Molti si pongono la domanda se esista una  lingua arbëreshe comune che possa essere compresa da tutti gli Arbëreshë, o almeno che contenga un buon 80% di elementi comuni.

Uno sguardo alle grammatiche arbëreshe:

a)      Girolamo De Rada nel 1894 ha pubblicato Caratteri e grammatica della lingua albanese (Corigliano C.) che è sostanzialmente la grammatica della parlata del suo paese Macchia Albanese, con pochi elementi di altre parlate.

b)      Nel 1871 suo figlio Giuseppe De Rada aveva pubblicato a Firenze la Grammatica della lingua albanese. I critici sono propensi a credere che la gran parte del lavoro sia stato del padre Girolamo. E’questo il suo primo tentativo di sistemazione delle regole della lingua arbëreshe, prevalentemente della parlata di Macchia Albanese.

c)      In tempi più recenti Vincenzo Baffa Golletti col suo sillabario del 1970,  Libri im i parë, ha voluto insegnare a scrivere l’arbëresh. Il metodo adottato si basa su una equilibrata integrazione del lessico arbëresh con quello della lingua letteraria d’Albania, con l’esito di una lingua sostanzialmente comprensibile e di buon livello. La riuscita del progetto è dovuta al metodo dell’impostazione: “dal più semplice al più complesso”.

d)      Nel 2000 per iniziativa  dell’A.I.A.D.I  (Associazione Insegnanti Albanesi d’Italia) hanno visto la luce i due volumi di Alfabetizzazione arbëreshe (Torino, Il Capitello), a cura di vari studiosi.

I due volumi sono scritti interamente in albanese, con traduzione italiana solo nella prima metà. Poiché il testo si rivolge a tutti gli arbëreshë, è stata tentata una “discreta standardizzazione linguistica” dell’arbëresh, coordinata anche col principio della scelta di forme  coincidenti con la lingua standard d’Albania.

e)      Sulle singole parlate esistono tanto ricerche e studi (M. Camaj, La parlata di Greci, 1971;  P. Scutari, Uno studio fonologico e morfologico sulla parlata arbëreshe di San Costantino, 1997), quanto manuali didattici. Di questi ultimi vanno menzionati l’abbecedario Udhëtimi (2000) e il manuale di grammatica Udha e mbarë (2001) pubblicati a Piana degli Albanesi. I due testi, senza traduzione italiana, presentano la parlata di Piana con terminologia grammaticale e lessico vario tratto dalla lingua letteraria d’Albania. Inoltre, sempre alla parlata di Piana è dedicata la grammatica Arbërishtja për të gjithë di Giuseppe Schirò di Modica del 2005, con tutte le spiegazioni in italiano.

f)       Di Luis De Rosa va menzionato, per i paesi del Molise,  Gjuha arbëreshe - Abetari im i parë, spiegazione dell’alfabeto (2004), e la grammatica Elementi di grammatica albanese – Variante arbëreshe del Molise, con spiegazione in italiano. Colmano i vuoti lessicali termini tratti dalla lingua letteraria d’Albania.

2. La Grammatica di E. Giordano

Nell’Introduzione alla Gramatikë arbëreshe si legge che la valorizzazione e diffusione di una cultura parte proprio dai codici linguistici

Il metodo seguito è stato quello di scegliere con intelligenza il meglio dalle parlate meno corrotte e dai migliori scrittori arbëreshë.

Sono presenti le particolarità dell’arbëresh nei tratti arcaici e in quelli più innovativi. Nei casi di molteplicità di forme l’Autore ha privilegiato, come indicazione, quella in comune con la lingua d’Albania. Chiara e sintetica è l’esposizione delle categorie grammaticali.

Questa grammatica risponde a due esigenze: a quella di chi vuole apprendere la lingua arbëreshe e a quella di chi è impegnato a insegnarla.

 

 

3. Ragioni di una didattica dell’arbëresh

 

Tre le ragioni per cui vale la pena conoscere e trasmettere la lingua parlata nelle comunità arbëreshe.

a)      Ragione culturale. In quanto la lingua è la chiave di lettura della cultura, il veicolo che la trasmette, il segreto che interpreta aspetti della cultura altrimenti incomprensibili o male interpretabili.

b)      Ragione psicologica. In quanto l’arbëresh è la lingua del cuore, quella che viene trasmessa con gli affetti più intimi, e che lega l’individuo alla famiglia, alla comunità e quindi all’etnia. Sono le ragioni del cuore che permettono all’individuo di svilupparsi in armonia con le proprie radici, in continuità con l’ambiente affettivo della famiglia e del paese.

c)      Ragione etnica e umanitaria. L’UNESCO e l’Europa, contro la crescente omologazione, favoriscono la tutela delle lingue minoritarie e meno diffuse, perché con la morte di una lingua muore una parte dell’umanità.

 

4. Didattica della lingua

La lingua tutelata dalla Legge 482 è quella rappresentata dal “modo di esprimersi dei componenti della minoranza linguistica”, cioè, la lingua parlata in ogni comunità arbëreshe, quella viva, parlata in famiglia e nel paese.

E. Giordano scrive: “per vivere bene, una lingua deve essere parlata, letta e scritta”.

Oggi possiamo imparare a scrivere la nostra lingua parlata e a prenderne coscienza del suo funzionamento e della sua struttura, in maniera graduale e sistematica.

 

I livello

E’ quello più delicato, perché finalizzato a porre le basi linguistiche, e a consolidarle, con una didattica e una competenza adeguate.

L’ambito è quello della scuola materna. La Legge in proposito dice (Art.4): “Nelle scuole materne dei comuni (interessati alla tutela) l’educazione linguistica prevede, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative”.

In altri termini l’insegnante parla nella lingua della minoranza, la lingua parlata sul posto per svolgere le varie attività educative dell’asilo.

 

II livello

Corrisponde, in linea di massima, alla scuola elementare.

Anche in questa fase, la lingua è prevista come “strumento di insegnamento”. In altri termini si può usare, nelle ore stabilite, la lingua ammessa a tutela come mezzo per insegnare “la lingua e le tradizioni culturali” della comunità locale.

In questa fase da un punto di vista didattico rientra una forma di alfabetizzazione che prevede la lettura e la scrittura della lingua arbëreshe.

 

III livello

Corrisponde alla scuola secondaria di primo grado.

Anche in questa fase la Legge dice: “nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento” (art. 4).

In questo terzo livello si consolida la lettura e la scrittura, con la comprensione di testi popolari e di livello superiore tratti dalla letteratura, oltre che orale, anche dalla letteratura colta.

Quindi possiamo dedurre che uno sguardo alle varianti linguistiche delle varie parlate arbëreshe, a questo livello, si rende necessaria. Così come si rende utile ampliare la conoscenza alla lingua letteraria d’Albania, in quanto alcuni autori arbëreshë hanno usato tale forma linguistica, o parzialmente o totalmente, nel comporre le loro opere (Besa/Roma).

 

GENAZZANO

PELEGRINAGGIO DI S. ATANASIO

 

Domenica 11 giugno 2005 la Comunità bizantina della Chiesa di S. Atanasio di Roma si è recata in pelleginaggio a Genazzano, alla Madonna del Buon Consiglio. Ha celebrato la liturgia di S. Giovanni Crisosmo con i canti in lingua albanese e greca. Si è pregato per tutti gli arbëreshë e per tutti gli shqiptarë viventi in Albania e dispersi nel mondo.

A Genazzano si trova un santuario dedicato alla Madonna di Scutari, che Leone III come Madonna del Buon Consiglio ha introdotto nelle litanie lauretane. Essa è stata nominata protettrice dell’Albania da cui l’immagine è pervenuta (1467). Il sacerdote Stefano Rodotà (sec. XVIII) ne ha trasferito il culto in Calabria erigendo un santuario a S. Benedetto Ullano (Besa/Roma).

 

PIANA DEGLI ALBANESI
L’UOMO ICONA DI DIO

 

Quest’anno dal 28 giugno al 1 luglio è stato organizzato a Piana degli Albanesi l’ XI convegno nazionale di formazione ecumenica per seminaristi, promosso dal Seminario Pio XI di Molfetta e dall’Istituto Ecumenico di Bari. Il Convegno comprendeva due relazioni:

  • La tèosis o deificazione nei Padri greci (Rosario Scognamiglio),
  • La icona di Dio e la pluralità della cultura, delle religioni e della tradizione (Roberta Simini).

I convegnisti hanno partecipato alla Divina Liturgia presieduta dal Vescovo Mons. Sotir Ferrara ed hanno visitato il duomo di Monreale e la Martorana di Palermo (Besa/Roma).

 

 

MEZZOIUSO

IL CLERO UXORATO

UNA REALTA’ DELLA CHIESA CATTOLICA

 

Il Consiglio Pastorale dell’eparchia di Piana degli Albanesi ha organizzato (7-8 luglio 2006) l’annuale convegno diocesano sul tema de “Il clero uxorato – una realtà della Chiesa cattolica”. Una realtà della Chiesa cattolica orientale. Si terrà nel monastero basiliano di Mezzoiuso. Sono previste tre relazioni:

  • la teologia del clero uxorato (prof. Basilio Petrà della Facoltà teologica dell’Italia centrale);
  • lo stato del clero uxorato – fonti dei sacri canoni, legislazione attuale del CCEO, problemi aperti (prof. Demetrio Salachas della Pontificia Università Urbaniana e del Pontificio Istituto Orientale);
  • il clero uxorato nella Chiesa ortodossa (padre Pavlos Koumarianos, parroco ad Atene).

Concluderà il convegno una tavola rotonda di “Testomianze del clero uxorato” con interventi di sacerdoti e delle loro mogli.

Presenzierà l’incontro S.E. Mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi (Besa/Roma).

LUNGRO

XXV DI CHIROTONIA EPISCOPALE

DI S.E. MONS. ERCOLE LUPINACCI

 

Domenica 6 agosto 2006 l’eparchia di Lungro festeggia il 25 anniversario della chirotonia episcopale del suo vescovo Mons. Ercole Lupinacci.  Nella cattedrale di Lungro alle ore 10,30 avrà luogo la celebrazione della Divina Liturgia presieduta dal Vescovo.

Tutte le minoranze attraversano un periodo di crisi per il rischio di omologazione alla cultura dominante. In questi 25 anni Mons. Lupinacci per gli italo-albanesi ha promosso due iniziative di alto significato. Egli ha convocato l’Assemblea eparchiale della diocesi di Lungro (1996) e assieme agli altri due ordinari  il Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni Ecclesiastiche Bizantine in Italia, celebrato negli anni 2004-2005. (Besa/Roma).

 

S. COSMO ALBANESE

CONVEGNO ANNUALE

 

Nei giorni 29-30-31 agosto si terrà nella “Casa del Pellegrino” di S. Cosmo Albanese l’annuale Assemblea diocesana sul tema: “Testimoni di Gesù Cristo risorto” in preparazione al Convegno della Chiesa italiana che avrà luogo a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006 (Besa/Roma).

ROMA

RADIX ET IMAGO

SCUOLA ROMANA DI ICONOGRAFIA

 

Inizia le sue attività il 28 giugno 2006, presso la chiesa di S. Carlo (Roma, via Augusto Imperatore 13) la “Scuola teorico-pratico d’iconografia”, diretta da don Domenico Repice col maestro Ivan Polverari. Per informazioni: mimmorepice@alice.it (Besa/Roma).

 

ROMA

SCELTA DEL BATTESIMO PER UN ADULTO

 

Ci è stato chiesto in quale rito deve essere battezzato un adulto. Riportiamo la norma del diritto:

 

CCEO, can. 30:

Qualsiasi battezzando, che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, può scegliere liberamente qualunque chiesa sui iuris, alla quale è ascritto mediante il battesimo, in essa ricevuto, salvo il diritto particolare stabilito dalla Sede Apostolica.

CCEO, can, 29 §1:

Il figlio che non abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, mediante il battesimo è ascritto alla Chiesa sui iuris a cui è ascritto il padre cattolico (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

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HESTCHIA (11): LA PREGHIERA CONTINUA E L’ESICASMO

 

Il pensiero filosofico greco ha orientato gli uomini alla serenità di spirito (hesychìa), come “assenza di agitazione”  e condizione indispensabile per raggiungere la verità e la sapienza di comportamento nella vita quotidiana. La serenità è un attributo del sapiente “cioè di colui che possiede l’armonia interiore delle potenze dell’anima e che sa mantenersi distaccato e imperturbabile nelle circostanze avverse” (L. Rossi, I filosofi greci padri dell’esicasmo, Torino 2000, 304). Per Platone, il vero filosofo, appartato dalla folla “si mantiene nella quiete (hesychian) attendendo alle sue cose” (Repubblica VI,496d). Il tema dell’hesychia viene sviluppato da Plotino, il quale ne fa una delle caratteristiche di Dio stesso. Alla serenità di spirito, come abbandono in Dio, tende pure tutta l’ascesi cristiana. Per questo i padri dell’esicasmo, seguendo s. Paolo, hanno proposto la preghiera continua. “State sempre lieti, pregate incessantemente” (1 Tes 5,17). Un cristiano russo che sentì in una chiesa questo consiglio si chiese: “Come è possibile pregare incessantemente, se ciascuno deve per forza  preoccuparsi anche di tante altre cose per il proprio sostentamento?” (Racconti di un pellegrino russo, Città Nuova, Roma, 1997, p. 91). Passò poi di chiesa in chiesa per avere una spiegazione, finché non trovò uno starec che gli aprì la Filocalia e gli insegnò la preghiera di Gesù.

 

1.  La preghiera monologica di Gesù ha nell’esicasmo un ruolo particolare di preghiera e di maturazione spirituale. Viene proposta a tutti, per ogni tempo e per ogni luogo: in chiesa, a casa, durante il lavoro, quando si è in viaggio. S. Nicodemo l’Aghiorita (1749-1809) ne ha dato spiegazioni dettagliate nel suo Manuale di consigli (Symboulevtikòn encheirìdion). Egli spiega come custodire la mente e il cuore liberandoli da ogni preoccupazione e perfino da ogni immaginazione anche religiosa. A questo punto  il credente “non deve dire altro che la preghiera monologica: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”. L’Aghiorita afferma che occorre aggiungere “la potenza volitiva dell’anima”. Bisogna che tu dica questa preghiera “con tutta la tua volontà, con tutte le tue forze e con tutto il tuo amore”. Sii intensamente concentrato sulla preghiera stessa. “Quando preghi, non raffigurarti il divino dentro di te e non permettere che qualche forma si imprima nella tua mente; ma va’, immateriale, incontro all’Immateriale, e comprenderai”. L’Aghiorita non limita la preghiera di Gesù ai monaci, “ma vuole far dono di tali pratiche e insegnarle anche ai fratelli che vivono nel mondo, perché anch’essi devono adorare Dio in spirito e verità” (cfr. Vasilij Grolimund, in “Nicodemo l’Aghiorita e la Filocalia, Qiqajon, 2001, p. 147). La brevità di questa preghiera ne facilita l’uso, la sua densità forma teologicamente la mente, la sua ripetizione determina il permanente orientamento verso Dio.

 

2.  Questa breve formula è radicata nel Vangelo e nella liturgia con una solida base dottrinale e un corretto orientamento di preghiera. Essa si rivolge a Gesù proclamandolo come il Cristo e Figlio di Dio, ricalcando la proclamazione di fede di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16). Gesù viene invocato come Signore (Kyrios), facendo eco a Tommaso che riconosce Gesù risorto dopo aver  toccato il suo costato ed esclama: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) e ricalca la professione di fede del simbolo niceno-costantinopolitano: “Credo in Gesù Cristo unico Signore”. L’invocazione, la preghiera vera e propria, “abbi pietà di me”, riprende la domanda di tanti che nei Vangeli si rivolgono a Gesù Cristo, come fa il cieco (Mc 10, 47). Essa riporta nella vita quotidiana il Kyrie elèison della Liturgia. Questa invocazione richiama alla propria realtà il credente che prega. Gli ricorda la sua condizione di peccatore bisognoso della misericordia di Dio. Nell’Aghiorita, innografo lui stesso, la preghiera di Gesù non è isolata dalla partecipazione alla liturgia della Chiesa e dalla pratica dei sacramenti.

 

3.  I padri esicasti consigliano di ripetere incessantemente questa preghiera che per l’invocazione del suo nome si chiama “preghiera di Gesù”. L’invocazione del nome si riscontra nella tradizione religiosa giudaica, come nei salmi, ma anche, in alcune forme, nella cultura greca. Per Plotino la ripetizione del nome orienta la mente al divino, rende stabile la contemplazione. La preghiera monologica attraverso una incessante ripetizione è elemento distintivo dell’esicasmo. Ma è estesa più ampiamente. Lo pseudo-Crisostomo raccomanda: “Persevera incessantemente nel nome del Signore Gesù, affinché il cuore assorba il Signore e il Signore il cuore e i due divengano uno” (PG 60,753). E’ nota l’altra formula di preghiera breve propria di Giovanni Crisostomo: “Gloria a Dio per ogni cosa (dôxa tô Theô pàntôn èneken).

 

4.  Questa incessante prassi giaculatoria stabilisce una vivente comunione con Dio, creando un habitus spirituale che fa sentire in modo concreto la presenza di Dio, condizione della vera serenità (hesychìa) interiore (Besa/Roma).

Roma, 1 luglio 2006

 

 

Circolare marzo 2006                                                                                                                        182/2006

Sommario

 

I detti di Gesù (40): “La messe è molta, gli operai sono pochi............................................... 1

ROMA: Significato della quaresima 2006................................................................................. 2

ROMA: Dialogo con le Chiese ortodosse................................................................................. 2

ROMA: Nuovi studi sul Crisostomo ........................................................................................ 5

ROMA: Presentato un postumo di Tommaso Federici............................................................... 7

ROMA: Sanzioni penali nella Chiesa......................................................................................... 8

MILANO: É deceduto Ibrahim Kodra..................................................................................... 8

ALBANIA: Collaborazione interconfessionale.......................................................................... 9

ROMA: Chiesa di S. Atanasio - Feste despotiche o del Signore................................................ 9

PRISHTINA: Due opere postume dell’arbëresh Giuseppe Del Gaudio ................................... 10

MOSCA: Premiato Anastas di Albania................................................................................... 10

CHIERI: Vatra arbëreshe ...................................................................................................... 10

ROMA: Hesychia: “Per la vostra vita non affannatevi”............................................................ 11

 

Ta lòghia – I detti di Gesù (40): “La  messe è molta, gli operai sono pochi”

 

Sproporzionati, in negativo, sono gli operai nei confronti della messe. Insufficienti perché si creino le condizioni affinché il campo sia ben preparato per  una grande messe. Gesù lapidariamente lo insegna ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt 9, 37).

Questa constatazione proveniva a Gesù dalla sua personale esperienza umana assieme ai discepoli che lo seguivano. Egli percorreva le città e i villaggi; conosceva così i grandi agglomerati umani e le piccole comunità; conosceva i problemi e le tendenze della società. In più, insegnava nelle sinagoghe, aveva un contatto diretto con la comunità dei credenti, conosceva dunque la sua qualità religiosa, le sue carenze e le sue attese. Riassume la situazione in termini drastici affermando che le folle “erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). Le “folle”, il mondo, era stanco, prostrato, senza fiducia, senza guida spirituale, “senza pastore”. La parabola della pecorella smarrita, ricercata e trovata (Lc 15, 3-7) spiega di quale tipo di pastore quelle folle avevano bisogno.

Perciò Gesù - il buon pastore - predicava il Vangelo del Regno. L’accostamento tra la predicazione del Regno e la grande messe da raccogliere, può far comprendere cosa sia la messe di cui parla Gesù. Di fatti nel Regno di Dio verranno folle dall’oriente e dall’occidente. L’altro elemento dell’azione di Gesù (“curava ogni malattia e infermità”) ricorda che in vista del Regno quelle folle avevano bisogno di guarigione e di purificazione.

Di fronte a questa situazione – che trova riscontro in ogni epoca – Gesù ne “sentì compassione”(esplagniste). Ed è a questo punto che constata la carenza di operai adeguati ed invia i discepoli – perciò poi chiamati apostoli (Mt 10,2) –“alle pecore perdute di Israele…predicando che il Regno dei cieli è vicino” (Mt 10, 6-7). Quello che Gesù fa, chiede che lo continuino e lo divulghino tra tutte le genti i suoi discepoli. Ma l’insegnamento spirituale, l’annuncio del Regno, l’opera di purificazione dell’uomo richiede l’assistenza divina. Per questo Gesù consiglia ai discepoli la preghiera. “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe” (Mt 9,38). La messe è di Dio e gli operai sono mandati da lui. L’uomo può solo cooperare. Per questo il reclutamento degli “operai del Regno” è del tutto diverso – e deve usare mezzi diversi – distinto da ogni altro reclutamento di membri di società e di organizzazioni umane (Besa/Roma).



ROMA

SIGNIFICATO DELLA QUARESIMA 2006

 

La quaresima è un cammino, segnato dalla preghiera, dal digiuno, e dall’esercizio della carità attiva e dalla solidarietà con i poveri aldilà di ogni distinzione etnica o religiosa. La prima domenica del Triodion detta del “Fariseo e del pubblicano” indica l’orientamento generale: “Due uomini salirono al tempio per pregare” e la domenica seguente detta del “Figlio prodigo” ricorda che è periodo particolare per un esame di coscienza per la conversione. L’annuale messaggio del Papa Benedetto XVI per la quaresima ne ha sottolineato alcuni orientamenti:

 
Tempo di misericordia

 

Per il pontefice “la quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia”;  un pellegrinaggio “in cui Lui stesso ci accompagna”, ci custodisce e ci sostiene” perché, afferma il papa, “anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore”. Eppure, “anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, prosegue Benedetto XVI citando le parole di Giovanni Paolo II, “c’è un limite divino imposto al male, ed è la misericordia”, prospettiva nella quale Benedetto XVI svolge la propria riflessione. “La Chiesa – prosegue – sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro sguardo sull’uomo si misuri su quello di Cristo. In nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore”.

 

Rispetto per l’uomo

 

“Uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo”; è l’appello lanciato da Benedetto XVI “a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario”. “Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità”, osserva il papa, “anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità”. Per questo Benedetto XVI invita a guidare “il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo”.

“Con la stessa compassione di Gesù per le folle – rimarca – la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire all’edificazione di un mondo animato dalla carità”:

“In questo sforzo - sottolinea ancora il papa - si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono queste - avverte - i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa”.

 

Vittoria sul male

 

Di fronte alla tentazione “di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana” che sostituisce “il credere con il fare” e ha condotto ad “una graduale secolarizzazione della salvezza”, Benedetto XVI sottolinea che “la salvezza” portata da Cristo “è integrale”, ed “è proprio a questa salvezza integrale che la quaresima ci vuole condurre”. Rievocando gli errori “compiuti nel corso della storia da molti che si professano discepoli di Gesù e che, “non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo”, il papa osserva che ciò ha avuto “per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare”.

No, dunque alla tentazione di “ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere”. Ricordando le parole di Giovanni Paolo II, “in un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato”, Benedetto XVI ribadisce il carattere “integrale” della salvezza alla quale “la quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l’uomo” (Besa/Roma).

 

ROMA

DIALOGO CON LE CHIESE ORTODOSSE

 

Il 19 gennaio “L’Osservatore Romano” ha pubblicato un articolo di mons. Eleuterio F. Fortino sul dialogo con le Chiese ortodosse nell’ultimo anno. Lo riportiamo qui di seguito:

 

Nell’ultimo anno si sono manifestate le condizioni positive per riavviare il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Dal 13 al 15 dicembre 2005 è stato possibile convocare il Comitato di Coordinamento della Commissione Mista Internazionale del dialogo teologico per la preparazione della sessione plenaria, che avrà luogo nel prossimo anno a Belgrado ospitata dal Patriarcato di Serbia. Nel frattempo era stata rinnovata la composizione tanto della Commissione Mista Internazionale (30 membri per parte) quanto del Comitato misto di coordinamento (10 membri per parte).

 

L’impasse di Baltimora

 

L’ultima sessione plenaria della commissione si era avuta a Baltimora nel 2000 sul tema: “Implicazioni ecclesiologiche e canoniche dell’uniatismo”.

 L’incontro era considerato come una continuazione dello studio fatto a Balamand (Libano) nel 1993. Voleva essere un approfondimento, passando da una considerazione di fatto - la realtà storica della nascita e della vita delle Chiese orientali cattoliche e il dichiarato riconoscimento del loro diritto di esistere e di operare - ad un’analisi di carattere ecclesiologico e canonico. A Baltimora non si era raggiunto alcun accordo. Si era pubblicato solamente un comunicato informativo. Quel comunicato dato alla stampa era stato esplicito: “Le discussioni in questa sessione plenaria sono state ampie, intense e approfondite. Tuttavia, poiché nessun accordo è stato raggiunto sul concetto teologico di base dell’uniatismo, è stato deciso di non avere, per ora, alcuna dichiarazione comune”. Tuttavia era stata espressa la volontà di cercare vie nuove per affrontare il problema: “La commissione ha avvertito la necessità che si intraprenda uno studio ulteriore delle questioni teologiche, pastorali, storiche e canoniche relative al tema”.

 In questo senso vi era un appello alle Chiese in dialogo, come si dichiarava nel comunicato: “I membri informeranno le proprie Chiese, le quali indicheranno come superare questo ostacolo affinché il dialogo possa continuare serenamente”.Nonostante la difficoltà incontrata la sessione di Baltimora non è stata  inutile. Ha individuato la vera natura del problema in discussione. La nascita delle Chiese orientali cattoliche è strettamente connessa all’affermazione del primato del vescovo di Roma nella Chiesa di Cristo.

Questa presa di conoscenza porrà la problematica nella giusta luce. D’altra parte il dialogo ecumenico non potrà evitare di affrontare direttamente questo storico problema ecclesiologico. Negli anni seguenti, la questione di come riprendere e continuare il dialogo è stata presente nelle preoccupazioni della Chiesa cattolica, del Patriarcato Ecumenico e di molte altre Chiese ortodosse nei loro regolari contatti.

 

L’accordo pan-ortodosso.

 

I rappresentanti designati dalle Chiese ortodosse per il dialogo con la Chiesa cattolica si sono incontrati (11-13 settembre 2005) al Patriarcato Ecumenico (Istanbul) su invito del Patriarca S.S. Bartolomeo I “allo scopo di esaminare la questione del proseguimento di questo dialogo teologico e delle sue prospettive future”. Sono stati presenti i rappresentanti delle Chiese di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Russia, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia, Cipro, Grecia, Polonia, Cecchia e Slovacchia, Finlandia e Estonia. Erano assenti soltanto i rappresentanti di Albania “per ragioni tecniche”. Ha salutato i partecipanti lo stesso Patriarca Ecumenico che, secondo il comunicato, “ha sottolineato il significato del dialogo e della sua continuazione ed esprimendo la posizione di tutta l’Ortodossia, ha detto tra l’altro che il Patriarcato Ecumenico auspica sempre che si realizzi l’avvicinamento delle antichissime Chiese e tradizioni e che si superino tutti gli impedimenti all’unità dei cristiani…Per i temi riguardanti la fede, l’unità è indispensabile e deve essere ricercata nell’ambito di prima dello scisma”. “Non dimentichiamo – ha aggiunto – che per questo dialogo siamo responsabili di fronte a Dio e alla storia”.

Per la questione della tematica da affrontare nella nuova fase che si apre, i partecipanti all’incontro hanno recepito l’orientamento che era emerso nei contatti avuti negli ultimi anni. Il comunicato informa che “come è noto, tutte le Chiese ortodosse hanno concordato che il tema dell’uniatismo, che ha impegnato il dialogo negli ultimi dieci anni e oltre, bisogna che sia continuato nell’ambito della ecclesiologia e con particolare riferimento al problema del Primato nella Chiesa”. Per il dialogo – continua il comunicato – “tutti i rappresentanti della Chiesa ortodossa hanno concordato che la necessità di continuare il dialogo teologico sorge dal dovere di tutti di ubbidire al comandamento del Signore di promuovere l’unità della Chiesa”. I partecipanti all’incontro pan-ortodosso “hanno eletto all’unanimità come co-presidente della Commissione Mista del Dialogo, il rappresentante del Patriarcato Ecumenico, il metropolita di Pergamo Giovanni (Zizioulas), docente universitario e accademico”. Nell’incontro il rappresentante del Patriarcato di Serbia ha informato che la Chiesa serba offre l’ospitalità alla Commissione Mista per la sessione plenaria nel prossimo anno.

 

Riunito il Comitato Misto di coordinamento

 

Nei giorni 13-15 dicembre 2005 si è incontrato a Roma il Comitato Misto di Coordinamento per il dialogo teologico. Il comunicato concordato a conclusione  dell’incontro informa:

“Oltre ai due Co-Presidenti della Commissione, Sua Eminenza il cardinale Walter Kasper (Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani) e Sua Eminenza il metropolita Ioannis di Pergamo (Patriarcato ecumenico),erano presenti i seguenti partecipanti:

da parte della Chiesa ortodossa: il metropolita Makarios del Kenya (Patriarcato di Alessandria), il metropolita Pavlos di Aleppo (Patriarcato di Antiochia), il prof. George Galitis (Patriarcato di Gerusalemme), il vescovo Hilarion di Vienna ed Austria (Patriarcato di Mosca), il vescovo Ignatije di Branitsevo (Patriarcato di Serbia), il vescovo Petroniu di Salaj (Patriarcato di Romania), il vescovo Basilios di Trimithus (Chiesa di Cipro), il vescovo Athanasios di Achaia (Chiesa di Grecia), il metropolita Ambrosius di Helsinki (Chiesa di Finlandia), il metropolita Gennadios di Massima (Patriarcato Ecumenico – Co-Segretario della Commissione);

da parte della Chiesa cattolica: l’arcivescovo Ioannis Spiteris di Corfù, il vescovo Gérard Daoucourt di Nanterre, il vescovo Brian Farrell (Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani), mons. Piero Coda (Pontificia Accademia di Teologia, Roma), padre Dimitri Salachas (Pontificia Università Urbaniana, Roma), padre Paul McPartlan (The Catholic University of America, Washington DC), padre Frans Bouwen (Sainte-Anne, Gerusalemme), dr. Theresia Hainthaler (Philosophisch-Theologische Hochschule Sankt Georgen, Frankfurt), mons. Eleuterio Fortino (Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Co-Segretario della Commissione).

In apertura dell’incontro i co-presidenti hanno riaffermato lo scopo del dialogo così come esso era stato dichiarato al suo inizio nel 1980 a Rodi: Lo scopo del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa è il ristabilimento della piena comunione. Tale comunione, basata sull’unità di fede secondo l’esperienza comune e la tradizione della Chiesa primitiva, troverà la sua piena espressione nella comune celebrazione dell’Eucaristia.

 

Convocata la Sessione plenaria della Commissione Mista

 

Il Comitato misto di Coordinamento ha preso le seguenti decisioni:

  1. Prossima sessione plenaria

La prossima sessione plenaria della Commissione, su invito della Chiesa ortodossa di Serbia, si terrà a Belgrado, dal 18 al 25 settembre 2006. Sarà la prima dopo quella di Baltimora del 2000.

  1. Tematica

Durante l’incontro è stato convenuto che, in continuità con i precedenti documenti concordati dalla Commissione, il contesto generale del lavoro della Commissione è la teologia della koinonia o comunione, e che tale contesto necessita di essere rafforzato con un ulteriore studio, in modo da permettere un dibattito più approfondito di due argomenti tra loro correlati e centrali nel contesto delle relazioni tra le nostre Chiese, cioè il primato del Vescovo di Roma e la questione de “l’uniatismo”, oltre ad altre questioni in sospeso. Di conseguenza, è stato convenuto che la prossima sessione plenaria a Belgrado studierà il progetto di testo preparato nell’incontro del Comitato Misto di Coordinamento a Mosca, nel 1990, documento che non è stato mai discusso dalla plenaria della Commissione: “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: conciliarità ed autorità nella Chiesa. Tale testo sarà studiato tenendo in considerazione i due argomenti menzionati sopra”. I precedenti documenti riguardanti il tema della comunione pubblicati dalla Commissione mista sono:

·        “Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia, alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera 1982);

·        “Fede, sacramenti e unità della Chiesa” (Bari 1987);

·        “Il sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, 1988).

Il 15 dicembre i membri del Comitato Misto di Coordinamento sono stati ricevuti in udienza privata da Sua Santità Papa Benedetto XVI. Il metropolita Ioannis di Pergamo si è rivolto a Sua Santità a nome del Comitato, ed ha riferito con soddisfazione che “i preparativi della prossima riunione plenaria della Commissione a Belgrado erano attualmente ben avviati”.

Rivolgendosi al Comitato, Papa Benedetto XVI ha affermato che, in questa nuova fase di dialogo, è necessario avere il primordiale desiderio di fare tutto il possibile per ristabilire la piena comunione. Essa “è comunione nella verità e nella carità. Non possiamo accontentarci di fermarci lungo il cammino, ma con coraggio, chiarezza ed umiltà, dobbiamo cercare senza sosta la volontà di Gesù Cristo, anche se essa non corrisponde ai nostri semplici disegni umani”. La piena unità e la riconciliazione richiedono “la sottomissione della nostra volontà alla volontà di nostro Signore”.

L’udienza del Santo Padre ha sottolineato l’importanza di questo dialogo teologico ed ha incoraggiato uno svolgimento sereno, profondo e leale verso la carità e la verità. Il dialogo teologico è in sé difficile e spesso reso più complesso da interferenze storiche e sociali.

 

Relazioni ecclesiali

 

Per la maturazione dell’atteggiamento positivo espresso dal Comitato di Coordinamento hanno contribuito molteplici contatti tra la Chiesa cattolica e le singole Chiese ortodosse ed anche delle Chiese ortodosse tra di esse. Vanno ricordate alcune. Lo scambio di visite biannuali per le feste dei Santi Pietro e Paolo a Roma (29 giugno) e per la festa di S. Andrea al Patriarcato ecumenico (30 novembre) hanno offerto un canale regolare di conversazione continuata. Questo scambio con la reciproca partecipazione alle celebrazioni liturgiche sottolinea la comune invocazione per il dono della piena comunione.

Con la Chiesa di Grecia, dopo la visita del Papa ad Atene (2001), e quelle di una delegazione sinodale a Roma e di una cattolica ad Atene, sono maturate nuove forme di contatto. Un gruppo di parroci di Atene ha fatto visita alla diocesi di Roma con contatti, coordinati dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unione dei Cristiani, con istituzioni culturali, pastorali, ed ecumeniche romane. Il gruppo è stato ricevuto dal Santo Padre. Di rimando a fine settembre 2005 un ampio gruppo di sacerdoti cattolici ha visitato Atene, ospiti della Chiesa ortodossa, prendendo contatto con diverse realtà ecclesiali, culturali, pastorali e caritative della Chiesa ortodossa. Il gruppo ha incontrato l’arcivescovo S.B. Christodoulos. La Chiesa di Grecia  ha inoltre preso l’iniziativa di offrire 20 borse di studio di 6 settimane a studenti cattolici (seminaristi e giovani sacerdoti) per l’apprendimento della lingua greca e per contatti con le istituzioni ecclesiali ortodosse. Un nutrito gruppo di studenti della Scuola teologica di Balamand (Patriarcato di Antiochia) è stato ospitato a Roma per contatti formativi culturali e religiosi. Questo nuovo tipo di relazioni offre l’opportunità di una estensione dell’interesse ecumenico e per una conoscenza esistenziale delle realtà ecclesiali attuali.

A livello di contatti teologi va segnalato il IX simposio intercristiano tra l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum e la facoltà teologica ortodossa dell’Università Aristotile di Tessalonica sul tema: “L’Eucaristia nella tradizione orientale e occidentale con speciale riferimento al dialogo ecumenico” (Assisi, 4 – 7 settembre 2005). Nel messaggio inviato al simposio il Santo Padre Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza dell’incontro e del tema affrontato il quale – egli ha scritto – è molto significativo per la vita dei cristiani e per la ricomposizione della comunione piena fra tutti i discepoli di Cristo.

La cooperazione culturale ha avuto un’altra manifestazione significativa. La Biblioteca Apostolica Vaticana e la Apostolikì Diakonia – il Servizio Apostolico – della Chiesa di Grecia hanno insieme curato la pubblicazione del prezioso manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana il Menologio di Basilio II (Codex Vaticanus Graecus 1613), documento liturgico della Chiesa bizantina, dotato di splendide miniature. La riproduzione è stata solennemente presentata ad Atene (novembre 2005) dal prof. Evangelos Chryssos, direttore del Centro Ricerche Bizantine e dal prof. Francesco d’Aiuto, ricercatore della Biblioteca Vaticana. Per l’occasione il Santo Padre ha inviato un messaggio al card Tauran che ha preso parte alla presentazione della pubblicazione ad Atene.

Quest’anno la Chiesa di Roma ha vissuto due grandi eventi: il beato transito di Giovanni Paolo II e l’elezione del nuovo Vescovo e Papa di Roma Benedetto XVI. In entrambe le circostanze, sono stati presenti alti rappresentanti delle Chiese ortodosse, come il metropolita Kirill presidente del Dipartimento relazioni esterne del patriarcato di Mosca, il metropolita Daniel di Moldavia e Bucovina (Patriarcato di Romania), il metropolita di Zagreb Jovan (Patriarcato di Serbia), l’arvivescovo Mitrofan della Chiesa ortodossa ucraina, il metropolita Daniel della Chiesa di Georgia. Alcune Chiese sono state rappresentate dagli stessi primati, come S.S. Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico, S.B. Christodoulos, arcivescovi di Atene e di tutta la Grecia, S.B. Anastas, arcivescovo di Tirana-Durazzo e di tutta l’Albania. Questa intensificazione di rapporti fraterni esprime l’apprendimento delle Chiese a vivere insieme e ha reso possibile la ripresa del dialogo teologico (Besa/Roma).

 

ROMA

NUOVI STUDI SUL CRISOSTOMO

 

Nei giorni 6-7 maggio 2004 si è tenuto a Roma presso l’Istituto Patristico Augustinianum il “XXXIII Incontro di studiosi dell’Antichità cristiana” sul tema “Giovanni Crisostomo – Oriente e Occidente tra IV e V secolo”. In due poderosi volumi di 1450 pagine vengono ora pubblicati gli Atti dallo stesso Institutum Patristicum Augustinianum (Roma 2005). Ne riportiamo l’indice:

 

Volume I

 

I. STUDI E ASPETTI BIOGRAFICI

 

W. Mayer, Progress in the field of Chrysostom Studies (1984-2004)

M. Wallraff, L'epitaffio di un contemporaneo per Giovanni Crisostomo (“Ps.-Martirio”) Inquadramento di una fonte biografica finora trascurata

R. Willien, L'amicizia nelle opere di Giovanni Crisostomo

C. Nardi, il De pueris di Giovanni Crisostomo passione educativa e gusto del racconto

I.M. Bugàr, John Chrysostom and his contemporaries ~ the relative power of words and images

S.J. Voicu, La volontà e il caso: la tipologia dei primi spuri di Crisostomo

 

 

II. L'ESEGESI DEL CRISOSTOMO

 

I. Ramelli, Giovanni Crisostomo e l'esegesi scritturale. Le scuole di Alessandria e di Antiochia e le polemiche con gli allegoristi pagani

J.-N. Guinot, Les exempla bibliques dans l’Ad Stagirium de Jean Chrysostome Proposition d'une clef de lecture

D. Ciarlo, Terminologia esegetica in Giovanni Crisostomo

H. Amirav, The rhetorical expression of exegesis: the case of John Chrysostom

 

II.1. L'OMILETICA

P. Augustin, Pour une histoire du texte de l'homélie chrysostomienne In kalendas (CPG 4328). Réflexion en marge d'une nouvelle édition

F.P. Barone, Per un’'edizione critica delle Omelie De Davide et Saule di Giovanni Crisostomo

R. Romano, Il ritmo prosastico nelle Omelie per Eutropio di Giovanni Crisostomo

A. Bastit-Kalinowska, Chrysostome et l'exégèse des Homélies sur Matthieu: l'exemple de la péricope des mages (M. 2, 1-12)

A. Soler M. -J. Cebrián C. -J. Gil L. -R. Panach R., La figura de la mujer en las Homiliás sobre San Mateo deJuan Cris6stomo

E. dal Covolo, L'omelia 50 del Crisostomo Sul vangelo di Matteo. Un "caso” di sproporzione esegetica

S. Müller-Abels, Zurück zu den Anfängen? Die Apostelgeschichtshomilien des Johannes Chrysostomus.

C. Spuntarelli, Μεσιτεία della preghiera e di Gesù celeste in due omelie pseudo-crisostomiche di ambiente anomeo

A. Piras, Influssi crisostomiani sull'omiletica di Antipatro di Bostra

 

II.2. I COMMENTI

A. Bottino, Il commento di Giovanni Crisostomo al cantico della vigna (Is 5, 1-7)

M. Cimosa, Il testo biblico usato nel Commento a Giobbe di Giovanni Crisostomo

M. Signifredi, L'esegesi di Giovanni Crisostomo sulla Parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31)

J. Krò1ikowski, La precedenza ontologico-soteriologica di Gesù Cristo nel commento all'inno di Col (1, 15-20) di Giovanni Crisostomo

J.-M. Nieto Ibáňez, Mántica pagana y profecia cristiana en Juan Cris6stomo (In Epistulam I ad Corinthios XXIX, l)

G. Bady, Questions sur l'authenticité du Commentaire Pseudo-Chrysostomienne sur l'Ecclesiaste

 

III. ASCETISMO

 

G. Piccaluga, Teatro, tempio, chiesa. La spazialità dello spettacolo in Giovanni Crisostomo

A. Miranda, Lessico della santità e lessico dello "spirituale” nelle opere di Giovanni

A. Cioffi, Giovanni Crisostomo e il "vero” filosofo

C. Straw, Chrysostom 's martyrs: zealous athletes and the dangers of sloth

L. Brottier, La pernanence d'un unique idéal de perfection chez Jean Chrysostome  

L. Neureiter, Die beiden Traktate des Johannes Chrysostomus gegen das asketische Zusammenleben von Männern undFrauen: Adversus eos qui apud se subintro-ductas virgines und Quod regulares feminae viris coabitare non debeant

A. Orosz, La différence fondamentale entre l'ascèse monastique et les taches des prêtres. (De sacerdotio VI, 5-8)

W. Turek, Il sacerdote Eli nell'esegesi di Giovanni Crisostomo (Adversus oppugnatores 3, 3

R. Teja -M. Marcos, Modelos de ascetismo femenino aristocratico en la época de Juan Crisostomo: Constantinopla y Palestina

C. Badilita, Figures et biographies de femmes aux IV e V siècle

H. Scerri, The social morality of John Chrysostom: the contribution of Adalbert Hamman (1910-2000)

 

Volume II

 

IV. RAPPORTI TRA LE CHIESE NEI SECOLI IV-V

 

S. Schima, Innozenz I..- Ein Zeitgenosse des Johannes Chrysostomus und sein Kirchenbild

G.D. Dunn, Roman Primacy in the correspondence between Innocent I and John Crysostom

M. A. Schatkin, John Chrysostom and the Archives of Rome

S. Acerbi, "Accusatore, testimone e giudice” Il ruolo del vescovo di Alessandria nella Sinodo della Quercia e in altri concili posteriori

J. Torres, Ambiciones episcopales en época de Juan Crisostomo: Geroncio de Nicomedia entre Oriente y Occidente

P. Bruns, Johannes Chrysostomus und die Kirchedes Perserreiches

 

 

V. RAPPORTI TRA CHIESA E IMPERO

 

A. M. Ritter, Johannes Chrysostomus und das Römische Reich im Gespräch mit neuerer Literatur

S. Zincone, Identità cristiana e appartenenza alle strutture sociali nel pensiero di Giovanni Crisostomo

O. Pasquato, Giovanni Crisostomo e l'impero romano

A. Saggioro, Il vescovo, l'imperatore e le contese super religione (Codice Teodosiano XIV; 4)

S.C. Kessler, Kirche und Staat in den Säulenhomilien des Johannes Chrysostomus: Mönche werden Philosophen

A. Capone, L'imperatore Giuliano negli scritti di Giovanni Crisostomo

F. Corsaro, Clero, popolo e potere imperiale nella Costantinopoli del Crisostomo. Dal Sinodo della Quercia all'esilio

K. Ilski ,Johannes Chrysostomus und Kaiser Theodosius II

J. Rist, Chrysostomus, Libanius und Kaiser Julian: Überlegungen zu Inhalt und Umfeld der Schrift De Sancto Babyla contra Iulianum et gentiles (CPG 4348)

 

VI. GIOVANNI CRISOSTOMO E AGOSTlNO

D'IPPONA

 

R. Brändle, La ricezione di Giovanni Crisostomo nell'opera di Agostino

F. Trisoglio, Giovanni Crisostomo e Agostino dinanzi al Salmo 109 (Dixit Dominus Domino meo)

S. Jaskiewicz, Sulla retta fede intorno all'unigenito Figlio di Dio nei Commenti al prologo di Giovanni (Gv 1, 1-18) di Giovanni Crisostomo ed Agostino

M. Zelzer, Giovanni Crisostomo nella controversia tra Giuliano d’Eclano e Agostino

S. Dagemark, John Chrysostom the Monk-Bishop: a comparison between Palladios' and Possidisu' pictures of a Bishop (Besa/Roma).

 

ROMA

PRESENTATO UN POSTUMO

DI TOMMASO FEDERICI

 

Alla Libera Università Maria Assunta è stata presentata il 26 gennaio 2005 una nuova opera lasciata inedita da Tommaso Federici (1927-2002), il secondo volume della Collana “Cristo Signore Risorto amato e celebrato” su “La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale” (EDB, 2005 pp. 622, E 45). Il volume è introdotto da un inquadramento sull’autore e sull’intento dell’opera da parte di mons. Vincenzo Apicella.

L’iniziativa della pubblicazione è stata presa dalla “Fondazione Tommaso Federici” costituitasi con lo scopo, tra l’altro, di curare “la conservazione, la sistemazione e la prosecuzione dell’opera culturale e teologica del suo titolare”. Per presentare l’opera hanno preso la parola, oltre al vescovo mons. Apicella, il cardinale T. Špidlik, autore di molte opere sulla storia della preghiera e il rev. prof. Lamberto Crociani della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

All’occasione è stata data lettura di una lettera del card. Carlo Maria Martini, già rettore dell’Istituto Biblico dove il Federici aveva compiuto gli studi per la licenza. Ne riportiamo integralmente il testo:

 

Eccellenza Reverendissima,

Apprendo con viva soddisfazione che si sta preparando una edizione di tutte le opere edite e inedite del professor Tommaso Federici. Ho conosciuto personalmente questo illustre studioso quando insegnavo a Roma al Pontifico Istituto Biblico e l'ho sempre apprezzato molto. Era un uomo di grande cultura, buon conoscitore della teologia, della liturgia, soprattutto delle tradizioni dell'Oriente, e della Scrittura.

Era inoltre dotato di un grande entusiasmo e di accesa passione per la verità. Aveva anche un certo gusto polemico, ma sempre nel più grande rispetto per le persone. Tra i suoi libri editi, avevo già avuto modo di apprezzare il primo volume della serie Cristo Signore Risorto Amato e Celebrato, col commento al lezionario domenicale e festivo dei tre cicli liturgici latini, preceduto da un denso studio generale sul tema e il metodo delle omelie. Nel libro appena uscito che ieri mi ha fatto avere "Cristo Signore Risorto amato e celebrato: la scuola di preghiera cuore della Chiesa locale", ritrovo le stesse caratteristiche che già conoscevo di lui. Egli intende in queste pagine mettere a fuoco il progetto di una "scuola" che vuole inserita rigorosamente nella Chiesa locale, diocesi e parrocchia. Il libro assume dunque l'andatura di un trattato teologico ampio, dove si coniugano teologia, ecclesiologia e spiritualità. L'autore sottolinea la funzione di maestro e di attore principale che compete a Cristo nella preghiera e di conseguenza la centralità della Chiesa, corpo di Cristo. Descrive poi gli elementi costitutivi della preghiera e le caratteristiche che deve assumere una "scuola" che voglia insegnare veramente a pregare.

Egli intende con ciò fornire le basi per fondare quella che egli chiama anche "scuola dell'amore di Dio", tenendo conto delle condizioni spirituali della Chiesa e della pastorale nella storia e nell'oggi. Il suo punto di partenza è uno sguardo disincantato sul presente. Egli sente che c'è un malessere diffuso, magari nascosto da un consumismo soddisfatto di sé. Anche i responsabili nei vari campi sembrano vivere come "sopra e fuori dei fenomeni formidabili di una drammatica svolta epocale" (p. 39). Eppure è fiducioso che anche in una situazione negativa come la presente sia possibile riprendersi, ricominciare da capo, avviando il popolo di Dio sulla via del conseguimento di quei grandi doni che il Signore riserva a quanti lo amano.

L'autore auspica dunque che si costituisca finalmente con decisione in ogni diocesi e in ogni parrocchia la scuola dell'amore di Dio o scuola di preghiera. Essa deve partire nella diocesi dalla forte coscienza di essere Chiesa viva nella sua completezza. Naturalmente egli suppone che sia la diocesi che la parrocchia possiedano l'integrità delle strutture canoniche e siano in grado di farle funzionare. E nota con qualche pessimismo come si sia tanto parlato di parrocchia missionaria “ma con programmi privi di ricca dottrina nelle loro enunciazioni” (p. 48). Anche nel descrivere l'attività del vescovo egli appare assai rigido. Secondo lui il vescovo "deve limitare al massimo di perdere tanto tempo prezioso a ricevere persone non immediatamente interessate alla pastorale del suo popolo santo. Egli deve consacrare la sua azione immediata è diretta alla pastorale" (p. 55).

Per quanto riguarda la formazione dei clero, egli vorrebbe che si insistesse molto di più sulla "necessaria formazione alla Santa liturgia" con "l'esito naturale che porta a celebrare Cristo Signore nei suoi Divini Misteri alla Mensa unica dell'Evangelo e del Pane e della Coppa" (p. 71). Occorre per questo rinunciare "a programmi pastorali altisonanti ai quali si è stancamente abituati, che sono in proporzione diretta vuoti di contenuti dottrinali e velleitari, destinati a inevitabili e constatabili fallimenti". Invece "con l'avvio alla preghiera che non si stanca mai" e "con l'ordinata formazione alla vita missionaria, alla carità del regno" i ministri opereranno per edificare la comunità di fede che è il corpo della Chiesa (p. 71).

     Dopo tali premesse egli passa a descrivere gradualmente la fisionomia di questa scuola di preghiera e in essa il posto della lectio divina. In essa “non si legge propriamente la S. Scrittura, tanto meno la sola Scrittura”, ma “si legge nello Spirito Santo solo Cristo Risorto con il suo Mistero” (p. 404).

     L'autore non mostra molta simpatia per il proliferare di tanti metodi di lettura e di concentrazione: “Nella preghiera il Signore per così dire esce incontro agli uomini, e gli uomini escono incontro a Lui.

Escono quindi anche da qualsiasi metodo di preghiera. Poiché qui qualsiasi metodo umano di preghiera costringerebbe gli uomini a stare attenti ad esso, e li distrarrebbe dall'assoluto divino che nella libertà viene ad essi” (p. 398). Egli passa in rassegna i momenti classici della lectio, cioè il leggere, il meditare, il pregare e il contemplare, collocando ciascuno di essi nell'ambito della Scrittura e della Tradizione. Non posso qui riassumere quanto è detto ampiamente a questo proposito, perché si tratta di una esposizione assai analitica e ragionata. Voglio solo notare che si sente in ogni pagina tanta passione apostolica e pastorale e tanto desiderio di far comunicare al mistero grande che l’autore contemplava e di cui viveva intensamente.

Non tutti si troveranno d'accordo con tutte le affermazioni dell'autore, in particolare; con i giudizi di carattere storico o riguardanti l'attualità pastorale. Tuttavia si ascolta volentieri il frutto dei suoi studi e della sua esperienza, soprattutto quando sono comunicati con tanta sincerità. Sta poi a ciascun pastore accogliere ciò che gli appare utile per il suo gregge e trovare la formula giusta per i suoi fedeli. Per quanto riguarda la descrizione concreta della lectio divina, mi ritrovo in molto di ciò che egli dice e penso che questa è sostanzialmente la via per la quale occorre procedere per mettere in pratica il concilio Vaticano II.

     Si compiono in questi giorni quarant'anni dalla conclusione di questo Concilio, che nel capitolo sesto della Dei Verbum ha esposto un vero e proprio programma pastorale per le diocesi a riguardo del rapporto dei singoli fedeli con la Scrittura.

Non c'è che da augurarsi che questo libro infonda coraggio ed entusiasmo per camminare sulla stessa via, così da portare tutti i fedeli a contatto con quella Parola che "interpella, orienta e plasma l'esistenza" (cfr Giovanni Paolo II, Novo Millennio ineunte, n. 39), e ciò con l'aiuto di quella lectio divina che, come ha detto recentemente Papa Benedetto XVI, va ritenuta "quale punto fermo della pastorale biblica" e "va perciò ulteriormente incoraggiata, anche mediante l'utilizzo di metodi nuovi, attentamente ponderati, al passo dei tempi" (Discorso ai partecipanti al congresso mondiale sulla "Sacra Scrittura nella vita della Chiesa", 14-18 settembre 2005).

Carlo Maria card. Martini (Besa/Roma).

ROMA

SANZIONI PENALI NELLA CHIESA

 

Ci è stata fatta la domanda su cosa prevede la disciplina in vigore su casi di abbandono della fede cattolica (apostasia, eresia, scisma). Riportiano tre canoni del CCEO, ricordando che il can.1436 §2 è stato riformulato in seguito al MP “Ad tuendam fidem del 18 maggio 1998:

 

Can. 1436 §1: Colui che nega qualche verità da credere per fede divina e cattolica o la mette in dubbio oppure ripudia totalmente la fede cristiana e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito come eretico o apostata con la scomunica maggiore, il chierico può essere inoltre punito con altre pene, non esclusa la deposizione;

 

§2: “All’infuori di questi casi, colui che respinge pertinacemente una dottrina proposta da tenersi definitivamente, o sostiene una dottrina condannata come erronea dal Romano Pontefice o dal Collegio dei vescovi nell’esercizio del magistero autentico e, legittimamente ammonito, non si ravvede, sia punito con una pene adeguata.

 

Can. 1437: “Chi rifiuta la sottomissione alla suprema autorità della Chiesa oppure la comunione con i fedeli ad essa soggetti, e, legittimamente ammonito non presta obbedienza, sia punito come scismatico con la scomunica maggiore.

 

Can. 1438: “Chi omette appositamente la commemorazione del gerarca nella Divina Liturgia e nelle lodi divine prescritta dal diritto, se legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito con una congrua pena, non esclusa la scomunica maggiore” (Besa/Roma).

 

MILANO

E’ DECEDUTO IBRAHIM KODRA

Ishni (Albania) 1918 – Milano 2006

 

Il 7 febbraio 2006 è deceduto nella sua abitazione milanese il pittore Ibrahim Kodra (Ishni/Albania 22 aprile 1918 - Milano 2006). Di famiglia musulmana, il padre era capitano di marina e il giovane Ibrahim fu educato nella corte del re Zogu, distinguendosi nello sport. Nel 1938 venne in Italia con una borsa di studio per l’Accademia di Brera seguendo  corsi con Aldo Carpi, Carlo Carrà, Francesco Messina. Nel dopoguerra partecipò ai movimenti artistici di Guernica (1945), di Lima (1947); a Roma nel 1948 conobbe Picasso al quale in seguito ispirò la sua arte. Le sue opere sono sparse in tutti i musei del mondo, dai Musei vaticani all’Australia. L’ultima sua esposizione nel 2003 è stata realizzata a Tirana.

E’ stato più volte al Circolo italo-albanese di Cultura di Roma “Besa-Fede” e ha visitato gli Albanesi d’Italia.

Il quotidiano “L’Avvenire” (7.2.2006) ha scritto: “Confessando il suo sogno più segreto di uomo e di pittore in una poesia ha scritto questi versi: Un mondo senza tragedie. Chiaro. Pulito. Bello. Io cerco”.

Da parte sua il “Corriere della Sera”, lo stesso giorno, concludeva così il suo necrologio: “Nella trattoria delle mitiche sorelle Pirovini di Brera, aveva barattato il suo lunghissimo conto con la promessa di convertirsi, lui musulmano, al cattolicesimo: cosa che sarebbe effettivamente successa negli ultimi anni della sua vita” (Besa/Roma).

ALBANIA

COLLABORAZIONE INTERCONFESSIONALE

PER LA DIVULGAZIONE DELLA BIBBIA

 

La costituita Società Biblica Albanese – che comprende rappresentanti ortodossi, cattolici ed evangelici – sta preparando la traduzione interconfessionale in lingua corrente di tutto il Nuovo Testamento.

Ai primi di gennaio 2006 è stata messa in circolazione la traduzione del Vangelo di Giovanni (“Ungjilli sipas Gjonit”). La traduzione che ha avuto per testo base “The Greek New Testamente” (Stuttgard, 2000), si presenta in una lingua standard, pulita, sciolta e accurata. Faciliterà la lettura e la comprensione alle nuove generazioni albanesi.

L’edizione del Vangelo di S. Giovanni è stata proposta dalla Società Biblica in Italia ed è stata finanziata dalla Caritas taliana per la distribuzione alle comunità albanesi latine in Italia costituitesi dopo l’emigrazione degli anni 1990 e seguenti.

Si è così realizzata una positiva collaborazione ecumenica in Albania e in Italia a servizio della Parola di Dio (Besa/Roma).

 

ROMA

CHIESA DI S. ATANASIO

FESTE DESPOSTICHE O DEL SIGNORE

 

Nel ciclo di mistagogia dell’anno liturgico bizantino, il 18 febbraio 2006, nella sala di Circolo italo-albanese di cultura “Besa-Fede”, l’archimandrita p. Giorgio Gharib del Patriarcato greco-melkita cattolico di Antiochia, ha tenuto una lezione su “Le feste despositiche o feste del Signore”. Sulla base dei testi liturgici (tropari, kontakia, canoni) ha presentato  il significato teologico e l’ordo celebrativo delle feste di:

  • Pasqua di resurrezione, festa annuale celebrata settimanalmente in tutte le domeniche dell’anno;
  • L’Ascensione, a 40 giorni dalla Pasqua;
  • La Pentecoste, a 50 giorni dalla Pasqua;
  • Il Natale, 25 dicembre, con un esteso ciclo festivo;
  • La Circoncisione di N.S.G.C., 1° gennaio;
  • La Teofania o Epifania, 6 gennaio;
  • La Trasfigurazione di N.S.G.C., 6 Agosto;
  • L’Elevazione della Croce, 14 settembre, in relazione anche alla III domenica di quaresima.

Alla luce della storia della salvezza - “l’anno liturgico nella tradizione bizantina viene detto Anno di Grazia - per ciascuna festa ha riportato il senso specifico e la sua relazione alle altre feste; ne ha sottolineato i giorni di proeorzia (pre-festivi e di preparazione) e quelli di meteorzia (post-festivi). La presentazione analitica dei testi liturgici, che esprimevano il senso teologico della festa, veniva “illustrata e commentata” dalla proiezione di un’ampia collezione di icone.

Ha quindi presentato alcune feste “minori” come:

·      La traslazione del Mandilion da Edessa a Costantinopoli, 16 agosto;

·      La Domenica dell’Ortodossia, I Domenica di quaresima;

·      L’indizione, 1° settembre, con l’aggiunta recente della festa dedicata alla salvaguardia dell’ambiente indetta dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I;

·      Due feste particolari nella Chiesa russa:

·      La tunica di Cristo, 11 luglio;

·      La festa del Cristo misericordioso, 1° agosto.

Una chiesa bizantina colpisce fin dall’ingresso per la sua iconografia, che assume il significato dell’accoglienza in un mondo trasfigurato e si trasforma in immediata catechesi. L’icona nella Chiesa bizantina non è un oggetto di ornamento ma fa parte della stessa celebrazione liturgica.

Il relatore, dottore in Scienze Ecclesiastiche Orientali, con specializzazione in liturgia, è stato docente di “Mariologia nelle Chiese orientali” alla Pontificia Facoltà  teologica “Marianum” e di Liturgia orientale e sacramentaria presso la Pontificia Università Urbaniana.

Ha curato: L’edizione italiana degli “Inni di Romano il Melode” (Paoline, Milano 1981);

I testi mariani del primo millennio, Città Nuova, Roma, 4 volumi 1988-1991 (in collaborazione);

Testi mariani del secondo millennio, Città Nuova, in corso, previsti 8 volumi.

Sulle icone ha pubblicato le seguenti opere:

·      Le icone festive della Chiesa ortodossa, Ancora, Milano 1985;

·      Le icone mariane. Storia e culto, Città Nuova, Roma,1987;

·      Icone di santi. Storia e culto, Città Nuova 1990;

·      Icone di Cristo. Storia e culto, Città Nuova, Roma, 1993;

·      Icone di Natale. Storia e culto, Città Nuova, Roma 1995.

Negli anni 1963-1994 ha lavorato, su incarico della Congregazione per le Chiese Orientali, per la compilazione e la stampa dei 4 volumi dell’Anthologhion in greco e la stampa dell’Aghiasmatarion, libro dei sacramenti. Vive a Roma.

Nell’introdurre la serata il prof. Domenico Morelli ha espresso la necessità della valorizzazione di persone provenienti dalle Chiese cattoliche orientali e l’utilità dello scambio di esperienze.

Mons. Eleuterio F. Fortino ha sottolineato il metodo usato per la conferenza: la parola e l’immagine, un metodo da valorizzare nella catechesi.

Il diacono prof. Luigi Fioriti al termine ha messo in evidenza le linee portanti della lezione e ricordato lo scopo mistagogico e liturgico di questo ciclo di lezioni sulle feste dell’anno liturgico.

La seconda lezione sulle “feste theomitoriche o della Madre di Dio”  sarà tenuta dallo stesso relatore il 18 marzo 2006, sabato della III di quaresima in cui si fa l’Adorazione della preziosa e vivificante Croce (Besa/Roma).

 

PRISHTINA

DUE OPERE POSTUME

DELL’ARBËRESH GIUSEPPE DEL GAUDIO

 

L’editrice “Shpresa” di Prishtina ha pubblicato due opere postume dello scrittore arbëresh Giuseppe del Gaudio in lingua albanese con traduzione italiana:

·      Trilogji e Skanderbeut, 2005;

·      Martirët shqiptarë (1848-1864), 2006.

L’autore è ben noto tra gli arbëreshë, ma anche nel mondo albanese in generale. E’ autore di pubblicazioni in italiano e in arbëresh. In arbëresh ricodiamo: Dasma e Jaxerisë, Kroi i vjetër, 1972; Bisedin me Odihijitrjen, 1983; Një kurorë vjershash për Kosovën, 1980; Vjershe malli, 1991. A Tirana è stata pubblicata una antologia di poesie scelte Zemër arbëreshe, 1984

 Era nato a S. Nicola dell’Alto nel 1921, è deceduto nel 2005. Aveva affidato i manoscritti delle due opere pubblicate postume al sacerdote cossovaro Don Gergj Gjergji il quale ha svolto per alcuni anni il servizio pastorale per gli emigrati albanesi a Crotone.

La Trilogia di Skanderbeg (Trilogji e Skanderbeut), è stata pubblicata nel VI centenario della sua nascita. Si tratta di tre drammi che ripresentano momenti decisivi della vita di Skanderbeg: il ritorno in Albania, la lotta e la gloria. Gli eventi vengono rivissuti nel dialogo dei protagonisti sulla scena. Ad imitazione del teatro greco antico, di tanto in tanto intervengono tutti all’unisono a modo del coro. Nel primo dramma il coro (Të gjithë) fa questo giuramento:

“Giuriamo, giuriamo, giuriamo,

giuriamo noi tutti compatti.

Chiamando testimone questa notte,

che si stende dovunque lentamente,

che fin quando ci resta la forza,

contro il nemico noi combatteremo come quest’oggi tutti quanti uniti, insieme con il popolo albanese,

perché libero torni il nostro suolo.

“I martiri albanesi, 1848-1864 (Martirët shqiptarë) è una trilogia su un episodio storico: la rappresaglia degli ottomani su un gruppo di cristiani albanesi, torturati, mandati in esilio con una lunga sequenza di morti. Alla fine alcuni ritornano in patria e ricordano l’evento.

Nella forma del coro tutti quasi all’inizio della trilogia fanno una professione di fede:

Siamo cristiani con le mogli e i figli.

Viviamo giornalmente da cristiani

E, come i primi cristiani , non temiamo la morte”.

Il curatore nella premessa dà l’informazione linguistica: “Del Gaudio ha scritto nell’albanese standardizzato, conservando parole ed espressioni della parlata arbëreshe. La traduzione italiana è dell’autore stesso” (Besa/Roma).

 

 

MOSCA

PREMIATO ANASTAS DI ALBANIA

 

Il primate della Chiesa ortodossa di Albania, S.B. Anastas, ha ricevuto il premio “per l’eccezionale contributo al rafforzamento dell’unità delle nazioni ortodosse”. Il premio è stato conferito dalla “Fondazione internazionale per l’unità delle nazioni ortodosse”. La cerimonia ha avuto luogo nella grande sala della Cattedrale di Mosca dedicata a “Cristo Salvatore” (Besa/Roma).

 

CHIERI

VATRA ARBËRESHE

 

A Chieri (Torino) è stata fondata nel maggio 2000 una “Associazione Arbëreshe” in cui si ritrovano gli italiani di origine albanese storicamente presenti in Italia:

(C.P. 182-10023 Chieri; vicucci@tin.it; www.vatrarberesh.it).

Ne è presidente il prof. V. Cucci.

L’associazione promuove l’incontro sociale e culturale degli arbëreshë. Organizza un concorso nazionale di poesia (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

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HESYCHIA (8): “PER LA VOSTRA VITA NON AFFANNATEVI”

 

L’uomo contemporaneo è con il fiato alla gola. La sua agenda è piena, il tempo è contato, non riesce a realizzare gli impegni presi e gli imprevisti. E’ affannato. Le preoccupazioni vere e artificiali sono grandi. La sua giornata è inquieta e il suo animo spesso sconvolto. Un giorno ho citato ad un amico la parola di Gesù “non affanarti”. Reagì con parole come queste: “Gesù! Gesù aveva ragione, ma non viveva in questo nostro tempo”. Gli replicai: “E se Gesù stesse parlando proprio del nostro tempo? E se avesse parlato proprio per te?”. Cambiò discorso il mio amico. Eppure questo discorso non si può sviare a causa dell’affanno dell’uomo. Esso fa perdere, il giusto orientamento, l’equilibrio, la pace interiore.

 

1. L’insegnamento del Signore ai suoi discepoli e ai suoi seguaci di ogni tempo è esplicito ed argomentato. Usa anche una terminologia popolare indicando con il termine  “anima” (psyche) la vita - così come è tradotto nelle versioni moderne - e citando esempi dell’esperienza quotidiana che toccano la ragione e il sentimento. “Per la vostra vita (psyche) non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo (soma) di quello che indosserete” (Mt 6,25). In realtà sono tre esigenze reali per vivere (mangiare, bere, vestirsi) che si sollevano quotidianamente all’uomo di ogni epoca. “Si tratta infatti di bisogni elementari e legittimi: il difetto dell’uomo o del credente non è quello di avvertirli, ma di avvertirli senza fiducia(Pierre Bonnard). Gesù usa spesso la ragione per proporre argomenti che tutti possono capire. A questo punto presenta l’esperienza comune e chiede: “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Mt 6, 27). La preoccupazione per la vita si estende al futuro: casa sarà di noi, cosa mangeremo, come ci vestiremo. Il domani è sempre incerto e causa di apprensioni, di inquietudini, di angoscia. Gesù libera i suoi da questo stato d’animo, anche comprensibile. “Non affanatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6, 34). I problemi seguono quotidianamente l’uomo. L’inquietudine è forse naturale nell’uomo, ma il credente dovrebbe superarla con la fiducia in Dio.

 

2 Per aprire l’orizzonte mentale dei suoi discepoli Gesù attira la loro attenzione su quanto accade intorno ad essi. Con due brevi immagini che costituiscono una delle pagine più poetiche del Nuovo Testamento. Invita a guardare gli uccelli del cielo: “Non seminano, né mietono, né ammassano nei granai. Eppure il Padre vostro li nutre” (Mt 6, 26). La seconda è di analoga finezza: “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt 6, 28). E direttamente a chi lo ascoltava Gesù dice: “Se Dio veste così l’erba del campo, non farà di più a voi, gente di poca fede?” (Mt 6,30). Questo stesso interrogativo dà la risposta più profonda: l’inquietudine degli uomini e le  preoccupazioni per scopi effimeri  o quelle eccessive per obiettivi necessari è causata dalla “poca fede”, non osservando né gli uccelli del cielo, né i gigli del campo, non osservando né quanto avviene in cielo, né quello che avviene in terra. S. Giovanni Crisostomo commenta mirabilmente questo passo di Matteo e risponde ad una obiezione latente. “Allora, non si deve seminare? Gesù non ha detto che non si deve seminare, né che non si deve lavorare, ma che non si deve essere pusillanimi e lasciarsi tormentare dalle preoccupazioni. Ha ordinato di nutrirsi, ma senza angustiarsi” (Omelie sul Vangelo di Matteo 21, 3). Egli riporta un versetto del salmista: “Apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente” (Sal 144 (145), 16). E conclude: “E’ evidente che non  il nostro sforzo, ma la provvidenza di Dio, compie tutto anche in ciò che ci sembra di operare noi” (Ibidem).

 

3. L’uomo ha bisogno di mangiare per vivere, di bere, di vestirsi. Così per attenerci ai tre bisogni segnalati da Matteo. La preoccupazione angosciosa per essi è propria dei pagani (ethne), cioè dei non credenti. Gesù dice ai suoi: “Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno” (Mt 6,32). Non solo, ma aggiunge un’affermazione che rasserena l’animo umano: “Tutte queste cose vi saranno date” (Mt 6,33). La fiducia in Dio guarisce dall’inquietudine esistenziale.

 

Osservazione conclusiva

La ricerca dell’essenziale e il giusto ordine nelle cose creano le condizioni per la creazione di uno stato d’animo ordinato e sereno. A questo si aggiunge la fiducia in Dio, nella sua provvidenza. Se Dio nutre gli uccelli dell’aria, se dà bellezza ai gigli del campo, tanto più avrà cura dei suoi figli che egli stesso ha creato. Questa sicurezza interiore sorregge il credente anche per superare le difficoltà che sconvolgono l’anima e il corpo (dubbi, malattie, avversità economiche). La serenità nell’anima è una conquista di una grande ascesi nella fede (Besa/Roma).

Roma, 5 marzo 2006, Domenica dell’Ortodossia.

 

 

 

Circolare febbraio 2006                                                                                                                     181/2006

Sommario

 

I detti di Gesù (39): “Perché avete paura, uomini di poca fede”?........................................... 1

NAPOLI: Convegno Internazionale su Giorgio Castriota Scanderbeg........................................ 2

ROMA: Deceduto Vittorio Peri................................................................................................ 8

LUNGRO: Imerologhion 2006................................................................................................. 9

ROMA: Nuovi vescovi in Albania............................................................................................. 9

KOSSOVA: Deceduto il vescovo Mark Sopi........................................................................... 9

KOSSOVA: Deceduto Ibrahim Rugova................................................................................. 10

VACCARIZZO ALBANESE: Deceduto papàs Selvaggi........................................................ 10

ROMA: Mostra sugli arbëreshë.............................................................................................. 10

LUNGRO: Nuove ordinazioni................................................................................................ 10

ROMA: Significato del II sinodo intereparchiale ..................................................................... 10

ROMA: Hesychia: Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore............................................ 11

 

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (39): “Perché avete paura, uomini di poca fede”?

 

L’uomo di fronte al pericolo teme. I discepoli si trovano in mare su una barca sballottata dai flutti. E’ presente Gesù, ma dorme. E i flutti sono alti e minacciosi. Matteo usa una terminologia apocalittica, tanto per sottolineare il grande rischio che correva la barca con i discepoli, quanto per dare al racconto miracoloso una visione più ampia, con risonanze bibliche. “Si scatenò nel mare una tempesta grande” (seismòs mègas eghèneto). Il mare in tempesta nella tradizione biblica rappresenta le forze contrarie a Dio, ma che Dio vince. La “creazione è la vittoria di Dio sul caos, sullo Yam, sul mare” (Ortensio da Spinetoli). Dio fece passare il popolo eletto attraverso il mare; Cristo cammina sulle acque del mare, calma la tempesta.

Gli apostoli si sentono perduti. Nel pericolo si ricordano che Gesù è con loro. Ma dorme. Lo svegliano e chiedono aiuto: “Siamo perduti! Salvaci, Signore” (Mt 8,25). La domanda sembra ripetere una formula liturgica della comunità primitiva (Kyrie sōson imàs), posteriore all’evento, ma del tempo in cui il Vangelo di Matteo è stato scritto. Il titolo di “Signore” (Kyrios), che per sé è un titolo dato a Gesù solo dopo la resurrezione, lo mostra chiaramente. Quella formula di preghiera esprime la domanda fondamentale che l’uomo d’ogni tempo rivolge al Signore. Ed è innanzitutto una professione di fede in Gesù Cristo.

I discepoli sono angosciati, si sentono perduti, sommersi dalle onde del mare e del male. La loro fede in Gesù è debole. E Gesù svegliato li rimprovera proprio per questo, li chiama “uomini di poca fede” (oligopistoi). Spesso Gesù rileva nei suoi discepoli la “poca fede” (oligopistìa) come quando li richiama ad avere fiducia in Dio (Mt 6,30). L’assenza della fede, ma anche la fede immatura, “piccola”, “poca”, rende l’uomo pauroso (deilòs, timido, vigliacco, vile, pauroso). Questa domanda pone Gesù ai suoi: “Perché avete paura”? (Mt 8,26). Così traduce la Bibbia della CEI. Invece la fiducia, espressione della fede in Dio, vince la paura. Gesù risponde con l’azione: sgridò i venti e il mare “e si fece grande bonaccia” (Mt 8, 26).

L’immagine della barca sul mare sin dai tempi antichi è stata vista come una delle rappresentazioni della Chiesa. “La Chiesa sballottata dalla tempesta è salvata da Gesù Cristo” (Tertulliano, De baptismo, 12). Il rischio, le avversità dei tempi e dei movimenti culturali odierni non devono far vacillare la fede. La fede, per la presenza del Signore risorto, scaccia la paura, a livello personale e comunitario (Besa/Roma).



napoli

convegno internazionale

Giorgio Castriota Scanderbeg

nella storia e nella letteratura

 

In occasione del VI centenario della nascita del Principe Giorgio Castriota Scanderbeg, presso il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, il 1-2 dicembre 2005 si è tenuto un Convegno Internazionale su “Giorgio Castriota Scanderbeg nella storia e nella letteratura”, organizzato dalla Cattedra di Lingua e Letteratura Albanese e dal Comitato Nazionale per le Minoranze Etnico-Linguistiche in Italia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Vi hanno partecipato studiosi italiani, specialisti di Storia dell’Europa Orientale e di Storia medievale, oltre che di Lingua e Letteratura Albanese, e studiosi dei paesi dell’Est europeo.

Il Convegno non voleva essere solo un momento celebrativo, ma mirava soprattutto a fare il punto sugli studi sul periodo storico (sec. XV) e sulla figura del Principe albanese sotto il profilo storico e letterario.

Dalle 25 relazioni che sono state lette durante il Convegno è venuto fuori un quadro ampio e approfondito che ha soddisfatto tutti i partecipanti. Numeroso e selezionato è stato l’uditorio che ha seguito i lavori con assiduità e attenzione.

A conclusione dei lavori è stato possibile sintetizzare le tendenze che si sono profilate durante tutti gli interventi.

Due tendenze sono emerse con una certa insistenza: da un lato la corrente filo-cristiana, che vedeva nel Principe un difensore del blocco cristiano con spirito da crociato; dall’altro un Principe più laico che, pur utilizzando con intelligenza la diplomazia delle alleanze, mirava a difendere l’identità del suo popolo che stentava ad amalgamarsi per dare vita alla nascente Albania.

Le due tendenze si sono integrate perfettamente, in una dialettica estremamente costruttiva, tendenti a mettere in luce l’obiettività storica, senza la consueta retorica agiografica, che ha per lo più inficiato le riflessioni dei convegni passati.

Più che fermarsi al mito che ha circondato la figura del Principe, soprattutto nei riflessi letterari, i relatori hanno analizzato le ragioni perché un personaggio storico, che si è confrontato con successo con strateghi quali i sultani Murad II e Mehmet II, il Conquistatore di Costantinopoli, sia assurto a mito non solo nell’immaginario popolare albanese, ma di tanti altri popoli che lo hanno immortalato nelle pagine letterarie.

Altra novità di rilievo che ha caratterizzato il Convegno riguarda gli aspetti inediti che molti relatori hanno portato a conoscenza con i loro interventi, sia di carattere documentario storico, sia di carattere letterario.

Si è ribadito che la pubblicazione dell’inedito porta luce nuova e mette in evidenza lo spessore del personaggio, inquadrato nel contesto storico e culturale degli avvenimenti del XV secolo.

Sono queste alcune delle novità metodologiche che hanno contraddistinto i lavori del convegno.

 

A conclusione del Convegno, tuttavia, è stata evidenziata la necessità di continuare negli studi sulla figura del Principe albanese nel confronto anche con il versante ottomano. Ciò ha suggerito un aggiornamento dei lavori in un secondo Convegno Internazionale da tenersi fra due anni, sempre a Napoli presso l’Università “L’Orientale. Durante la fase preparatoria dei due anni che intercorrono si creeranno le condizioni per un confronto con studiosi dell’impero ottomano e con turcologi di varie università europee ed orientali.

Il tema, che si prevede già da ora di grande attualità, anche per gli eventi che interesseranno la Turchia nel prossimo futuro sempre più vicina all’Unione europea, può essere sintetizzato nei termini seguenti: “L’Impero ottomano e i Balcani nella storia e nella letteratura”.

I relatori, già un mese prima dell’inizio del Convegno appena concluso, avevano fatto pervenire alla  Segreteria organizzativa i riassunti delle proprie relazioni, che stampati in una elegante brochure hanno permesso a tutti i partecipanti di seguire con proficuità i singoli interventi.

Li proponiamo qui di seguito ai nostri lettori.

 

Sergio Bertolissi

(Università di Napoli L’Orientale)

giorgio castriota  scanderbeg: una strategia per l’unificazione dell’Albania

 

Giorgio Castriota Skanderbeg (1405-1468) è generalmente noto come il grande condottiero che sconfisse più volte gli eserciti ottomani di Murad II e del successore Mehmet II e come unificatore, anche se temporaneo, dell'Albania.

Un altro aspetto che mi sembra rilevante nella sua vicenda è proprio la difficoltà di unificare i clan sparsi del suo Paese e renderli effettivamente consapevoli della necessità dell'unità, come rilevò nel suo discorso sull'unità nazionale all'incontro di Lezhë (Alessio) nel 1444.

D’altronde la necessità dell’unificazione delle forze non interessava solo la compagine interna albanese, ma tutte quelle forze che si opponevano all’espansione ottomana verso occidente, tra le quali spesso gli interessi particolari avevano il sopravvento su quelli generali.

Giovanna Motta

(Università di Roma La Sapienza)

i turchi, il mediterraneo e l’europa

 

La relazione traccia le coordinate generali degli equilibri economici e politici dell’area mediterranea in età moderna, con riferimenti all’economia “aperta” del ‘500 e agli scambi interculturali fra sud e nord d’Europa, territori extra europei e area adriatica con il Levante ottomano.

Adriano Papo

(Università di Udine)

giovanni hunyadi e giorgio castriota scanderbeg. da avversari ad alleati nella lotta

 antiottomana

 

Nel novembre del 1443 Giovanni Hunyadi e Giorgio Castriota Scanderbeg si trovano di fronte, come avversari, sulle rive della Morava; da quel momento diventano invece, senza sottoscrivere accordi reciproci, avversari d’un comune nemico. Il lavoro ripercorre la lunga campagna del 1443 di Giovanni Hunyadi culminata appunto nella battaglia della Morava, allorché Giorgio Castriota abbandonò l’esercito ottomano e, tornato in patria, raccolse tutte le forze del suo popolo per una rivolta generale contro il dominio osmanico. Viene quindi discussa l’autenticità di una lettera con cui il re d’Ungheria, Vladislao I Jagellone, sollecitò l’alleanza di Scanderbeg nella campagna antiturca del 1444, che si concluse con la famosa battaglia di Varna, e quella della successiva risposta del Castriota. Si fa quindi cenno all’alleanza tra Hunyadi e Scanderbeg siglata in occasione della campagna antiottomana del 1448, che ebbe un epilogo infausto nella seconda battaglia del Cossovo.

 

Gaetano Platania

(Università di Viterbo)

unione delle chiese, lotta anti-turca e idea

di crociata in età moderna. il greco bessarione, detto il cardinale niceno, un quasi contemporaneo di gjergj kastriot skënderbeg

 

In un convegno dedicato alla personalità del principe albanese Gjergj Kastriot detto Skënderbeg, figlio di Giovanni e di Voissava Tripalda, nato a Kruja oggi nell’Albania centrale, è assai difficile, almeno per me, studioso del Seicento e particolarmente attento ai temi dedicati ai rapporti romano-polacchi, poter aggiungere qualcosa di serio o innovativo a ciò che già si è detto o si dirà nell’occasione dell’incontro di Napoli. Tutti ben sappiamo che Skënderbeg è stato l’eroe che seppe riunire principi e capitani albanesi in una lega capace di resistere, tra il 1443 al 1468, ai continui attacchi dell’esercito turco capeggiato dal sultano Murad II in persona. Attacchi che avevano il preciso scopo di annientare una resistenza che metteva in discussione la supremazia dei nuovi conquistatori che, dopo la caduta di Bisanzio, non ancora soddisfatti di essersi fatti padroni dell’area del sud-est europeo, puntavano ad allargare le loro conquiste.

Proprio perché la figura di Gjergj Kastriot detto Skënderbeg è così nota al grande pubblico, il mio intento è, al contrario, quello di soffermare l’attenzione sulla figura del Bessarione, il cardinale Niceno, un quasi contemporaneo dell’eroe albanese, noto per aver perseguito durante tutta la sua vita due grandi ideali: 1) organizzare una crociata con lo scopo di salvare Costantinopoli dalla conquista turca; 2) difendere, per quanto possibile, i tesori della cultura greca caduta nelle mani degli infedeli. Due progetti politici e morali che non ebbero, però, l’esito sperato. Bessarione seppe tuttavia conquistarsi il rispetto e la considerazione di “uomo grande e degno d’immortale memoria”, nelle parole di Enea Piccolomini, di uomo “di lettere e di santità”, come diceva lo storico gesuita Famiano Strada [1572-1649], e ancora di “uomo molto esemplare” secondo Girolamo Garimberti [1506-1575] vescovo di Gallese, amico di Bernardo Tasso e dell’Aretino. Inoltre, la sua figura è legata al Concilio di Ferrara-Firenze, in quanto la sua opera fu di strenuo sostenitore delle decisioni conciliari, ma è anche legata alla promozione e all’incontro fra l’Umanesimo italiano e la cultura greco-bizantina, un aspetto profondamente sentito dal nostro teologo e dal bibliofilo.

 

Marko Jačov

(Università di Lecce)

scanderbeg nei libri di storia del xvi e xvii sec.

 

Anche prima della caduta di Costantinopoli (29 maggio 1453) era chiaro che le conquiste dei sultani non si sarebbero limitate all’Impero Bizantino. Perciò la Santa Sede guardò con particolare interesse ai territori abitati dai cristiani già esposti alle scorrerie dell’esercito ottomano. I personaggi di spicco furono incoraggiati nella loro lotta contro il “comune nemico” per essere poi indicati come esempio da seguire. E tra i più lodati dagli storici occidentali nel corso del XVI e XVII secolo rimane senza dubbio Giorgio Castriota Scanderbeg, “Principe di Epiro, figlio del S. Ivan Castrioth, che signoreggiava quella parte di Albania, la qual si chiama Emathia et Tumenstia, et la matre di Scanderbeg chiamata Voisava, fu figliuola del S. di Pollogo, che è una parte della Macedonia et Bulgaria” (Paolo Giovio, Commentario delle cose de Turchi, Venezia 1541). Nella presente relazione sono riportati i testi riguardanti le sue battaglie e la politica, scritti dai più famosi conoscitori della storia ottomana, stampati nelle più rinomate tipografie europee.

Giorgio Castriota Scanderbeg

(Discendente del Principe albanese)

la discendenza di giorgio

 castriota skanderbeg

 

C’è chi vuole attribuirsene una discendenza diretta e legittima a dispetto di quanto sostengono i maggiori storici e chi, come il dott. Giorgio Castriota Scanderbeg, ritiene più realisticamente di aderire alle prevalenti tesi ed indagini genealogiche che negano quella possibilità, ma che naturalmente non smentiscono che gli attuali Castriota Scanderbeg portino a pieno diritto quel cognome pur se derivato da linee parallele o naturali. La questione è tuttora aperta e per chi volesse ricavarne un personale ed originale convincimento sono disponibili gli archivi dello Stato e quelli della Chiesa ancora non completamente esplorati.

Il Principe Giorgio Castriota ha parlato brevemente della sua ascendenza raccontandoci alcuni particolari a lui noti per conoscenza personale o riportata negli ultimi due secoli.

Turcuş Şerban

(Università di Cluj)

la storiografia romena sui rapporti tra scanderbeg e ianu de hunedoara (ianos hunyadi)

La cosiddetta tarda crociata è un tema ricorrente nella medioevalistica romena con riferimento soprattutto al XV secolo, contraddistinto da grandi principi romeni come Iancu de Hunedoara, Stefano il Grande o Vlad Tepeş. Al sud del Danubio confine naturale tra i Balcani e le terre romene, l’unico partner nella lotta antiottomana è stato, a meta del XV secolo, il grande eroe albanese Giorgio Castriota Skanderbeg. In questa prospettiva di congiunzione di interessi e di collaborazione è impostato il riflesso storiografico dei rapporti romeno-albanesi nel Quattrocento. Tra gli studiosi che hanno consacrato pagine di storia a Skanderbeg  annoveriamo Costantino Marinescu, Francisc Pall, Camil Mureşanu. Fra tanti storici, tuttavia, si distingue Francisc Pall che non si è soffermato sulla figura di Skanderbeg per evidenziarne soprattutto la prevalenza romena nella lotta antiottomana, ma ha studiato il ruolo balcanico ed europeo del Principe albanese.

 

Shaban Sinani

(Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana)

giorgio castriota scanderbeg: una figura del rinascimento europeo

 

Il Principe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg è stato definito “campione della cristianità”, “difensore della civiltà europea” e ancor meglio “protagonista del Rinascimento europeo”.

Il biografo Marino Barlezio è tra i primi a considerarlo figura tipica dell’umanesimo albanese, con una statura balcanica ed europea, oltre che fondatore dell’Albania moderna, realizzata attraverso l’unificazione dei Principati albanesi. E’ interessante leggere alcuni documenti di prima mano che legano la figura di Scanderbeg alla S. Sede, alla Repubblica di Venezia, ai Re di Napoli Alfonso e Ferrante D’Aragona.

Il concetto di Rinascimento europeo non è una nozione geografica, ma un movimento che accomuna molti popoli che hanno saputo dare vari contributi alla costruzione dell’era nuova.

L’Italia ha dato grandi pittori (Michelangelo, Raffaello, Leonardo Da Vinci); la Gran Bretagna ha dato Shakespeare; i Paesi Bassi Erasmo Da Rotterdam; la Germania Gutemberg ecc. e l’Albania ha dato Giorgio Castriota Scanderbeg, un personaggio che travalica i confini albanesi e si proietta nello scenario europeo.

 

Pietro De Leo

(Università della Calabria)

scanderbeg nella stroriografia

 “contra turcos”

 

La produzione storiografica occidentale, dagli inizi della stampa alla Rivoluzione Francese, è stata particolarmente attenta nel porre in risalto la figura e l’opera di Giorgio Castriota Scanderbeg, come dimostra l’ampia serie di saggi, oltre 300, pubblicati in tale periodo. Di essi ben 53 furono stampati a Venezia sui 92 editi nel territorio italiano. La chiave di lettura della biografia dello Scanderbeg è la dichiarata guerra “contra Turcos” e lo spirito di crociata. Saranno esaminate le opere stampate in Italia, anche in relazione con le fonti da esse adoperate.

 

Willy Gjon Kamsi

(Ambasciatore – Scutari)

vocazione cristiana ed europea

di giorgio castriota scanderbeg

 

Le mire dei turchi avevano come obiettivo la loro espansione non solo nei Balcani, particolarmente in Albania, ma verso tutta l’Europa. L’opposizione più decisa fu quella di un Grande del XV secolo, Giorgio Castriota Scanderbeg e del suo Popolo.

La formazione cristiana del nostro Eroe è la premessa a tutto lo svolgimento degli avvenimenti che seguirono al suo ritorno in Patria ed essa si riflette poi nei diversi importanti personaggi che lo attorniavano, appartenenti alla Chiesa Albanese.

Il suo orientamento europeo si realizza nelle alleanze con le potenze cristiane dell’epoca, rappresentate anche da Raguza e Janos Hunyadi, le quali, sebbene non rappresentino l’Europa Occidentale, sono comunque una espressione dei medesimi ideali nella difesa dall’invasore ottomano.

 

Ivan Biliarsky

(Università di Sofia)

la “terra albanese” nel sistema amministrativo del secondo impero bulgaro

La comunicazione tratta di uno studio su una delle circoscrizioni amministrative del Secondo Impero Bulgaro, detta “Terra Albanese”. La fonte di informazione è data dal testo “Privilegium per i Ragusani” dello Zar Giovanni II Asen (1230). Si analizza il tipo di unità amministrativa, chiamata “terra”, rispetto ad altre circoscrizioni (“chora”, “regione”, “confine”, “paese”, “kleisura”), oltre alla definizione dei limiti territoriali della “Terra Albanese”. Va sottolineato che la “Terra Albanese” è l’unica regione denominata “Terra” e l’unica ad avere un appellativo etnico.

Tutto ciò ci offre l’opportunità di inquadrare la questione all’interno dello sviluppo storico del popolo albanese.

 

Antonello Biagini

(Università di Roma La Sapienza)

le “diaspore albanesi” nel corso dei secoli

La relazione esamina le “diaspore” albanesi a partire dalle più lontane – in particolare dopo l’epopea di Scanderbeg - che hanno portato gli abitanti di quelle terre a diffondersi nei Balcani, in Adriatico, verso l’Italia e il contributo dato alle vicende italiane, fino agli avvenimenti recenti degli anni Novanta con la descrizione correlata dei vari momenti politici (la dominazione ottomana, lo Stato nazionale, il regime comunista, le difficoltà del nuovo sistema politico).

 

Zef Mirdita

(Università di Zagabria)

la lega albanese o lega di lezhë

 

Nella prima parte del presente lavoro l’Autore esamina la situazione dei territori albanesi dal 1272, anno dello sbarco in Albania di Carlo I d’Angiò, e fino al 1443, anno del ritorno di Giorgio Castriota Skanderbeg a Kruja. Un’analisi particolare e documentata viene fatta alla situazione sulla costa albanese ed ai rapporti dei principi albanesi tra loro e con i loro vicini balcanici. Sono importanti le valutazioni sulla religione: lo scontro e la convivenza dell’ortodossia bizantino-greca e del cattolicesimo romano nei territori albanesi. Poi si arriva alla famiglia del padre di Skanderbeg e alle notizie ed ai documenti sulla sua vita.

Il ritorno a Kruja di Skanderbeg il 27 novembre 1443 e la convocazione del Convegno di Lezha, nella Chiesa di San Nicola, il 2 marzo 1444, sono momenti di grande importanza storica nell’opera di Scanderbeg e nella vita dell’Albania.

Si tratta della prima alleanza politico-militare organizzata dai principi albanesi contro i turchi che durò per 25 anni sotto la guida di Skanderbeg.

 

Ignazio Parrino

(Università di Palermo)

scanderbeg e bessarione nella tradizione socio-politica e culturale dei greco-albanesi d’italia

Il ricordo di Scanderbeg e di Bessarione è stato sempre vivo presso i Greco-albanesi d’Italia, sia a livello colto che popolare.

Nel Seminario greco-albanese di Palermo nella lunetta del portone d’ingresso e in alcuni manoscritti in esso conservati si vedono due braccia reggenti la croce: lo stemma di Giovanni di Trebisonda, del Cardinal Bessarione.

Il ricordo di questi due personaggi ha guidato per cinque secoli, fino ad oggi, la vita sociale e culturale dei Greco-albanesi di Sicilia ed in parte anche d’Italia nel suo svolgimento e nel suo influsso sulla società italiana ed oltre.

Il Bessarione per rispetto dei militari albanesi mandati da Scanderbeg in Italia nel 1448 e attestatisi a Bisir, fatto vescovo di Mazara in Sicilia, avviò i loro rapporti col monastero di S. Salvatore di Messina di cui era commendatario.

Sotto la sua guida, di Costantino Lascaris e di tanti altri, si consolidò l’impegno per la conservazione e la cura scientifica del rito bizantino e della cultura classica, assieme alla costante aspirazione all’unione delle chiese greca e latina.

 

Attilio Vaccaro

(Università della Calabria)

lo sviluppo degli studi su giorgio castriota scanderbeg

L’ampiezza degli studi relativi a Giorgio Castriota Scanderbeg è derivata dall’interesse che questa figura storica, eroe della resistenza cristiana contro l’avanzata ottomana, ha suscitato in quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della storia dei Balcani nel secolo XV. Tale sensazione di ampiezza d’intenti e di risultati si fa certo più concreta se passiamo a considerare lo sviluppo della storiografia castriotiana, dalle opere più antiche considerate fino a qualche decennio addietro fonti di assoluta veridicità ed imparzialità (m. barletius, Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis, Roma s.d.; g. m. biemmi, Historia di Giorgio Castriotto detto Scander-Begh, Brescia 1742), ai contributi più recenti (y. jaka, Skënderbeu në historiografinë frënge, Prishtinë 2001; k. frashëri, Gjergj Kastrioti Skënderbeu. Jeta dhe vepra, 1405-1468, Tiranë 2002).

Attraverso una mirata ricognizione storiografica (secc. XVI-XXI) si indicherà, quindi, a grandi linee il progresso degli studi dedicati a Scanderbeg, menzionando solo le opere più significative nonché gli studiosi più importanti.

Imri Badallaj

(Università di Prishtina – Kosova)

la figura di scanderbeg

 nella rivista “ekskluzive”

 

Scanderbeg è un personaggio di capacità straordinarie, rivelatesi nell’azione militare contro l’invasione turca e nell’unificazione dei Principati albanesi.

In un quarto di secolo la sua strategia militare risultò vincente nei confronti di eserciti molto più numerosi del suo. Egli ha incarnato l’ideale della libertà e del benessere di tutti i popoli, e pertanto anche di quello albanese. Le sue gesta, la capacità strategica nell’arte militare hanno ispirato centinaia di opere in tutti i campi: nella letteratura, nella scultura, nella musica, nel folklore, nella pubblicistica, nella storia. A questo coro si è unita anche la rivista mensile Ekskusive.

Questa rivista ha pubblicato molti documenti e resoconti che il mondo della cultura non conosceva prima. Studiosi attenti di questo personaggio considerato eroe nazionale, quali Aleks Buda, Musa Ahmeti, Skënder Blakaj, Luan Malltezi, Jahja Drançolli, Ibrahim Berisha, Kasem Biçoku, Sabri Hamiti, Valter Shtylla, Shaban Sinani, Mustafa Ferizi ed altri, hanno pubblicato su questa rivista studi di particolare interesse scientifico.

 

Amedeo Di Francesco

(Università di Napoli L’Orientale)

un canto storico del cinquecento ungherese su giorgio castriota scanderbeg

Giorgio Castriota Scanderbeg è il protagonista di un canto storico in versi composto in Transilvania da Miklós Bogáti Fazakas nel 1579 e pubblicato la prima volta a Debrecen nel 1587. Il tema è la lotta di Scanderbeg contro i turchi e la fonte utilizzata è la biografia di Scanderbeg scritta in latino dall’umanista albanese Marinus Barletius Scodrensis (Argentorati 1537). Il testo ungherese, pertanto, appare interessante perché offre la possibilità di essere analizzato da tre punti di vista: 1) il messaggio storico e l’ideologia professata; 2) la tecnica compositiva collocata fra oralità e scrittura e che utilizza ampiamente lo stile formulare della tradizione narrativa ungherese; 3) il livello comparativo derivante dal confronto della riscrittura ungherese della vicenda storica ed esistenziale di Scanderbeg con il testo-fonte.

 

Pierfranco Bruni

(Ministero Beni e Attività Culturali)

immagini di scanderbeg in uno scrittore

Sono due i temi di riferimento che hanno permesso un approccio più immediato con  il personaggio – simbolo di Scanderbeg. 1. La sua particolare importanza come personaggio e come modello da romanzare all’interno di un confronto tra storia, destino e avventura. Una linea che supera la visione realista e fa emergere una figura tutta leggendaria pur uscendo dal filone storico. Una rappresentazione tra l’onirico e il metaforico. Un Alessandro Magno con tutto il suo alone di mistero e di fascino. 2. Per uno scrittore mediterraneo che è ben contestualizzato in una letteratura profondamente mediterranea il confronto con Scanderbeg lo porta a rivisitare quell’idea di Occidente ed Oriente che resta cara sia ad Omero che a Virgilio. Letterariamente (in termini di una allegoria visiva) Scanderbeg potrebbe essere considerato proprio come un personaggio dentro una griglia simbolica che manifesta la difesa di una appartenenza per affermare una identità che è quella cristiana tra le due culture: Occidente ed Oriente. Proprio per questo per uno scrittore come me Scanderbeg è piuttosto un archetipo che trasmette valori identitari e proprio per questo si presta ad una interpretazione fortemente letteraria i cui codici esistenziali e storici diventano teatralizzabili nella recita che occupa lo scenario dei nostri giorni.

 

Jorgo Bulo

(Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana)

per una tipologia dell’epos su scanderbeg nella letteratura albanese del romanticismo

Il ricordo della resistenza albanese del sec. XV è diventata non solo parte della loro coscienza storica, ma anche un fattore dello sviluppo della loro cultura. Nelle ricerche per la creazione dell’epos nazionale incentrato su Scanderbeg si sono delineate due tendenze tipologiche: il poema di contenuto romanzesco (G. De Rada) e il poema di contenuto storico-nazionale (N. Frashëri).

Per il primo tipo i fatti rappresentano lo sfondo storico dei drammi spirituali dell’individuo e del suo conflitto con le istituzioni del tempo, per il secondo tipo essi rappresentano la materia dell’intreccio del soggetto epico. De Rada ha creato il romanzo della tragicità della storia albanese del XV secolo, mentre Frashëri ha creato l’epos narrativo sul conflitto collettivo con i dominatori.

 

Ymer Jaka

(Università di Prishtina – Kosova)

scanderbeg nella letteratura francese

 

Questa comunicazione tratta del posto che Giorgio Castriota Scanderbeg occupa nella letteratura francese, entro un periodo di quasi quattro secoli, in una serie di opere di vario genere, pubblicate dal 1576 al 1950.

La trattazione di questo tema parte dallo studio delle poesie di tre poeti francesi, pubblicate come parti preliminari nella traduzione francese della Storia di Scanderbeg di Marin Barlezio nel 1576, di una delle quali è autore il noto poeta Pierre de Ronsard.

Quindi si passa a trattare della collocazione di Scanderbeg nel poema Les Tragiques di Agrippa d’Aubigné. In questo periodo, inoltre, incontriamo Scanderbeg anche nella prosa francese, nell’opera Les Essais dello scrittore Michel de Montaigne.

Oggetto di studio sono anche cinque romanzi con Scanderbeg come protagonista, come pure tre novelle e alcune opere drammatiche, tragedie, drammi e libretti d’opera, di cui alcune sono state messe in scena.

 

Zeqirja Neziri

(Università di Skopje)

scanderbeg nella letteratura croata

 

Scanderbeg, accanto alle figure storiche balcaniche e mondiali del passato, occupa un posto importante nella letteratura croata di tutti i periodi. Egli è presente sia come figura storica del popolo albanese, sia come simbolo di libertà dei popoli balcanici. Su di lui sono state scritte  opere di vario genere: lunghi canti epici (Grabovači e Mioshiči, sec. XVII), tragedie (Shporeri, Zoričiči, Sakcinski, sec. XIX), scritti storici e giornalistici (L. Gaji, F. Rački, Sh. Lubiči, Gj. Dezheliči, Gj. Galaci, L. Mihačeviči, M. Pavlinoviči). Nella rivista di Ludev Gaj Danica ilirska (1835-1849) Scanderbeg occupa il posto 42, accanto a Napoleone (69), Marco Kral (46), Cola di Rienzo (28), al croato N. Sh. Zrinski (24), o al russo Pietro I (38) e Alessandro I (28).

 

Edmond Çali

(Università di Napoli L’Orientale)

scanderbeg in “histori e skënderbeut”

di naim frashëri

 

L’autore esamina l’opera Histori e Skënderbeut del poeta albanese della Rilindja (Rinascita) Naim Frashëri (1846-1900). Inizialmente viene presentato l’autore e la sua opera in generale per arrivare poi all’opera dedicata all’eroe nazionale albanese.

Tenendo presente il contributo della critica su quest’opera, viene fatta una analisi della struttura del poema Historì e Skënderbeut ed in modo particolare della ridondanza, del seriale, della ripetizione nella forma letteraria.

Historì e Skënderbeut (Bucarest, 1898) è un poema con una struttura perfetta e precisa in cui la ripetizione creativa è la parte essenziale della sua unità strutturale e formale.

 

Costantino Nikas

(Università di Napoli L’Orientale)

Giorgio Castriota Scanderbeg nell’opera di Michele Critobulos

 

Michele Critobulos (inizio XV sec. – Monte Athos 1470) dell’isola di Imbro, nella sua opera Istorie descrive, in cinque libri, i fatti e le vicende del Sultano Maometto II il Conquistatore, dalla sua ascesa al trono nel 1450 fino alla morte 1467.

L’Autore premette un’epistola dedicatoria al Sultano in stile solenne e adulatorio.

Nel suo testo, anche se non parla dei momenti sfavorevoli e avversi di Maometto II, non tradisce la sua gente e non falsifica la storia; anzi sottolinea le ragioni e le lotte del popolo greco e degli altri popoli, Albanesi ecc., contro i Turchi.

Il V libro contiene, tra l’altro, le spedizioni di Maometto II, la prima e la seconda, contro l’Albania e il popolo illirico, l’assedio di Cruja e le gesta eroiche di Scanderbeg e della sua gente. Descrive il territorio, la topografia dell’Albania e la disubbidienza del popolo. Sottolinea la resistenza del popolo sotto la guida del suo comandante Scanderbeg e le difficoltà di espugnare Cruja.

 

Agostino Giordano
(Direttore “Jeta arbëreshe”)

varianti in “shpata e skanderbekut ndë dibrët poshtë” di b. bilotta

 

Bernardo Bilotta, poeta e scrittore arbëresh di Frascineto (Cs), dedicò a Giorgio Castriota Scanderbeg diverse poesie di argomento patriottico. Ma fin dagli esordi poetici, scrisse sull’eroe albanese un intero poema: Shpata Skanderbekut ndë Dibret Poshtë. Opera a cui dedicò ben quattro redazioni: le prime tre, incomplete, degli anni 1874, 1878 e 1888; e l’ultima, completa, del 1890: 12 canti con più di 10.000 versi, senari e settenari, distribuiti in sestine. Dal numero delle redazioni si capisce il valore che l’autore dava all’opera. Vi si racconta - in forma naturalmente anche un po’ romanzata - la prima battaglia che Skanderbeg combatte e vince contro i Turchi, invasori dell’Albania. Un argomento che nella seconda metà del XIX secolo interessava non poco gli Albanesi che, da 400 anni sotto il giogo turco, non vedevano l’ora di liberarsene. Quindi il poema bilottiano mirava a infiammare gli animi albanesi e invogliarli alla lotta. La redazione del 1890 è stata pubblicata – ma non in forma integrale – a Tirana nel 1968, a cura di papàs Emanuele Giordano, in occasione del 500° anniversario della morte di Skanderbeg.

In questo studio vengono confrontate le varie redazioni - dal punto di vista alfabetico, linguistico e lessicale, incentrando soprattutto l’attenzione sul personaggio di Skanderbeg.

 

Italo Costante Fortino

(Università di Napoli L’Orientale)

un poema inedito di g. a. nociti su giorgio

castriota scanderbeg

 

Opere inedite della letteratura albanese della Diaspora albanese in Italia sono custodite in varie biblioteche nazionali ed estere. Dopo la pubblicazione delle Rëmenxa t’arbresha (Rime albanesi) di Giuseppe Angelo Nociti (1832-1899), ora dello stesso autore disponiamo del manoscritto di un poema dal titolo Ndihmja e Krojës (La difesa di Cruja). Il poema, scritto nel 1857 e composto di tre cantiche in versi endecasillabi, tratta dei preparativi per la difesa di Cruja, capitale del Principato dei Castriota, contro l’armata di Murad II nel 1450, dove spicca la figura di Scanderbeg che per più di un ventennio (1443-1468) capeggiò la resistenza albanese contro l’invasione turca. L’Autore con il ritorno alle origini della diaspora albanese pone a fondamento della Rilindja (Rinascita) la storia, la letteratura e la lingua. Di notevole interesse, al di là del valore estetico, è la lingua del Nociti che, nel mentre riflette gli arcaismi del XV secolo, si presenta peculiare nella  Wortbildung (Besa/Roma).

 

roma

e’ deceduto vittorio peri

Gorizia 1932 – Roma 2006

 

Riportiamo il ricordo dello storico Vittorio Peri, grande amico degli Arbëreshë, firmato da Mons. Eleuterio F. Fortino per L’Avvenire di Calabria:

 

Domenica 1° gennaio 2006 è deceduto dopo alcuni mesi di malattia il prof. Vittorio Peri, noto ed esimio studioso dei problemi storici, in particolare di alcuni dei più intricati nodi di Storia della Chiesa che hanno intralciato le relazioni fra oriente e occidente. In questa prospettiva non ha dimenticato quelli che riguardavano più da vicino l’Italia meridionale e le Comunità italo-albanesi di Calabria e di Sicilia .

La sua ricerca operata con rigoroso  metodo scientifico aveva in prospettiva la ricomposizione della piena comunione fra cattolici e ortodossi. Questi impegni ricevevano il riconoscimento della Comunità scientifica e della Chiesa come dimostra il fatto della sua assunzione quale membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e di membro della Commissione Mista Internazionale del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

Da parte loro anche le tre Circoscrizioni Bizantine Cattoliche in Italia lo hanno profondamente apprezzato chiamandolo a svolgere la funzione di esperto nel loro secondo Sinodo Intereparchiale (2004-2005).

Il Prof. Vittorio Peri era nato a Gorizia nel 1932. Si è laureato all’Università cattolica di Milano con una tesi in patristica greca con il prof. Lazzati.

 

Ha iniziato la su attività di ricercatore del Centro di Documentazione creato da Dossetti a Bologna.

Subito dopo è stato scriptor graecus della Biblioteca Vaticana fin dal 1961, identico ruolo avuto da  Pietro Pompilio Rodotà, il padre della “Storia del Rito greco in Italia”. A questo ruolo egli era professionalmente impegnato e si sentiva personalmente legato e onorato.

Le sue ricerche, di carattere filologico e storico, sono in prevalenza dedicate ai rapporti tra l’oriente e l’occidente. In particolare ha indagato: le cause storiche della mancata celebrazione comune della Pasqua nella stessa data tra cattolici e ortodossi, l’evoluzione dei criteri per l’identificazione ed il riconoscimento dei Concili Ecumenici; le circostanze in cui la formula teologica del Filioque fu assunta come espressione di opposizione dogmatica; le forme canoniche della secolare presenza della Chiesa greca in Italia; l’introduzione della moderna nozione occidentale di “rito” nell’ecclesiologia cattolica; la genesi della struttura del titolo patriarcale nelle Chiese; l’ingresso della lingua slava nella liturgia ad opera dei santi Cirillo e Metodio; il Primato del Vescovo di Roma nella Chiesa secondo i concili ecumenici.

Tra i suoi scritti segnaliamo i più significativi: I Concili e le Chiese, Roma 1965; Due date un’unica Pasqua, Milano 1967; Chiesa di Roma e “rito”greco, Brescia 1975; Ricerche sull’<Editio Princeps> degli atti greci del Concilio di Firenze, Città del Vaticano 1975; Omelie origeniane sui salmi, Città del Vaticano 1980; La <Grande Chiesa bizantina>. L’ambito ecclesiale dell’Ortodossia, Brescia 1981; Cirillo e Metodio. Le biografie paleoslave, Milano 1981; La Pentarchia:istituzione ecclesiale (V-VII secolo) e teoria canonica teologica, in ‘Bisanzio, Roma, l’Italia nell’alto medioevo (=XXXIV Settimana di studi sull’Alto medioevo)”, I, Spoleto, 1988. 209-311; Lo scambio fraterno tra le Chiese. Componenti storiche della Comunione, Libreria Editrice Vaticana, 1993; Orientalis Varietas. Roma e le Chiese d’Oriente – Storia e diritto canonico, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1994; Il ruolo del vescovo di Roma nei concili ecumenici, in “Walter Kasper (ed.), Il Primato Petrino-cattolici e ortodossi in dialogo”, Roma 2005.

P. Emmanuele Lanne ha detto di lui: “Egli è stato un promotore convinto del dialogo con gli ortodossi e dell’unità dei cristiani”.

Alla Chiesa greca in Italia e alle sue vicende storico-disciplinari il Peri ha dedicato una speciale ed acuta attenzione. Il suo ruolo nella Biblioteca Vaticana gli ha offerto la materia e gli strumenti per apportare un contributo innovatore che andava aldilà della ripetizione di stereotipi sentimentalistici o polemici pigramente ripetuti.

Anche per questa tematica segnalo solo qualche titolo: La Congregazione dei Greci (1573) e i suoi primi documenti, 1967; Inizi e finalità ecumeniche del Collegio Greco di Roma, 1970; La Chiesa greca in Italia dall’ VIII al XVI secolo, 1973; Chiesa romana e “rito” greco . G.A. Santoro e la Congregazione dei Greci (1566-1596),1975; Documenti e appunti sulla riforma postridentina dei monaci basiliano, 1977;  I metropoliti orientali di Agrigento. La loro giurisdizione in Italia nel XVI secolo, 1982; La lettura del Concilio di Firenze nella prospettiva unionistica romana, in “Christian Unity”, a cura di Giuseppe Alberigo, Leuven, 1991.

Sugli Italo-Albanesi è intervenuto diverse volte con scritti e con conferenze. Ha curato lo studio introduttivo (pp. 5-75) alla riedizione della “Storia del rito greco in Italia” della Collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia” diretta da Italo C. Fortino (Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del Rito Greco in Italia, Edizioni Brenner, Cosenza 1986). In questo studio ha presentato criticamente l’apporto nuovo al tema della ricerca storica, dalla pubblicazione originale dei tre volumi (1758.1760,1763) al 1985. Nel 1986 ha partecipato alla presentazione dell’opera a S. Benedetto Ullano (Cosenza) luogo di origine del Rodotà; ha pubblicato vari studi in circostanze diverse su “L’Osservatore Romano” e su “Oriente Cristiano” (Palermo) come: Presenza e identità degli Albanesi d’Italia nella seconda metà del secolo XVI, 1980; Culto e pietà popolare degli Albanesi d’Italia prima della riforma tridentina 1980; L’ideale unionistico di p. Giorgio Guzzetta, La pace da risolvere tra Chiesa greca e Chiesa romana, 1985; Presenza storica ed identità culturale fra gli Arbëreshë, 1988. In uno degli ultimi studi è tornato a documentare e precisare che l’arrivo degli Albanesi in Italia ha avuto luogo nel periodo seguente al Concilio di Firenze (1439) in regime di unione fra greci e latini. Egli scrive che gli Albanesi erano stati accolti “legalmente in Italia come membri cattolici della Chiesa greca riunita alla Romana nel Concilio di Firenze” (cfr. Chiesa e Società nel Mezzogiorno. Studi in onore di Maria Mariotti, Rubettino, 1998, vol. I. p.204).

Egli ha lasciato nel dolore, ma nella fede nella resurrezione, la moglie, Prof.ssa Franca Minuto Peri, e cinque figlie. I funerali hanno avuto luogo martedì 3 gennaio nella Parrocchia di N.S. di Coromoto (Colli Portuensi), presieduti dal Nunzio Apostolico S.E.Mons. Coppa. Ha concelebrato il vescovo Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani, di cui Vittorio Peri era stato consultore, e molti sacerdoti amici tra cui l’archimandrita Donato Oliverio vicario generale dall’eparchia di Lungro. La Comunità arbëreshe di Roma ha avuto presente Vittorio Peri, non soltanto spesso nelle sue celebrazioni liturgiche, ma come “maestro” di seguitissime conferenze al Circolo italo-albanese di cultura “Besa-Fede” (Via dei Greci 46). Ai funerali ha partecipato una rappresentanza di questa Comunità che ha celebrato un Trisaghion. Il feretro è stato sepolto a Gorizia nella tomba di famiglia. Nei foglietti preparati per le letture e per i canti della liturgia eucaristica era stato scelto come motto introduttivo il versetto biblico che si canta nella liturgia battesimale bizantina: “Quanti siete stati battezzati in Cristo di Cristo siete stati rivestiti”. Il significato del versetto ed anche il fatto di averlo riprodotto in lingua greca ha sottolineato la visione cristiana di Vittorio Peri e l’allusione ad una dimensione essenziale  del suo lavoro scientifico (Besa/Roma).

 

lungro

imerologhion 2006

 

Puntuale, come di solito, è stato pubblicato l’Imerologhion dell’anno 2006 dall’Eparchia di Lungro. Questo Ordo rende un servizio prezioso per le corrette celebrazioni liturgiche festive e quotidiane (vespro, mattutino, ore, Divina Liturgia). E’ anche uno strumento didattico essenziale per chi intende studiare l’anno liturgico bizantino.

In appendice vengono opportunamente riportati i “Salmi dei typikà” in tre lingue (greco, albanese, italiano) e lo schema abbreviato del mattutino per le domeniche e per le feste, allo scopo di facilitarne la celebrazione nelle singole parrocchie. Ciò è indice del tentativo del necessario passaggio dall’Ordo monastico a quello, nel passato, detto cattedrale e cioè ordinato per la partecipazione dei fedeli nelle parrocchie (Besa/Roma).

roma

nuovi vescovi in albania

 

Al fine di completare la riorganizzazione della gerarchia ecclesiastica in Albania, il Santo Padre ha nominato:

  • Vescovo di Sapë Mons. Dodë Gjergji, finora amministratore apostolico della stessa diocesi, e segretario della Conferenza Episcopale;
  • Vescovo di Lezhë P. Ottavio Vitale, finora amministratore apostolico della stessa diocesi;
  • Vescovo di Rrëshen P. Cristoforo Palmieri, finora amministratore apostolico della stessa diocesi;

Viene così completata la gerarchia cattolica delle due Metropolie albanesi di Scutari e di Tirana-Durazzo. Con S.E. Mons. Massafra sono tre i vescovi albanesi di origine italiana (Besa/Roma).

 

kossova

deceduto il vescovo mark sopi

1938-2006

L’11 gennaio è morto mentre si trovava a Prishtina dopo un secondo infarto il vescovo S.E. Mons. Mark Sopi. Era nato a Binçë il 26 febbraio 1938. Aveva studiato la teologia a Roma. Ordinato sacerdote nel 1968 ha svolto il servizio pastorale nella Kossova. E’ stato anche il segretario del vescovo Mons. Nik Prela. Nel 1990 ha offerto il suo servizio alla rinata Chiesa cattolica in Albania. Il 2 novembre 1995 è stato nominato vescovo ausiliare di Shkup-Prizren e ordinato in S. Pietro da papa Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1996. Affrontò con qualità solida di pastore gli anni tragici della pulizia etnica. Quindi allacciò rapporti internazionali con organismi cattolici per la ricostruzione della Comunità cattolica. I cattolici sono 65.000 con 24 parrocchie. I funerali sono stati presieduti dall’Arcivescovo di Sarajevo Card. Vinko Puljic. Ha portato il saluto a Sopi il cardinale Angelo Scola che si era recato per visitare le strutture ricostruite con la collaborazione  con le Chiese del Nord-est d’Italia. Il Presidente della Kossova Ibrahim Rugova ha espresso il suo elogio: “Nella nuova storia della Kossova Mons. Sopi rimarrà un grande che per tutta la vita si è dedicato alla fede e alla Patria” (Besa/Roma).

 

kossova

e’ deceduto ibrahim rugova

1944-2006

Il 20 gennaio è deceduto il Presidente della Kossova il Dr. Ibrahim Rugova, già presidente della Lega degli Scrittori della Kossova, militante politico “non violento” per l’indipendenza. Musulmano, laureato alla Sorbona con Roland Barthes con una tesi su uno scrittore cattolico. Aperto alla comunità cattolica, ha posto la prima pietra per l’edificazione della nuova chiesa dedicata a Madre Teresa a Prishtina. Nella difficile situazione kossovara si spera che venga raccolta la sua eredità, culturale, morale e politica (Besa/Roma).

 

vaccarizzo albanese

e’ deceduto papàs selvaggi

1932 - 2006

 

Il 9 gennaio 2006 è deceduto Papàs Vincenzo Selvaggi. I funerali sono stati presieduti dal Vescovo di Lungro, concelebrati da moltissimi sacerdoti. E’ stato sepolto a Vaccarizzo Albanese.

Papàs Selvaggi, nato a Ejanina il 5 febbraio 1952, aveva compiuto gli studi, prima nel pre-Seminario di S. Basile, poi nel Seminario Benedetto XV di Grottaferrata (1943-1950) e quindi al Pontificio Collegio Greco di Roma (1951-1957) frequentando l’Università Gregoriana. Ordinato il 13 gennaio 1957 presbitero nella Chiesa di S. Atanasio in Roma, nei primi tempi ha aiutato l’arciprete della cattedrale di Lungro. Nel 1965 è stato nominato parroco della parrocchia di S. Maria di Costantinopoli in Vaccarizzo Albanese, ministero che ha svolto con perseveranza e zelo fino alla sua morte. Il vescovo di Lungro ha scritto di lui che “si è sempre preso cura dei bisognosi e degli immigrati”. Ha svolto anche un’apprezzata attività per la cultura, il folklore e la lingua arbëreshe. Ha pubblicato raccolte di folclore come Fjalë t’urta nga Arbëreshëtë e Kalavrisë (Corigliano Calabro 1961); Raccolta del folclore italo-albanese (Corigliano calabro 1969) e composizioni religiose da lui stesso create: “Lutje” (Corigliano Calabro 1968) e vari contributi su riviste (Besa/Roma).

 

roma

mostra sugli arbëreshë

18 gennaio 4 febbraio 2006

Il 18 gennaio 2005, nella Biblioteca Casanatense (Via S. Ignazio) si è aperta  una mostra sugli Albanesi d’Italia dal titolo: “Arbrëreshë. La memoria-I luoghi-I segni-Le voci”. La mostra è nata sulla base dello studio “Arbrëreshë. Cultura e Civiltà di un popolo” di Pierfranco Bruni (Besa/Roma).

 

lungro
nuove ordinazioni

L’Eparchia di Lungro dall’8.1. 2006 ha un nuovo presbitero: papàs Vincenzo Carlomagno da Ejanina. Un altro, Pietro Lanza, lo sarà prossimamente. Questi, insegnante di religione, per diversi anni zelante operatore al Centro di Assistenza Preventiva di Acquaformosa, è direttore del Centro catechistico diocesano.

Si preparano alle ordinazioni maggiori due altri candidati: Marcel Iancu, insegnante all’Istituto di Scienze Religiose “Mons. Giovanni Stamati” e Ivan Pitra. Tutti e quattro erano stati membri del Sinodo. (Besa/Roma).

 

roma

significato del sinodo

intereparchiale

 

Il programma Albanese della Radio Vaticana l’11 gennaio, anniversario dell’udienza concessa da Giovanni Paolo II ai membri sinodali per l’ultima sessione del II Sinodo Intereparchiale, ha intervistato l’Archimandrita Eleuterio F. Fortino, Presidente della Commissione Centrale di Coordinamento sul significato del Sinodo.

 Riportiamo la sua prima risposta:

 

“Il Sinodo ha avuto la funzione di una consultazione delle tre Circoscrizioni Bizantine in Italia su problemi vitali per la loro sopravvivenza su tre punti principali:

  • Innanzitutto ha esaminato la propria tradizione bizantina nel contesto concreto del rischio di omologazione alla cultura globalizzante occidentale per una risposta ai problemi reali;
  • In secondo luogo, data la distanza tra le varie comunità, ha affrontato il problema di una necessaria più stretta collaborazione pastorale;
  • In terzo luogo, per la prima volta nella storia, ha elaborato la proposta di un diritto particolare come richiesto dal nuovo Codice del Canoni delle Chiese Orientali” (Besa/Roma).

 

Teologia quotidiana

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HESYCHIA (7): LÁ DOVE È IL TUO TESORO, SARÁ ANCHE IL TUO CUORE

 

La serenità dell’uomo trova la sua ragione profonda nella tranquillità del cuore, il centro vitale, affettivo e morale dell’uomo. Il cuore è anche la causa unificante di tutti i desideri e le aspirazioni dell’uomo. La vita spesso si disperde in mille rivoli, in mille attività, in iniziative molteplici e non raramente contraddittorie. Ma il vero tesoro dell’uomo è uno; è la sua intenzione ultima. E là dove si situa questa intenzione, il “tesoro” dell’uomo, là sarà anche il cuore, tutta la persona e il suo destino.

 

1.  Nel suo discorso sulla vera pratica della vita religiosa, Gesù spiega ai suoi discepoli dove porre il centro della vita e l’opzione fondamentale (Mt 6, 19- 20). Lo fa secondo il metodo tradizionale del parallelismo inverso. Prima indica cosa non si deve fare, quindi cosa si deve fare e in fine espone la ragione che illumina e determina la scelta morale e operativa. “Non accumulatevi tesori (thēsavròus) sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove  ladri scassinano e rubano” (Mt 6,19). Il timore di perdere i beni raccolti causa l’inquietudine dell’uomo. I “tesori” accumulati “sulla terra” rischiano l’usura naturale (la “ruggine”) e quella esterna, “la tignola” e “i  ladri”. Sono tesori labili, caduchi, incerti. S. Giovanni Crisostomo osserva: “Benché questa rovina sembri evitabile assai facilmente, tuttavia è insuperabile e irrefrenabile; non sarai capace di impedire questa rovina” (Omelie sul Vangelo di Matteo 20,3). I beni materiali sono quindi fonte di timore, di preoccupazione e di amarezze. Il cuore di chi li possiede, nella paura di perderli, rimane inquieto. Anche conservando i beni perde la pace interiore la sua tranquillità.

In positivo Gesù consiglia: “Accumulatevi invece () tesori (thēsavròus) nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano” (Mt 6,20). La contrapposizione è tra terra (epì tēs ghēs) e cielo (èn ouranō). Il termine terra esprime quanto l’esperienza umana conosce attraverso la cronaca e la storia, la letteratura e le vertenze giudiziarie. Il termine cielo indica convenzionalmente il luogo dove Dio abita. Il consiglio è di accumulare tesori “davanti a Dio” dove tutto è riconosciuto, apprezzato e conservato in eterno.

Il tema del “tesoro in cielo” è conosciuto anche nell’AT applicato anche ai beni terreni usati per fare l’elemosina. Se fai elemosina – se usi i tuoi beni per soccorrere il prossimo - “ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare nelle tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo” (Tb 4, 9-10). Davanti a Dio il “tesoro” accumulato dal credente rimane incorruttibile e testimone della fede, della speranza e dell’opera dell’uomo. Sarà un tesoro nel giorno del bisogno. Nel giorno del giudizio.

 

2.  Al terzo momento Gesù spiega la ragione profonda del suo consiglio, L’intelligenza dell’uomo da lui creato ha bisogno di comprendere il significato delle cose. Gesù spiega: “Perché (gàr) dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). La spiegazione (perché - gar, infatti) è di fondamentale importanza. Non è soltanto la spiegazione logica di cui l’uomo ha bisogno, ma è “una dichiarazione generale e fondamentale di antropologia biblica” (Pierre Bonnard). Il cuore esprime il centro e l’unità dell’uomo. Il termine esprime l’interiorità dell’uomo e in un senso molto ampio. Non si limita all’aspetto affettivo, prevalente nella cultura occidentale. “Oltre ai sentimenti il cuore contiene anche i ricordi, le idee, i progetti e le decisioni” (Xavier Léon-Dufour). In questa visione antropologica il cuore è la fonte della personalità cosciente, intelligente e libera dell’uomo. Ed è lì che Dio ha iscritto la sua legge fondamentale che regge ogni uomo. La lettera ai Romani ci insegna che gli stessi pagani “dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti” (Rm 2,15).

All’inizio Gesù, nel testo di Matteo, parlava di “tesori” al plurale, quando poi dà la spiegazione definitiva parla al singolare (thēsavròs): là dov’è “il tuo tesoro”, il tesoro “tuo” (sou), là sarà il tuo cuore. Davanti a Dio si presenta l’uomo integro con la sua intenzione fondamentale. A questo solo “tesoro” si orienta tutto l’uomo con il suo “cuore”, con tutto il suo cuore. A questo livello egli non può disperdersi a desiderare e costruire molteplici tesori. La persona è unificata sull’essenziale e nella sicurezza che nulla sarà perduto e corrotto.

 

3.  La trasparenza davanti a Dio, l’unificazione della persona, la sicurezza che la sua speranza riposa in Dio, in un “tesoro” che non sarà tolto, né corroso, né corrotto, costituisce un elemento basilare della condizione di serenità dell’uomo, la sua hesychia fondamentale (Besa/Roma).

 

Roma 2 febbraio 2006, Presentazione al Tempio

 

 

 

S. A T A N A S I O

 

Comunità Cattolica Bizantina, Via dei Greci 46, 00187 Roma


 

L’ANTICA MELURGIA BIZANTINA

 

Il 12 novembre 2005 è stata presentata a Grottaferrata la ristampa fotostatica dell’opera di P. Lorenzo Tardo: “L’Antica Melurgia Bizantina nell’interpretazione della Scuola Monastica di Grottaferrata”, Grottaferrata 1938. La relatrice, prof. Sandra Martani  della Facoltà di Musicologia di Cremona, ha messo in rilievo che l’Opera di p. Tardo rimane “dopo oltre 70 anni “l’unico manuale sulla musica bizantina in lingua italiana”. Per ricordarlo, riportiamo alcuni brani del primo capitolo:

 

Nel principio era ben naturale che la Chiesa, nata a Gerusalemme, continuando a servirsi degli stessi inni della Sinagoga, li cantasse anche con le stesse melodie che per secoli risuonarono nel tempio (…).

Le Costituzioni pseudo-apostoliche così ci descrivono la forma con cui quei canti venivano eseguiti: “Sopra un posto elevato l’ Anaghnosta legga la pericope – già stabilita – di Mosè, di Gesù di Navì, dei Giudici, dei Re, dei Paralipomeni e quelli del Ritorno (dalla cattività di Babilonia), oltre a queste, anche quelle di Giobbe e di Salomone e dei profeti; al termine di ogni due letture, un altro Anaghnosta canti gli inni di Davide e il popolo subentri a cantare l’ultima parte dello sticho”. Questa forma col tempo diventa generale nelle riunioni ecclesiastiche. S. Atanasio scrive che, mentre sedeva al trono, il suo diacono cantava il salmo 135, a cui il popolo rispondeva ad ogni versetto: “Poiché la sua misericordia vive in eterno” (….).

Il Crisostomo col suo linguaggio, che non conosce ambiguità o mezzi termini, ordina di far tacere le voci incomposte e i movimenti disordinati delle mani, le quali invece si devono sollevare a Dio supplichevoli e congiunte in atto di preghiera. Pastore vigilante, non lascia occasione per mostrare il suo zelo per la restaurazione della musica sacra, che deve piegarsi alle esigenze della religione. Inveisce contro quei maestruccoli, che compongono senza ispirazione, infarcendo le loro musiche con reminiscenze profane e lasciano il cuore arido e freddo. “Si trovano qui alcuni, dice il Dottore, i quali con disprezzo di Dio, ritengono le parole dello Spirito Santo (cioè i Salmi) come una cosa qualunque; li accompagnano con voci scomposte e in nulla si differenziano (nella esecuzione) dagli energumeni: si agitano, si esaltano in guisa da mostrare modi affatto indegni delle sacre adunanze…Tu, ripieno di ciò che vedi  e ascolti nei teatri, (nei quali allora prevaleva il mimo e il pantomimo) ne trasporti le forme in chiesa, e perciò con voci inarticolate manifesti il disordine dell’anima tua”. I lamenti dei santi Dottori erano logici; non solo i ritmi, ma anche i canti, come si è visto, erano modellati sulle forme e sui tipi pagani. La musica sacra dietro le direttive dei Concili e dei Padri si andò spogliando delle forme profane, rivestendo uno stile, un’arte nuova, un tipo speciale più grave, più nobile, più elevato, quale appunto si conviene alla casa di Dio.

S. Atanasio nella lettera a Marcellino insegna sapientemente con quale spirito bisogna cantare gl’inni e i salmi, affinché questi siano accetti a Dio, di giovamento allo spirito e di edificazione ai fedeli.

Lorenzo Tardo jeromonaco

 

 

Il Sinodo Intereparchiale

verso la conclusione

 

Durante l’estate la Commissione Centrale di Coordinamento ha riletto gli schemi per valutare l’esattezza del modo in cui gli emendamenti votati durante la celebrazione sinodale  sono stati introdotti negli schemi.

In tal modo i testi stabiliti come risultato della Consultazione sinodale, sono stati presentati  agli Ordinari per la loro valutazione.

Il sommario del volume risulta così strutturato:

 

1.      Prologo: Sinodo, Evento di Grazia – Opera di Dio per la santificazione dell’uomo;

2.       La Sacra Scrittura nella Chiesa locale;

3.      Catechesi e Mistagogia;

4.      Liturgia;

5.      Formazione del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata;

6.      Diritto Canonico Particolare;

7.      Rapporti Interrituali;

8.      Ecumenismo – Dialogo Interreligioso – Sette – Nuovi Movimenti;

9.      Rievangelizzazione;

10.  Missione;

11.  Epilogo: “Chiamati ad essere santi” (Rom 1,7).

 

Dopo la loro valutazione gli Ordinari presenteranno il risultato alla Santa Sede per l’approvazione canonica.

 

Il Sinodo Intereparchiale per le tre Circoscrizioni Bizantine in Italia, come recita il titolo del prologo, votato nell’Assemblea sinodale, è “Evento di Grazia – Opera di Dio per la santificazione dell’uomo (Inter - Sinodo).


IL NATALE: EPIFANIA DI DIO E LUCE DELLA CONOSCENZA



 

“Il 25 di questo mese di dicembre, Natività secondo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo”.

 

Così recita il Synaxàrion, il libro dell’assemblea, della Chiesa bizantina.

 

Nell’Orthros, nell’ufficio dell’Aurora del giorno si canta il canone di Cosma che nel suo irmòs – il primo tropario che determina il ritmo poetico e musicale delle otto odi – invita all’incontro con il Signore che viene ed esorta alla sua glorificazione:

“ Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché è glorificato”.

Il canone espone in poesia il mistero del Natale, nelle sue maggiori dimensioni: l’incarnazione del Verbo di Dio, l’effetto nell’uomo col restaurarlo ad immagine e somiglianza di Dio, l’invito alla glorificazione nella liturgia e nella propria esistenza.

 

Dio immutabile

 

L’acrostico del canone – frase che si ottiene mettendo insieme le prime lettere di ciascun tropario dell’intero canone – costituisce una espressione (Christòs brotōtheìs ēn hòper Theòs menē) che tradotta in italiano manifesta il significato profondo dell’incarnazione del Verbo di Dio che si fa uomo senza mutare (atreptōs enanthrōpēsas) la sua natura divina: “Cristo fatto mortale rimane Dio qual era”. Questo elemento della fede cristiana viene ribadito diverse volte, nell’esplicitazione dell’essere theàntropos, vero Dio e vero uomo, ribadendo le dichiarazioni del Simbolo niceno-costantinopolitano delle due nature di Gesù Cristo.

Da una parte si proclama che Gesù Cristo unico Signore è “Dio vero da Dio vero, generato non creato della stessa natura del Padre (homooùsion tō Patrì)”.

L’irmòs giambico dell’ode prima afferma che “Lui, per essenza è uguale al Padre ed ai mortali” (ison Patrì kai brotòis).

 

Si incarnò e si fece uomo

 

Dall’altra parte, infatti la nostra professione di fede afferma che “per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo (sarkōthènta kai enanthrōpēsanta). E ciò nella prospettiva dell’economia della salvezza perché “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli”.

L’irmòs della terza ode, riassume cantando: “Il Figlio che prima dei secoli, immutabilmente dal Padre è stato generato e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato”, “prendendo veramente carne” (terzo tropario della prima ode).

Gli ultimi tempi vengono precisati storicamente, ricordando l’editto di Cesare Augusto in un artificio poetico di contrapposizione tra la registrazione segno di sudditanza e la liberazione apportata da Cristo.

Il secondo tropario della quinta ode canta: “Per ubbidire al decreto di Cesare, sei stato registrato tra gli schiavi, e hai liberato noi, schiavi del nemico e del peccato, o Cristo, divenendo del tutto povero come noi e divinizzando ciò che era di terra, con questa stessa unione e comunione” (ex autēs henōseōs kai koinōnìas hetheoùrgēsas).

Della circostanza storica del periodo in cui è nato Gesù – la pax romana - il doxastikòn del vespro, inno di Kasia, si serve per aprire la visione del cristiano alla dimensione universale degli effetti della Nascita di Cristo.

 

Rialza la decaduta immagine dell’uomo

 

Il tropario della pre - vigilia svolge il tema della divinizzazione dell’uomo. I Padri da S. Atanasio in poi hanno espresso l’evento con la formula “Dio si è fatto uomo perché l’uomo divenga Dio”:

“Sì, Cristo nasce per rialzare (anastēsōn) l’icona decaduta”, l’umanità che era stata creata ad immagine di Dio e caduta nel peccato era decaduta dalla sua elevata situazione.

Il secondo tropario della prima ode mette a fuoco il tema: “Colui che fatto ad immagine di Dio era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma”.

Si fa riferimento alla creazione di Adamo, al peccato, alla donna Eva e di converso a Maria. Adamo che aveva partecipato a “quel soffio superiore”, era caduto nella corruzione “sedotto dalla donna”, ora egli vedendo il Cristo “nato da donna”, divenendo uomo e rimanendo Dio”, egli ha “sollevato la nostra fronte”. L’uomo nuovo può stare dritto senza vergogna davanti a Dio. Infatti “partecipando della realtà inferiore della carne, ci è dato di comunicare alla natura divina” (Ode terza).

L’irmòs giambico dell’ode quarta  ricorda il profeta Abacuc che “prediceva la riplasmazione, la nuova creazione, della stirpe umana”.

All’idea radicale di nuova creatura, vari tropari aggiungono aspetti complementari come quello della redenzione, del riscatto.

“Il Cristo Dio, fatto uomo, ci ha riacquistati” (prima ode, quarto tropario).

 

La luce della conoscenza

 

Il Dio della pace ci ha inviato l’angelo del suo gran Consiglio. Siamo in tal modo, secondo l’irmòs della quinta ode che si ispira al Cantico di Isaia, “guidati alla luce della conoscenza di Dio” (theognōsìas pros phōs). L’apolytìkion del giorno è incentrato proprio sul tema della luce. Del resto la Nascita di Gesù è l’epifania di Dio tra gli uomini, la vera luce che illumina ogni uomo che viene al mondo. “La tua nascita o Cristo nostro Dio, ha fatto sorgere per il mondo la luce della conoscenza. Con essa, gli adoratori degli astri, sono stati ammaestrati da una stella ad adorare te, sole di Giustizia, e a conoscere te, Oriente dall’alto”. Questo apolylitìkion che si canta già dal vespro e continua per l’intero periodo post-festivo è comunemente diffuso e riassume il significato del Natale nel popolo bizantino.

 

“Gloria alla tua potenza, Signore”

 

Questo è il ritornello dell’ode quarta sul Cantico di Abacuc. “I potenti di tutta la terra, si sono prostrati davanti a te, o Salvatore” e danno gloria alla potenza di Dio.

Gli inni menzionano e rielaborano il tema dell’attesa, la veglia dei pastori, la venerazione dei magi venuti da lontano guidati dalla luce della stella, il canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”.

Già dal vespro la liturgia invita all’esultanza e alla celebrazione del mistero che rivela il Natale: “Venite, esultiamo per il Signore, esponendo questo mistero. Il muro di separazione che era frammezzo è abbattuto”.

E’ stata ristabilita la comunione tra Dio e l’uomo. A questo evento di grazia partecipano i popoli, la natura, gli astri.

L’Oìkos invita: “Affrettiamoci verso il luogo dove è stato partorito il piccolo bimbo, il Dio che è prima dei secoli”. E attraverso espressioni simboliche e poetiche suggerisce le ragioni dell’invito che si fondano sul significato dell’Evento: “Betlemme ha aperto l’Eden …Venite riceviamo nella grotta le gioie del paradiso.  Là è apparsa la radice che ha germogliato il perdono. Là si è trovato il pozzo da nessuno scavato, a cui Davide un tempo aveva desiderato bere”.

 

Cosa offrire al Signore - Dio tra noi?

 

“Che ti offriremo, o Cristo”?, chiede il quarto idiòmelon del vespro di Natale. L’inno di Germano risponde: “Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli l’inno, i cieli la stella, i magi i doni, i pastori lo stupore, la terra la grotta, il deserto la mangiatoia. Ma noi ti offriamo la Madre Vergine”.

 

Exapostilàrion –Inno di congedo

 

L’inno di congedo riassume un aspetto essenziale del significato del Natale e accompagna il fedele al di fuori del luogo di culto per le vie del mondo con il viatico della verità e della salvezza.

L’exapostilàrion canta:

“Ci ha visitati dall’alto il nostro Salvatore, Oriente degli orienti, e noi che eravamo nelle tenebre e nell’ombra, abbiamo trovato la verità, perché dalla Vergine è nato il Signore”.

 

 

Eleuterio F. Fortino

Natale 2005



CELEBRATA LA FESTA NAZIONALE DI ALBANIA 2005

 

La comunità arbëreshe di Roma ha celebrato la festa nazionale di Albania, nel suo modo tradizionale, con una manifestazione culturale e la celebrazione della Divina Liturgia in lingua albanese.

 

  1. L’Albania sulla via della democrazia

Sabato 26 novembre nella sede del Circolo Besa ha avuto luogo una conferenza-dibattito sul tema “L’Albania sulla via della democrazia” con due esperti: il Dr. Rando Devole, sociologo albanese-operatore CISL e il Dr. Roland Seiko, direttore del quindicinale “Bota Shqiptare - Il mondo albanese - Il giornale degli Albanesi in Italia”. Due giovani albanesi, viventi in Italia,  impegnati professionalmente nel campo culturale e sociale. I due principali argomenti sono stati:  La nuova situazione sociale e le istituzioni democratiche nell’Albania di oggi.

L’incontro è stato articolato come uno scambio di vedute tra i due relatori su ciascun argomento a cui erano invitati ad intervenire anche i presenti, nel corso della conversazione stessa, con interrogazioni o con osservazioni critiche, emergendo così una riflessione più completa, vivace e partecipata.

La situazione politica è strutturata sul pluralismo democratico, con una moltiplicazione di partiti (nelle ultime elezioni se ne sono presentati 72), ma raggruppati in due poli. Nel governo si è cercato di applicare il criterio rappresentativo delle forze in campo. Il criterio del clan risulta ormai sbiadito e in regressione pratica. Le istituzioni sono state costituite secondo principi moderni sperimentati negli altri paesi europei, per sé in ottime prospettive. Esse però sono in rodaggio e spesso lo scarto fra l’impostazione teorica e l’applicazione pratica è notevole. La situazione sociale è certamente migliorata, ma si constata ancora una forte disuguaglianza dei beni e dei servizi sociali. La coscienza civile si è risvegliata e diventa lentamente più attiva. La letteratura esiste e si esprime in una grande massa di pubblicazioni con due problemi: non tutta è di qualità e vi è assenza di esercizio adeguato della critica per orientare i lettori, i quali di fatti leggono poco. Ci sono però gruppi di nuovi poeti e scrittori emergenti che danno speranza per l’avvenire.

L’impressione che si traeva dall’insieme era abbastanza positiva e fiduciosa per il futuro dell’Albania.

La manifestazione è stata coordinata dal prof. Domenico Morelli del Circolo Besa. Mons. Eleuterio F. Fortino, ringraziando i due specialisti, ha sottolineato proprio la prospettiva positiva del dibattito e la fiducia espressa verso l’avvenire, auspicio degno della celebrazione della festa nazionale.

 

  1. La preghiera per tutti gli albanesi

Domenica 27 novembre, nella Chiesa di S. Atanasio (Via del Babuino 149) è stata celebrata la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo in lingua albanese, in cui si è pregato per tutti gli albanesi viventi in patria o dispersi nel mondo. Per tutti si è chiesto a Dio la sua assistenza e la “pace che viene dall’alto”.

Nell’omelia Mons. Eleuterio F. Fortino, commentando la pericope evangelica del giorno, ha sottolineato la risposta che Gesù ha dato alla domanda postagli da un uomo socialmente distinto: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna”? La risposta era stata: “Osserva i comandamenti”. E i comandamenti ricordati sono tra quelli dati a Mosé sul Sinai, ma si riferiscono anche a quelli della legge naturale: non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non fare falsa testimonianza, onorare il padre e la madre. I principi  etici sono alla base del comportamento personale, ma anche di ogni società che vuole essere sorretta dalla giustizia per tutti, dal rispetto reciproco, dalla equità per una convivenza armoniosa e dinamica.

La celebrazione liturgica quest’anno è stata presieduta dal Rev. Papàs Ignazio Ceffalia dell’Eparchia di Piana degli Albanesi coadiuvato dal Rev. Paolo Gionfriddo, diacono della Martorana di Palerno, concattedrale dell’Eparchia di Piana degli Albanesi.

Ha cantato la liturgia il coro della Comunità arbëreshe di Roma, diretto dal Prof. Nicolino Corduano, dell’Eparchia di Lungro per gli Albanesi di Calabria e dell’Italia Continentale, sul testo musicale composto da p. Nilo Somma, italo-alnaese, ieromanaco di Grottaferrata (Besa/Roma).

 

3. Albania, un mosaico di religioni

P. Costantin Simon s.j. ha pubblicato su “La Civiltà Cattolica (19 novembre 2005) un accurato studio sulla storia e la situazione attuale delle comunità religiose in Albania (Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa, Islam, Bektashi e altre). Ha sottolineato “il tradizionale rispetto che vige tra i credenti albanesi” con la constatazione di “alcuni incidenti inquietanti” senza alcuna certezza a chi attribuirli, se “ai fondamentalisti religiosi  o ai nostalgici neocomunisti”. Ha anche rilevato: “L’Albania dei nostri giorni rimane una società profondamente dominata dal secolarismo” (Besa/Roma).

Natale 2005

 

Circolare novembre 2005                                                                                                                  179/2005

Sommario

I detti di Gesù (37): “Coraggio, ti siano rimessi i tuoi peccati”.............................................. 1

ROMA: L’ecumenismo nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.......................... 2

CHEVETOGNE: Riforma della liturgia bizantina....................................................................... 5

ROMA: Sinodo dei Vescovi - Eucaristia .................................................................................. 6

ROMA: Sinodo dei Vescovi - Proposte................................................................................... 8

ROMA: S. Atanasio: Liturgia di S. Giacomo............................................................................. 9

ROMA: Sali Berisha e S. Egidio............................................................................................... 9

S. BENEDETTO ULLANO: VI centenario della nascita di Skanderbek................................... 9

LUNGRO: Mediterraneo e migrazioni – Nuove ricerche storiche............................................ 10

EJANINA: 60° di ordinazione presbiterale di papàs E. Giordano............................................ 10

ROMA: S. Atanasio: Festa nazionale d’Albania...................................................................... 10

ROMA: Hesychia: Ama il prossimo tuo come te stesso.......................................................... 11

 

Ta lòghia – I detti di Gesù (37): “Coraggio, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt 9,2)

 

La remissione dei peccati è la maggiore liberazione dell’uomo dai legacci interiori. Da essa dipende la tranquillità della coscienza e il rapporto sereno con Dio e con il prossimo. Gesù risorto, appare ai suoi discepoli e comunica la sua pace e il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20,23). Il verbo “saranno rimessi (aphèōntai) è al futuro. Si indica il potere di rappacificare gli uomini lungo i secoli.

Gesù giunge a Cafarnao, nella sua città. Gli presentano un paralitico, steso su una barella. Il racconto parla al plurale, saranno state quattro le persone che lo trasportano, come si trasportano i morti. L’ammalato è paralizzato, non è autonomo, dipende dagli altri e forse pensa che non valga la pena vivere. Nessuno parla. Presentano in silenzio l’ammalato. Ma la situazione parla da sé. Gesù capisce, anzi vede e vede nel profondo. Vede “la loro fede”. E si rivolge al paralitico: “Coraggio (thàrsei), figlio, ti sono rimessi (aphìentai) i tuoi peccati” (Mt 9,2). Il verbo (aphìentai) è al presente. Qui il perdono è “attualizzato e personalmente comunicato” (Bonnard).

“Costui bestemmia”, commentano alcuni scribi, scrivani, uomini di cultura, che non intuiscono il mistero e la novità dell’evento a cui pure sono presenti. Nella loro concezione pensano, e correttamente, che solo Dio può rimettere i peccati. Ma non riescono a percepire che Dio si può manifestare e che può agire con mezzi diversi da quelli conosciuti.

Ma Gesù vuole liberare anche gli scribi dalla loro paralisi intellettuale. Entra nel loro ragionamento. Essi pensano che un taumaturgo può guarire il corpo. Anzi credono che guarire il corpo sia il massimo del potere divino nell’uomo. Gesù ha annunciato qualcosa di molto superiore. Per essi però il massimo è la salvezza corporale, visibile. Usando un’argomentazione inversa della logica razionale, ma coerente con la logica degli scribi, lo guarisce anche fisicamente. Pone loro una domanda che contiene in se stessa la risposta: “Cosa è più facile, dire < Ti sono rimessi i peccati> o dire <Alzati e cammina> ?”. E qui congiunge miracolo fisico e guarigione interiore, affinchè “Ciò che è sublime e invisibile sia dimostrato per mezzo di ciò che è visibile”, (G. Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 29,2). “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati, <Alzati> disse al paralitico…Ed egli si alzò” (Mt 9, 7). Si alzò guarito nel corpo e risorto nell’anima.

“Ti sono rimessi i peccati”, è questo l’annuncio straordinario portato da Cristo e realizzato sulla Croce per tutta l’umanità, annuncio che i credenti confessano proclamando nel Credo che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli” si incarnò e si fece uomo (Besa/Roma).



ROMA

L’ECUMENISMO

NEL COMPENDIO DEL CATECHISMO

DELLA CHIESA CATTOLICA

 

Riportiamo una nota di Mons. Eleuterio F. Fortino, apparsa sull’opuscolo per la settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, curato dalla Cittadella Ecumenica Taddeide di Riano:

 

Uno dei primi atti del nuovo papa Benedetto XVI è stata la promulgazione (28 giugno 2005) del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC). Auspicato dal Congresso Catechistico Internazionale del 2002, deciso da Papa Giovanni Paolo II nel febbraio 2003, è stato preparato da una ristretta commissione di cardinali e di collaboratori presieduto dall’allora cardinale Ratzinger. Nel Motu Proprio di promulgazione Papa Benedetto XVI scrive: “Il Compendio, che ora presento alla Chiesa universale, è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali  e fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato auspicato dal mio predecessore una sorta di vademecum, che consenta alle persone, credenti e non,  di abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’intero panorama della fede cristiana”.

Tra gli “elementi essenziali e fondamentali” il Compendio riporta i più importanti principi cattolici dell’ecumenismo e diverse norme per  il suo corretto esercizio.

In questa breve nota si segnaleranno alcuni degli elementi ecumenici più importanti della dimensione ecumenica del Compendio.

 

Professione di fede

 

L’ecumenismo, la ricerca della piena unità, si fonda sulla fede comune fra i cristiani e tende alla piena comunione per mezzo della preghiera, del contatto, del dialogo e della cooperazione pratica. Questa prospettiva è presente nel Compendio disseminata in diversi luoghi, secondo le materie trattate.

Elemento primario su cui si fonda la comunione è la professione di fede. Alla domanda circa i più importanti simboli di fede il Compendio dà questa risposta:

“Essi sono il Simbolo degli Apostoli, che è l’antico Simbolo Battesimale della Chiesa di Roma, e il Simbolo niceno-costantinopolitano, frutto dei primi due Concili Ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381), ancora oggi comune a tutte le grandi Chiese d’Oriente e d’Occidente” (35).

Ciò vuol ricordare che le grandi Chiese di Oriente e di Occidente, nonostante la divisione, “ancora oggi” mantengono “in comune” quel simbolo di fede. Il contenuto di quel simbolo fa parte essenziale di quanto i cristiani abbiamo in comune. Spesso si ripete che “ciò che unisce” i cristiani, nonostante la divisione, “è molto di più di quello che divide”. La professione di fede è quindi fondamentale. Eventuali interpretazioni differenziate si pongono a un livello più superficiale. Inoltre  le dispute circa le conseguenze dei Concili di Efeso (431) e di Costantinopoli (481) - che avevano provocato le prime divisioni (nestorianesimo e monofisitismo) - sono state chiarite. Nell’enciclica Ut Unum Sint, per la Chiesa cattolica, Giovanni Paolo II ha affermato: “ Proprio per quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme  ai Patriarchi di alcune di queste Chiese  la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo” (62). E nello stesso senso nel numero seguente Giovanni Paolo II ribadisce: “Per le tradizionali controversie sulla cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti essenziali, tanto da permetterci di confessare insieme quella fede che ci è comune” (63).

Per questa ragione nei sussidi per la preghiera per l’unità dei cristiani, preparati insieme annualmente da delegati della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico della Chiese, per la professione di fede si propone la proclamazione del “Simbolo niceno-costantinopolitano o del Simbolo degli Apostoli”. In quel simbolo si trova espressa la fede nella Trinità; si afferma l’incarnazione, la redenzione, un solo battesimo per la remissione dei peccati, la concezione della Chiesa una santa cattolica e apostolica, l’attesa della resurrezione e la vita eterna.

Tutto ciò contribuisce a formare il fondamento sostanziale che sorregge la comunione tra i cristiani e su cui si sostiene l’azione ecumenica. E’ conseguente la delimitazione del Decreto Unitatis Redintegratio circa i partecipanti a quel movimento: “A questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico,  partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Cristo Signore e Salvatore” (UR 1).

La professione di fede niceno – costantinopolitana distingue sostanzialmente il movimento ecumenico da ogni altro rapporto fra religioni o culture.

 

Battesimo e Corpo di Cristo

 

Un altro elemento essenziale per la comunione tra i cristiani è il battesimo. Il Compendio indica anche una conseguenza della professione di fede in un solo battesimo.

Alla domanda quali sono gli effetti del battesimo, si risponde:

“Il Battesimo rimette il peccato originale, tutti i peccati personali e le pene dovute al peccato; fa partecipare alla vita divina trinitaria mediante la grazia santificante, la grazia della giustificazione che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa; fa partecipare al sacerdozio di Cristo e costituisce il fondamento della comunione con tutti i cristiani; elargisce le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo. Il battezzato appartiene per sempre a Cristo: è segnato infatti con il sigillo indelebile di Cristo (carattere) (n. 263).

Il Battesimo è il fondamento sacramentale radicale della comunione tra i cristiani.

Il Compendio a questo punto rinvia al Catechismo della Chiesa cattolica, che più estesamente svolge lo stesso tema e utilizza l’insegnamento del decreto Unitatis redintegratio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Il Battesimo costituisce il fondamento della comunione fra tutti i cristiani, anche con quelli non ancora nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Quelli infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto debitamente il Battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica…Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore. Il battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale  dell’unità che vige fra tutti quelli che  per mezzo di esso sono stati rigenerati (CCC, 1271).

 

Condivisione di vita sacramentale

 

Il Compendio non prende in considerazione tutte le possibilità permesse dai due Codici di diritto canonico (CJC e CCEO), ma soltanto le maggiori. Inoltre il Compendio prende in considerazione soltanto i  casi in cui un ministro cattolico può ammettere  altri cristiani all’eucaristia e, non viceversa, i casi in cui, anche previsti dal diritto, un cattolico può chiederla a ministri di altre Chiese (CJC can 844, §2). Tutto questo rimane precisato nel Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme dell’ecumenismo (92-160).

La questione della partecipazione all’Eucaristia è la più sentita nei rapporti tra i cristiani.

Nella prospettiva generale, nello stato attuale, rimane esclusa la concelebrazione dell’Eucaristia che sugnifica la piena comunione. Ma, sulla base della parziale comunione esistente, è possibile l’ammissione di fedeli, in determinate circostanze e con specifiche condizioni, al alcuni sacramenti. Nei Codici di diritto canonico e nel Direttorio si prevede, oltre all’eucaristia, anche la possibilità di ammissione ai sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi. Si danno norme pure su aspetti particolari del battesimo (circa i padrini), del Matrimonio (testimoni), oltre che l’intero dispositivo sulla preghiera comune.

Il Compendio, in prospettiva dottrinale e pastorale adeguata, riporta le norme circa l’ammissione all’Eucaristia.

Alla domanda, “quando è possibile amministrare la santa Comunione  agli altri cristiani”, il Compendio dà una risposta distinta quando si tratta per gli ortodossi oppure  per i protestanti:

·        “I ministri cattolici amministrano lecitamente la santa Comunione a membri delle Chiese Orientali che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora questi lo richiedano spontaneamente e siano bene disposti”.

·        “Per  i membri delle altre Comunità ecclesiali, i ministri cattolici amministrano lecitamente la santa Comunione ai fedeli, che per gravi motivi lo chiedano spontaneamente, siano bene disposti  e manifestino la fede cattolica circa il Sacramento" (293).

·        Il Compendio indica a lato di questa risposta un rinvio  al Catechismo della Chiesa Cattolica (1398 - 1401) che in modo più esplicito e dettagliato presenta lo stesso orientamento. Il Direttorio ecumenico ha una esposizione organica dell’intera problematica (92-160). Il Compendio per sua natura non prevede una trattazione estesa e dettagliata, ma indica l’orientamento generale della Chiesa in materia.

 

Matrimoni misti

 

“La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo insormontabile per il matrimonio” (CCC can. 1634). Questa diversità presenterà tuttavia difficoltà disciplinari e di convivenza familiare per l’aspetto religioso. Nello stesso tempo le famiglie miste hanno la convinzione di poter costituire un laboratorio di crescita della comunione di fede.

Il Compendio risponde a una domanda che include i matrimoni fra una parte cattolica e una battezzata e quelli fra una parte cattolica e una parte non battezzata.

Alla domanda “cosa si richiede quando uno degli sposi non è cattolico” il Compendio, distinguendo fra matrimoni misti e matrimoni di disparità di culto, risponde:

 

·        “Per essere leciti, i matrimoni misti (fra cattolico e battezzato non cattolico) richiedono una licenza dell’autorità ecclesiastica”.

·        “Quelli con disparità di culto (fra cattolico e non battezzato) per essere validi hanno bisogno di una dispensa”.

·        “In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l’accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio, e che il coniuge cattolico confermi gli impegni, conosciuti anche dall'altro coniuge, di conservare la fede e di assicurare il Battesimo  e l'educazione cattolica dei figli”.

Il Compendio fa riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica (1633-1637) che in modo più ampio presenta la questione dei matrimoni misti. Il Direttorio Ecumenico ha una sezione a sé (143-160).

 

Comunione parziale e comunione piena

 

La piattaforma teologica della visione ecumenica presente nel Compendio è quella delineata dal Concilio Vaticano II (Lumen Gentium, 15 e Unitatis redintegratio, 3). Fra i cristiani, a causa della divisione, la comunione è intaccata, vi sono divergenze. La comunione esistente è parziale. Il movimento ecumenico tende a ristabilire la piena comunione.

Alla questione sulla Chiesa una il Compendio descrive la visione della piena unità a cui tende l’azione ecemenica, da parte della Chiesa cattolica.  La Chiesa  una “ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una sola speranza e la stessa carità” (161).

Ma i cristiani ancora oggi sono divisi. Avendo presente questa anomala situazione, il Compendio risponde alla domanda “come considerare i cristiani non cattolici”, e risponde:

“Nelle Chiese e Comunità ecclesiali, che si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, si trovano molti elementi di santificazione e di verità. Tutti questi beni provengono da Cristo e spingono verso l’unità cattolica. I membri di queste Chiese e Comunità sono incorporati a Cristo nel Battesimo: noi li riconosciamo perciò come fratelli” (163).

A questo punto il Compendio rinvia al Catechismo della Chiesa Cattolica (817-819). Qui si trovano tre asserzioni che chiarificano la forma compendiosa.

·        La prima afferma che: “ Coloro che oggi nascono in comunità  da tali scissioni e sono istruiti nella fede di Cristo… non possono essere accusati del peccato  di separazione e la Chiesa li abbraccia  con fraterno rispetto e amore” (818).

·        La seconda specifica il loro ruolo nell’opera di Dio: “Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e Comunità  ecclesiali come strumenti di salvezza” (819). Gli elementi di santificazione e di verità che si trovano al di fuori dell’organismo visibile della Chiesa cattolica non sono elementi dispersi, ma vissuti in Chiese e Comunità giudicate capaci di essere usate dallo Spirito come strumenti di salvezza. Per quanto riguarda le Chiese ortodosse il Concilio ha asserito che “per mezzo della celebrazione dell’Eucaristia del Signore, in queste singole Chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce” (UR,15).

·        La terza dice: “Tutti questi beni provengono da Cristo e a Lui conducono e – citando UR, 3 - spingono verso l’unità cattolica” (819).

Il movimento ecumenico si fonda sulla comunione esistente, parziale e imperfetta, ma vera e solida, e orienta verso la piena unità e ne promuove la progressiva realizzazione.

Il Compendio intende evitare l’impressione che attualmente la Chiesa di Cristo sia frantumata e dispersa, tanto da insinuare che non esista più la Chiesa una. Si può chiedere: “Dove sussiste l’unica Chiesa di Cristo”? Il Compendio risponde: “L’unica Chiesa di Cristo, come società costituita e organizzata nel mondo, sussiste (subsistit in) nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui. Solo per mezzo di essa si può ottenere la pienezza dei mezzi di salvezza, poiché il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza al solo collegio apostolico, il cui capo è Pietro” (162).

 

Esercizio dell’ecumenismo

 

L’unità è un dono di Dio, ma la sua accettazione esige la cooperazione dei cristiani, tanto nella fase di eliminazione degli ostacoli umani, quando nella preparazione intellettuale e spirituale.

Per l’esercizio dell’ecumenismo il Compendio afferma:

Il desiderio di ristabilire l’unione di tutti i cristiani è un dono di Cristo e un appello dello Spirito: esso riguarda tutta la Chiesa e si attua con la conversione del cuore, la preghiera, la reciproca conoscenza fraterna, il dialogo teologico” (164).

Il Compendio propone una prospettiva di azione positiva, ricalcando e riassumendo le indicazioni conciliari sull’argomento (UR 5-12) ed anche le esperienze fatte negli ultimi 40 anni di iniziative ecumeniche. Il Compendio rinvia al Catechismo della Chiesa Cattolica (820-822, 866).

Questo è naturalmente più dettagliato. Il Compendio rinvia al CCC il quale afferma che per rispondere adeguatamente all’appello dello Spirito per l’impegno ecumenico “sono necessari”:

·        Un rinnovamento permanente della Chiesa  in una accresciuta fedeltà alla sua vocazione. Tale rinnovamento è la forza del movimento verso l’unità”;

·        La preghiera comune; infatti  la “conversione del cuore” e “la santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche  per l’unità dei cristiani , si devono ritenere come l’anima  di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale”;

·        La reciproca conoscenza fraterna;

·        La formazione ecumenica dei fedeli e specialmente dei preti;

·        Il dialogo tra i teologi e gli incontri tra i cristiani delle differenti Chiese e Comunità;

·        La cooperazione tra i cristiani nei diversi ambiti  del servizio agli uomini (821).

Queste disposizioni intellettuali e spirituali e le varie iniziative qui proposte, negli ultimi anni sono riemerse nel mondo ecumenico con pressante urgenza come espressioni di una rinnovata spiritualità ecumenica per l’intensificazione delle relazioni fra le Chiese.

 

Osservazione conclusiva

 

Il Compendio mantiene il metodo usato nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Non tratta della questione ecumenica in una sezione a parte, ma inserisce l’insegnamento cattolico sull’ecumenismo nella stessa presentazione della fede cattolica. E’ questo un elemento veramente importante non soltanto metodologico e pedagogico, ma anche teologico. La questione ecumenica è anche una questione di fede e quindi insita nella trasmissione della fede (Besa/Roma).

 

CHEVETOGNE

RIFORMA DELLA LITURGIA BIZANTINA

 

Tra le Chiese bizantine, ortodosse e cattoliche, si parla sempre più spesso di riforma liturgica (necessità, utilità, difficoltà, opposizioni). Dal punto di vista generale (liturgico, teologico, storico) è stato pubblicato un interessante studio (Thomas Pott, La réforme liturgique byzantine – Étude du phénomène non-spontanée de la liturgie byzantine, Edizioni Liturgiche, Roma 2000, pp.240, €.18,08).

Il termine riforma si riferisce a un fenomeno con diversi aspetti identificabili con: rinnovamento, sviluppo, rinascita, animazione liturgica e non si limita ad “abbreviazione o semplice cambiamento”(p. 52). Nello studio di un tale complesso fenomeno va tenuto presente che “la formazione di un rito, che si realizza per la sinergia della fede e dell’identità di un popolo, avviene soprattutto per mezzo della trasmissione della fede di generazione in generazione. La fede si trasmette essenzialmente nella sua espressione vissuta e celebrata nel contatto vivo del mistero di Cristo nella liturgia” (p.70).

L’autore, monaco di Chevetogne, docente di liturgia, segnala i due momenti del processo evolutivo della liturgia: quello spontaneo e “l’intervento attivo e riflesso dell’uomo” prendendo in considerazione, in special modo, il secondo. Egli descrive così i due momenti:

a)      “L’evoluzione spontanea è il fenomeno della crescita o del cambiamento impercettibili della liturgia che ha luogo per il fatto stesso che l’uomo fa liturgia”.

b)      “L’intervento attivo e riflesso dell’uomo nella formazione della liturgia può presentarsi come risposta o correzione in rapporto all’evoluzione spontanea, ma può ugualmente introdurre degli elementi nuovi” (p.70).

Il processo di evoluzione o di riforma implica necessariamente la distinzione tra ciò che è teologicamente e liturgicamente ideale e gli eventi storici e culturali, nella duplice dimensione del processo di adattamento dell’uomo alle esigenze di conversione alla liturgia e nell’adattamento delle forme liturgiche alle esigenze teologiche e storiche.

La riforma liturgica può assumere diverse forme e momenti:

a)      L’abolizione di un rito;

b)      La reintroduzione di un rito caduto in disuso;

c)      La modifica completa o parziale di un rito;

d)      L’introduzione di elementi nuovi;

e)      La ricezione di uno stato di fatto introdotto nella prassi;

f)        Il coordinamento di elementi concorrenti (più feste in uno stesso giorno);

g)      L’adattamento di qualcuno degli elementi esterni (come l’uso di una lingua o l’altra).

Pertanto una trasformazione può essere più o meno radicale:

a)      Può comprendere cambiamenti all’interno della struttura esistente;

b)      Può comprendere l’introduzione di elementi nuovi (p.e. l’introduzione del Credo nel secolo VI).

Lo scopo della ricerca di p. Pott è di “studiare le tracce che testimoniano l’intervento attivo dell’uomo nell’evoluzione della liturgia bizantina e scoprire qual è la loro natura… le motivazioni e le vere intenzioni” (p. 96).

Lo studio è strutturato in due parti: a) La Riforma liturgica come idea e taxis, b) Paradigmi storici della riforma liturgica bizantina. Presenta questa articolazione :

·        L’idea di riforma, orientamenti concettuali riflessioni di alcuni autori moderni ortodossi, greco-cattolici e ortodossi; taxinomia della riforma liturgica;

·        Riforma monastica ed evoluzione liturgica; la riforma studita; rapporto tra evoluzione spontanea e non-spontanea nella formazione del triduo pasquale; evoluzione del rito della protesi; riforme del secolo XVII nella periferia slava, presso i ruteni cattolici, il metropolita Moghila e il patriarca Tikon.

Nel capitolo delle conclusioni l’autore si pone alcune domande a cui egli stesso sulla base dello studio fatto risponde:

·        L’idea di riforma liturgica è esistita nella storia della liturgia bizantina, ed essa è ancora applicabile? P. Pott afferma: “Noi non vediamo alcuna ragione per negarlo”;

·        La tradizione diventa un limite al cambiamento e alla creatività? Fondandosi sull’excursus storico e sui presupposti teorici l’autore asserisce: “Noi abbiamo osservato che l’idea e la pratica della fedeltà alla tradizione, lungi dall’escludere una creatività umana, al contrario può supporla e provocarla” .

Lo studio di P. Pott offre un solido supporto alla riflessione non soltanto sulla spontanea e vitale evoluzione liturgica, ma anche sulla necessaria riforma liturgica per una pastorale post-moderna (Besa/Roma).

 

 

ROMA: SINODO DEI VESCOVI

EUCARISTIA

 

Dal 2 al 23 ottobre 2005 si è tenuto a Roma la XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Riportiamo stralci di alcuni interventi che riguardano le Chiese orientali ed aspetti ecumenici:

 

 

Cardinale Segretario di Stato

Eucaristia e unità ecclesiale

 

Nel suo imprevisto intervento al Sinodo il Cardinale Sodano, Segretario di Stato, ha detto:

 

“Tutta la liturgia eucaristica ci porta a rinsaldare fra noi i vincoli di unità. Importante è, per questo, la preghiera per il Papa, che è presente in ogni Santa Messa. Importante è la preghiera per il vescovo, pastore della Chiesa particolare ove si celebra l’Eucaristia. Importante è l’abbraccio di pace fra i presenti, per curare tutte le eventuali ferite all’unità che possono esistere nelle comunità locali. E vi sono spesso tante divisioni anche fra di noi, ministri del Signore, negli stessi istituti religiosi, nelle diocesi con diversi gruppi etnici.

L’Eucaristia è sempre un invito all’unità di tutti i discepoli di Cristo, anzi è sempre un agente di unità a motivo della grazia unificante che ci comunica.

Problema delicato è invece l’atteggiamento che dobbiamo tenere verso i nostri fratelli separati, che desiderano partecipare all’Eucaristia celebrata nella nostra Santa Chiesa.

Ho sentito qui considerazioni diverse al riguardo. Da parte mia, però, vorrei ricordare che, per favorire l’unità con i fratelli separati, non dobbiamo dividerci fra noi. E la via sicura per non dividerci è la fedeltà alla disciplina vigente della Chiesa.

A tale proposito la disciplina è chiara: basta leggere l’ultima Enciclica del compianto Papa Giovanni Paolo II “Ecclesia de Eucharistia”. Lì vi è tutto un capitolo sull’Eucaristia e la comunione ecclesiale. Al n. 44, ad esempio si legge: “Proprio perché l’unità della Chiesa, che l’Eucaristia realizza mediante il sacrificio e la comunione al corpo e sangue del Signore, ha l’inderogabile esigenza della completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico, non è possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che non sia ristabilita l’integrità dei vincoli. Siffatta concelebrazione non sarebbe un mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o avallando ambiguità sull’una o sull’altra verità di fede. Il cammino verso la piena unità non può farsi se non nella verità. In questo tema, il divieto della legge della Chiesa non lascia spazio ad incertezze, in ossequio alla norma del Concilio Vaticano II.

Vorrei comunque ribadire quello che nella Lettera enciclica “Ut unum sint” soggiungevo, dopo aver preso atto dell’impossibilità della condivisione eucaristica: “Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo.

Al n. 45, poi, la medesima Enciclica ricorda: “Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza di piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone, appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica.

In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale.

In questo passo dell’Enciclica, il Magistero pontificio usa il termine intercomunione, che certo va spiegato, ma che, se ben inteso, può far comprendere il carattere straordinario della comunione data a chi non è cattolico. Il nostro “Instrumentum laboris” ha risolto il caso ponendo fra virgolette il termine “intercomunione” alla fine del n. 86!

In conclusione vorrei dire che la fedeltà alla disciplina della Chiesa anche su tale punto delicato è una garanzia di unità fra di noi, in attesa che si avveri la preghiera di Cristo: “Ut unum sint” (Besa/Roma).

 

 

S.B. Gregorio III Patriarca dei Melkiti

Il sacramento dei sacramenti

 

Riportiamo alcuni stralci dall’intervento del Patriarca di Antiochia dei Greco – Melkiti  al Sinodo:

 

 

“I Sacramenti – chiamati Misteri nella tradizione orientale – sono aspetti differenti del grande Sacramento del Mistero di Dio, che ha voluto prendere forma di uomo ed elevare  gli uomini a sua icona divina.

Così l’Eucaristia è il Sacramento dei sacramenti e il Mistero dei Misteri. Per mezzo di essa ogni cristiano diventa uomo pasquale. La Chiesa, celebrando l’Eucaristia, diventa essa stessa  una presenza pasquale  di Cristo nel mondo.

A questo proposito, vorrei insistere sul significato  non solamente teologico…Ma c’è anche una relazione biblica  che ha il suo punto di partenza nel concetto di economia della salvezza: il Padre ha creato, il Figlio ha salvato e ha donato il Sacramento della Eucaristia, (Lc 22,19: “Fate questo in memoria di me”) e lo Spirito vivifica.

La mistagogia eucaristica è quella  dell’anno liturgico che si esplica in tre aspetti:

1. La Liturgia della Parola, che è Teofania e corrisponde  alle feste della Natività, del Battesimo  e del kerygma;

2. La Liturgia dell’Anafora che corrisponde alla Passione, alla Morte sulla Croce e alla Resurrezione:

3. La Liturgia della Comunione che corrisponde alla Pentecoste, alla Divinizzazione (Theosis). La preghiera dell’anafora di S. Giovanni Crisostomo ci ricorda che Cristo “ha compiuto tutta l’economia della Provvidenza  del Padre su di noi.

I differenti aspetti dell’economia della salvezza sono le dimensioni fondamentali che viviamo nell’Eucaristia, che divengono gli elementi della vita del cristiano nel mondo.

S. Giovanni Crisostomo, nella sua cinquantesima omelia su Matteo dice:

“Il Mistero dell’Eucaristia è il Mistero del fratello e il giudizio sarà sul modo in cui  colleghiamo il mistero di Cristo presente nella Santa Eucaristia ed il suo sacramento presente nei fratelli” (cfr. Mt 25,31-46)”.

 

Nel IV secolo Narsete di Siria ci dice: “La santità senza l’uomo tuo fratello non è affatto santità, perché non puoi entrare da solo nel Regno” (Besa/Roma).

 

 

Delegato del Patriarcato di Costantinopoli

Grande importanza ecumenica

 

Il Metropolita di Pergamo Johannis Zizioulas, membro dell’Accademia di Atene, delegato del Patriarca Ecumenico al Sinodo, nel suo intervento, tra l’altro, ha detto:

 

“Noi ortodossi ci sentiamo profondamente gratificati che anche il vostro Sinodo  considera l’Eucaristia la fonte ed il culmine  della vita e della missione della Chiesa. E’ molto importante che i cattolici romani e gli ortodossi possano dirlo con una sola voce. Forse ci sono ancora alcune cose che dividono le nostre Chiese, ma entrambe crediamo che l’Eucaristia è il centro della Chiesa. E’ su questa base che possiamo proseguire il dialogo ufficiale tra le nostre due Chiese, che sta entrando in una nuova fase.

L’ecclesiologia eucaristica può guidarci nei nostri sforzi per superare mille anni di separazione. Infatti, è un peccato avere le stesse convinzioni riguardo all’importanza dell’Eucaristia senza essere capaci di condividerla sulla stessa Mensa.

L’ecclesiologia di comunione promossa dal Concilio Vaticano II ed ulteriormente approfondita da eminenti teologi cattolici romani può avere un senso solo se deriva dalla vita eucaristica della Chiesa. L’Eucaristia non appartiene solo al benessere ma all’essere della Chiesa. L’intera vita, parola e struttura della Chiesa, è eucaristica nella sua essenza” (Besa/Roma).

 

 

Delegato fraterno del Patriarcato di Mosca

L’esperienza eucaristica ortodossa

 

Lo ieromonaco Filippo Vasviltsey “onorato di rappresentare la Chiesa Ortodossa Russa”, nel suo intervento al Sinodo, tra l’altro, ha detto:

 

“La rinascita della Chiesa nella Russia moderna  è ben nota a tutti. Ciò riguarda tutti gli aspetti della vita della Chiesa. Ma l’evento che dà più gioia  è rappresentato dalla rinascita della coscienza eucaristica, che ha subìto dei seri cambiamenti negli ultimi anni.

Nella metà del XIX secolo il Santo Metroplita Filarete di Mosca scrisse nel suo breve catechismo: “Chi vuole la vita cristiana devota  deve fare la comunione quattro volte l’anno”. (In base ai digiuni principali: la Quaresima, il digiuno prima della Natività di Cristo, il digiuno prima della Dormizione, e il digiuno prima dei Santi Apostoli Pietro e Paolo). In conformità con le condizioni dei nostri giorni la comunione mensile è entrata a far parte della pratica cristiana. Evidentemente questa prassi cominciò a formarsi  durante il periodo delle persecuzioni. San Serafino Zvezdinsky, vescovo ausiliare di Mosca, scrisse negli anni venti, che la vita di un cristiano deve essere tale  da essere sempre pronti alla comunione. La pratica della comunione frequente nel periodo del dopoguerra esisteva nei monasteri e veniva stimolata  da celebri confessori, come l’archimandrita Tavrion Batossky ed altri.

Con questo non bisogna dimenticare che nella Chiesa ortodossa russa la preparazione alla comunione include, oltre alla preparazione interiore, anche La Regola (il digiuno severo di tre giorni, la visita alla chiesa in questi tre giorni, preghiere per la comunione, un digiuno eucaristico speciale dopo la mezzanotte) ed anche la confessione obbligatoria. Queste regole severe la Chiesa le vede non come un obbligo, bensì come una usanza che si è formata storicamente secondo le tradizioni come metodo personale (…).

Indubbiamente questo approccio generale  verso le regole esteriori non può e non deve essere inteso  in senso assoluto. I confessori influiscono molto sulla vita eucaristica della Chiesa, perché hanno la possibilità di indicare la direzione basandosi sulla situazione concreta di ogni persona, prendendo in considerazione la tradizione moderna della Chiesa.

Possiamo quindi dire che la coscienza ecclesiale percorre la strada della ricerca delle norme, basandosi sulle antiche tradizioni. La regola n. 80 del Sesto (di Trullo) Concilio ecumenico dice: “Se la persona non fa la comunione tre domeniche di seguito, con questo si separa dalla Chiesa” (Besa/Roma).

 

 

Rappresentante della Chiesa di Grecia

La responsabilità di ogni cristiano

 

L’Archimandrita p. Ignatios Sotiriadis, rappresentante della Chiesa ortodossa di Grecia, nel suo intervento, tra l’altro, ha detto:

 

La Chiesa di Grecia saluta cordialmente questo XI Sinodo dei Vescovi della Chiesa cattolica, il primo dopo l’elezione di Sua Santità Papa Benedetto XVI. Ogni occasione di espressione sinodale della Chiesa costituisce una benedizione ed è fonte di gioia per i membri del Corpo di Cristo. Partecipando a questa gioia come delegato fraterno della Chiesa di Grecia, esprimo l’augurio che i suoi risultati siano ottimi e portino frutto tanto per i fedeli della Chiesa cattolica quanto per il dialogo della carità tra i cristiani! Il tema del Sinodo è importante per la vita della Chiesa diacronicamente, ma particolarmente ora che il dialogo teologico tra cattolici ed ortodossi riprende i suoi lavori soffermandosi sulla questione della Chiesa e sul ruolo del vescovo. La valorizzazione teologica della Divina Eucaristia è strettamente collocata con l’esperienza vissuta e con la fede rispetto al mistero della Chiesa e la diaconia speciale del vescovo. Il culmine della manifestazione dell’unità nel Corpo di Cristo è la partecipazione dei fedeli alla Divina Eucaristia, che celebra il vescovo come servizio per la gloria di Cristo e per la sua manifestazione indivisibile e inconfondibile nel mondo come Redentore.

Questo servizio è una responsabilità per ogni cristiano a contribuire, secondo il ruolo assegnatogli dalla benevolenza divina, affinchè esso venga realizzato nel modo più completo possibile. La nostra preghiera in questo momento è che possiamo arrivare tutti alla comprensione di questa responsabilità con la pienezza che assicura la grazia dello Spirito Santo. Questo spirito di verità diriga i lavori di questo importante Sinodo, affinchè la vita di ogni fedele nella Chiesa sia con la grazia del nostro Signore Gesù Cristo una potenza indefettibile (Eb 7,16), schietta nella fede (2 Tim 1,5), non deludente nella speranza (Rm 5,5) e perfetta nell’amore (Besa/Roma).

 

 

Preposito Generale della Compagnia di Gesù

L’epiclesi ponte nel dialogo cattolico–ortodosso

 

Il Rev.mo Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù, in un solido intervento, tra l’altro, ha considerato la questione dell’epiclesi nel contesto delle attuali relazioni fra cattolici e ortodossi:

 

“Il limite che ha contrapposto la teologia cattolica del II millennio a quella ortodossa è stato quello di analizzare la trasformazione eucaristica in base alla nozione del tempo fisico, facendola dipendere esclusivamente o dal momento in cui vengono pronunciate le parole della consacrazione o dal momento in cui  si pronuncia l’epiclesi consacratoria

Da una parte come dall’altra si è dimenticato  che l’istante in cui avviene la  transustanziazione  (o metabolé) non è quello del nostro cronometro, bensì è l’istante di Dio, che è tempo sacramentale.

Il magistero della lex orandi, che insegna per natura sua “al dilà delle cose fisiche”, ammette due momenti forti, entrambi provvisti di forza consacratoria  assoluta: il racconto istituzionale e l’epiclesi.

Riferita alle parole della consacrazione  e all’epiclesi consacratoria assoluta non comporta  né conflittualità né esclusivismi.

Lungi dal presentarsi come ostacolo, la questione dell’epiclesi si rivela un vero ponte ecumenico nel dialogo tra cattolici e ortodossi” (Besa/Roma).

 

 

ROMA: SINODO DEI VESCOVI

PROPOSTE

 

A conclusione del Sinodo dei Vescovi ( Roma, 2-23 ottobre 2005)  sono state votate 50 proposizioni affidate al Papa per l’elaborazione di una eventuale “Esortazione” post-sinodale. La proposizione n.41 tratta dell’ammissione dei fedeli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali all’Eucaristia nella Chiesa cattolica. La riportiamo qui di seguito:

 

41. Ammissione dei fedeli non cattolici alla Comunione.

 

“Sulla base della comunione di tutti i cristiani, che l’unico battesimo già rende operante, anche se non ancora in maniera completa, la separazione alla mensa del Signore è sperimentata giustamente come dolorosa. Sia dentro la Chiesa cattolica come da parte dei nostri fratelli e sorelle non cattolici, viene avanzata di conseguenza molto spesso la richiesta urgente della possibilità di comunione eucaristica tra i cristiani cattolici e gli altri.

Si deve chiarire che l’Eucaristia non designa e opera solo la nostra personale comunione con Gesù Cristo, ma soprattutto la piena communio della Chiesa. Perciò chiediamo che i cristiani non cattolici comprendano e rispettino il fatto che per noi, secondo l’intera tradizione biblicamente fondata, la comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengano intimamente e quindi la comunione eucaristica con i cristiani non cattolici non è generalmente possibile.

Ancor più è esclusa una concelebrazione ecumenica. Parimenti dovrebbe essere chiarito che in vista della salvezza personale l’ammissione di cristiani non cattolici all’Eucaristia, al sacramento della Penitenza e all’unzione dei malati, in determinate situazioni individuali sotto precise condizioni è possibile e perfino raccomandata (UR 8.15; Direttorio Ecumenico 129-131; CIC 844, § 3 e 4; CCEO 671 § 4; Lettera enciclica Ut unum sint 46; Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia 46). Il Sinodo insiste perché le condizioni espresse nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1398-1401) e nel suo Compendio (293), siano osservate (Besa/Roma).

 

 

ROMA: S. ATANASIO

LITURGIA DI S. GIACOMO

 

Domenica 23 ottobre, festa di S. Giacomo, nella chiesa di S. Atanasio è stata celebrata, com’è ormai tradizione, la Divina Liturgia che porta il suo nome (Liturgia di S. Giacomo). Si tratta dell’antica Liturgia della Chiesa di Gerusalemme, caduta in disuso nel corso dei secoli in ambiente bizantino e recuperata negli ultimi decenni sia in ambito cattolico che ortodosso. Di recente lo stesso arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia la ha presieduta nella cattedrale di Atene. Questo testo liturgico possiede alcune particolarità che la distinguono dalle abituali Liturgie di S. Giovanni Crisostomo e S. Basilio: un altare viene eretto nella navata dinanzi all’iconostasi. Attorno a questo ha luogo parte della celebrazione, come avviene nella chiesa di S. Atanasio, o l’intera Liturgia, come si è potuto vedere nella celebrazione compiuta lo scorso anno nella Cattedrale ortodossa di Atene. Il testo di questa Divina Liturgia può essere reperito sul sito:

http://xoomer.virgilio.it/giovanni.fabriani.

Sullo stesso sito è possibile ascoltare una registrazione in formato mp3 dell’intera Liturgia celebrata nella nostra chiesa nel 1988 (Besa/Roma).

 

ROMA

SALI BERISHA E S. EGIDIO

 

 

Il primo ministro di Albania Sali Berisha ha fatto visita il 14 ottobre 2005 alla Comunità di S. Egidio, accolto dagli operatori di questa Comunitrà in servizio umanitario in Albania. Questi hanno esposto il lavoro svolto in Albania dal 1991 in poi. Sono stati ricordati:

  • l’operazione “Occhiali nella cartella” che fornì 2000 occhiali ai bambini di eta scolare,
  • la lotta contro la malnutrizione infantile,
  • l’iniziativa per l’ospedale psichiatrico,
  • l’istituzione della casa-famiglia (la prima nel paese) per malati psichici.

La Comunità di S. Egidio continua il suo servizio volontario in favore dell’Albania. A livello di studi, membri di quella Comunità, in particolare i proff. Riccardi e Morozo della Rocca, continuano le loro ricerche su questioni storiche e attuali (Besa/Roma).

 

 

 

S. BENEDETTO ULLANO

VI CENTENARIO DELLA NASCITA

DI SKANDEBEK (1405-2005)

 

Sabato 29 ottobre 2005, a S.Benedetto Ullano è stato commemorato Giorgio Castriota Skanderbek, nel VI centenario della nascita (1405-2005), con una conferenza a più voci, aperta dal Sindaco Dr. Gianni Carnevale, che intende dare alla sua amministrazione anche un impulso di promozione culturale.

La prima relazione è stata tenuta dal prof. Agostino Giordano, direttore del mensile “Jeta Arbëreshe”, sul tema : “Skanderbek, personaggio storico del secolo XV”.

Egli ha presentato, con precisione di dettagli, la vicenda storica di Giorgio Castriota e la sua resistenza armata agli occupanti turchi oltre che la sua azione politica nelle relazioni con la Repubblica di Venezia, con il Regno di Napoli e con il Papato. Ha messo in attuale rilievo la sua funzione unificatrice delle varie stirpi albanesi costituendosi simbolo dell’unità nazionale.

La seconda relazione è stata tenuta dal prof. Italo Costante Fortino, dell’università “Orientale” di Napoli. Egli ha presentato: “Immagini  di Skanderbek nella letteratura”, attraversando la letteratura popolare e quella colta. Ha presentato due rapsodie sull’ <ultima> sua battaglia: Skanderbek e la morte, e la morte di Skanderbek. Della letteratura colta, dopo aver  ricordato le opere classiche ben note, ha presentato due composizioni inedite arbëreshe: opere di Giuseppe Angelo Nociti di Spezzano Albanese e di Demetrio Chidichimo di Plataci, entrambi del secolo scorso, mostrando la permanente fecondità di ispirazione del ricordo di Giorgio Castriota Skanderbek. A sostegno sono state declamate in lingua originale arbëreshe le due rapsodie tradizionali, secondo il testo raccolto e fissato da Girolamo De Rada, mentre la traduzione italiana era quella del poeta Ernest Koliqi.

Ha moderato l’incontro, con arguzia e intelligenza, Alfio Moccia, ispirato cantautore arbëresh, il quale ha anche eseguito alla chitarra una sua recente composizione melodica in arbëresh.

La conferenza si è tenuta in lingua albanese ed è stata seguita. con positiva sorpresa, da un attento pubblico, composto anche da diversi rappresentanti di altre comunità albanesi. (Skanderbek ha unificato le diverse stirpi illiriche”). Dopo le due relazioni vi sono stati alcuni interventi che hanno sottolineato “l’attualità dello spirito castriotiano per la comunione dell’Arbëria e per l’amicizia dei popoli circostanti”. A conclusione ha avuto luogo un piccolo concerto con l’esecuzione di canti arbëreshë di nuova composizione e vjershë tradizionali (“Nova et Vetera manifestano la continuità della vita”).

L’immagine di Skanderbek proiettata sul fondo della sala ha sottolineato la presenza dello spirito di unità creato dall’eroe nazionale. Il ricordo della sua nascita è foriero di rinascita arbëreshe (Besa/Roma).

 

 

LUNGRO: MEDITERRANEO E MIGRAZIONI

NUOVE RICERCHE STORICHE

 

 

Nel contesto delle numerose migrazioni che hanno caratterizzato la storia del Mediterraneo, si pone anche l’esodo delle popolazioni albanesi, approdate in Italia per sfuggire alla dominazione turca (XV-XVI sec.).

Tra le varie comunità albanofone, stanziatesi in Calabria, Lungro fu uno dei centri più fiorenti.

L’avv. Francesco Damis, lungrese, che da tempo si occupa di vicende storiche, ha di recente pubblicato uno studio sugli Albanesi di Lungro (F. Damis, Mediterraneo e migrazioni: gli Albanesi di Lungro – Vicende e ricerche storiche dal sec. XV al sec. XIX, ed. Prometeo, Castrovillari 2005, pp. 146, E. 10).

Il volume si compone di due parti: nella prima si descrive il territorio di Lungro e il successivo insediamento degli esuli albanesi, con particolari approfondimenti sull’onomastica e toponomastica del luogo; nella seconda si tratta delle Istituzioni (gli Abati, il feudalesimo laico), della comunità (i Lungresi) e del periodo contemporaneo (la presenza francese e la fine della feudalità). Il tutto corredato da alcuni interessanti documenti e cartografie inediti, con relativa analisi all’interno della trattazione, e didascalia, reperiti specialmente nell’Archivio di Stato di Napoli, nel Catasto generale di Lungro e in Archivi privati.

L’intento dell’autore è soprattutto quello di rivitalizzare un passato storico, le cui conoscenze vanno scomparendo, “contribuendo a depauperare ancor più i deboli ambienti delle fragili comunità albanofone”. E dal passato trarre sprone per l’avvenire.

La presente pubblicazione apre nuovi orizzonti per una più autentica ricostruzione della storia di Lungro (Besa/Roma).

 

 

EJANINA

60° DI ORDINAZIONE PRESBITERALE

DI PAPAS EMMANUELE GIORDANO

 

Il prossimo 18 novembre ricorre il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del protopresbitero p. Emmanuele Giordano, parroco di Ejanina. Figura esemplare di uomo e di sacerdote. L’intera sua vita è stata dedicata con zelo al servizio del popolo a lui affidato con serenità e carità evangelica.

Oltre al servizio pastorale nella linea della tradizione bizantina, egli ha dedicato grande attenzione alla cultura arbëreshe, pubblicando opere di folkore, di letteratura. Ha curato il Dizionario arbëresh-italiano e viceversa. Ultimo suo lavoro:la traduzione in arbëresh degli Evangeli (Besa/Roma).

 

 

ROMA: S. ATANASIO

FESTA NAZIONALE D’ALBANIA

 

 

La Comunità arbëreshe di Roma celebrerà la festa nazionale di Albania con due manifestazioni.

 

Sabato 26 novembre avrà luogo una conferenza (Via dei Greci 46, ore 17,30) su “L’Albania sulla via della democrazia”, con due interventi:

a) Nuova situazione sociale in Albania  (Dr. Rando Devole),

c)      Istituzioni democratiche (Dr. Roland Seiko).

 

Domenica 27 novembre: celebrazione della Divina Liturgia (chiesa di S. Atanasio, ore 10,30) in lingua albanese (Besa/Roma).

 


 

 

 

Teologia quotidiana

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HESYCHIA (5): AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO

 

La vera “tranquillità dell’anima e del corpo” proviene all’uomo dalla fede in Dio. Il credente sa di essere sotto la continua provvidenza del Padre, è solidale-incorporato nel Figlio, è inabitato-trasfigurato dallo Spirito Santo. Una fonte di inquietudine, di tensioni e spesso di contraddizioni è il rapporto quotidiano con il prossimo. La semplice, ma realistica, ascetica popolare richiede di “sopportare pazientemente le persone moleste”. La differenza di opinione, la diversa identità del prossimo, talvolta le sue stesse virtù possono essere causa di molestia, di gelosia, di inquietudine. Questo scoglio di rapporto malato può essere in qualche modo affrontato con l’uso della ragione e con l’etica naturale. Lo ha fatto Seneca (“De tranquillitate animi”) e diversi altri filosofi e saggi in varie epoche. Il rimedio definitivo e creativo però è l’amore. L’amore a imitazione di Dio stesso che fa piovere su buoni e cattivi ed è misericordioso con  tutti.

 

1.  “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Gesù Cristo sta spiegando il mistero della nuova alleanza che trova il suo sigillo nel sacrificio della croce. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Dalla croce di Cristo è disceso sugli uomini, su tutta l’umanità, il perdono. E si è stabilita la riconciliazione tra l’uomo e Dio. Questo evento di grazia e di misericordia ha avuto luogo per puro amore di Dio, amore grande e  inatteso, paradossale, perchè si realizza nel sacrificio del suo stesso Figlio che è “consustanziale”al Padre. Inoltre è sacrificio del Figlio unigenito. Ciò significa: evento unico e irripetibile. L’economia salvifica di Dio è originata dall’amore che rimane esemplare per ogni credente chiamato a diventare ad immagine e somiglianza di Dio.

 

2.  “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12). Il discorso dell’amore è continuato da Gesù in modo diretto con i discepoli. “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi” (Gv 15,9). Si tratta di un amore esemplare e impegnativo per i discepoli. Anzi di un comandamento. Gesù dà un “comandamento nuovo”, che ci si ami reciprocamente. Da questo – dice Gesù ai suoi – “se avrete amore gli uni per gli altri  …tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13, 14). L’amore è un sentimento radicato nel cuore dell’uomo, per sé identificabile con la persona stessa e capace di manifestazioni eroiche, ma può anche diluirsi in sentimentalismo, in atteggiamento verbale e superficiale. Gesù sta parlando alla vigilia della sua passione e morte. Richiama ad un realismo radicale. Si riferisce a se stesso che sta affrontando il martirio per la vita del mondo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). L’amico è colui che si ama.

 

3.“Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). L’amore offerto da Gesù per i suoi e richiesto ai suoi va aldilà della cerchia degli amici, dei membri della stessa famiglia, della stessa comunità, della stessa etnia, della stessa razza, della stessa religione. Si estende anche a quella categoria di persone che individuiamo come “nemici”, cioè avversari, coloro che non ci vogliono bene, che ci contestano e ci contrastano, che perfino ci “perseguitano”. Per essi bisogna esprimere l’amore anche nella preghiera. Nell’anafora di S.Basilio preghiamo: “Ricordati, Signore, di quelli che ci amano e di quelli che ci odiano”. In ogni altra liturgia per loro chiediamo “ogni bene utile all’anima e al corpo”. L’amore reciproco è comandato, ma non può essere ridotto ad una contrattazione. Al vero suo discepolo Gesù chiede di più. “Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete”? (Mt 5, 46). Il discepolo è chiamato a seguire il maestro che ha dato la vita per tutti, ad imitazione di Dio che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi  e sopra i buoni” e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti” (Mt 5, 45). E’ una vocazione ardua, ma Gesù indica che per questa via si arriva ad essere “figli del Padre celeste”, esigendo che i suoi discepoli siano “perfetti come è perfetto il Padre celeste” (Mt 5, 48).

L’amore, atteggiamento positivo verso il prossimo di qualsiasi natura questi sia, determina una condizione unica di serenità. Spesso di sofferta serenità, raggiunta al prezzo di praticata ascesi intellettuale e psicologica. L’uomo si pone di fronte agli altri, accanto agli altri, con gli altri in situazione di comunione e di comune dipendenza dall’unico Padre, in rapporto di fratellanza con essi. Questo atteggiamento di fede, innazitutto esprime la comunione creata tra i credenti dalla comune partecipazione alla vita divina, dall’altra promuove la rimozione degli ostacoli - con il previo perdono delle offese - dei contrasti, delle opposizioni, fonte di tristezza e di inquietudine. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’amore di Dio che ci rinconcilia con Lui è anche la vera fonte di riconciliazione con il prossimo, è fonte di serenità interiore e di acquistata stabile tranquillità di animo. (Besa/Roma).

Roma, 5 novembre 2005

 

 

 

 

Circolare settembre 2005                                                                                                                   177/2005

Sommario

 

I detti di Gesù (35): “Sia fatto secondo la tua fede”............................................................... 1

ROMA: Natura e struttura delle Circoscrizioni Bizantine in Italia................................................ 2

ALBANIA: Dizionario di Teologia Biblica in albanese .............................................................. 5

ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano.................................................................................. 6

MEZZOIUSO: XIV Convegno Ecclesiale................................................................................ 7

LUNGRO: L’ideale monastico di S. Nilo.................................................................................. 8

CALABRIA: Festa dei Santi Nilo e Bartolomeo....................................................................... 8

S. DEMETRIO CORONE: XXIV Festival della Canzone Arbëreshe....................................... 8

BOSE: L’Eucaristia Sacramento del Regno............................................................................... 8

LUNGRO: XVIII Assemblea Diocesana.................................................................................. 9

GROTTAFERRATA: Monachesimo Ortodosso nei Paesi baltici............................................. 10

ROMA: Hesychia: Incorporati nel Figlio di Dio ..................................................................... 11

 

Ta lòghia – I detti di Gesù (35):  “Sia fatto secondo la tua fede”

 

Un centurione romano, pagano, aveva chiesto a Gesù, con convinta fede e assoluta fiducia, di guarire un suo servo ammalato. Gesù ha ammirato proprio la qualità della fede manifestata, la elogia e perfino la mette in relazione all’ingresso nel Regno dei cieli. Al centurione Gesù ha detto: “Va’, e sia fatto secondo la tua fede” (Mt 8,13), in greco: “ôs epìstevsas”.

Questa espressione di Gesù interessa ogni lettore del Vangelo. E’ chiaro che la guarigione avvenuta  (“In quell’istante il servo guari”) è in diretta relazione con la fede dichiarata. “Questo episodio rende noto a tutti che la salvezza viene dalla fede” (G. Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, Om. 26,4). Le traduzioni delle parole del Signore (“ôs epìstevsas”) hanno sfumature diverse l’una dall’altra. Quella sopracitata è della CEI. Un’altra recita: “Va’, sia fatto come tu hai creduto” (Lancellotti); un’altra dice: “Va’ e ti sia fatto secondo la tua fede” (Zincone) aggiungendo il pronome “ti”(letteralmente dal testo greco “soi”), come per dire: “sia fatto per te” quello che hai chiesto in favore del tuo servo, la tua intercessione è esaudita; l’esegeta protestante traduce: “Va, qu’il t’advienne comme tu as cru”, cioè, “Va’, che ti avvenga come hai creduto” (Bonnard); la Bibbia di Gerusalemme rende il testo così: “Qu’il t’advienne selon ta foi”, cioè: “Che ti avvenga secondo la tua fede”; la Nuova Volgata troduce: “Vade, sicut credidisti, fiat tibi”, cioè: “Va’, come hai creduto, sia fatto a te”; l’ortodosso Trembelas nella sua traduzione-parafrasi scrive: “Pēgaine eis to spiti sou kai ôpos epìstevses, etsi as ginē eis se”, cioè: “Vai a casa tua e come hai creduto, così avvenga a te”; la Traduzione Interconfessionale in lingua corrente italiana rende il testo in questo modo: “Torna a casa tua. Hai creduto, e così sarà” (Nuova Versione dell’anno 2000).

Questa grande varietà  interne interpretare l’espressione greca “ôs epìstevsas”. Certamente la si può tradurre letteralmente (ôs =come) ma bisogna intenderla rettamente (ôs=perché). Qui la congiunzione ôs non è comparativa ma causale. Pierre Bonnard interpreta in questo modo: ti sia fatto quanto hai chiesto “perché hai creduto, per il fatto che tu hai creduto”. Dio non condiziona il suo dono al grado di fede. La sensazione della fede può essere più o meno grande; le motivazioni della fede possono essere più o meno esplicite. Ma la fede vera in Dio è sempre totale. Anche una fede “piccola”, quanto un granello di senape,  può spostare le “montagne”. Nulla è impossibile a chi crede in Dio, perché Dio è onnipotente (Besa/Roma).


                        ROMA

NATURA E STRUTTURA

DELLE CIRCOSCRIZIONI BIZANTINE

IN ITALIA

 

Papàs Ignazio Ceffalia, sacerdote dell’eparchia di Piana degli Albanesi, si è brillantemente laureato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense con una tesi sulla “natura e struttura” delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia.

Riportiamo qui la presentazione che egli ha svolto di fronte alla Commissione d’esame:

 

Nell’intraprendere lo studio sulle Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia, quali l’Eparchia di Lungro in Calabria, di Piana degli Albanesi in Sicilia e del Monastero-Esarchico di Grottaferrata, fin dall’inizio della nostra ricerca, si è ritenuto necessario comprendere a fondo quale fosse la loro natura e la loro struttura giuridica. Per una tale comprensione non ci si poteva esimere dal trattare l’origine e l’iter storico degli eventi caratterizzanti la vita ecclesiale di queste Chiese particolari, dalla fondazione fino alla considerazione del loro stato giuridico attuale e delle loro prospettive future.

Il lavoro è stato articolato in tre parti corrispondenti all’iter sistematico che si è seguito e che ha compreso, un’analisi storica nella I parte, una storico-giuridica nella II, ed infine una più specificamente giuridica.

 

Presentazione storica

 

In particolare nella I parte, grazie all’analisi storica, si è giunti ad una chiarificazione terminologica che ha posto in evidenza come con il nome di “Greci” o “Italo-greci” fin dal XVI secolo, nel linguaggio ecclesiastico della Curia Romana e nei documenti pontifici, venivano identificati indistintamente tre diversi gruppi etnici residenti in Italia aventi in comune la Tradizione liturgica costantinopolitana e la spiritualità orientale, seppure essi differiscono per storia, tradizioni locali ed altre situazioni ecclesiali ed ecclesiologiche.

Un primo gruppo è rappresentato dai fedeli di nazionalità greca ed appartenenti, fino ad oggi, alla Chiesa greca ortodossa.

Un altro gruppo invece era composto dai fedeli ellenofoni del Meridione d’Italia, discendenti dei Bizantini, e dai numerosi Monasteri basiliani fondati in questa parte della Penisola. L’unica testimonianza di questa categoria di fedeli oggi è rappresentata dal Monastero-Esarchico di Grottaferrata.

Infine, il terzo gruppo etnico è quello degli Italo-albanesi, sovente chiamati con la denominazione “Greco-albanesi” o anche semplicemente “Greci” e spesso confusi con i primi. A questo gruppo appartengono i discendenti dei profughi, provenienti sia dall’Albania che dalla Grecia, arrivati nel Regno di Napoli a partire dalla fine del XV fino al XVIII secolo in seguito alla caduta di Costantinopoli e all’estensione dell’Impero ottomano su tutta la Penisola Balcanica. Costoro, furono accolti nel Meridione d’Italia dove fondarono colonie e ripopolarono villaggi disabitati.

Le fondazioni di queste colonie avvennero in un periodo immediatamente seguente al Concilio di Firenze, per cui gli stessi esuli non erano considerati “scismatici” ma membri di una Chiesa in comunione con la Chiesa cattolica, tutto questo ha permesso la concessione da parte dei proprietari terrieri, per lo più ecclesiastici, della libertà di professare il proprio culto e di vivere secondo i propri usi e tradizioni. Questo privilegio ha favorito la conservazione fino ai giorni nostri della propria identità non solo culturale, ma soprattutto religiosa.

 

Situazione giuridica

 

La II parte della dissertazione ci ha permesso di determinare, i rapporti tra questi fedeli con la S. Sede ed i vescovi locali, nonché la loro situazione giuridica. Infatti, gli Italo-albanesi mantenevano regolari contatti pastorali e legami giuridici con il Patriarcato di Costantinopoli.

Le categorie che definiscono tali comunità come “cattoliche” oppure “ortodosse”, “fedeli cattolici di rito greco” o “uniati” sono risultate dallo studio della nostra ricerca come termini del tutto avulsi al contesto storico dell’epoca. Infatti non esistevano “uniati” o “uniti” nelle loro file, non solo perché tutti provenivano da un territorio canonico la cui giurisdizione apparteneva al Patriarca di Costantinopoli, ma anche perché il fenomeno dell’uniatismo allora semplicemente non esisteva. Questa mentalità è venuta delineandosi dopo il Concilio di Trento a causa della Riforma, portando come conseguenza un mutamento nell’atteggiamento della S. Sede nei confronti dei fedeli greci ed albanesi d’Italia. Invece prima della Controriforma, e più precisamente nel periodo successivo all’unione di Firenze, i due termini, cattolico e ortodosso, erano considerati sinonimi perché Chiesa latina e Chiesa greca si riconoscevano reciprocamente come tali. Finché perdurò questo status, fedeli e gerarchia ecclesiastica che riconoscevano l’unione fiorentina venivano considerati contemporaneamente, anche nei documenti pontifici, come “ortodossi e cattolici”, pur rimanendo ciascuno nella propria obbedienza romana o costantinopolitana.

Infatti, l’effettiva ricezione dei decreti sanciti dal Concilio di Firenze ha portato da parte della Chiesa cattolica ad accettare, dal 1536 al 1562, che i fedeli Greci ed Albanesi residenti nel territorio italiano rimanessero in continuità di dipendenza ed in comunione con la gerarchia del loro paese di provenienza, pertanto si ammetteva la legittimità della presenza di una gerarchia orientale, autonoma nella sua struttura ecclesiale ed in comunione con Costantinopoli, che esercitasse un tipo di giurisdizione “personale” sui fedeli residenti in territori la cui giurisdizione apparteneva al Romano Pontefice ed ai vescovi della Chiesa d’occidente. A ciò si aggiunge la vasta produzione di documenti pontifici che a partire da Papa Leone X fino a Pio IV furono emanati in favore di questi fedeli perché potessero liberamente professare la loro fede e la spiritualità della Chiesa d’oriente e vivere secondo il proprio regime canonico, esonerandoli in tal modo dalla dipendenza giuridica degli Ordinari del luogo latini.

L’applicazione dei decreti del Concilio di Trento segnò un cambiamento radicale dal momento che lo sforzo di ristabilire una piena e completa giurisdizione episcopale dei vescovi latini nell’ambito delle loro diocesi, portò a dei risultati trasversali imprevedibili dovuti all’impatto con la realtà delle comunità orientali presenti in Italia, strutturate con una loro gerarchia giuridicamente dipendenti da Costantinopoli. Pertanto, la forma più immediata per porre rimedio alla contraddittoria posizione giuridica era di assoggettare questi fedeli orientali agli Ordinari latini per dare successivamente avvio ad un processo di assimilazione al rito latino, che avrebbe permesso di arrivare all’uniformità dogmatica, liturgica e disciplinare, come prevista dal Concilio di Trento. Questa trasformazione ha portato a considerare la Chiesa greca in Italia come un mero rito tollerato dalle autorità ecclesiastiche, e la S. Sede dispose di potersi permettere la conservazione e la tolleranza ad un rito simile, purché fosse depurato da tutte quelle consuetudini che agli occhi della gerarchia apparivano come eretiche ed erronee.

Ma la vera novità di questo periodo storico, destinata a segnare la storia della Chiesa cattolica moderna ed il rapporto con le altre Chiese non in comunione con essa, fu l’istituzione del vescovo ordinante (1595) di rito e per il rito greco. Con questa innovazione, infatti, si veniva a creare una situazione che non conosceva precedenti nella storia della Chiesa, la quale fu la base giuridica per giustificare il fenomeno cosiddetto dell’«uniatismo» [che da lì a poco avrebbe preso piede con l’unione di Brest (1596)].

Questa linea di condotta assunse a partire dalla seconda metà del XVIII secolo tratti più severi e restrittivi con l’emanazione, da parte di papa Benedetto XIV, della Costituzione Apostolica Etsi Pastoralis nel 1742.

Tale documento era stato emanato con lo scopo di eliminare i contrasti e le tensioni esistenti tra le comunità latine e quelle greche, per rendere più pacifico il comune vivere quotidiano, nonché assicurarsi della vera cattolicità di questi fedeli orientali. Proprio in questo periodo s’inizia impropriamente a considerare gli Italo-albanesi come “uniti” anche se essi mai hanno firmato alcun atto di unione con la Chiesa di Roma né abiurato alla loro fede ortodossa staccandosi dalla loro Chiesa d’origine, come invece è accaduto per altre Chiese orientali cattoliche.

Tuttavia, il carattere restrittivo delle norme, che si basavano sul principio della praestantia latini ritus ha posto il rito greco in condizioni di inferiorità e pertanto suscettibile di corruzioni di ogni sorta che arrecavano grave danno alla conservazione della Tradizione orientale nel suo stato puro. Per fermare questo processo di corruzione la S. Sede sempre nel corso del XVIII secolo procedette ad avviare alcune iniziative quali la creazione di seminari, in Calabria ed in Sicilia, per la formazione del clero italo-albanese ed inoltre l’istituzione di vescovi ordinanti propri, i quali però non potevano esercitare la giurisdizione sui fedeli italo-albanesi, in quanto erano deputati esclusivamente ad amministrare le “cresime” ed ordinare secondo il rito greco i candidati al sacerdozio.

 

Le tre Circoscrizioni Bizantine

 

L’analisi giuridica, che ha caratterizzato l’ultima parte della nostra dissertazione ha esaminato in modo particolareggiato lo stato giuridico attuale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia, a partire dall’analisi dei loro statuti fondazionali. In particolare, per le comunità Italo-albanesi della Calabria e della Sicilia solo all’inizio del XX secolo sono state istituite due eparchie proprie ed autonome, organicamente costituite e gerarchicamente organizzate, indipendenti l’una dall’altra, governate da due vescovi eparchiali ed immediatamente soggette alla S. Sede.

Allo stato attuale le Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi, sono dotate di tutte quelle strutture giuridiche essenziali che compongono qualsiasi eparchia, ed attualmente sono rette da tutte quelle norme sancite dal diritto comune che riguardano i vescovi e le Eparchie carenti di una struttura gerarchica a loro superiore (Chiese Patriarcali, Arcivescovili Maggiori o Metropolitane).

Nell’analisi della fisionomia giuridica delle Circoscrizioni ecclesiastiche italo-albanesi una particolare trattazione è stata riservata alla peculiare situazione dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, in cui per volontà del Supremo Legislatore sono presenti due riti, cui appartengono gruppi interi di fedeli di tradizione latina e greca, sottoposti alla giurisdizione del medesimo vescovo eparchiale appartenente alla tradizione orientale. A partire da questa situazione presente nel contesto di un’unica e sola eparchia si verificano e si manifestano diverse problematiche interrituali, per le quali nel nostro studio abbiamo condotto una disamina e cercato di proporre delle soluzioni che potrebbero garantire una convivenza sinfonica ed armonica tra i fedeli appartenenti alle due diverse tradizioni presenti nell’eparchia.

Dopo lo studio delle Eparchie italo-albanesi la nostra ricerca si è orientata ad analizzare la fisionomia giuridica del Monastero di Grottaferrata. Da ciò si è potuto concludere che questa circoscrizione ecclesiastica è dotata di una configurazione alquanto singolare dal momento che incorpora in sé due realtà giuridiche. Da una parte si ha, infatti, il Monastero sui iuris, come entità autonomica costituita dalla comunità monastica, con una propria vita interna disciplinata dal proprio Typikòn. D’altra parte abbiamo l’Esarcato, coincidente con i confini territoriali del Monastero stesso ed avente come gerarca del luogo l’archimandrita (egumeno) del Monastero in qualità di esarca. Per questa entità giuridica si rende necessario un diritto particolare stabilito dal Romano Pontefice per tutti quei sudditi, che non siano i monaci, la cui cura pastorale è affidata all’esarca stesso. Inoltre, come Monastero-Esarchico, in quanto Esarcato potrebbe far parte di una Chiesa sui iuris ben definita, quale potrebbe essere una Chiesa Metropolitana sui iuris, o costituire essa stessa autonomamente una Chiesa sui iuris.

Allo stato attuale le tre circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia possono essere sicuramente considerate come forme minori di Chiese sui iuris, dotate di tutti gli elementi essenziali sanciti dal Diritto comune per essere riconosciute dal Supremo Legislatore come Chiesa di diritto proprio. Per la qual cosa si rende necessario quam primum determinare il loro status giuridico entro le quattro tipologie di Chiese sui iuris previste dal CCEO e di provvedere al più presto ad avere una propria normativa canonica.

In particolare, considerando le quattro tipologie codiciali di Chiese sui iuris abbiamo escluso per le tre circoscrizioni in esame la possibilità di costituire una Chiesa patriarcale o una Chiesa arcivescovile maggiore, ma certamente si è considerato il fatto che esse potrebbero essere organizzate in Chiesa metropolitana sui iuris o al limite entrare a far parte dell’ultima categoria prevista dal CCEO cioè delle ceterae Ecclesiae sui iuris (cann. 174-176).

 

Ipotesi per l’avvenire

 

Avendo presente tali presupposti la nostra trattazione ha cercato di individuare delle ipotesi di soluzioni con le relative argomentazioni giuridiche.

In primo luogo abbiamo focalizzato come punto centrale delle problematiche il fatto che le tre circoscrizioni in esame, pur riconoscendosi nella comune tradizione bizantina, tuttavia differiscono tra loro, a motivo del patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare di cui sono depositarie.

Come conseguenza di ciò si è rilevato che solo le due Eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi costituiscono effettivamente la Chiesa italo-albanese, a motivo della loro stessa origine, storia e ritus. Pertanto, nella prospettiva di una precisa configurazione giuridica che questa Chiesa potrebbe avere, si è discussa la problematica se il Monastero-Esarchico di Grottaferrata potrebbe essere incluso assieme alle altre Eparchie in questione nella Chiesa italo-albanese.

Tra le ipotesi di soluzione per la determinazione giuridica delle realtà ecclesiali in esame, come prima proposta abbiamo avanzato l’idea che le tre Circoscrizioni potrebbero essere considerate come un’unica Ecclesia sui iuris “Italo-albanese” elevata al rango di Chiesa metropolitana sui iuris, dal momento che il ritus, come inteso nel can. 28, non costituisce uno degli elementi essenziali perché una Chiesa possa essere definita come sui iuris ex can. 27. Tuttavia, si è visto che il Monastero criptense decisamente protende per una propria autonomia giuridica, per la qual cosa ci è sembrato di sostenere come ipotesi più verosimile il riconoscimento dello stato di Chiesa sui iuris all’Esarcato di Grottaferrata, dal momento che esso dimostra la ricchezza e la variabilità della figura di Ecclesia sui iuris con un typos particolare.

Come seconda proposta abbiamo ipotizzato il riconoscimento delle Eparchie italo-albanesi, da parte dell’Autorità Suprema, come Chiesa sui iuris, entrando in questo modo a far parte della quarta tipologia codiciale di “altre Chiese sui  iuris” regolate dai cann. 174-176 del CCEO.

Altra possibilità presa in esame potrebbe prevedere il riconoscimento di una Chiesa sui iuris di tipo metropolitano che includa le tre circoscrizioni in esame, sotto la denominazione di “Chiesa Cattolica Bizantina in Italia”, individuando nella comune tradizione bizantina l’elemento di unificazione che consenta di realizzare un’unica entità ecclesiastica. Si è visto nel nostro studio come tale ipotesi potrebbe essere una soluzione assai vantaggiosa, dal momento che permetterebbe a questi gerarchi anche l’affidamento della cura pastorale dei fedeli orientali emigrati in territorio italiano appartenenti ad altre Chiese sui iuris, in quanto la denominazione generica che dovrebbe assumere questa erigenda Chiesa sui iuris non metterebbe in risalto elementi nazionalistici ed avrebbe nella Tradizione Costantinopolitana (CCEO can. 28 §2) il punto di convergenza di tutti i fedeli ascritti o affidati a tale Chiesa. Tale ipotesi, ha portato come ulteriore considerazione l’espansione dell’Esarcato di Grottaferrata, per l’affidamento delle parrocchie e delle comunità italo-albanesi dell’ Italia centro-settentrionale, compresa la cura pastorale dei fedeli residenti nel circondario del Monastero-Esarchico, estendendo così i confini territoriali oltre a quelli coincidenti con i confini attuali del Monastero sui iuris stesso. In conseguenza a tale soluzione di determinazione l’esarca di Grottaferrata, potrebbe essere elevato alla dignità episcopale, venendo così a completare la terna necessaria per costituire il Consiglio dei Gerarchi.

L’ultima ipotesi di soluzione che abbiamo avanzato per la Chiesa Italo-albanese ha prospettato la costituzione di una Chiesa metropolitana sui iuris, comprendente oltre alle due Eparchie di Lungro e Piana, altre circoscrizioni che dovrebbero essere create, quali per esempio l’erezione di un Esarcato per i fedeli Italo-albanesi residenti nell’Italia settentrionale retto da un Esarca con dignità episcopale.

In definitiva, da quanto è stato trattato è emerso che il Monastero di Grottaferrata in quanto Esarcato ritiene di dover essere riconosciuto dalla Suprema Autorità della Chiesa come un’unica Chiesa sui iuris in virtù del patrimonio teologico, liturgico, spirituale e disciplinare che lo contraddistingue dalle Eparchie italo-albanesi.

Siamo arrivati alla conclusione di dover considerare come ipotesi di soluzione migliore il riconoscimento dello stato sui iuris delle Eparchie italo-albanesi, da costituirsi in tal modo come Chiesa sui iuris appartenente alla quarta tipologia di Chiese di diritto proprio previste dal CCEO (cann. 174-176), e similmente dall’altra parte il riconoscimento dell’Esarcato di Grottaferrata come Chiesa sui iuris italo-greca, con la prospettiva che nel futuro la Chiesa sui iuris Italo-albanese potrà sempre aspirare ad una sua più perfetta autonomia, quando avrà raggiunto una perfezione strutturale tale che le permetta di funzionare secondo uno statuto che le possa garantire una maggiore competenza di autogoverno, ed in questo modo passare al rango di Chiesa metropolitana sui iuris.

Inoltre, una simile soluzione, è stato considerata al momento come la più vantaggiosa, poiché dalla valutazione dello stato delle energie e delle strutture delle suddette Chiese particolari non sono emersi elementi sufficienti da poter permettere la creazione di una nuova Circoscrizione ecclesiastica per i fedeli italo-albanesi della diaspora, che in tal modo permetterebbe insieme alle due Eparchie italo-albanesi la creazione di una Chiesa metropolitana sui iuris Italo-albanese.

Si potrebbe a questo punto sostenere che il riconoscimento della Chiesa Italo-albanese e del Monastero-Esarchico criptense come Chiese di diritto proprio da parte della Suprema Autorità della Chiesa, segnerebbe il riconoscimento della vera ecclesialità di queste circoscrizioni ecclesiastiche orientali che vantano una plurisecolare presenza in territorio italiano nonché una indefettibile comunione con la Sede Apostolica.

Alla fine della nostra ricerca il voto augurale è che l’opera intrapresa da Papa Benedetto XV, con l’istituzione della prima Eparchia per i fedeli Italo-albanesi della Calabria, possa essere completata dall’attuale Pontefice Benedetto XVI, con il riconoscimento dello status sui iuris di queste realtà ecclesiali bizantine d’Italia, portando in questo modo a compimento il loro sviluppo giuridico.

 Con la nostra ricerca abbiamo voluto, finalmente, mettere in risalto anche il contributo che le tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia hanno dato e continuano ad offrire nella comunione della Chiesa universale. Infatti, nonostante le loro dimensioni assai ridotte, queste Chiese particolari, «vivendo nella piena comunione, ma nel contesto di una maggioranza di altra Tradizione, nel testimoniare la loro appartenenza orientale, hanno avuto sempre vivo il problema della ricomposizione della piena comunione e unità tra cattolici e ortodossi. Queste realtà ecclesiali ne provavano e ne provano esistenzialmente l’esigenza. E a loro modo hanno contribuito al farlo presente nel centro stesso della Chiesa cattolica. In particolare con i problemi liturgici e disciplinari che la propria tradizione, per la loro diversità, poneva agli organismi centrali, hanno mantenuto presente che nella Chiesa vi è sempre stata un’alterità (varietas) che deve avere il proprio posto nella comunione, che l’unità non si deve intendere come una mortificante uniformità, che è possibile ricomporre unità e diversità. Queste piccole comunità ecclesiali hanno svolto, con zelo religioso ed orgoglio della propria identità, questo ruolo, che in qualche modo è provvidenziale» (E. F. Fortino, La Chiesa bizantina albanese in Calabria, 144), nell’ambito della Chiesa cattolica e delle Chiese orientali, e particolarmente nella Chiesa italiana, in quanto esempio di Chiese che pur in comunione con Roma non hanno mai rinnegato la fede ed il patrimonio della loro Chiesa d’origine. Tale ruolo certamente sarà rinvigorito se ad esse si darà una configurazione giuridica precisa che determinerà il loro rinnovamento ecclesiale, il recupero pieno della propria identità e della propria dimensione ecclesiale come comunità strutturate con una gerarchia propria ed una propria autonomia che le permetterà di stabilire per mezzo dei propri organi competenti le norme per la propria organizzazione e la propria attività interna (Besa/Roma).

 

ALBANIA

DIZIONARIO DI TEOLOGIA BIBLICA

IN ALBANESE

 

 Il 22 luglio 2005 L’Osservatore Romano ha pubblicato una nota di Eleuterio F. Fortino sulla traduzione in albanese del “Vocabulaire Théologique Biblique” di Xavier Léon – Dufour.  La riportiamo qui di seguito:

 

La Chiesa cattolica in Albania – ma anche quella ortodossa – sta attraversando un periodo di riorganizzazione materiale e spirituale, vitale per l’avvenire, dopo la tragica persecuzione del regime marxista-leninista che aveva dichiarato l’Albania “il primo stato ateo del mondo”. E’ stata ricostituita la gerarchia ecclesiastica (1993) e via via sono state ricreate e riattivate le strutture essenziali per la vita della Chiesa (seminario, parrocchie, centri catechetici, comunità dei religiosi, servizi di assistenza Caritas), il tutto in una prospettiva di rievangelizzazione. Due anni fa è stata aperta una Università Cattolica  a Tirana. Di recente l’arcivescovo di Shkodrë, presidente della Conferenza episcopale albanese, mons. Angelo Massafra (SIR, 27 maggio 2005), ha riferito sulla vita della Chiesa in Albania. Tra l’altro ha detto: “Il cammino è positivo… ci sono i primi avvicendamenti nelle comunità religiose e tra i preti fidei donum, che dopo alcuni anni di servizio tornano nei loro Paesi. Nei giorni scorsi ho ordinato tre diaconi. Sono le vocazioni locali che si affacciano  e che danno fiducia su una crescita della presenza ecclesiale. Anche le iniziative pastorali crescono in quantità e speriamo in qualità”.

In appoggio alle attività di insegnamento nel seminario, alla predicazione e alla catechesi, quest’anno, è stato pubblicato in lingua albanese il “Vocabulaire Théologique Biblique” di Xavier Léon – Dufour, uno straordinario sussidio per una nuova pastorale fondata sulla Parola di Dio (Xavier Léon –Dufour, Fjalor i Teologisë Biblike, Chirico, 2005, col. 1628).

L’arvivescovo metropolita di Tiranë - Durrës, mons. Rrok Mirdita nella prefazione scrive: “Questo Dizionario  è uno strumento di singolare valore per tutti coloro che sono impegnati nella vita della Chiesa … Il Dizionario che il lettore albanese avrà tra le mani  ha una grande importanza per la Chiesa in Albania, nella Kossova, in Macedonia e nel Montenegro e dovunque si trovino comunità  che approfondiscono e celebrano i misteri della fede”. L’arvivescovo di Tirana ricorda inoltre l’evoluzione che in Albania ha avuto la traduzione di testi biblici, partendo dal messale del secolo XVI, prima opera pubblicata (1555) in lingua albanese, che conteneva le pericopi per la liturgia (Il Messale di Giovanni Buzuku, riproduzione e trascrizione a cura di Namik Ressuli, /Studi e Testi 199/, Città del Vaticano 1958) e passando per le traduzioni del Bogdani (sec. XVII) e quelle in ghego e in tosco dell’ortodosso Kostandin Kristoforidhi (sec. XIX) fino alla pubblicazione dell’intera Bibbia (Shkrimi Shenjt, Besëlidhja e Vjetër dhe Besëlidhja e Re, tradotta da Don Simon Filipaj, Ferizaj, 1994). A proposito di questa pubblicazione l’arcivescovo di Tirana scrive: “L’arrivo della Bibbia intera  in lingua albanese prima della caduta  dell’ateismo imposto, è stata una grande grazia  per la vita della Chiesa rinata in Albania e un aiuto essenziale per l’evangelizzazione  e per tutti coloro che hanno accettato la fede cristiana”. L’arcivescovo di Tirana nel raccomandare il Dizionario Biblico fa riferimento alla Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II sulla Rivelazione. La Costituzione domanda alla comunità cristiana “di nutrirsi  dalla tavola  tanto della Parola  di Dio quanto del corpo di Cristo e di porgerli ai fedeli” (n. 21). La traduzione e la pubblicazione del Dizionario ha richiesto un complesso di collaborazioni. L’iniziativa è venuta dal Dr. Silverio Cartolano del Cammino Neocatecumenale a cui il primo arcivescovo di Scutari dopo la caduta del comunismo, mons. Frano Ilia, aveva concesso di “avviare l’iniziativa (di evangelizzazione) nella nostra diocesi” (28 maggio 1997). Il Cartolano scrive in una presentazione del lavoro svolto: “La provvidenza ha messo sulla mia strada in Albania la Piccola Sorella  di Gesù Odette Marquet, dottore in Scienze Orientali, diplomata in lingua e lettarura albanese alla Sorbona”. Essa, coadiuvata  da Suzana Shkreta, diplomata in lingua francese, in collaborazione con i professori  Enver Hysa e Seit Lafe dell’Istituto di Linguistica e Letteratura dell’Università di Tirana e in consultazione con Emil Lafe dell’Accademia delle Scienze di Albania, ha intrapreso la traduzione dal francese nel 1999, portata a termine entro l’anno 2004, con l’aiuto grafico di Luçiana Pici. E’ stato necessario un attento lavoro per la terminologia teologica, tenendo presente che per un mezzo secolo in Albania è stato proibito pubblicare alcunché  di carattere religioso. L’opera è stata esaminata dalla Conferenza episcopale albanese che ne ha autorizzato la pubblicazione. Questa in edizione, molto accurata e precisa,  riporta in copertina il Pantokrator  dell’abside e le vetrate della cattedrale di Madrid “Nuestra Senora de la Almudena”, opere di Kiko Arguelo.

Quest’anno ricorre il XL anniversario della promulgazione (18 novembre 1965-2005) della Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II  Dei Verbum. La pubblicazione del Dizionario Biblico in albanese è un modo eccellente per commemorarlo, in Albania, in modo attivo e aperto al futuro (Besa/Roma).

 

ROMA

EVANGELIARIO BIZANTINO

IN ITALIANO

 

L’Evangeliario Liturgico della Chiesa bizantina è stato pubblicato per la prima volta in lingua italiana e in accurata edizione per l’Altare (Divino e Sacro Evangelo, Roma 2005). Martedì 28 giugno 2005, nella chiesa di S. Atanasio dei Greci a Roma, è stata presentata questa edizione curata dal diacono prof. Luigi Fioriti per l’eparchia bizantina di Lungro. Il rito di intronizzazione del Vangelo è stato presieduto dal vescovo di Lungro S.E. mons. Lupinacci, durante una breve akolouthia vespertina.

 

S.B. Ignazio Moussa I Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha sottolineato l’importanza spirituale e culturale dell’iniziativa. Ha messo in relazione questa opportuna pubblicazione con la celebrazione del II Sinodo Intereparchiale delle eparchie di Lungro  in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia e del Monastero esarchico di Grottaferrata. Egli ha detto: “L'iniziativa è in piena sintonia con le prospettive del II Sinodo Intereparchiale, il cui tema, non senza giusta motivazione, era stato: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”. Certamente si ricorderà l’esortazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, nell'udienza concessa ai membri sinodali l’11 gennaio 2005, ha messo in  grande rilievo l'importanza catechetica e mistagogica della comprensione dei riti e dei testi pronunciati durante le celebrazioni. “Giustamente - egli ha detto - voi li fate risuonare in modo comprensibile nelle lingue del nostro tempo”.

Sono seguiti tre interventi sull’Evangeliario nel culto  da parte del prof.  p. Robert Taft s.j del Pontificio Istituto Orientale,  del prof. p. Silvano Maggiani  della Pontificia Facoltà Teologica Marianum e di S.E. mons. Domenico Sorrentino, Segretario della Congregazione per il Culto e la Disciplina dei Sacramenti. Il Presidente della Regione Calabria, on. Agazio Loiero, che ha finanziato la pubblicazione, ha salutato l’assemblea.

Nelle eparchie bizantine cattoliche in Italia è in uso di avere sempre sull’altare il grande Evangeliario greco di Roma del 1880, mentre fino ad oggi per la lettura in italiano si adoperava una edizione con pericopi fotocopiate. Ciò lasciava molto a desiderare circa la dignità che questo Libro Sacro ha sempre avuto nella considerazione bizantina, che gli attribuisce l’onore e il posto di Cristo nell’Asemblea celebrante.

La nuova pubblicazione (Roma 2005) ha come titolo Divino e Sacro Evangelo. La sua struttura ricalca l’edizione dell’Evangeliario di Roma del 1880. Per farne uno strumento agevole all’uso, si sono tolte alcune parti che appartenevano  alla tradizione storica del testo più che alla pratica  liturgica.

Il volume è composto da 248 pagine in pregevole carta avorio, con all’interno sei tavole bicolore del Maestro Roberto Roberti che dividono le parti tradizionali del Vangelo.

 

Esso comprende le pericopi del ciclo delle domeniche e dei sabati e la lectio continua dei giorni feriali, pericopi che vengono proclamate nella liturgia eucaristica, ma anche in altre akolouthie nel corso dell’anno liturgico, nel seguente ordine tradizionale:

1.      Evangelo secondo Giovanni con inizio dalla Domenica di Pasqua.

2.      Evangelo secondo Matteo con inizio dalla prima settimana dopo Pentecoste.

3.      Evangelo secondo Luca con inizio dal lunedì dopo la prima domenica dell’Esaltazione della Croce.

4.      Evangelo secondo Marco.

5.      Evangeli della Santa e Grande Settimana.

6.      Evangeli della Resurrezione per il  Mattutino.

7.      Evangeli delle Feste fisse, despotiche e teomitoriche, dell’anno e di quelle dei Santi celebrati durante i mesi dell’anno (Mēnaia).

8.      Evangeli per diverse circostanze.

9.      L’indice dei Santi Evangeli da leggere nel corso dell’anno.

 

Nei Mēnaia (libri liturgici dei Mesi) sono stati aggiunti i due grandi santi italo -greci calabresi: S. Nilo e S. Bartolomeo di Rossano,  presenti nell’Imerologhion dell’eparchia di Lungro.

Nella presentazione il vescovo di Lungro ha scritto: “Nella liturgia bizantina l'Evangeliario si è sempre mantenuto vivo: ogni benedizione, processione, celebrazione; ogni annuncio solenne di salvezza non può avvenire senza di esso. Ogni Sinodo, ogni Concilio, deve avere al centro il libro della Divina Parola. È acclamato con il canto, incensato, portato in processione”.

L’Evangeliario è venerato come le icone. All’ingresso per la Divina Liturgia il diacono innalzandolo acclama: “Sophìa orthòi”, “Ecco la Sapienza: stiamo ritti, siamo retti”. L’Evangeliario contiene la Parola di Dio (Besa/Roma).

 

MEZZOIUSO

XIV CONVEGNO ECCLESIALE

 

Si è tenuto a Mezzoiuso presso l’Istituto A. Reres il XIV Convegno Ecclesiale dell’eparchia di Piana degli Albanesi (8-9 Luglio 2005) sul tema: “La famiglia cristiana: Prospettive per il III Millennio”.

 

Ha relazionato la prof. Gabriella Paravisi della LUMSA e psicologa presso la ASL 6 di Palerno sul tema:

·        “Conflitto e crescita nella coppia”.

Dal punto di vista teologico ha relazionato Don Giovanni Cerreti con due interventi su:

·        “L’annuncio evangelico della monogamia”;

·        “L’esercizio della misericordia di fronte alle difficoltà familiari”.

Dopo il rapporto dei coordinatori dei gruppi di studio ha concluso l’incontro con un elogio commento S.E. mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi (Besa/Roma).

LUNGRO
L’IDEALE MONASTICO
DI S. NILO

Per iniziativa del Comitato per il millenario di S. Nilo - Azione Cattolica dell’eparchia di Lungro - il 18 agosto ha avuto luogo a Lungro nel salone delle Piccole Operaie dei Sacri Cuori, una conferenza su “L’ideale monastico di S. Nilo”. Sulla traccia dell’itinerario della vita di S. Nilo (Rossano, Mercurion, S.Adriano/S.Demetrio Corone, Vallelucio, Serperi, Tuscolo/Grottaferrata), l’oratore ha presentato l’esperienza monastica di S. Nilo (quella dell’eremo, della laura, del cenobio) con propensione alla vita eremitica, lasciando però la sua eredità spirituale nel monastero-cenobio di Grottaferrata.

Relatore è stato mons. Luigi Renzo, vicario generale dell’archidiocesi di Rossano, patria di S. Nilo. Egli è autore di molte pubblicazioni di carattere storico e religioso. Lo scorso anno ha pubblicato “I fioretti di S. Nilo”, una presentazione fondata e attraente della vita di S. Nilo per una solida divulgazione. Quest’anno ha pubblicato già una analoga su S. Bartolomeo nel 950° anniversario (1055-2005) della morte (Luigi Renzo, S. Bartolomeo di Rossano e i suoi fioretti, Grafosud, 2005).

E’ intervenuto S.E. mons. Ercole Lupinacci, vescovo di Lungro; tra l’altro egli ha ricordato il progetto dell’AC di una visita a tutte le parrocchie dell’eparchia con l’icona di S. Nilo per spiegare la vita e il suo ideale monastico e la tradizione bizantina in Calabria. Per la circostanza, egli ha costatato che nelle parrocchie non si trova una icona di S. Nilo. Di conseguenza ha espresso il proposito di farne dipingere una nuova a questo scopo.

A proposito della divulgazione della festa di S. Nilo nell’eparchia, mons. Eleuterio F. Fortino, presente alla conferenza, ha ricordato che nella lettera con cui mons. Lupinacci ha presentato il nuovo Evangeliario Bizantino (Roma, 2005), egli ha messo in rilievo che nella parte riguardante le feste dei santi in questa nuova pubblicazione per l’uso liturgico, sono state riportate le letture, che si proclamano nelle feste di S. Nilo e S. Bartolomeo, feste presenti del resto nell’Imerologhion di Lungro.

S. Nilo ha trascorso più di 25 anni a S. Adriano, oggi territorio dell’eparchia di Lungro.

Ha moderato l’incontro il presidente dell’Azione Cattolica Diocesana, l’insegnante Luigi Vitteritti, il quale ha organizzato l’indovinata iniziativa con intelligenza e con entusiasmo.

Egli ha informato che nel prossimo mese di settembre avrà luogo un pellegrinaggio nei luoghi niliani, da S. Demetrio a Rossano e via - via salendo l’Italia fino a Montecassino e a Grottaferrata; inoltre il Comitato organizzerà altri due incontri come quello odierno in due altri centri dell’eparchia. Egli infine ha ricordato che nel 1958 il Papa Giovanni XXIII dichiarava S. Nilo e S. Bartolomeo, co-patroni della Calabria, assieme a S. Francesco di Paola.

Ciò è in piena coerenza storica per la presenza, anche attuale, delle due tradizioni, o dei “due polmoni”, latina e orientale in Calabria (Besa/Roma).

 

CALABRIA

FESTA DEI SANTI NILO E BARTOLOMEO

 

Nel mese di ottobre del 1958 tutti i vescovi di Calabria hanno presentato al Papa Giovanni XXIII una petizione secondo cui:

·        “I santi Nilo e Bartolomeo di Rossano siano dichiarati compatroni aeque principaliter con S. Francesco di Paola”;

·        “sia concesso di poter celebrare in Calabria, come nell’archidiocesi di Rossano, la festa dei detti santi rispettivamente nel giorno del 26 settembre e dell’11 novembre di ogni anno”.

Per l’eparchia di Lungro ha firmato il vescovo S.E. mons. Giovanni Mele.

Il Santo Padre rispondeva affermativamente. Per mezzo di un decreto a firma del Segretario di Stato Domenico Tardini, in data del 20 novembre dello stesso anno, si autorizza la celebrazione delle due feste: “Festum Sancti Nili, Abbatis, die XXVI septembris, et Sancti Bartholomaei, Abbatis, die XI novembris….in totius Bruttiorum regionis dioecesibus quotanis celebretur” (Besa/Roma)

 

SAN DEMETRIO CORONE: XXIV FESTIVAL DELLA CANZONE ARBËRESHE

Il XXIV Festival della canzone arbëreshe (21 agosto 2005) è stato vinto dalla cantante di Spezzano Albanese, Emiliana Morrone, con la canzone “Dua të rronj” (“Voglio vivere”), scritta e musicata da Agostino Sofis.

Il premio della critica è stato attribuito alla canzone “Rrimi bashkë, oj Arbëri” (“Stiamo insieme, o Arbëria”), scritta da Pino Cacozza (Besa/Roma).

 

BOSE

L’EUCARISTIA

SACRAMENTO DEL REGNO

 

All fine della sua vita, il presbitero russo-ortodosso, Alexander Schmemann, professore di liturgia al Saint Vladimir Seminary (New York), stava terminando la redazione di un volume sull’Eucaristia. Aveva appena redatto l’introduzione che apre questo volume, datato “novembre 1983”, quando è deceduto il 13 dicembre dello stesso anno. Ora il monastero di Bose lo propone nella traduzione italiana di Sr. Laura Marino (L’Eucaristia. Sacramento del Regno, Edizioni Qiqajon, 2005). Il volume può essere considerato il testamento spirituale di un sacerdote fedele; può essere letto con frutto culturale e con edificazione spirituale. Nella introduzione dedicata “Al lettore” l’autore scrive: “Come presbitero e professore di teologia, come pastore e insegnante, ho servito la Chiesa per più di trent’anni. In tutto questo periodo non ho mai smesso di interrogarmi in profondità sull’Eucaristia, sul suo significato e il suo ruolo nella Chiesa: questa ricerca che mi ha impegnato fin dall’adolescenza, ha colmato la mia vita di gioia” (p. 5). Riferendosi alla situazione attuale della considerazione dell’Eucaristia – l’autore ha in vista la Comunità ortodossa – egli scrive con amarezza: “Più diventava reale per me l’esperienza dell’Eucaristia, della Divina Liturgia, del mistero della glorificazione di Cristo, più forte era la percezione di una sorta di crisi eucaristica della Chiesa. Se la tradizione ecclesiale è rimasta immutata, la percezione dell’Eucaristia, di ciò che costituisce l’essenza, si è modificata”.

Queste modifiche di percezione o di ignoranza dell’essenziale cerca di correggere l’autore con una presentazione degli elementi strutturali essenziali dell’Eucaristia, sulla base del formulario di S. Giovanni Crisostomo e di S. Basilio, e della interpretazione della tradizione bizantina con una proiezione dell’attualità della problematica dell’uomo contemporaneo. E’ uno studio utile anche per i lettori latini, ma ha particolare valore per i bizantini, per i quali l’abitudine – o anche la non comprensione dei testi a causa dell’uso di lingue non più conosciute al popolo – seppellisce il senso dei riti, dei gesti e delle parole. Il volume è una sorta di manifestazione del significato di tutto questo. ”Noi ortodossi – scrive l’autore – dobbiamo trovare in noi stessi la forza di dedicarci, anima e corpo, a questa rinascita eucaristica…Si tratta di ritornare alla visione, all’esperienza di cui la Chiesa ha vissuto fin dalle origini” (p. 7). Lo studio dello Schmemann ne è una guida puntuale.

L’autore imposta il suo studio partendo dalla Comunità che si riunisce per celebrare l’Eucaristia, evitando anzi sottoponendo a dura critica le interpretazioni individualiste dell’Eucaristia, e pervenendo a parlare del sacramento dell’Assemblea. Non sarebbe esagerato affermare che l’insegnamento di scuola - egli scrive - “semplicemente ignora il significato ecclesiologico dell’Eucaristia, così come semplicemente dimentica la dimensione eucaristica dell’ecclesiologia” (p. 10). La visione dell’intera comunità che celebra l’Eucaristia evita il clericalismo esclusivo rendendo i fedeli laici a elemento passivo e solo recettivo, contraddicendo l’intera struttura della celebrazione in cui il proestòs è il capo del corpo dell’assemblea.

Il volume prende in considerazione, per esposizione e interpretazione, le varie unità liturgiche, offrendo una visione coerente. L’indice in dodici capitoli è così strutturato:

1.      Il sacramento dell’Assemblea: Assemblea, Eucaristia, Chiesa;

2.      Il sacramento del Regno: l’orizzonte dell’Eucaristia;

3.      Il sacramento dell’ingresso: il “piccolo ingresso”, vero inizio dell’Eucaristia;

4.      Il sacramento della Parola: l’unione invisibile di Parola e sacramento;

5.      Il sacramento dei fedeli: il sacerdozio universale della chiesa;

6.      Il sacramento dell’offerta: il sacrificio di Cristo e l’offerta di noi stessi a Dio;

7.      Il sacramento dell’unità: “Amiamoci gli uni gli altri”: il bacio di pace;

8.      Il sacramento dell’elevazione: “In alto i nostri cuori”;

9.      Il sacramento dell’azione di grazia: riscoprire la profonda unitarietà  della preghiera eucaristica;

10.  Il sacramento della memoria: memoria dell’ultima cena;

11.  Il sacramento dello Spirito Santo: l’epiclesi e la formula consacratoria;

12.  Il sacramento della comunione: una progressiva clericalizzazione della Chiesa e comunione nell’unico Spirito.

 

Il prof. Kostantin Andronikov, collega dell’autore, in una breve quanto essenziale postfazione, presenta alcuni dati della vita e dell’attività di p. Schmemann. Tra l’altro per la presente opera egli scrive: “Quest’opera guida il lettore (si potrebbe dire l’ascoltatore, perché sembra di sentir parlare p. Schmemann) a una riscoperta dell’Eucaristia come “sacramento del Regno”, aspetto notevolmente messo in ombra dalla secolare deriva della pietà e della teologia cristiane” (Besa/Roma).

 

LUNGRO: XVIII ASSEMBLEA DIOCESANA

 

L’Eucaristia fonte e culmine della vita della Chiesa”, questo il tema della XVIII assemblea diocesana e corso di aggiornamento teologico, svoltosi a Lungro nella chiesa del “SS. Salvatore”, nei giorni 29 - 30 - 31 agosto 2005.

Dopo il saluto del vescovo eparchiale mons. Lupinacci, il convegno si è aperto con la relazione di mons. Domenico Tarcisio Cortese, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, su “L’Eucaristia è carità”. Egli, partendo dal mistero cristiano, ha sottolineato come Dio è amore, e per amore crede nell’uomo, creandolo a sua immagine e somiglianza. Anche se col peccato l’uomo si è staccato da Dio, l’incarnazione restaura e riafferma questo amore. In Gesù Cristo, che per la salvezza di tutti ha immolato se stesso sulla croce, come dono supremo d’amore, l’uomo è divenuto nuova creatura, mediante il soffio rigeneratore dello Spirito. L’ Eucaristia è il “sacramento del Cristo morto e risorto”, è “sacramento del dono e della memoria”, è “sacramento della vita eterna”. L’Eucaristia fa la Chiesa.

“Partecipando al banchetto del corpo e sangue del Signore, il cristiano diventa prolungamento e dilatazione dell’amore di Dio nel mondo”. La risposta dell’uomo al Signore che lo invita a cibarsi del pane eucaristico non è soltanto la partecipazione ad un rito sacro, ma deve concretizzarsi nella fede, nella preghiera e nella santità di vita, intesa anche come diaconia e testimonianza.

 

La seconda relazione su “Eucaristia e divinizzazione” è stata svolta da papàs Vittorio Scirchio, parroco di S. Giorgio Albanese. Egli, attraverso numerosi riferimenti biblici, liturgici, patristici, ed anche ad opere di teologi ortodossi ed ai più recenti documenti del Magistero della Chiesa, ha sviluppato due aspetti fondamentali: concetto di divinizzazione secondo la tradizione dei Padri; Eucaristia culmine della deificazione.

Con un’analisi delle icone dell’Annunciazione e dell’Ascensione, mettendo in relazione l’incarnazione (sarkosis) e la divinizzazione (theosis), in un duplice movimento di discesa di Dio verso l’uomo e di ascesa dell’uomo verso Dio, egli ha posto in evidenza la comunicazione delle energie divine attraverso l’azione dinamica e vivificante dello Spirito, in una Pentecoste continua. Viene così recuperata nella natura umana la somiglianza divina, deformata dal peccato di Adamo. L’uomo, così rinnovato, in comunione viva con Dio uno e trino, inizia il suo cammino di deificazione, attraverso i sacramenti, inserito nel Corpo mistico di Cristo: la Chiesa, convocata dal risorto attorno al mistico convito e nutrita dell’Eucaristia. L’Eucaristia è sacramento supremo della Chiesa ed il culmine dell’unione intima dell’uomo con il suo creatore. “Attraverso il banchetto dell’amore, il convitato vedrà in tutti gli uomini i suoi fratelli” e sarà chiamato ad essere testimone di Cristo nel mondo.

 

La terza relazione, che ha concluso il convegno, è stata tenuta dal protopresbitero Nik Pace, parroco di “S. Nicola di Mira” di Lecce, sul tema: Eucaristia ed ecumenismo. Egli ha sottolineato alcuni importanti aspetti:

Dio ha fondato la Chiesa una e vuole che essa resti una nello Spirito, nella comunione del Figlio ed in lui con il Padre;

“l’Eucaristia manifesta, esprime, realizza, attua e conserva l’unità della Chiesa” nella fede e nella comunione ecclesiale;

la divisione dei cristiani, frutto del peccato, ha compromesso l’unità e l’annuncio del Vangelo, impedendo di sedersi tutti insieme attorno alla comune mensa eucaristica;

l’impellente necessità di ricomporre l’unità è cresciuta specialmente dopo il Concilio Vaticano II;

il dialogo ecumenico avviato, partendo da ciò che unisce, ha aperto nuove prospettive, particolarmente per ciò che concerne la conoscenza reciproca ed il reciproco rispetto;

il fenomeno dell’ecumenismo spirituale e culturale, nuova realtà ecumenica emergente, tramite la creazione di nuove reti di amicizia tra gruppi e movimenti appartenenti a Chiese e Comunità ecclesiali di diverse confessioni cristiane, ha favorito una maggiore fraternità e comunione, realizzata nella preghiera comune, l’ascolto e la lettura della S. Scrittura.

Il relatore ha poi precisato, riferendosi ai testi conciliari, i vari gradi di comunione teologica ed ecclesiale che contraddistinguono ortodossi, protestanti ed anglicani in relazione alla Chiesa cattolica. Infine egli ha preso in esame alcuni documenti delle Chiese in dialogo.

 

A tutte e tre le relazioni è seguito un vivace dibattito. Due gruppi di studio hanno poi approfondito i temi delle tre relazioni, portando in assemblea le loro considerazioni.

In particolare i due gruppi hanno espresso l’urgenza di un cammino mistagogico  e di formazione ecumenica, che coinvolga maggiormente i giovani.

Il convegno si è concluso con l’elaborazione di un documento finale, letto discusso ed approvato dall’assemblea (Besa/Roma).

 

 

GROTTAFERRATA

MONACHESIMO ORTODOSSO

MEI PAESI BALTICI

 

Dal 22 al 26 settembre 2005 avrà luogo nel monastero di Grottaferra ta un congresso internazionale sul “Monachesimo ortodosso in Finlandia e nei Paesi Baltici”. Il congresso, che si inserisce nelle celebrazioni del millenario di S. Nilo (1004-2004), è organizzato dal monastero in cooperazione con il Patriarcato Ecumenico (Besa/Roma).


Teologia quotidiana

60

HESYCHIA (3): INCORPORATI NEL FIGLIO DI DIO

 

La tranquillità dell’animo non si raggiunge con una ginnastica psico-fisica - che pure può essere utile - ma dalla fede in Dio che ci è sempre e dappertutto “prossimo”, dal giorno del battesimo quando lo abbiamo accettato come unico Signore e siamo stati vitalmente immersi nel nome della Trinità. La provvidenza del Padre, l’incorporazione in Cristo, l’inabitazione dello Spirito, che dà la vita e tutto riempie, sono la sorgente vera e la causa reale della serenità del credente. Anche se noi non sentiamo di amarlo, egli ci è vicino. E chi ci può allontanare dall’amore di Dio? Neanche la morte, ci assicura San Paolo. Se il Signore è il mio pastore di chi avrò paura? Canta il salmista. Il battesimo assicura molto di più. Il fedele viene incorporato in Cristo, fa con Lui un solo corpo. Cristo-capo è quindi misteriosamente sempre solidale con i fedeli-membra del corpo. Alcuni episodi evangelici manifestano che il Signore non abbandona mai i credenti in lui:

 

1. “Non temete sono io” (Mt 14, 28), dice Gesù ai suoi discepoli, che lo vedono camminare sulle acque del lago in tempesta e, turbati, credono che sia un fantasma. Il buio, l’agitarsi delle onde, un’ombra vagante bene esprimono la realtà che spesso l’uomo – il credente come gli altri – affronta nella vita. In altro linguaggio si parla di incertezza, di angoscia, di dubbio esistenziale e di paura mortale. E la vita quotidiana, anche se apparentemente “ordinata”, spesso nasconde i turbamenti della tempesta interiore. Straordinario quell’evento di Gesù che cammina sulle onde del mare per andare verso i suoi discepoli impauriti, e per tranquillizzare il loro animo. Il “coraggioso” Pietro chiede di camminare anch’egli sulle acque per verificare se è veramente Gesù o un fantasma e Gesù glielo permette. Ma  per timore del “vento contrario” comincia ad affondare. Gesù “stesa la mano lo afferra” (Mt 14,31) e lo riporta salvo in barca. Pietro affonda perché ha “dubitato” e ha dubitato perché non ha avuto fede. Il credente sa che il Signore non lo abbandona.

 

2. “Pace a voi” (Gv 20,19), disse il Signore ai discepoli la sera del giorno della risurrezione. Essi erano insieme, non per gioire. Erano ancora nella tristezza. Il loro Maestro era stato crocifisso, le loro speranze erano seopolte. Qualcuno diceva di aver visto il Signore vivo. Ma era vero? Era possibile? Era una allucinazione prodotta dall’amore o dalla paura? Era un desiderio? I discepoli erano insieme “essendo serrate le porte per timore dei giudei” (dià tòn phòvon). Coloro che avevano ucciso il Maestro, non potrebbero fare lo stesso con i discepoli? Gesù risorto si presenta loro in modo incomprensibile “a porte chiuse” con un annuncio fondamentale per il cristiano: “Pace a voi”. I vostri cuori sono turbati, le vostre menti sono confuse? Il timore vi imprigiona? Si calmino i vostri cuori, si acquietino le vostre menti, siate liberati dal timore. Non temete, sono io. Eccomi qui. A Tommaso che dubitava, che chiedeva la prova, dice: “Metti la tua mano nel mio costato”(Gv 20,27). Ai discepoli di ogni tempo Gesù risorto dice: pace a voi, non sia turbato il vostro cuore. Non vi è stato detto che sono l’Emmanuele, “Dio - con - voi”? E le Scritture non dicono che tutto ciò doveva avvenire? Ai suoi discepoli Gesù ha detto e dice: “Vi lascio la mia pace”. La pace che proviene da Gesù Cristo è la condizione che genera il perdono ottenuto sulla Croce, è la riconciliazione con Dio e con il prossimo. Alla fine della celebrazione eucaristica noi fedeli veniamo inviati nel mondo con il congedo: andiamo in pace.

 

3. “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). E’ l’assicurazione finale di Gesù risorto ai suoi discepoli, prima della sua ascensione ai cieli alla destra del Padre. Questa garanzia viene data da Gesù dopo aver affidato loro il mandato di fare discepole tutte le genti, di battezzarle nel nome della Trinità e di insegnare loro a conservare e mettere in pratica tutto il suo insegnamento. E’ la stessa assicurazione che si annuncia ad ogni cristiano nel giorno del battesimo.La presenza misteriosa di Cristo accompagna la vita dei cristiani: E’ presente nella proclamazione della Parola di Dio, nella celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’eucaristia, pane e vino per la vita del mondo, è presente nel prossimo che si trova nel bisogno, con cui si identifica. E’ presente nell’ultimo giorno quando inviterà: venite benedetti dal Padre mio, nel regno preparato per voi. A coloro che Gli hanno resto testimonianza, Egli renderà testimonianza davanti al Padre.

 

4. Questa vitale solidarietà del cristiano con Cristo, che ha vinto il mondo – con le sue tentazioni, le sue avversità  e la stessa morte – dà al fedele la possibilità di raggiungere e mantenere la tranquillità dello spirito in mezzo alle tensioni quotidiane (Besa/Roma).

Roma, 8 settembre 2005

 

 

 

Circolare Luglio 2005                                                                                                                        176/2005

 

 

Sommario

 

 

I detti di Gesù (34): “Io verrò e lo guarirò”............................................................................ 1

ROSSANO: Millenario della morte di S. Nilo (1004 –2004).................................................... 2

ROSSANO: I fioretti di S. Nilo................................................................................................ 9

ROSSANO: “Arbëreshë a Rossano” ....................................................................................... 9

PLATACI: Festival “Piccoli cantori arbëreshë” ........................................................................ 9

ROSANO: Catalogo bibliografico su S. NiloKOSOVA: La libertà religiosa............................ 10

ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano................................................................................ 10

ROMA: Hesychia: Sotto la provvidenza di Dio Padre............................................................. 11

 

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (34): “Io verrò e lo guarirò”

 

L’evangeista Matteo ci presenta Gesù in cammino: passava da una città all’altra e attraversava i villaggi. Percorreva tutta la Galilea. Entrava nelle sinagoghe degli ebrei e insegnava, predicava l’Evangelo del Regno di Dio, “curando ogni  sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4, 23;  Mt 10, 35). Seguendolo si constata la sua opera taumaturgica. Gesù va incontro a ebrei e pagani, uomini e donne, peccatori e prostitute. Le sue guarigioni hanno il particolare che investono l’uomo nella sua totalità: corpo e anima.

Un giorno a Cafarnao gli venne incontro un centurione, un militare romano. Questi  lo pregava scongiurandolo (parakalōn) in favore di un suo servo che soffriva terribilmente. Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò - therapèvso aftòn” (Mt 8,7).  Il centurione pagano  “sa  che Gesù (giudeo) non può mettere piede nella sua casa” (Pierre Bonnard). E con la sua mentalità di militare – abituato al comando e all’immedita obbedienza -  chiede che Gesù dica “una sola parola” (mònon eipè lògō) e il suo servo sarà guarito. San Giovanni Crisostomo parafrasa in questo modo la parola del centurione: “Se tu ordini alla morte  di non venire sul mio servo, essa non verrà” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 26,4).  Gesù elogia questa fede e fiducia incondizionata con ammirazione. E conclude: “Va’ e ti sia fatto secondo la tua fede” (Mt 8, 13). In quell’istante il suo servo guarì.

E’ un epirodio dell’opera di Gesù che è riportato anche da Luca (7,1-10)  e da Giovanni (4, 46-53). L’episodio manifesta la missione salvifica di Gesù che viene per guarire, per redimere, per salvare. Nel simbolo niceno – costantinopolitano i cristiani professano che il Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli”. A centurione Gesù disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ad ogni uomo egli continua dire: “vengo e ti guarisco” (Besa/Roma).


 

 


ROSSANO

NEL MILLENARIO DELLA MORTE  DI S.NILO

(1004-2004)

 

L’Arcidiocesi di Rossano sta celebrando il millenario di S. Nilo (1004-2004) sotto la tematica generale “S.Nilo e l’eredità bizantina, Valore-ricchezza-propsettive”. Al posto di un convegno concentrato in una settimana è stato scelto quello di un “Convegno distribuito in una giornata ogni mese”. Il 16 giugno 2005 ha avuto luogo la giornata conclusiva con una conferenza di Mons. Eleuterio F. Fortino sul tema: “Prospettive e contributo al dialogo ecumenico per la Chiesa locale a partire dal millennio niliano”.

Riportiamo qui di seguito il testo leggermente abbreviato.

 

“Io credo che non vi sia qualcuno tra noi che non conosca Rossano, non solo come quella città che presiede  ai confini della Calabria, assai grande e inespugnabile  ad un tempo, ma anche come la sola città, nella quale, nella quasi generale devastazione di tutta la regione calabra e nella conseguente caduta di tutte  le altre città nel dominio dei saraceni, non soggiacque alla legge della comune rovina”[45]. Quest’affermazione si trova in apertura del Bios, della Vita, di S. Nilo, scritta da un anonimo, ma che gli studi filologici e agiografici ormai attribuiscono con certezza morale a S. Bartolomeo, anch’egli di Rossano. La redazione del Bios è della prima parte del secolo XI, mentre i fatti ivi descritti si riferiscono alla seconda parte del secolo X. Il Bios di S. Nilo “per l’abbondanza dei particolari e per il talento dell’autore                                                                         costituisce il capolavoro dell’agiografia calabrese”[46]. Si tratta, è noto, di un panegirico del santo, e, come in genere fanno i testi di agiografia, tende all’edificazione. Non è un libro di pura storia, ma nell’insieme, offre una descrizione storica, sostanzialmente precisa della Calabria, parte integrante dell’impero bizantino, attaccata dai saraceni; territorio di cultura e presenza religiosa bizantina aggredita da eserciti stranieri di appartenenza religiosa islamica.

S. Nilo ha vissuto in questo tempo (910-1004). Per quanto riguarda le relazioni fra Bisanzio e Roma egli, nato in una città definita “la più bizantina della Calabria”[47], ha vissuto nel tempo della piena comunione, anche se dal 732 l’imperatore iconoclasta Leone III Isaurico aveva strappato dalla giurisdizione del Papa di Roma la Calabria, assieme alla Sicilia e all’Illirico, sottoponendola al Patriarcato di Costantinopoli. La questione di giurisdizione rimasta aperta fino all’avvento dei Normanni, non scalfiva la piena comunione di fede. In tutto il testo del Bios non è mai sollevata una questione di divisione nella fede tra bizantini e latini.

Avendo S. Nilo vissuto nel tempo della piena comunione, parlando di lui non si può fare un discorso propriamente ecumenico perché, per sé, l’ecumenismo ha per scopo la ricomposizione dell’unità fra Chiese divise. Tuttavia dal Bios ci provengono indicazioni utili anche per l’attuale ricerca dell’unità fra oriente e occidente. Emergono indicazioni feconde per la fraterna e reciproca complementarietà fra tradizioni ecclesiali diverse da vivere nell’unità della fede. E ciò ha ricadute anche in campo ecumenico.  Il Concilio Vaticano II ha rimandato al primo millennio come a un luogo ecumenico privilegiato, da studiare in vista di una riarticolazione dell’unità. Il decreto sull’ecumenismo ha affermato: “Le Chiese di oriente e di occidente hanno seguito per molti secoli  una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la Sede Romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede e la disciplina” (UR, 14). Inoltre il Concilio ha esortato tutti coloro che si vogliono impegnare nel campo delle relazioni fra cattolici e ortodossi a tenere in debita considerazione la “speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d’oriente e d’occidente e la natura  delle relazioni vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione” (UR, 14).

E’ nell’ultimo secolo del primo millennio che ha vissuto S. Nilo fondando il monastero di Grottaferrata all’alba del secondo millennio (1004), unico monastero italo-greco sopravvissuto fino ad oggi e di cui stiamo commemorando appunto il millenario.

Può, un santo vissuto mille anni fa, dire qualcosa agli uomini del terzo millennio? Può un personaggio vissuto nella piena comunione tra le Chiese offrire qualche indicazione alla Chiesa locale,  ed anche alla Chiesa universale, per raddrizzare i viottoli della storia e ritrovare la via evangelica della piena unità?

 

1.      Vita secondo il Vangelo

 

Una Chiesa cattolica locale è ugualmente chiamata all’impegno ecumenico, anche se nel suo territorio vi sono poche occasioni di incontro o di scontro con fedeli di altre Chiese e Comunità ecclesiali. All’impegno ecumenico, con modalità diverse, è chiamato chiunque professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II è stato esplicito asserendo che “la cura di ristabilire  l’unione riguarda tutta la Chiesa sia i fedeli, sia i pastori, e ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno  quanto negli studi teologici e storici” (UR, 5). Dopo aver segnalato i vari modi di esercizio dell’impegno ecumenico (conversione del cuore, rinnovamento della Chiesa, preghiera, reciproca conoscenza, il dialogo, la formazione ecumenica,  la cooperazione), il decreto presenta questa regola aurea: “Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più  si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo” (UR, 7)[48].

Nelle prime pagine del Bios di S. Nilo troviamo delle indicazioni essenziali per la vita cristiana personale, per la vita della Chiesa e per la stessa ricerca dell’unità.

Leggiamo appunto in queste prime pagine del Bios:

“ Il giovanetto  - Nicola , questo è il nome di battesimo di San Nilo - aveva sortito dalla natura un’indole felice, perspicacia d’intelletto  e amabilità di modi e superava tutti i coetanei nell’apprendere, nel rispondere e nel leggere assiduamente le Sacre Scritture”… “Fin dalla più giovane età amava la lettura assidua della vita dei Santi Padri, di Antonio, Saba, Ilarione e degli altri, le cui immagini erano dipinte nella cattedrale e le leggeva con grande piacere e penetrazione” (Bios, 2)[49].

Emergono tre riferimenti essenziali: le Sacre Scritture, i Padri, le icone. Sono tre fonti determinanti per la formazione del cristiano in modo generale e, per la pedagogia bizantina, punti di riferimento imprescindibili. Si possono riassumere con un’altra formulazione, con quella di “Scrittura e Tradizione”, intendendo con tradizione il patrimonio apostolico trasmesso e continuamente interpretato e attualizzato dalla Chiesa .

Se possiamo considerare scontato il riferimento alla Scrittura, va segnalato come particolarmente importante quello ai Padri, che hanno di fatto formato il pensiero teologico e spirituale della Chiesa in Oriente e in Occidente. Il termine stesso di Padri ci rimanda alla generazione e formazione di nuove generazioni di credenti. Ci richiama anche al mantenimento vivo del principio dell’inculturazione del messaggio cristiano nella concretezza della storia per trasformarla in riflesso del Regno di Dio.

Il riferimento poi alle immagini dipinte nella cattedrale - che Nicola ammirava leggendo le vite dei santi - ci ricordano un luogo particolarmente sottolineato dalla visione spirituale delle Chiese d’Oriente anche oggi: l’iconografia. L’icona racchiude ed esprime la concezione bizantina della Chiesa come Regno realizzato e dell’uomo come persona trasfigurata, resa dalla grazia ad immagine di Dio, e fissata nella eternità della luce di gloria nel Regno.

Tutto questo era vissuto anche nella comunità ecclesiale. Il Bios ci racconta che Nicola “cantava le divine salmodie… con soavissima voce”, tanto da “ferire il cuore di nobili donzelle” (Bios, 3).

Tutti questi riferimenti, compreso il canto - l’innografia è una delle ricchezze proprie della tradizione bizantina - ci aiutano a comprendere una situazione ecclesiale viva, sorretta da una tradizione solida.

Per sé questi riferimenti: Scrittura, Padri, icone, canto, se li consideriamo bene, sono validi ed efficaci anche oggi per la formazione delle nuove generazioni. L’introduzione alla fede non è puramente teorica, ma comprende l’inserimento nella tradizione ecclesiale vivente che si è tramandata nel tempo; comprende pure la partecipazione all’assemblea dei fedeli dove si celebrano i sacramenti e in particolare l’Eucaristia.

Questo criterio è valido anche per l’ecumenismo. Il decreto sull’ecumenismo richiede che “bisogna conoscere l’animo dei fratelli separati…..I cattolici debitamente preparati devono acquistare una migliore conoscenza  della dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia religiosa e della cultura propria dei fratelli” (UR, 9). I riferimenti ritrovati nel Bios - la Lectio divina continua, lo studio dei Padri, la contemplazione delle icone, il canto liturgico - visti nel loro insieme e nella vita reale delle altre Chiese, in particolare delle Chiese d’oriente, sono un canale diretto verso una comprensione esistenziale di quelle Chiese con cui insieme vogliamo cercare la piena unità per celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore.

Se di fatti osserviamo il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, possiamo rilevare l’uso positivo che si fa di quei riferimenti: in particolare della Scrittura, dei Padri e della liturgia.Questo dialogo ufficialmente aperto[50] in occasione della visita di S.S. Giovanni Paolo II al Patriarcato Ecumenico (30 novembre 1979) attraverso una Commissione mista Internazionale, che comprende tutte le Chiese ortodosse, ha pubblicato quattro documenti:

1.      “Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera, giugno 1982);

2.      “Fede, Sacramenti e unità della Chiesa” (Bari, giugno 1987);

3.      “Il sacramento dell’ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, giugno 1988);

4.      “L’uniatismo, metodo di unione del passato e l’attuale ricerca per la piena unità”  (Balamand, Libano, 1993).

Esaminando questi documenti  si riscontra che gli argomenti usati per far riemergere la fede comune sono proprio il ricorso alla Scrittura, l’interpretazione dei Padri di oriente e di occidente, la Liturgia e i suoi testi, nella linea del principio della lex orandi-lex credendi[51].

Le indicazioni metodologiche del Bios, in questo punto, dopo un millennio mantengono la loro sostanziale validità anche per la conduzione del dialogo ecumenico, che non può usare la tecnica del compromesso, ma il criterio dell’unità nella verità. Se la Scrittura ci presenta il punto di riferimento inamovibile, quello ai Padri e alla liturgia, permette di constatare il cammino attraverso la storia e la possibilità di constatare la variabilità delle forme e la loro possibile complementarietà, e non necessariamente l’opposizione di tradizioni diverse[52].

 

E tutto questo ha una incidenza decisiva nella ricerca della piena unità e della comunione della fede nella varietà delle tradizioni ecclesiali.

 

2.      Varietà di tradizioni

 

San Nilo è un monaco bizantino, parla il greco e il latino, ha vissuto in solitudine come eremita e in vita cenobitica nei monasteri. Non soltanto in zone bizantine (Mercurion, 940-953 c.; S. Adriano, 953-978), ma a causa delle incursioni saracene emigrò nei principati dei Longobardi (Capua e Vallelucio, 979-994, Serperi, 994-1004), e quindi nei pressi di Roma, morendo nel monastero di S. Agata alle falde del Tuscolo il 26 settembre 1004[53]. Egli attraversa tutta l’Italia meridionale passando dalle zone bizantine a quelle latine. Siamo pertanto non soltanto di fronte,  ma nel seno di due tradizioni ecclesiali, bizantina e latina, che vivono l’una accanto all’altra nella piena comunione. Questa  realtà e il sentimento di comunione che ne consegue  è presente il tutto il Bios.

S. Nilo è apprezzato dalle autorità bizantine come dal metropolita di Reggio Teofilatto che gli fa visita (971) o dallo stratega di Calabria Basilio che gli vuole offrire una grande somma, che Nilo però devolve alla cattedrale di Rossano. E’ noto ed apprezzato  persino nella corte di Costantinopoli.

Lo stesso si constata  tra i Longobardi. Il principe Pandolfo di Capua vuole elevarlo alla sede arcivescovile. Viene ricevuto a Roma dal Papa Gregorio V e dall’imperatore Ottone III che lo conducono al Patriarchio lateranense. Ad essi egli chiede indulgenza per l’antipapa Giovanni XVI. Lo stesso imperatore fa visita a Nilo a Capua nell’anno 1000. Nel 1004, venuto a conoscenza che il duca di Gaeta aveva in animo di costruirgli un glorioso monumento sepolcrale, Nilo con Bartolomeo, con l’egumeno Paolo ed altri parte verso Roma.

In tutto questo peregrinare egli viene a contatto con uomini di governo, (con l’imperatore stesso, con principi, con duchi), con ecclesiastici (dal Papa ai monaci, ai laici, tutti latini). E’ impressionante la serenità di questi rapporti per quanto riguarda la fede. Essi si svolgono in una situazione di comunione  vissuta, data per scontata, mai messa in discussione.

Con i monaci di Montecassino si ha una illustrazione illuminante, che vale la pena ricordare. Neanche questa è una conversazione propriamente ecumenica, ma afferma un principio valido per l’ecumenismo odierno e futuro.

S. Nilo si era rifugiato (980) nel monastero di Vallelucio donatogli  dal Principe di Capua Pandolfo. Invitato dall’Abate di Montecassino S. Nilo con i suoi 60 monaci vi si reca in visita accolto con grande fraternità. I monaci di Montecassino  erano “vestiti tutti, sacerdoti e diaconi, degli abiti sacri, come nei giorni festivi con ceri ed incensieri….quasi fosse il grande Antonio venuto da Alessandria o il grande Benedetto, il Santo loro legislatore e maestro, quasi risorto dai morti” (Bios,73).

Alla fine l’Abate e i monaci latini pregarono Nilo e i suoi monaci bizantini a ritornare “per compiervi una sacra funzione in lingua greca (tē helladi fōnē)[54] nella loro chiesa, affinché - dicevano - “Dio sia tutto in tutte le cose” (Bios, 73).

All’inizio Nilo fu titubante e restio. Il Bios gli mette in bocca questo pensiero, che è una citazione del salmo 137(136): “Come cantare i canti del Signore in un paese straniero”? Ciò indica che egli ha chiaramente presente di vivere ed esprimere un’altra tradizione, che la tradizione dei cassinesi è diversa, che essi sono nel proprio paese e lui è in un altro paese.  Ma il Bios continua: “Nondimeno, a fin di consolarsi a vicenda nella comune fede e per glorificare il santissimo nome di Cristo, acconsentì a farlo. E come frutto delle sue labbra compose un canone in onore del nostro santo Padre Benedetto”. Pienamente cosciente di esprimere un’altra tradizione, afferma con chiarezza e vigore l’appartenenza alla “comune fede” (en tē allēlōn pistei) e lui, monaco bizantino, chiama Benedetto “nostro santo padre” (ton hòsion patèra ēmōn). Questa era la coscienza ecclesiale del tempo della piena comunione: unità nella fede, riconoscimento di padri comuni, varietà di tradizioni.

 

S. Nilo e la sua comunità risalirono a Montecassino (984). “Quivi per tutta la notte cantò l’ufficiatura con bellissima armonia nella Chiesa”.

Ne seguì una conversazione tra S. Nilo e “tutti quanti i monaci” cassinesi. Questi gli chiesero innanzitutto “qual è l’opera propria del monaco”. Nilo diede la risposta spesso commentata quando si vuole presentare il suo ideale monastico. “Il monaco è un angelo e l’opra sua propria è misericordia, pace e sacrificio di lode”.  Egli stesso fa una esegesi esplicativa della definizione con concreti riferimenti, che vale la pena rileggere: “Come i santi angeli, infatti, offrono incessantemente a Dio un sacrificio di lode, e fra loro, per vicendevole amore, si mantengono in pace, ed hanno misericordia ed aiutano gli uomini quali fratelli minori, così del pari, il vero monaco deve usare misericordia verso i fratelli a lui inferiori o ospiti, amare con spirito di pace i confratelli del suo stesso grado e non nutrire invidia verso coloro che gli sono preposti. Egli deve avere una fede sincera  e speranza verso Dio e verso il suo padre spirituale” (Bios, 74).  Poco più avanti egli precisa che il monaco “o sarà un angelo o un demonio” (Bios, 75).

 

La conversazione tocca vari argomenti  biblici e ascetici. Alla fine gli pongono una questione che riguarda direttamente il nostro assunto: la diversa prassi del digiuno osservata dai “greci” e dai “latini”. I greci non digiunano di sabato. San Nilo indica la soluzione:  nell’unità della fede la varietà di disciplina può essere legittima. Ricalcando il pensiero di San Paolo (Rom 14, 3-6)  egli dà una “compendiosa risposta”: “Colui che mangia non disprezzi colui che non mangia e colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio ha accolto l’uno e l’altro… Adunque, sia che noi mangiamo, sia che voi digiunate, tutto facciamo a gloria di Dio” (Bios, 76).

Nella domanda dei cassinesi c’era forse una punta di critica verso la prassi “greca”. San Nilo risponde direttamente: “Se voi – dice – ci rimproverate perché mangiamo il sabato, badate bene a non trovarvi in opposizione con i Santi Padri, e cioè con le colonne della Chiesa, Atanasio, Basilio, Gregorio, Giovanni Crisostomo e altri innumerevoli e con si Sacri Concili, i quali ciò che non praticavano neppure prescrissero”.

Emerge la distinzione tra “voi” e “noi”  con diverse prassi ascetiche. San Nilo accetta questa diversità “a gloria di Dio”. Ma, come si vede, giustifica con il ricorso ai Padri e agli stessi Concili, la legittimità della prassi della propria tradizione e lo fa anche ad personam citando un Padre occidentale aggiungendo: “Senza parlare poi di Ambrogio, vostro Dottore, di cui fu scritto che digiunava tutta la settimana, eccettuati il sabato e la domenica” (Bios, 77).

Il pensiero che soggiace all’intera risposta di S. Nilo è che “quanto si fa per Dio è buono” . Non vi  è un solo modo per esprimere l’amore verso Dio. La varietà delle tradizioni manifestano i vari modi di glorificare il Signore.

 

Questa prospettiva esistenziale di conoscenza e accettazione delle varie tradizioni di oriente ed occidente rimane valida per l’orientamento ecumenico e per una visione di piena unità nell’unica Chiesa di Cristo. In questo senso la vita ecclesiale vissuta nel primo millennio può ispirare la ricerca ecumenica.

 

3.      Incontri interreligiosi.

 

Nel Bios troviamo degli elementi che riguardano un altro tema, chiaramente distinto dall’ecumenismo, ma che interessa anche oggi la vita della Chiesa: i rapporti con gli ebrei e gli islamici. Questi rapporti Nilo li ha avuti nelle vicende quotidiane, senza cercarle di proposito per ragioni religiose o intellettuali. Incontrando i saraceni ha conversato su Dio e lo stesso ha fatto con il medico ebreo. Ne emergono tuttavia aspetti importanti e attuali, soprattutto nei nostri tempi in cui  la mobilità umana facilita il pluralismo culturale e religioso.

 

Per il rapporto con gli islamici riporto due episodi. Nicola-Nilo è in viaggio verso il monastero di S. Nazario che si trovava “in un principato straniero”, cioè non sottoposto al governo bizantino, perché il governatore bizantino aveva disposto che “quel chierico” non dovesse essere ammesso in alcun monastero. Lungo la via, in un bosco incontra un manipolo di saraceni “dalle facce nere, dagli occhi torbidi, dagli sguardi truci, rassomigliavano a tanti demoni”, racconta l’agiografo (Bios, 6). Uno di essi lo afferra e lo tiene fermo. Nilo non si scompone, “tranquillo…rispondeva” alle domande: chi egli fosse, donde venisse, dove andava. Conosciuto lo scopo dove Nilo andava, il saraceno lo vuole distogliere facendogli presente che non è bene, in così giovane età,  andare a “consumarsi nelle fatiche e nei travagli della vita monastica”.  E’ un fatto realmente accaduto? E’ una tentazione diabolica? In ogni modo Nilo conferma la sua intenzione e vocazione: “Io voglio servire Dio nella mia giovinezza, per essere da lui glorificato nella mia vecchiaia”. Il saraceno, “preso quasi da venerazione”, lo lasciò libero. Nilo riprese il viaggio. Allontanatosi un poco si rese conto del pericolo incorso. “Lo sorprese un gran timore e tremore”. Ad un certo punto si sentì inseguito e poi un grido “Fratello, fratello”. Era di fatti il saraceno che accortosi che il giovane non aveva bisaccia, gli portava “alcuni pani raffermi, ma assai mondi”. Nilo che non aveva capito, pensando di “essere afferrato quale preda….raccomandava l’anima sua a Dio”. Raggiuntolo il saraceno  gli disse, quasi per rimproverarlo: “Noi ci dispiacciamo per te perché non abbiamo nulla di meglio da offrire alla tua onorata persona, e tu, pensi di noi ciò che non conviene”. Gli offrì i pani: “Prendi - disse - questo piccolo soccorso, che Dio ti ha mandato e prosegui in pace il tuo cammino”. Nilo rimase stupefatto e lodò Iddio.

Si è in un periodo di incursioni. I saraceni sono invasori, i bizantini sono gli aggrediti, gli animi violenti e inquieti. Anche in questa anomala situazione avviene un contatto che va al di là di ogni calcolo. E’ un incontro profondo con un crescendo impressionante: violenza e paura iniziale, dialogo successivo, nascita di rispetto e, alla fine, di venerazione verso la vocazione religiosa di quel cristiano impaurito, insorgenza dello spirito religioso di solidarietà tanto da offrirgli il pane - la elemosina è uno degli obblighi di ogni musulmano -  e questo chiaramente in nome di Dio. Il saraceno è un credente in Dio. “Prendi questo piccolo soccorso che Dio ti ha mandato”, dice a Nilo. Infine emerge anche il rispetto della identità del cristiano. Il saraceno gli dice: “Prosegui in pace il tuo cammino”. E il suo cammino è verso il monastero cristiano.

Questo piccolo episodio è significativo. Contiene molti elementi validi per l’incontro interreligioso, che, superata la paura, nella reciproca lealtà e rispetto, non solo permette una umana convivenza pacifica, ma fa anche sorgere il riferimento a Dio.

Nel Bios troviamo un altro episodio di rapporti con gli islamici. Siamo sempre nel tempo in cui “gli empi (athéōn) saraceni facevano scorrerie nel tema di Calabria e depredavano ogni cosa”, scrive l’agiografo (Bios, 70). “Tre monaci che menavano vita idioritmica”  (idhiorytmōs) furono presi e portati schiavi in Sicilia.

Il Bios fa una descrizione che sembra presa dai giornali di questi giorni: “Il beato Padre (Nilo) ebbe subito il pensiero del loro riscatto e si affrettò a farne ricerca come membra sue proprie e riportarli al loro posto”. Vendette frumento, vino e altri generi e ne ricavò “cento monete d’oro”. Vi aggiunse un giumento offertogli per il caso dallo stratega bizantino di Calabria. Con una lettera di suo pugno, mandò un suo monaco dall’Emiro di Palermo che aveva come segretario “un ottimo e piissimo cristiano”. Questi presentò all’Emiro i doni e la lettera di S. Nilo. L’agiografo scrive: “Egli restò preso dalla sapienza e dalla prudenza del Beato, riconoscendolo per un grande amico di Dio” (epignous afton philon tou Theou onta) (Bios, 71). Liberò i tre monaci, restituì il denaro, offrì in più delle pelli, si tenne soltanto il giumento.

Anche da questo episodio emerge che la ragione ultima che cambia le relazioni è il riferimento a Dio. Anche nelle relazioni attuali possono contribuire fattori diversi di incontro (guerre, emigrazione, cooperazione sociale, rapimenti, ecc.), l’elemento determinante per il loro miglioramento è quello religioso. Se il rapporto religioso non funziona, ed è manipolato, si cade nel conflitto e nelle guerre di religione, o nei confitti di civiltà, come si dice talvolta.

 

Anche per il rapporto con gli ebrei abbiamo nel Bios un episodio significativo: un dialogo fra S. Nilo e il medico ebreo Domnolo “che egli conosceva sin dalla sua giovinezza” (Bios, 50). Questi ha fatto visita a Nilo e si è offerto di curarlo con una medicina adatta ai  suoi problemi di salute. “Così non avrai più a temere alcuna infermità”, gli disse. I due si conoscevano dalla loro infanzia ed erano in contatto. L’aiuto era naturale. Tuttavia Nilo teme che il medico, tra l’altro, abbia l’intenzione di usare il caso come promozione dei suoi farmaci, ai quali Nilo forse non credeva troppo.

Egli trasferisce la conversazione in un piano diverso. Risponde così all’ebreo: “Uno dei vostri ebrei ci dice: Meglio è confidare nel Signore che nell’uomo. Noi confidando nel nostro medico Dio e Signore nostro Gesù Cristo, non abbiamo bisogno alcuno dei tuoi farmaci” (Bios, 50). 

 

E’ utile mettere in rilievo qualche elemento di questa risposta: San Nilo si riferisce alla Bibbia, il libro degli ebrei, che i cristiani hanno accolto come parola di Dio; nel caso presente si riferisce al Salmo 118(117) vv. 8-9. San Nilo ribadisce: “Uno dei vostri ebrei ci dice”.  Instaura il dialogo partendo da uno dei vostri. Come per dire: quello che vi sto dicendo lo dite voi stessi. Inoltre questo vostro ebreo “ci dice” si rivolge a noi: a voi e a noi, a voi ebrei e a noi cristiani. Abbiamo quindi la Bibbia come fonte del rapporto fra cristiani ed ebrei.

Riferendo il versetto del salmo in cui si proclama che è meglio confidare nel Signore che nell’uomo, Nilo aggiunge una dichiarazione che esprime l’identità cristiana: noi confidiamo nel nostro medico Gesù Cristo, che è Dio e Signore.

Di fronte all’ebreo che non vede in Gesù Cristo il Figlio di Dio fatto uomo, Nilo lo confessa come Signore e Dio. Tommaso davanti al Risorto confessò: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20, 28).

Anche in questo episodio abbiamo delle indicazioni dialogiche interessanti.

Si parte da un argomento contingente, si arriva a parlare di Dio, di ciò che abbiamo in comune, e infine di ciò che non solo distingue, ma separa. Il dialogo deve prendere conoscenza delle divergenze e discuterle.

 

A questo episodio è collegato immediatamente un secondo. Con il medico ebreo vi era un altro correligionario. Questi chiese a Nilo: “Parlaci un poco di Dio, perché siamo assai desiderosi di udire le tue parole” (Bios, 51). Parlare di Dio. Questo in fondo è il tema maggiore del dialogo fra cristiani ed ebrei.  Ma è un tema difficile. S. Nilo usa un paradosso: parlare di Dio è come ordinare “ad un fanciullo …di piegare fino a terra” un albero altissimo. Tuttavia - aggiunse Nilo - “se vuoi ascoltare qualche cosa di Dio prendi in mano i tuoi profeti assieme alla Legge, vieni con me all’eremo”. Dopo lunghi giorni di lettura, “allora interrogami  ed io ti risponderò”. “Che se ora ti parlassi di Dio io non farei che scrivere sull’acqua”. Parlare di Dio è arduo. Occorre precisione nel dire, concentrazione nell’ascoltare, intelligenza nel capire. Di fronte alla proposta di entrare nell’eremo di un monaco cristiano, all’ebreo sorgono tutti gli impedimenti della sua prassi religiosa. Precisa con chiarezza: “Non possiamo fare questo, perché noi saremmo scacciati dalla Sinagoga e saremmo lapidati dai nostri stessi”.

 

Questa risposta realistica è significativa per comprendere le difficoltà oggettive e i limiti entro cui si svolge il dialogo con gli ebrei.

 

Osservazioni conclusive

 

“Prospettive e contributo al dialogo ecumenico per la Chiesa locale a partire dal millenario niliano”. Su questo tema assegnatomi, dopo la breve presentazione di alcuni elementi tratti da Bios, vorrei formulare assieme a voi alcune prospettive di azione con implicazioni ecumeniche che tengano conto della concretezza locale.

 

a.      Formazione ecumenica.

 

Qualsiasi impegno ecumenico, come richiesto per la Chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II e specificato  dal Direttorio Ecumenico[55], richiede una solida formazione a partire dal dato prioritario: la conoscenza dei principi cattolici. Per impegnarsi in azioni ecumeniche, che implicano confronti sulla fede e la prassi ecclesiale, bisogna avere conoscenza e coscienza della propria identità.

Dal Bios, come abbiamo visto, ci proviene una indicazione essenziale. Per la formazione cristiana ed ecumenica è indispensabile fare riferimento fondamentale alla Sacra Scrittura. San Nilo, da giovane, usava fare la lectio divina con perseveranza. Qui a Rossano il Codex Purpureus dev’essere considerato un riferimento non soltanto storico, ma un appello spirituale permanente di tutti alla lettura della parola di Dio. In connessione viene in soccorso la grande tradizione: i Padri, tanto di oriente quanto di occidente, che hanno letto la Scrittura e di essa si sono nutriti. Nel Bios abbiano visto anche dei riferimenti ai Concili.  Nella formazione di S. Nilo si ricorda anche la sua meditazione sulle immagini, dipinte nella cattedrale. L’iconografia, a livello popolare, è un forte strumento di trasmissione e di formazione. E’ questo composito complesso di fattori, che fa progredire nella conoscenza del mistero della Chiesa. L’apertura alla cattolicità della Chiesa è indispensabile per un’autentica formazione ecumenica.

 

b. La tradizione bizantina

 

Rossano è stato grande centro politico e religioso bizantino. I suoi monumenti  lo ricordano. E quello del Patirion evidenzia che la tradizione bizantina qui si è prolungata oltre il periodo di giurisdizione bizantina. Da Giovanni Paolo II in poi si usa parlare dei due polmoni della Chiesa: oriente ed occidente. In realtà si tratta di due interpretazioni del Vangelo e della tradizione della Chiesa, reciprocamente necessarie e complementari. Necessarie per una visione più adeguata del messaggio cristiano. Il mistero di Dio è inesprimibile nella sua pienezza. Le varie espressioni concorrono a farlo comprendere. E’ per questo che il decreto sull’ecumenismo ha sottolineato la complementarietà delle tradizioni: “Nell’indagare la verità rivelata, in oriente in occidente furono usati  metodi e cammini diversi  per giungere alla conoscenza e alla confessione  delle cose divine.  Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti  del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto  e posti in miglior luce  dall’uno che non dall’altro, così si può dire allora,  che quelle varie formule  teologiche, non di rado si completino, piuttosto che opporsi” (UR, 17). Più avanti il decreto riconosce che le autentiche tradizioni orientali  sono “radicate nella Sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica e dagli scritti dei Padri  e dagli scrittori ascetici  e tendono a una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana” (UR, 17).

Questa Chiesa locale, ricca della memoria storica della tradizione bizantina, oltre che averla presente nella sua azione pastorale, può offrire alla Chiesa italiana questa dimensione. La Calabria è chiamata a ricordare alla Chiesa in Italia la parte orientale della Chiesa di Cristo. Certamente non è sufficiente il ricordo teorico, ma occorre che sia incarnato nell’azione pastorale. Tanto il Diritto Canonico per la Chiesa latina (CJC) quanto quello per le Chiese orientali (CCEO) richiedono una attenzione pastorale per la presenza di comunità orientali in territori latini, anche creando particolari parrocchie a loro servizio. Per quanto riguarda le necessità dei membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali tanto i due Codici quanto il Direttorio ecumenico prevedono la possibilità e le modalità per offrire loro luoghi di culto.

Il contatto vitale sprigiona possibilità concrete di conoscenza, di reciproca osmosi  e di cooperazione. L’incontro di S. Nilo e dei suoi monaci con i benedettiti di Montecassino ha messo in rilievo la varietà e la complementarietà delle due tradizioni. D’altra parte il vostro “convegno niliano distribuito nel corso di un anno” opportunamente ha messo in rilievo l’arte e la spiritualità bizantina, il monachesimo e le liturgie italo-bizantine.

 

c.       Anamnesi del tempo della piena unità

 

Il millenario di S. Nilo costituisce l’anamnesi del tempo della piena comunione tra oriente e occidente. San Nilo è vissuto nel tempo della piena comunione tra oriente e occidente. Un episodio editoriale mette in rilievo le implicazioni ecumeniche. Il Bios di San Nilo di recente è stato tradotto in neogreco da una comunità monastica ortodossa di Grecia. Dal prologo alla nuova edizione apprendiamo che il Bios viene letto nelle riunioni del monastero di Simons Petras sull’Athos. Il testo è di edificazione per cattolici e ortodossi[56].

 

 Per la ricerca della piena unità, il tempo vissuto insieme dai cristiani di oriente e di occidente,   è un tempo di grazia. Non solo mostra che la piena unità è storicamente possibile, ma offre anche l’opportunità di indagare le modalità in cui la piena unità è stata vissuta. Certamente la piena unità da ristabilire non potrà ripetere  gli stessi modelli, ma sicuramente lo studio dell’articolazione dell’unità vissuta può offrire un proprio contributo creativo.

L’enciclica di Giovanni Paolo II sull’impegno ecumenico lo ha esplicitamente affermato: “Le strutture della Chiesa in oriente e in occidente si formavano in riferimento al patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si mantenevano in quelle stesse strutture, mediante i vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo…di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci” (UUS, 55).

 

d.      Santità di vita ed ecumenismo

 

L’ultima riflessione. Non dobbiamo dimenticarci che l’occasione è appunto la figura di S. Nilo. Si parla spesso dei contorni storici e culturali dimenticando che la vera eredità niliana di queste riflessioni  è la sua santità. Dimensione veramente essenziale tanto a livello culturale quanto ecumenico. Si osserva spesso – e correttamente – che la divisione è causata dal peccato presente tra i cristiani, più che da singoli errori storici. La sua continuazione è mantenuta dal peccato. Il Concilio Vaticano II è stato categorico. Nel proemio stesso afferma: “La divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima  causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (UR, 1).

Di converso il decreto parlando della conversione del cuore come dimensione essenziale per la ricerca ecumenica ha asserito (UR, 8): “La santità di vita insieme per le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico”.

Il millenario di S. Nilo mostra come l’aderenza al Vangelo, tanto nelle forme ecclesiali  orientali quanto in quelle occidentali, è la vera via all’unità. 

L’iniziativa dell’arcidiocesi di Rossano di commemorare lungo un intero anno il millenario di S. Nilo è stata più che opportuna. Un modo storico-teologico di individuare la propia via che porta al Regno di Dio. Vi ringrazio ancora una volta per avermi dato la possibilità di prendere parte anch’io (Besa/Roma).

 

ROSSANO

I FIORETTI DI S.NILO

 

Per l’anno giubilare di S. Nilo (1004-2004) Mons. Luigi Renzo, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Rossano, ha curato, con gusto per la scelta e con accuratezza redazionale, 55 episodi della vita di S. Nilo, presentati come “I Fioretti di S. Nilo di Rossano, con altri scritti sul Santo, Grafosud, 2004, pp.197, E.12).

Così l’autore presenta l’intento: dagli episodi significativi scelti  il santo “esce umanamente più accostabile e in un certo senso più amabile anche nei passi difficili e nei momenti apparentemente duri  ed intrattabili del suo comportamento”  (p. 13).

Con questo metodo l’autore ha presentato la vita di S. Nilo, in modo da farla conoscere più facilmente, a causa della difficoltà di trovare in diffusione popolare il Bios-Vita, che pure è un capolavoto dell’agiografia italo-greca.

In una seconda parte (pp. 83-104) vengono presentati degli inni di S.Bartolomeo, di Paolo monaco e di Giovanni Rossanese.

Nella terza parte (pp.105-161) i seguenti studi dell’autore:

·        L’ideale monastico di S. Nilo nel contesto della regione del Mercurion;

·        Nilo di Rossano scrittore e poeta;

·        La prima traduzione in latino del “Bios” di S. Nilo curata dal cardinale Guglielmo Sirleto nel secolo XVI.

·        Si include anche un “Poemetto a S. Nilo nel millennio della morte” .

Un’ampia bibliografia ragionata su S. Nilo, assieme a diversi indici, completano la pubblicazione (Besa/Roma).

 

ROSSANO

“ARBËRESHË A ROSSANO”

 

Il 18 giugno è stata ufficialmente inaugurata l’Associazione degli Arbëreshë di Rossano e dintorni con sede in via Amerigo Vespucci 27-87068 Rossano Scalo. L’Associazione si propone di “promuovere e favorire gli studi di storia degli Albanesi d’Italia, di valorizzare la lingua, il patrimonio artistico e letterario, il rito religioso, le tradizioni e il costume popolare”. Ne è presidente il Dr. Giulio Bruno Baffa e segretario il prof. Valerio Capparelli.

Per l’occasione il vescovo di Lungro S.E. Mons. Ercole Lupinacci ha celebrato alle ore 18 in rito greco la Divina Liturgia che per  i fedeli di rito bizantino della zona verrà celebrata una volta al mese nella Parrocchia “Maria Madre della Chiesa” (Besa/Roma).

 

PLATACI : FESTIVAL

PICCOLI CANTORI ARBËRESHË

 

E’ stato indetto il Primo Festival per piccoli cantori arbëreshë (bambini fino a 12 anni).

Le iscrizioni vanno presentate entro il 5 luglio al Comune di Plataci. Il festival si terrà nei giorni 18-19 agosto a Plataci.  Il primo premio sarà di 500 euro.

Le canzoni devono essere inedite e in lingua albanese.

 

E’ una iniziativa intelligente per promuovere la creatività in lingua albanese (Besa/Roma).

ROSSANO

CATALOGO BIBLIOGRAFICO SU S. NILO

 

A cura di Salvatore Bugliaro  per il Club del Libro della Sibaritide  e per il Comitato “Rossano per S. Nilo” è stato pubblicato un nutrito catalogo bibliografico (Per conoscere San Nilo, Grafosud, 2005). Il catalogo riporta 800 titoli  “alcuni dei quali rari e preziosi” editi entro il 2004. Comprende le seguenti sezioni sezioni:

·        Monografie su S. Nilo;

·        Relazioni, articoli, discorsi;

·        Studi intorno a S. Nilo e citazioni;

Uno strumento utile per avviarsi a studiare il tempo di S. Nilo, il contesto storico-geografico, la sua vicenda storica e il suo Bios (Besa/Roma).

 

ROMA

EVANGELIARIO BIZANTINO IN ITALIANO

 

Martedì 28 giugno2005, nella chiesa di S. Atanasio a Roma, è stata presentata l’edizione italiana dell’Evangeliario Bizantino, curata dal diacono Prof. Luigi Fioriti per l’eparchia di Lungro. Dopo un saluto di accoglienza dell’Archim. Eleuterio F. Fortino, ha avuto luogo il rito di intronizzazione del Vangelo da parte del vescovo di Lungro S.E. Mons. Lupinacci, durante una breve akolouthia, presieduta dal rettore del Collegio Greco. Sono seguiti tre interventi sull’Evangeliario nel culto (p. Robert Taft, p. Silvano Maggiani e S.E. Mons. Domenico Sorrentino). Il Presidente della Regione Calabria on. Agazio Loiero  ha salutato l’assemblea. S.B. Ignazio Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, da cui dipende la Chiesa di S. Atanasio, ha rivolto il seguente indirizzo:

 

Grazia e pace dal Signore a tutti! Vi saluto con profonda gioia e sono veramente lieto di essere qui  per la felice circostanza della intronizzazione del nuovo Evangeliario Bizantino.

La storica chiesa che ci accoglie è dedicata a S. Atanasio il Grande ed è stata fondata da Papa Gregorio XIII nel 1583. E’ unita all’omonimo Collegio Greco, l’istituzione benemerita per la formazione culturale e spirituale dei candidati agli ordini sacri provenienti da varie Chiese di tradizione bizantina. Questa Chiesa è frequentata dagli italo-albanesi di rito greco residenti a Roma e provenienti dalla Calabria e dalla Sicilia. Qui si celebra la Divina Liturgia Eucaristica e vengono amministrati i Santi Sacramenti. In ciascuna celebrazione viene proclamata la Parola di Dio. Era doveroso, pertanto, che la presentazione del nuovo Evangeliario avvenisse nello spazio ecclesiale che gli è connaturale. L'Evangeliario, infatti, è il Libro per la proclamazione liturgica dell’Evangelo.

Da tempo nelle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d'Italia la proclamazione della Parola di Dio avviene in italiano o in albanese. Ciò corrisponde agli intenti di coinvolgimento attivo e fruttuoso dell’assemblea liturgica prospettato dal Concilio Vaticano II, di cui ricordiamo nel corrente anno il quarantesimo della conclusione.

L’eparchia di Lungro, grazie alla sollecitudine del suo vescovo e alla dedizione del diacono Luigi Fioriti, ha voluto pubblicare l'Evangeliario in lingua italiana, prendendo come base il testo autorizzato dalla Santa Sede fin dal 1880. La traduzione usata è quella della Conferenza Episcopale Italiana. E in ciò vedo la lodevole volontà di camminare in comunione ecclesiale con i fratelli di tradizione latina di questa Nazione.

L'iniziativa è in piena sintonia con le prospettive del II Sinodo Intereparchiale, il cui tema, non senza giusta motivazione, era stato: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”. Certamente si ricorderà l’esortazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, il Quale, nell'udienza concessa ai membri sinodali l’11 gennaio 2005, ha messo in  grande rilievo l'importanza catechetica e mistagogica della comprensione dei riti e dei testi pronunciati durante le celebrazioni. “Giustamente - egli ha detto - voi li fate risuonare in modo comprensibile nelle lingue del nostro tempo”.

Fu l'ultima udienza con gli Orientali Cattolici; e questa sera parteciperò con orante gratitudine, anche a nome di tutti gli orientali, all’inizio dell'inchiesta diocesana in vista della Sua beatificazione e canonizzazione, che avrà luogo a San Giovanni in Laterano.

Mi felicito con gli ideatori e i sostenitori di questa eccellente pubblicazione e li ringrazio di tutto cuore. Ringrazio in modo speciale il Presidente della Regione Calabria, che ha assicurato l’indispensabile apporto economico, mostrando di volere coltivare in quella illustre Regione, che ho avuto l'onore di visitare due volte, una antica e nobile prerogativa, quella della rispettosa convivenza di varie tradizioni religiose e culturali. Di questa sensibilità ha sommamente bisogno il tempo presente!

Cari amici, avete voluto presentare a Roma il nuovo Evangeliario. E nella vigilia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Il legame con la Sede Romana distingue l'identità degli orientali cattolici, come elemento inscindibile dal patrimonio spirituale ricevuto dai padri.

Ai Santi Apostoli presentiamo la nostra invocazione per il Papa Benedetto XVI. Egli come successore di Pietro è il primo responsabile nella Chiesa della comunione e dell’annuncio dell'Evangelo, e il primo garante della salvaguardia e del progresso delle tradizioni ecclesiali che arricchiscono l'unità e la cattolicità della Chiesa.

A tutti assicuro il mio riconoscente ricordo, anche nella preghiera al Signore. Grazie” (Besa/Roma).



Teologia quotidiana

59

HESYCHIA (2) – SOTTO LA PROVVIDENZA DI DIO PADRE

 

I giorni dell’uomo sono attraversati da corrodenti problemi esistenziali, economici, sociali, morali. L’inquietudine caratterizza la vicenda umana e non senza ragioni oggettive esterne e interne. Non di rado il rimorso per azioni compiute imprigiona l’anima nella tristezza o nella disperazione. L’uomo sperimenta la sua inadeguatezza  a raggiungere le sue aspirazioni  e tanto più le esigenze evangeliche, che pure spesso accetta intellettualmente. E se cade nell’abulia il suo stato peggiora. L’hesychìa, la tranquillità dell’anima e del corpo, non ha nulla a che fare con questi stati d’animo. E’ l’esatto contrario. Ma è attraversando proprio queste situazioni e superandole che l’uomo può raggiungerela. La serenità è il frutto di una lotta vinta e si sorregge, comunque, su un radicale rapporto fiduciale con Dio. “L’anima soltanto dopo che ha ucciso le fiere sospira il suo Signore come la cerva che ha ingoiato il serpente” (Giovanni Climaco, La scala del paradiso, PG 88, 1156B- 1157B).

Nell’insegnamento del Vangelo la fiducia nell’amore permanente di Dio Padre domina la visione religiosa. L’amore di Dio Padre si estende sull’umanità intera e sul singolo credente. Egli attende e accoglie il figlio prodigo al suo ritorno. Lo abbraccia e fa festa. Probabilmente è proprio per la certezza di questo amore che il figlio della parabola trova la forza di “rientrare in se stesso” e dire “mi leverò e tornerò dal padre mio” (Lc 15,18), pacificandosi così con il padre e con se stesso. Solo così ritrova la tranquillità dell’anima. La fede in Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), è la sorgente del perdono e della pacificazione del cuore. Si trovano qui le radici dell’hesychia del credente.

Ai suoi discepoli insegnando la vera pratica religiosa egli indica loro un rapporto interiore senza esibizionismi. “Non siate simili agli ipocriti che amano stare ritti nelle sinagoghe ….per essere visti dagli uomini”. “Prega il Padre tuo nel segreto e, il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà”  (Mt 6, 6).

Nella preghiera insegnata ai discepoi Gesù stesso, dopo le azioni di lode a Dio (“Sia santificato il tuo nome”), propone domande di soccoro materiale (“Dacci il nostro pane quotidiano”) e spirituale (“Rimetti a noi i nostri debiti”) e di garanzia  nei confronti del male (“Non farci cadere nella tentazione, ma liberaci dal Maligno”), fa esprimere la radicale fiducia che determina il più profondo stato di animo del vero credente: “Sia fatta la tua volontà “, “Venga il tuo Regno” (Mt 6, 9 -13). La preghiera del “Padre nostro” stende sulla comunità credente il manto di Dio, la sua protezione, la sua provvidenza, che si accorge dei bisogni prima che glieli si facciano presente. L’uomo è protetto nella tenda di Dio. Ma le due domande, prese insieme, vogliono dire che la realizzazione della volontà di Dio avviene con il suo regno. E hanno un significato universale. Si chiede che si realizzi il piano di Dio  quando Dio sarà tutto in  tutti.  Si domanda che tutti finalmente accolgano il suo Vangelo e pongano la propria fiducia in Dio. E ciò non nei tempi escatologici, ma già da oggi e dapertutto “come in cielo così in terra”. S. Giovanni Crisostomo interpreta e commenta: “Niente impedisce, per il fatto di abitare la terra, di raggiungere la perfezione delle potenze celesti. E’ possibile, pur vivendo qui, fare tutto come se si fosse già lassù” (Omelie sul Vangelo di Matteo 19, 5).

Ci sono avversità? Malattie, sofferenze, dolori? C’è la morte? Il credente china il capo e nel suo cuore, facendosi violenza,  ripete: “Padre, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volonta” (Mt 27, 42). E’ nella prova che si rafforza la direzione giusta della mente e la resitenza del cuore. Mantenere solida l’hesychia in queste circostanze è la prova della sua verità, è un atto di fede pieno.

S. Massimo Confessore commentando lo stesso versetto nell’opera  “Sul Padre Nostro” cita questo detto di Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me  che sono mite e umile di cuore e trovere riposo per le vostre anime” (Mt 11,29). Egli spiega: “definisce il termine  “riposo”  la forza del regno divino che procura a chi ne è degno una sovranità libera da ogni schiavitù”.

E’ nella linea di questo “riposo”, “ristoro”, che si situa nella raggiunta serenità di spirito, la tranquillità dell’animo.

L’hesychia significa innazitutto la pace con Dio, frutto della riconciliazione realizzata con la conversione del cuore, con l’abbandono in Dio, avendo fiducia filiale sicuri della provvidenza previggente del Padre che ama i suoi figli. L’hesychia si esprime anche nel rapporto con gli altri, caratterizzato da mitezza, da umiltà e da benevolenza, sicuri che su tutti si estende il perdono e l’assistenza del Padre comune il quale invita ad avere e praticare gli stessi atteggiamenti (Besa/Roma)

 

Roma, 10 luglio 2005

 

 

 

 

 

del circolo di cultura italo-albanese di roma

 

Circolare giugno 2005                                                                                                                        175/2005

Sommario

 

I detti di Gesù (33): “Ogni albero buono produce frutti buoni”............................................. 1

ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano.................................................................................. 2

LUNGRO: Presentazione di S.E. Mons. Ercole Lupinacci......................................................... 2

CATANZARO: Presentazione del Presidente della Regione ..................................................... 3

LONDRA: Istruzioni per gli ortodossi....................................................................................... 4

ROMA: Matrimoni misti........................................................................................................... 6

GROTTAFERRATA: Nuova serie del Bollettino...................................................................... 8

ROSSANO: III Incontro ecumenico calabrese......................................................................... 9

PLATACI: E’ morto papàs Chidichimo protopresbitero............................................................ 9

MEZZOIUSO: Madre Macrina fondatrice delle Suore Basiliane............................................... 9

EJANINA: Musica bizantina per l’intero anno liturgico.............................................................. 9

ROMA: Questa è la nostra fede ............................................................................................ 10

ROMA: Hesychia - Tranquillità dell’anima e del corpo: nella “Scala”....................................... 11

 

Tà lòghia - I detti di Gesù (33): “Ogni albero buono produce frutti buoni”

 

Gesù per formare i suoi discepoli usa esempi della vita quotidiana e tratti dall’esperienza comune. Un giorno disse: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35). Si percepisce la  gioia  per il positivo esito del lavoro dell’agricoltore. E’ il tempo della raccolta. Chi non ha visto i contadini dei nostri paesi felici nel mietere il grano tra canti di gioia? Il grano a suo tempo era stato seminato. Le piantine appena cresciute erano state liberate dalle erbacce. Il grano, la pianta buona, ha prodotto il grano per il pane.

Più generalmente Gesù insegna: “Ogni albero buono (agathòn) produce buoni (kaloùs) frutti” (Mt 7,17) . Di converso: “Ogni albero cattivo (sapròn) produce frutti cattivi  (poniroùs)”. Per convincerli li interpella nella loro esperienza: “Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi?” (Mt 7,16).

Non solo è così, ma deve essere così, secondo natura. E se così non avviene quella pianta sarà distrutta. “Ogni albero che non porta frutti buoni viene tagliato e gettato al fuoco” (Mt 7, 19).

Fin qui i discepoli possono facilmente capire che essi stessi devono portare frutti buoni.  Ad un certo punto però Gesù  fa e dice qualcosa di paradossale, che va al di là  del loro ragionamento. Egli esige, per sé,  frutti in ogni tempo ed anche contro tempo. Un giorno ebbe fame, vide un fico, vi si accostò, ma non trovò che foglie. D’improvviso disse: “Non nasca più frutto da te” (Mt 21,19). E subito quel fico seccò. Cosa ciò può significare per i suoi discepoli? Ne chiedono spiegazione.  “Se avrete fede e non dubiterete - risponde loro Gesù - non solo potete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: levati di lì e gettati in mare, ciò avverrà” (Mt 21,21). A chi crede nulla è impossibile.

Il cristiano è diventato albero buono, per  essere stato innestato (symphitos) in Gesù Cristo (Rom 6,5). Dovrà produrre buoni frutti. San Paolo (Gal 5,22) ne enumera alcuni: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. E sintetizza (Gal 5, 22): “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne  con le sue passioni e i suoi desideri”. Hanno liberato il proprio “campo” dalle erbacce e  producono frutti di santità ad immagine di Cristo stesso (Besa/Roma)

 

 

 

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ROMA

 

EVANGELIARIO BIZANTINO

IN ITALIANO

 

L’Evangeliario liturgico della Chiesa bizantina è stato pubblicato in lingua italiana, in accurata edizione per l’Altare.

L’uso delle Eparchie bizantine cattoliche in Italia aveva fino ad oggi sull’altare il grande Evangeliario greco di Roma del 1880, mentre per la lettura in italiano si adoperava una edizione con pericopi fotocopiate. Ciò lasciava molto a desiderare circa la dignità che questo Libro Sacro ha sempre avuto nella considerazione bizantina, che gli attribuisce l’onore e il posto di Cristo nell’Assemblea celebrante.

L’Eparchia di Lungro, nella persona del suo vescovo, ha preso l’iniziativa di chiedere alla regione Calabria, la sponsorizzazione della pubblicazione delle Evangeliario in italiano. Il presidente Giuseppe Chiaravallotti ha aderito positivamente.

La nuova pubblicazione (Roma 2005) ha come titolo Divino e Sacro Evangelo. La sua struttura segue l’edizione dell’Evangeliario di Roma del 1880. Per farne uno strumento agevole all’uso, si sono tolte alcune parti che appartenevano più alla tradizione storica del testo che a quella pratica legata alla pastorale.

E’ costituito da 248 pagine in pregevole carta avorio, con all’interno sei tavole bicolore che dividono le parti tradizionali del Vangelo.

Il volume comprende le pericopi che si leggono nel corso dell’anno liturgico nell’ordine tradizionale seguente:

10.  Evangelo secondo Giovanni con inizio dalla Domenica di Pasqua.

11.  Evangelo secondo Matteo con inizio dalla prima settimana dopo Pentecoste.

12.  Evangelo secondo Luca con inizio dal lunedì dopo la prima domenica dell’Esaltazione della Croce.

13.  Evangelo secondo Marco.

14.  Evangeli della Santa e Grande Settimana.

15.  Evangeli della Resurrezione per il  Mattutino.

16.  Evangeli delle Feste fisse dell’anno e di quelle dei Santi di ogni giorno, durante i mesi dell’anno (Minea).

17.  Evangeli per diverse circostanze.

18.  L’indice dei Santi Evangeli da leggere nel corso dell’anno.

 

 Nei Minea sono stati aggiunti i due grandi santi italo -greci calabresi: S. Nilo e S. Bartolomeo di Rossano,  presenti nell’Imerologhion di Lungro.

Alla pagina 231 si  mette in rilievo una parte aggiunta all’edizione di Roma che, per facilitarne l’uso nella liturgia, riporta le pericopi evangeliche specifiche per alcune circostanze (benedizione dell’acqua, funerale di un bambino, inno akathistos ecc.).

In alto a destra di ciascuna pericope si trova un numero in rosso che serve ad identificare e ricostruire i testi evangelici nel loro aspetto storico tradizionale.

Si è particolarmente curata la grafica per renderla agevole alla lettura e, per comodità, si è riportata per intero l’intestazione in ogni singola pericope.

La lettera iniziale e le rubriche sono state scritte in colore rosso.

L’edizione è stata curata lodevolmente dal diacono prof. Luigi Fioriti (Besa/Roma).   

 

LUNGRO: PRESENTAZIONE

DI S.E. MONS. ERCOLE  LUPINACCI

 

Il vescovo di Lungro S.E. Mons. Lupinacci  ha redatto la seguente presentazione della traduzione dell’Evangeliario bizantino curata dal diacono  Luigi Fioriti:

 

"Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola di verità, l'evangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria" (Ef. 1,1.13-14).

Con questi stessi sentimenti di benedizione e grande gioia mi rivolgo a voi, per presentare un'opera che non è frutto delle mani dell'uomo ma viene direttamente dalla divina rivelazione dello Spirito che fa risuonare nelle Chiese la parola del Verbo incarnato per radunare, istruire, nutrire e dare pienezza ad ogni aspirazione alla salvezza.

"L'Evangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo"  (Gal. 1,11).

Ecco dunque che vengo a presentare una edizione del Divino e Sacro Evangelo che la nostra Eparchia ha curato, usufruendo della sensibilità storico-culturale della Giunta della Regione Calabria, presieduta dall'on. Giuseppe Chiaravalloti, che ha messo a disposizione i fondi per realizzarlo.

La nostra terra, così ricca di testimonianze di cultura e di valori, di varie minoranze linguistiche che ancora la popolano, non lascia nulla di intentato per salvaguardare ed incrementare ciò che è suo specifico patrimonio e che oggi assume valore europeo, per la comune identità spirituale e liturgica con l'oriente cristiano.

 

Le dichiarazioni e decisioni della Assemblea Eparchiale di Lungro, al numero 9, forniscono indicazioni in proposito stabilendo di prendere, "dove non differisce dall'uso liturgico", la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana.

 

L'edizione che pertanto si propone, è del tutto conforme a quella del Divino e Sacro Evangelo di Roma 1880, sia nella successione delle pericopi che nei criteri generali.

Trattandosi di un libro usuale, si è preferito il criterio dell'essenzialità e della praticità. In appendice sono stati aggiunti alcuni brani evangelici presi dal grande eucologio.

 

Nella liturgia bizantina l'Evangeliario si è sempre mantenuto vivo: ogni benedizione, processione, celebrazione; ogni annuncio solenne di salvezza non può avvenire senza di lui. Ogni Sinodo, Concilio, deve avere al centro il libro della Divina Parola.

 

È acclamato con il canto, incensato, portato in processione; con il libro dell'Evangelo si dà la benedizione ai fedeli. Molti si pongono alla sua ombra perché su di loro venga proclamata la guarigione, la remissione dei peccati e la grazia richiesta.

Nel suo significato simbolico è segno di una presenza: l'Evangelo è Cristo, che è vero nella sua Parola di salvezza annunciata e vero nell' icone della Parola scritta.

È il simbolo del Signore risorto che parla ancora oggi alla sua Chiesa.

Guardare all'Evangeliario mentre procede nella santa assemblea, è seguire il Signore della gloria, è contemplare la sua Parola prima ancora che risuoni nelle orecchie.

 

Presentando questa edizione dell'Evangelo credo di dare conformità al mandato che il Signore mi ha affidato come pastore e annunciatore della buona novella e di fornire un'opera che è destinata ad incidere profondamente nel tessuto stesso della Chiesa che ha, in questo libro, l'elemento più prezioso e normante.

 

Il Signore, amico degli uomini, faccia risplendere nei cuori la pura luce della sua divina conoscenza e apra gli occhi della mente all' intelligenza dei suoi insegnamenti evangelici (Div. Lit. Giov. Cris.) conceda agli annunciatori grande efficacia di predicazione, a tutti la rivelazione dell'Evangelo di giustizia perché sia da tutti glorificato l'onorabilissimo e magnifico nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

+Ercole Lupinacci

Lungro 27 febbraio 2005

Domenica III di Quaresima: Adorazione della preziosa e vivificante Croce (Besa/Roma).

 

CATANZARO: PRESENTAZIONE

DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE

 

L’on Giuseppe Chiaravallotti, Presidente della Regione Calabria  che ha finanziato la pubblicazione della traduzione dell’Evangeliario bizantino ha così indicato le ragioni culturali che hanno giustificato l’intervento della Regione:

 

Ho definito spesso la Calabria, con la consapevolezza di chi ama profondamente la propria terra, terra di frontiera; gli studiosi, storici ed antropologi in testa, l’hanno descritta quale nodo e snodo tra due diverse grandi culture, l'occidentale e l'orientale.

L'estremo lembo d'Italia e d'Europa è stato punto di contaminazione e di fusione secolare tra genti appartenenti a popoli diversi che hanno trovato accoglienza e stabile dimora senza dover dimenticare le proprie origini.

La complessità della cultura calabrese è più di un coacervo. Dallo stupefacente mosaico di tessere colorate ed intrise di storia, dall'età antica alla contemporanea, sono nate le "Calabrie", una denominazione rimasta in auge fino all'Unità d'Italia per la presenza di più dialetti, deformazione ed adattamento di più idiomi.

 

La Calabria è un territorio dove si parlava greco in evo moderno e ciò ha avuto un peso fondamentale nella crescita della cultura occidentale per la traduzione delle opere di Platone e Aristotele negli scriptoria di Cassiodoro, per la presenza di opere straordinarie, quale il codice purpureo di Rossano, per la continuità di tradizioni e di forme di religiosità diverse mantenute dalle genti che vi si sono trasferite e, per alcuni aspetti, fuse.

Il tempo e gli eventi non hanno sradicato né linguaggi, né tradizioni, quelle che, oggi, un "rinascimento" della Calabria - nella sua totalità - impone di approfondire intendendo l' antiquitas anche renovatio dello spirito delle genti calabre.

In tale contesto si colloca l'invito di Mons. Ercole Lupinacci, Vescovo dell'Eparchia di Lungro, a "leggere" uno dei tasselli centrali del nostro mosaico religioso e culturale, l'Evangeliario Bizantino.

Con la sensibilità che connota i grandi uomini, dediti alla cura dello spirito anche attraverso l'approfondimento culturale e la conoscenza quali mezzi per l' elevazione delle anime, Mons. Lupinacci ha inteso offrire, con il sostegno della Regione Calabria, ad un vasto pubblico un'opera che contribuisce a recuperare un aspetto delle identità culturali proprie delle "Calabrie".

L'invito, tra l'altro, è strettamente connesso a "riscoprire" una città che merita di essere fruita, per le innumerevoli stratificazioni storico-sociali, da studiosi e amanti della cultura e dell'arte: Lungro.

Sul sentiero che dalla Dalmazia conduce in Calabria, in territorio - allora di Altomonte - da un nucleo ungherese Ungarum, poi Ungrum, è nata Lungro, sede dell'Eparchia bizantina per gli italo-albanesi.

Le comunità albanesi insediatesi in Calabria nel XV secolo, benché sottoposte alla giurisdizione dei vescovi latini, avevano mantenuto - pur tra mille difficoltà - la propria spiritualità, la liturgia e gli ordinamenti della Chiesa di provenienza, fino all'istituzione da parte di Papa Benedetto XIV, nel 1919, dell'Eparchia di Lungro necessaria ad assicurare continuità rituale e cura pastorale ai bizantini d'Italia.

E da Lungro parte oggi l'esigenza di riannodare il filo storico di una religiosità "altra" legata a forme di "altra" arte.

Ogni confessione religiosa ha un suo modus particolare per manifestare e manifestarsi. Epifanie che dai padri passano ai figli e concentrano, spesso in un solo testo, poesia, musica, costumi.

Epifanie che il presente vuole rinnovare per rinnovarsi secondo i modelli che nella circolarità temporale implicano un tempo liturgico. Nel caso specifico quello della Chiesa Ortodossa.

L'edizione dell'Evangeliario - testo sacro della liturgia greco ortodossa - che, nel quadro delle iniziative legate alla rilettura ed alla valorizzazione del passato, la Regione Calabria patrocina, in lingua italiana, ha l'intento di gettare un ponte verso il mondo greco balcanico e tra i popoli dell'Europa.

Libro di significati simbolici, aperto da mani velate ad ogni celebrazione, processione, benedizione. Libro della Salvezza e della Sapienza, del divino evocato dal canto, di Cristo che parla attraverso il Diacono.

Un testo alla cui importanza e bellezza liturgica fa eco la preziosità di una fattura straordinaria, manifestazione anch'essa di una bellezza trascendentale che ha al suo centro il Verbo Divino.

Nell'Evangeliario è il Cristo risorto, in gloria, che si rivolge alla Sua Chiesa; è la celebrazione solenne del tempo divino secondo il succedersi del tempo umano che, riconducendo l'uno all'altro, avvia il processo salvifico insito nella parola di Cristo.

Non abbiamo esitato ad accogliere la proposta di Mons. Lupinacci che ringraziamo nella duplice veste di Pastore d'anime e fine cultore del "Bello", sinonimo - nel caso specifico - del "Buono" manifestazione del Divino.

 

La pubblicazione dell'Evangeliario significa per la Regione Calabria - anche - ripercorrere la storia alla ricerca di radici comuni e non tra le genti calabre; scoprire, in questo nostro tempo, corroso dagli eventi, sconvolto da affanni, una dimensione spirituale che, se appartiene ad una religiosità circoscritta a luoghi e memorie storiche "altre", legate per cultura e religiosità ad una parte della società, è tuttavia patrimonio di tutti gli uomini che credono in una dimensione che tra- scende il fugace ed il contingente.

 

Giuseppe Chiaravalloti

Catanzaro, 18 febbraio 2005 (Besa/Roma).

 

 

LONDRA

Istruzioni PER GLI ORTODOSSI

 

 

Ogni anno le varie diocesi ortodosse ricordano ai fedeli alcune delle istruzioni più elementari della vita della loro Chiesa. Riportiamo “dall’Imerologhion 2005” le “Istruzioni” date quest’anno dall’Arcidiocesi greco-ortododossa di Gran Bretagna:

 

Per i battesimi

 

1)      I battesimi possono aver luogo tutto l’anno, ad eccezione della Settimana Santa e del Natale (tranne i casi in cui viene concesso un permesso speciale);

2)      il certificato di nascita del bambino deve essere presentato il giorno del battesimo;

3)      il padrino dovrà essere un membro della Chiesa ortodossa, avere una buona reputazione ed essere consapevole degli obblighi e delle responsabilità del proprio ruolo.

 

Per i matrimoni

 

I matrimoni non sono permessi in chiesa:

a)      dal 12 dicembre a Natale;

b)      durante la Quaresima, ad eccezione della II, della IV e della V domenica successiva se viene concesso un permesso speciale;

c)      dal 1 al 15 agosto;

d)      il 5 e il 6 gennaio, salvo con licenza speciale;

e)      nella festa della Santa Croce (14 settembre);

f)        tra un membro della Chiesa ortodossa e un non cristiano, o con un membro di una confessione che non battezza nel nome della Santa Trinità.

 

Il testimone/ la testimone (koumbaros/a) deve essere membro della Chiesa ortodossa e avere una buona reputazione, poiché, secondo la tradizione, egli/ella sarà padrino/madrina del primo bambino della coppia.

 

Una persona non-ortodossa può fungere da testimone, ma non può partecipare attivamente alla cerimonia.

 

Conformemente alle leggi dell’Inghilterra e del Galles, la cerimonia di matrimonio civile dovrebbe aver luogo prima di quella religiosa.

1)      La coppia dovrà notificare all’ufficio locale di Stato Civile/Anagrafe la data in cui desidera contrarre matrimonio;

2)      dopo aver fissato una data per il matrimonio in chiesa, la coppia dovrà prendere appuntamento con il parroco. Durante tale incontro, i futuri sposi, in presenza di due testimoni, dovranno firmare una richiesta di licenza da parte dell’Arcivescovo, in cui dichiarino di non aver tra loro legami di parentela entro i gradi proibiti. Ognuno dovrà presentare un certificato rilasciato dalla Chiesa in cui è stato battezzato, in cui si dica che non ha contratto matrimonio.

 

·          Nel caso di un matrimonio misto, il membro non-ortodosso dovrà:

a)      presentare il suo certificato di battesimo;

b)      firmare una dichiarazione in cui afferma che i bambini nati dal matrimonio saranno battezzati ed educati nella fede ortodossa e secondo la tradizione ortodossa.

 

·          Nel caso di un secondo matrimonio, la persona dovrà:

·           presentare un atto di divorzio rilasciato dal tribunale civile se il matrimonio precedente è avvenuto soltanto presso l’ufficio di Stato Civile/Anagrafe e un certificato di divorzio rilasciato dal tribunale ecclesiastico se il matrimonio precedente è stato celebrato anche in una chiesa ortodossa.

 

·          Se il coniuge precedente è defunto, sarà sufficiente presentare un certificato di decesso.

 

Per i divorzi

 

Può essere concesso un divorzio ecclesiastico dopo che è stato rilasciato un decreto civile. Comunque, il parroco dovrà fare il possibile per riconciliare la coppia ed evitare un divorzio.

Nel caso in cui il parroco non riuscisse a riconciliare gli sposi, la parte che chiede il divorzio ecclesiastico dovrà inviare una petizione al tribunale ecclesiastico dell’ Arcidiocesi, in cui esporrà i motivi di tale azione. La petizione dovrà essere accompagnata da:

a)      l’atto di divorzio del divorzio civile;

b)      la copia/certificato del matrimonio ecclesiastico che deve essere sciolto;

c)      la tassa prestabilita dal tribunale ecclesiastico (Sterline, 150.00).

·          Nota statistica: negli anni 1989-2003 e fino all’ottobre 2004 ci sono state 1378 richieste di divorzio. La maggior parte dei richiedenti aveva meno di trentacinque anni. Le ragioni addotte erano mancanza di collaborazione e storie extra-coniugali.

 

Per i funerali

 

I parenti della persona defunta dovranno contattare il parroco locale ed accordarsi con lui sulla data e sugli altri dettagli del funerale.

 

Animata dall’affetto per i suoi figli scomparsi, la Chiesa ortodossa, fin dai primi tempi, ha adottato l’uso di seppellire i suoi morti (così come lo testimoniano le catacombe e le tombe dei martiri e dei santi). Pertanto la cremazione è contraria alla tradizione della nostra Chiesa ed è proibita ai cristiani ortodossi.

 

Nel caso in cui i familiari non possano andare contro gli ultimi desideri espressi dal defunto, il funerale potrà essere celebrato in chiesa; al termine della funzione i resti verranno consegnati ai parenti.

 

Per le celebrazioni commemorative

 

Queste sono preghiere speciali offerte dalla chiesa per il riposo dei defunti. Tali celebrazioni (mnimossina) hanno luogo il terzo, il nono e il quattordicesimo giorno dopo il decesso, così come per il terzo, il sesto ed il nono mese.

 

Dopodiché, viene osservata una celebrazione commemorativa ogni anno e quattro sabati sono dedicati alla commemorazione del defunto durante l’anno liturgico.

 

Le celebrazioni commemorative non possono aver luogo dal sabato di Lazzaro alla domenica dell’incredulità di Tommaso (inclusa); né possono tenersi nei santi giorni tra il Natale e l’Epifania, il giorno di Pentecoste, nei Santi Giorni del nostro Signore (Despotikai eortai) e nel giorno della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto).

 

Oltre a ciò, si raccomanda di evitarle nella festa titolare della chiesa e nelle principali feste del Nostro Signore e di Sua Madre.

 

Se fosse comunque necessario tenere una celebrazione commemorativa, essa dovrà aver luogo dopo il congedo dei fedeli nella Liturgia Divina e la distribuzione dell’Antidoron.

 

Regole per il digiuno religioso

 

1.      La vigilia dell’Epifania, il 5 gennaio, è giorno di digiuno.

2.      Non è prescritto nessun digiuno per la prima settimana del Triodion.

3.      Il digiuno è prescritto per il secondo mercoledì ed il secondo venerdì del Triodion.

4.      Pesce e prodotti caseari sono permessi durante l’ultima settimana prima della Grande Quaresima.

5.      Durante la Grande Quaresima, il pesce è permesso il giorno dell’Annunciazione (25 marzo) e la Domenica delle Palme.

6.      Non è prescritto nessun digiuno per la settimana di Pasqua (Diakainisimos o Settimana Luminosa).

7.      Non è prescritto nessun digiuno per la settimana successiva alla Domenica di Pentecoste.

8.      Il digiuno è prescritto durante la Quaresima degli Apostoli Pietro e Paolo, tranne che per la festa della Natività di S. Giovanni Battista (24 giugno), quando si può consumare pesce.

9.      Il digiuno è prescritto durante la Quaresima della Dormizione della Madre di Dio (1-14 agosto), tranne che nella festa della Trasfigurazione (6 agosto), quando si può consumare pesce.

10.  La Decapitazione del Battista (29 agosto) è giorno di digiuno.

11.  L’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre) è giorno di digiuno.

12.  Il digiuno è prescritto durante la Quaresima di Natale (15 novembre-24 dicembre).

13.  Nessun digiuno è prescritto per il periodo dal 25 dicembre al 6 gennaio, tranne che per il 5 gennaio (vedi n. 1).

14.  I mercoledì ed i venerdì (tranne quelli menzionati più sopra) sono giorni di digiuno. Olio e vino sono permessi tutti i sabati e le domeniche (tranne che il Grande Sabato, che è la vigilia di Pasqua). Se le feste della Natività della Madre di Dio (8 settembre), S. Filippo (14 novembre), la Sinassi di S. Giovanni Battista (7 gennaio), la Presentazione di Cristo (2 febbraio), Ss. Pietro e Paolo (29 giugno) e la Dormizione (15 agosto) cadono di mercoledì o venerdì, è permesso mangiare pesce, così come per le feste della Presentazione della Vergine (21 novembre) e l’Apodosis di Pasqua.

 

Santa Comunione e Confessione

 

È dovere di ogni cristiano partecipare alla Santa Comunione, poiché è tramite questo Sacramento che diventiamo una cosa sola con Cristo e gli uni con gli altri. Dovremmo partecipare regolarmente, se possibile ogni volta che è celebrata la Divina Liturgia (e non solo due o quattro volte all’anno), e digiunare dalla mezzanotte del giorno in cui riceviamo la Santa Comunione. Ricevere regolarmente la Santa Comunione è particolarmente benefico, anche se ciò deve essere sempre fatto nel rispetto del Sangue e del Corpo di Cristo.

Per partecipare degnamente al Sacramento dovremmo:

1.      avere una fede incrollabile in Cristo nostro Salvatore e nell’insegnamento della Chiesa ortodossa;

2.      andare in chiesa regolarmente e pregare regolarmente;

3.      purificare la coscienza da cattive azioni, dall’odio e dall’ingiustizia, perdonando dal profondo del cuore tutti coloro che ci hanno ferito; avere un atteggiamento pacifico e caritatevole anche verso coloro che ci sono nemici;

4.      fare una sincera confessione dei nostri peccati e delle nostre cattive azioni in presenza di un padre spirituale (un gerarca o presbitero nominato apposta per tale incarico).

 

È vietato ricevere la Santa Comunione senza previo permesso di un padre spirituale; idealmente, la Santa Comunione dovrebbe essere preceduta dalla Confessione, che è un secondo battesimo che purifica le macchie dell’anima e ripristina la relazione con Dio.

 

Naturalmente, la Santa Comunione può essere ricevuta soltanto da membri della Chiesa ortodossa (Besa/Roma).

 

ROMA

Matrimoni Misti

 

Tanto il Codice di Diritto Canonico latino (CJC, cann. 1124 -1128) quanto il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO, cann. 813 – 816) danno le norme delle Chiese Cattoliche  circa i matrimoni misti. Qui di seguito riportiamo i canoni del CCEO relativi al tema e le “Istruzioni per il dialogo pastorale con le coppie” date di recente  dalla Conferenza dei vescovi cattolici della Svizzera, Paese  in cui si celebra un gran numero di matrimoni misti.

 

 

1. Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

 

Can. 813 – Il matrimonio tra due persone battezzate, delle quali una è cattolica e l’altra invece acattolica, senza la previa licenza dell’autorità competente, è proibito.

 

Can. 814 – Può concedere la licenza per giusta causa il Gerarca del luogo; ma non la conceda se non sono adempiute le condizioni seguenti:

 

1° la parte cattolica dichiari di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e assicuri con una sincera promessa di fare quanto è in suo potere affinché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica;

2° di queste promesse che devono essere fatte dalla parte cattolica sia tempestivamente informata l’altra parte in modo che consti che essa è veramente consapevole della promessa e dell’obbligo della parte cattolica;

 

3° entrambi le parti siano istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio che non devono essere esclusi da nessuno dei due fidanzati.

 

Can. 815 – Per diritto particolare di ciascuna Chiesa sui iuris si stabilisca il modo con cui queste dichiarazioni e promesse, che sempre sono richieste, sono da farsi, e si determini il modo col quale consti di esse nel foro esterno e con cui la parte acattolica sia informata.

 

Can. 816 – I Gerarchi del luogo e gli altri pastori d’anime curino che non manchi al coniuge cattolico e ai figli nati dal matrimonio misto l’aiuto spirituale per adempiere i loro obblighi di coscienza e inoltre aiutino i coniugi a favorire l’unità del consorzio della vita coniugale e familiare.

 

 

2. Istruzioni di vescovi svizzeri per il dialogo pastorale con la coppia mista

 

Battesimo e educazione religiosa dei figli

 

In occasione della sua 267a assemblea ordinaria (Roma, 1-5 febbraio 2005), la Conferenza dei Vescovi svizzeri ha lavorato, tra l’altro, sull’ultima versione del foglio complementare da allegare ai documenti di matrimonio nel caso di matrimoni tra persone di confessioni diverse (matrimoni misti).

 

L’educazione rimane sempre il compito dei due genitori e nessuno dei coniugi può essere costretto ad agire contro la propria coscienza. Pertanto ognuno deve impegnarsi, nel rispetto della propria anima e della propria coscienza, a fare quanto è possibile in base alla situazione concreta nella quale si trova.

 

Scelta della confessione

 

I figli non possono essere educati al di fuori di un’appartenenza confessionale.

E’ quindi necessario, affinché la buona intesa coniugale non venga in seguito messa inutilmente in pericolo, che la scelta della confessione secondo la quale saranno educati i figli, sia oggetto di scambio e chiarimenti prima che il matrimonio venga contratto.

Questa decisione è senz’altro un diritto e un dovere dei genitori. Ogni cristiano convinto è chiamato a testimoniare la sua fede davanti al coniuge e ai propri figli. Questo significa che si deve preoccupare del battesimo e dell’educazione religiosa dei figli secondo le proprie convinzioni. Non può essere esente da questo dovere.

 

Il coniuge cattolico quindi può accettare che i figli ricevano il battesimo e l’educazione di una confessione non cattolica soltanto se, nonostante seri sforzi, l’educazione cattolica non può essere offerta.

 

Questo dovere contrasta con quello del coniuge e ciò richiede un’attenzione particolare. La decisione finale non deve compromettere la buona intesa nella coppia. Essa deve essere soppesata nel rispetto delle circostanze e deve tenere conto del bene dei figli stessi.

 

A questo proposito, si presume che il coniuge, la cui fede viene vissuta più profondamente e testimoniata in modo più chiaro, sarà maggiormente in grado di introdurre il proprio figlio ad una vita dettata dalla propria fede.

 

Tuttavia, presa una decisione, il coniuge che accetta che i figli ricevano il battesimo in un’altra confessione e siano educati secondo le regole di quest’ultima, prende pienamente parte all’educazione religiosa dei figli.

 

 

Doppia testimonianza

 

La testimonianza di fede dei coniugi è necessaria nell’educazione dei figli. Senza appianare nè nascondere le differenze confessionali, la vita familiare deve essere pregna della fede comune in Cristo e dell’amore fervente per Dio.

 

Se si decide che i figli saranno battezzati ed educati in un’altra confessione cristiana, il coniuge cattolico deve promettere tra l’altro:

 

§         di costruire la vita coniugale e familiare su un fondamento cristiano;

§         di incoraggiare e sostenere l’educazione religiosa dei propri figli;

§         di offrire ai figli un’idea positiva della fede cattolica attraverso una vita esemplare;

§         di approfondire la propria fede con una buona formazione religiosa per poter dialogare in modo fruttuoso con il coniuge e rispondere alle domande dei figli;

§         di riservare in famiglia un posto di riguardo alla preghiera, in particolare per ottenere la grazia dell’unità nella fede, conformemente al testamento di Gesù, “che tutti siano una cosa sola” (Besa/Roma).

 

GROTTAFERRTA

NUOVA SERIE DEL BOLLETTINO

 

Lo storico “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata” inizia la sua “Terza Serie” con il n. 1/2004, appena uscito dalla stampa, dopo  l’interruzione di qualche anno. Presenta un nuovo comitato scientifico e una nuova redazione. L’egumeno, p. Emiliano, firma la presentazione che riportiamo qui di seguito:

 

Al tramonto del 25 settembre 1004 insieme al calar del sole, come narra l'antico biografo, si compiva la lunga giornata terrena di Nilo di Rossano. La ricorrenza millenaria della morte di Nilo, e insieme della fondazione del monastero da lui voluto "per radunare tutti i fratelli ed i dispersi suoi figli”, costituisce per i monaci di Grottaferrata un'occasione particolarmente sentita per un rinnovato impegno di fedeltà alla vocazione monastica, alla tradizione criptense, ai compiti che lo Spirito propone oggi alle Chiese d'Oriente e d'Occidente. Fondato cinquant'anni prima del cosiddetto scisma del 1054 nel territorio metropolitano del patriarcato romano, il monastero tuscolano è sempre rimasto unito alla Sede apostolica pur mantenendo la propria tradizione liturgica bizantino-studita nel variare dei tempi e delle congiunture ecclesiali: tradizione conservata a prezzo di non piccole difficoltà e sinceramente, profondamente amata.

Tali caratteristiche fanno di Grottaferrata un unicum storico: non esistono, nella Chiesa cattolica, altri monasteri bizantini precedenti al 1054 (…).

 L'unicità storica diventa perciò l'indicazione di una precisa “diakonia” all'interno dell'attuale “kairòs” vissuto dalle Chiese: quella svolta a beneficio dell'incontro veppiù fraterno e cordiale fra cristiani cattolici e cristiani ortodossi, all'insegna di una meditazione approfondita della tradizione comune, in particolare quella monastica.

 

 Agli inizi del XX secolo, in un' epoca nella quale non era ancora maturata né diffusa una coscienza "ecumenica", il monastero di Grottaferrata intuì vie nuove di dialogo e ne promosse la realizzazione con la rivista “Roma e l'Oriente”.

 Nel nostro tempo, e dopo che tanto lavoro è stato svolto nel campo ecumenico, è convinzione sempre più condivisa che il cammino che conduce all'unità delle Chiese è un cammino che deve necessariamente passare attraverso una conoscenza reciproca solida, fondata sulla storia e ottenuta grazie ad una ricerca scientifica di alto livello nei diversi campi della vita ecclesiale.

I monaci cattolici ed ortodossi hanno fatto spesso e fanno sempre più la scoperta di seguire percorsi spirituali comuni e di poter rappresentare, nelle e per le Chiese, una possibilità di fraternità per così dire inevitabile, e certamente provvidenziale.

In questa ottica lo studio scientifico delle varie forme e dei vari aspetti della civiltà monastica bizantina ed in particolare italo-greca, nel lungo corso della sua storia, dall'Alto Medioevo ad oggi, si pone da sé come compito specifico del nostro "Bollettino", del quale, in concomitanza con l'inizio del secondo millennio di vita del cenobio criptense, ci sembra opportuno e significativo iniziare, con il presente numero, la terza serie. La vastità delle aree d'interesse legate all'argomento, d'altronde, era stata ben delineata nel 1947 dall'Archimandrita Isidoro. Tracciando le linee programmatiche del "Bollettino" nel primo numero della seconda serie, egli scriveva che esso avrebbe dovuto accogliere "preferibilmente studi e testi liturgici, storici, archeologici, ecc., italo-greci", e così continuava: "La redazione è formata dagli Jeromonaci addetti alla Biblioteca criptense, coadiuvati da insigni amici cultori di cose bizantine. Siamo grati a quanti vorranno collaborare con i loro studi a far meglio conoscere i non pochi tesori della Chiesa italo-greca rimasti ancora poco noti o addirittura nascosti" (BBGG 1 [1947], 3-4). Credo che queste righe non abbiano perduto nulla della loro attualità. Negli ultimi anni il "Bollettino" ha riservato la maggior parte del suo spazio, ed in maniera riconosciuta da tutti come eccellente, alla ricerca paleografica e codicologica riguardante i manoscritti di provenienza italo-greca. Di tale eccellenza va ringraziata l'assidua fatica dedicata al "Bollettino" dal suo Redattore, il prof. S. Lucà, la cui competenza e i cui interessi non hanno bisogno di presentazione, e che ringrazio in questa sede. Non permettendogli più i suoi numerosi impegni di continuare il suo prezioso lavoro al "Bollettino", ho ritenuto giusto riprendere anche per questo aspetto le indicazioni dell'Archimandrita Isidoro, affidando la redazione della rivista ad uno ieromonaco della Comunità ed invitando più numerosi specialisti ad una collaborazione che non si limiti al periodo medievale del monachesimo italo-greco, ma che ne copra l'intero arco storico nei suoi notevoli aspetti: invito che estendo qui a tutti gli studiosi del campo. Alla redazione rinnovata e alla rivista esprimo gli auguri più fervidi di un proficuo lavoro al servizio delle scienze storiche e teologiche e della reciproca conoscenza tra la pars orientalis e la pars occidentalis di quella che crediamo essere l'unica Chiesa di Cristo, attendendo, nella preghiera e nella speranza che non delude, il momento benedetto in cui i fratelli d'Oriente e d'Occidente potranno di nuovo sedersi intorno alla stessa Mensa. 

P. Emiliano, Egumeno di Grottaferrata, 25 settembre 2004 (Besa/Roma).

 

ROSSANO: III INCONTRO

ECUMENICO CALABRESE

 

Il 2 giugno 2005 è in programma il III Incontro Ecumenico Calabrese, organizzato dalle Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Calabria sul tema: “Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (I Cor. 3,11). Daranno proprie comunicazioni:

Don Giovanni Mazzillo (Istituto teologico calabro “S.Pio X”);

Pastore Giuseppe Basile (Chiesa Apostolica Missionaria);

Pastore Rosario Confessore (Chiesa Evangelica valdese);

S.E. Silvano, vescovo del Patriarcato di Romania per l’Italia.

S.E. Mons. Ercole Lupinacci, vescovo di Lungro, è il delegato per l’ecumenismo della Conferenza Episcopale Calabra (Besa/Roma).

 

 

PLATACI: E’ MORTO

PAPAS CHIDICHIMO PROTOPRESBITERO

 

 

Il 17 aprile 2005 è deceduto il protopresbitero papàs Francesco Chidichimo, arciprete di Plataci. Il vescovo di Lungro Mons. Ercole ha  scritto di lui al clero:

“Per 65 anni ha svolto il suo ministero pastorale di parroco con dedizione e passione, dedicandosi non soltanto ai problemi spirituali del gregge a lui affidato, ma preoccupandosi anche dei problemi sociali del suo popolo.

Ha fatto costruire l’asilo e la canonica di Plataci, si è impegnato nel restauro della chiesa parrocchiale di “S. Giovanni Battista”.

E’ stato sempre presente nella vita dell’Eparchia, in tutte le riunioni  di clero, all’Assemblea eparchiale di Lungro, ed ha partecipato al II Sinodo Intereparchiale di Grottaferrata celebrato pochi mesi fa”.

 

Papàs Chidichimo era nato a Plataci il 20 marzo 1915. Dopo aver compiuto gli studi presso il Seminario minore di Grottaferrata  dal 1928 al 1933, è passato al Pontificio Collegio Greco. Ha frequentato l’Angelicum per sei anni  (filosofia e teologia), ed è stato ordinato sacerdote il 24 aprile 1940 da S. E. mons. Giovanni Mele nella chiesa di S. Atanasio a Roma. Prima vicario cooperatore dell’allora arciprete di Plataci papàs Giuseppe Ferrari, viene poi nominato arciprete di Plataci il 29 agosto 1940. Il 13 maggio 1990 gli sono stati conferiti la benedizione e il titolo di protobpresbitero nella ricorrenza del suo 50° anniversario di ordinazione sacerdotale.

In occasione  del suo 90° genetliaco e del 65° di chirotonia sacerdotale (marzo 2005), è stato stampato un opuscolo, a cura del diacono prof. Costatntino Bellusci, in cui si presenta una breve biografia e un’antologia di testi (omelie, discorsi ed articoli). Da esso emerge il calore delle sue convinzioni e l’amore per la sua gente (Besa/Roma).  

 

 

MEZZOIUSO

MADRE MACRINA

FONDATRICE DELLE SUORE BASILIANE

 

 

Sabato 2 aprile 2005 nella Chiesa Madre di Mezzoiuso S. E. Mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi,  ha aperto l’inchiesta diocesana sulla vita e le virtù  e la fama di santità della serva di Dio Madre Macrina Raparelli, fondatrice  della Congregazione delle Suore basiliane “Figlie di Santa Macrina”.

Ha inizio così la preparazione di una causa di beatificazione, raccogliendo i dati storici e spirituali di Madre Macrina. In concomitanza con la celebrazione del II Sinodo Intereparchiale è questo un evento significativo. La prospettiva ultima del Sinodo è infatti l’appello alla santità.

Sr. Cecilia Frega ha già pubblicato un’agile biografia di “Madre Macrina Raparelli” (Mezzoiuso 2001) sulla sua vita (1893-1969) dalla formazione personale alla fondazione della Congregazione basiliana.

Madre Aurelia Minneci, attuale Superiora Generale della Congregazione delle Suore basiliane, nella prefazione scrive:

“Il suo esempio è ancora vivo e palpitante tra le sue figlie spirituali che non potranno dimenticare il suo amore ardente verso Gesù Eucaristia, la sua fedeltà alla Chiesa e alla vocazione, lo spirito di penitenza, l’umiltà, la semplicità, la povertà, il comportamento riservato e casto. Ella fondò la Congregazione sulla roccia e ritenne costantemente che Dio ne fosse il vero fondatore: non voleva infatti essere chiamata fondatrice” (Besa/Roma).

 

 

EJANINA

MUSICA BIZANTINA

PER L’INTERO ANNO LITURGICO

 

“Ejani e mirrni dritë nga drita e pashuarshme” (Venite! Prendete luce dalla Luce inestinguibile). E’ il primo inno, l’invito della Pasqua, della straordinaria pubblicazione di papàs Emanuil Jordani, protopresbitero dell’eparchia di Lungro (Emanuele Giordano, Himne Liturgjike bizantino-arbëreshe, Biblioteka e “Jetës Arbëreshe”, 1, 2005, pp. 215). Puntuale e opportuna arriva questa pubblicazione dedicata al II Sinodo Intereparchiale per la Chiesa bizantina  italo-albanese perché saranno “parole al vento” le decisioni sinodali se non si offrono anche gli strumenti che rendono possibile l’applicazione, nel caso presente del canto liturgico come in ogni altro campo pastorale.

 

L’opera del fedele lavoratore della “Vigna del Signore” papàs Emanuele, in lingua albanese del popolo e in musica bizantina, offre un sussidio indispensabile per vivificare la celebrazione liturgica dell’intero anno. Comprende:

  • Il Pentikostarion (sabati e domeniche);
  • gli apolytikia delle resurrezione (Otto toni);
  • l’anno (i 12 mesi, minea);
  • il Triodion (sabati e domeniche) fino al Grande e Santo Sabato;
  • l’Esperinòs;
  • l’Orthros;
  • la Divina Liturgia;
  • i kondakia della settimana;
  • canti del matrimonio;
  • l’Akolouthia dei defunti.

 

La musica è scritta con i neumi bizantini, cosa che offre alla pubblicazione una veste assolutamente propria. Nell’ introduzione l’autore, conoscitore della musica bizantina e cantore raffinato, di proposito ha usato questa scrittura: “Ho preferito l’uso dei segni della musica bizantina e non il pentagramma occidentale: è questa una scelta voluta”, afferma l’autore. Bisogna che il rito bizantino sia conservato e vivificato nelle forme consone.

 

Egli però informa che facilmente la musica potrà essere trascritta su pentagramma anche con il semplice ausilio di un apposito programma di computer. L’autore indica anche la possibilità di preparare un CD cantato per aiutare coloro che non conoscono la scrittura musicale.

 

La pubblicazione è il frutto di una esperienza ed una prassi comunitaria di oltre mezzo secolo nella parrocchia dove papa-Manoli ha esercitato il suo perseverante ministero. Egli scrive in lingua albanese nella prefazione: “Negli anni ’50 ho dato inizio alla traduzione in lingua arbëreshe di alcune parti della Liturgia, tanto quelle cantate quanto quelle lette. Ho incominciato proprio dalla Divina Liturgia traducendola in arbrërisht dal greco originale e adattandola alla musica bizantina. Ho tradotto in arbërisht i Vangeli della domenica;  a poco a poco ho tradotto altre parti, cantate fino a quel tempo in greco. Ho cominciato a predicare anche in arbërisht. Tutto quello che potevo lo facevo in albanese”. E’ stato questo uno strumento pastorale valido: “Popullit i pëlqei, populli i xu, populli i këndoi, populli i kuptoi: ata këndime çë adhe dinej në gjuhë greke i xu lehtë edhe në gjuhë arbëreshe. Kuptova se kisha marrë udhën  e drejtë  dhe vazhova të ecja  tek ajo” (Al popolo sono piaciuti, il popolo li ha appresi, il popolo li ha cantati, il popolo li ha capiti: quei canti che conosceva in greco facilmente li ha appresi in lingua arbëreshe. Ho capito che avevo imboccato la via giusta e ho continuato ad andare avanti).

 

La pubblicazione è stata sollecitata da Agostino Giordano, direttore della rivista mensile “Jeta Arbëreshe” che è l’editrice del volume. Papàs Lorenzo Forestieri ha anche collaborato trascrivendo al computer la musica bizantina.

 

L’autore nella prefazione scrive: “Questo volume vede la luce dopo la celebrazione del Sinodo del 2004 e questa è una circostanza interessante, perché si offre una prova ai Sinodali che la lingua arbëreshe si può adattare ad ogni situazione, tanto che si tratti di testi musicali quanto di testi da leggere semplicemente”.

E aggiunge: “Dedico questa pubblicazione all’Inter-Sinodo come una prova del valore pastorale della lingua arbëreshe… Arbërishtja rron, la lingua arbëreshe è viva”.

 

Due scopi sembra che si prefigga l’autore. Da una parte, come ha affermato, intende mostrare praticamente  il valore attuale della lingua arbëreshe, dall’altra la sua efficacia pastorale. La trasmissione del pensiero attraverso la lingua materna ha risonanze particolari di penetrazione nell’animo della gente, ciò che costituisce un canale pastorale privilegiato (Besa/Roma).

 

 

ROMA

“QUESTA E’ LA NOSTRA FEDE

CEI: PRIMO ANNUNCIO DEL VANGELO

 

 

Domenica di Pentecoste la CEI ha reso pubblica  una illuminante nota pastorale per la concreta situazione italiana di crescente secolarizzazione, come ha ricordato Giovanni Paolo II anche agli italo-albanesi nell’udienza concessa per il Sinodo Intereparchiale.

La nuova “Nota” della CEI intende concretizzare quanto affermato  dal documento “Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia” (2004): “C’è bisogno  di un rinnovato primo annuncio della fede”. Questo mette in evidenza che non si può continuare a vivere di rendita, nè pensare che i fuochi d’artificio delle festicciole di paese siano riflesso della luce della risurrezione” (Besa/Roma).


 


Teologia quotidiana

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HESYCHIA (1) – TRANQUILLITA’ DELL’ANIMA E DEL CORPO: NELLA “SCALA”

 

L’inquietudine e l’angoscia caratterizzano spesso la vita dell’uomo. Nei nostri giorni con maggiore incidenza, come rileva la letteratura. Sören Kirkegaard ha parlato di “malattia mortale” e questa la ha identificata come “disperazione” e “la disperazione è il peccato” (Kirkegaard, La malattia mortale, Newton, 2004).

Nella vita cristiana si realizza una terapia radicale che tende a ristabilire il credente in uno stato di serenità sostanziale. Gesù risorto è apparso ai discepoli, chiusi in casa per paura, e disse loro: “Pace a Voi” (Gv 20,19). E’ in questa pace, realizzata da Cristo con la sua morte e resurrezione per la salvezza del mondo, che si dovrà svolgere la vita dei credenti.

La tradizione teologica e spirituale bizantina ha teorizzato questa prospettiva nel metodo della hesychia, o tranquillità dell’anima e del corpo. L’hesychia è uno stadio di perfezione del monaco, per le sue modalità proprie, ma è anche una dimensione della vita cristiana in genere. S. Giovanni Climaco descrive l’hesychia nel XXVII discorso della sua opera ascetica (Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, Città Nuova, Roma, 1999). Il Climaco, che prende il nome dalla sua opera “La scala” (klimax), è vissuto sul Monte Sinai tra la fine del secolo VI e il secolo VII; sarebbe morto nel 649. La sua opera ha avuto ed ha un grande influsso sulla vita spirituale bizantina. Essa è stata anche conosciuta in Occidente. La Chiesa bizantina lo commemora in modo speciale dedicandogli la IV domenica di quaresima e indicandolo come esempio di conversione e di vita pratica ascetica.

Nella sua opera l’autore esclude un intento puramente teorico: “Non intendiamo fare la filosofia dell’hesychia o una dotta esposizione dei principi di ricerca” (PG 88, 1096 C - 1097 B). Egli si propone di dare “alcuni spunti di riflessione” per l’edificazione. L’insieme dell’opera è impostata sul progresso della vita spirituale in trenta gradini di una “scala” della perfezione. L’esposizione è di tipo apoftegmatico, assertivo, ma ha una interna coerenza unitaria. L’hesychia si trova quasi al vertice della vita spirituale: occupa il 27° gradino, dopo di essa vi è soltanto “la preghiera, madre di virtù” (28° gradino), “l’apatia, paradiso in terra” (29°gradino), e una specie di sintesi sul vincolo delle tre virtù: fede, speranza e carità (PG 88, 1153D -1156A).

L’opera descrive il progresso spirituale, gradino per gradino – un gradino per capitolo - pervenendo a questa meta: “Crescita nell’umiltà iniziale, la diminuzione dell’ira, l’eliminazione delle tenebre e l’aumento della carità, l’alienazione dalle passioni e il dissolvimento dell’odio, il decremento della sensualità per via della correzione, il non avvertire più l’accidia e l’avvertire il bisogno della vigilanza, l’amore compassionevole e l’estraneità alla vanagloria” (PG 88, 1105C – 1108D). Tanto il processo di perfezione quanto la meta, parziale o piena, che si raggiunge comprende una parte fisica ed una spirituale. “L’hesychia fisica consiste nel saper sistemare i comportamenti e i relativi nostri sentimenti. Quella spirituale è disciplina sistematrice dei pensieri e custodia inviolata della mente” (PG 88, 1096C-1097B). “La mente dell’esicasta sorveglia il suo pensiero” (PG 88, 1097B). Si tratta di uno stato di solida serenità, non turbata più dagli eventi fisici o spirituali che possono coinvolgere l’individuo e la comunità, sia il cenobio, sia la Chiesa, sia il mondo. Non si tratta di insensibilità, ma di raggiunto dominio psico-fisico e mentale. Ciò implica la fede ancorata in Dio: “L’hesychia è il porto dell’anima” (PG 88, 1096C).

L’hesychia non si raggiunge con la negazione, ma con la vittoria, con il superamento degli ostacoli, delle tentazioni, dei dubbi, in una sinergia operativa dell’uomo e dello Spirito Santo. “Le corone della pace e della quiete sono riservate a coloro che hanno valorosamente lottato” (Ibidem).

Tutto ciò implica l’ascesi, l’esercizio continuo e la preghiera perseverante. Questa ha trovato realizzazione in formule brevi e ripetute continuamente come “la preghiera di Gesù”. L’esicasmo ha conosciuto anche dei metodi psico - fisiologici per concentrare l’attenzione (cfr. I. Hausherr, La méthode de l’horaison hésychaste, Orientalia Christiana, IX, 1927,  pp. 150 -172). A nulla varrebbe lo sforzo umano senza l’aiuto divino. Ad un certo punto molto avanzato nei gradi di ascesa de “La Scala”, dopo il discorso XXVI, l’autore fa una breve ricapitolazione o introspezione di quanto ha scritto. Al primo posto ricorda le virtù teologali con le seguenti affermazioni:

  • La fede stabile è madre della rinuncia ascetica;
  • La speranza ferma è porta d’ingresso all’impassibilità;
  • La carità divina è presupposta  dell’estraneità al mondo.

Più volte Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli li ha esortati a non essere turbati di fronte alle avversità. E ha lasciato loro la sua pace. E’ questo l’orizzonte verso cui si volge la vita del cristiano.

Una recente traduzione a cura di Luigi D’Ayala Valva è stata lodevolmente pubblicata dalle Edizioni Qiqajon del Monastero di Bose, prendendo come testo base quello di Sophonios  dai codici del Monte Athos (Besa/Roma).

Roma 1 giugno 2005

 

 

Circolare aprile 2005                                                                                                                         173/2005

 

Sommario

 

I detti di Gesù (31): E la casa resse “perché era fondata sulla roccia”........................................... 1

ALBANIA: La Chiesa Grande di Scutari distrutta e risorta.......................................................... 2

ALBANIA: Traduzione interconfessionale in albanese corrente del Nuovo Testamento................. 5

GROTTAFERRATA: Ultime fasi dei lavori del II Sinodo Intereparchiale .................................... 8

ALBANIA: 1. Riorganizzazione delle Circoscrizioni Ecclesiastiche............................................... 9

ALBANIA: 2. Dichiarazione comune dei Capi religiosi................................................................ 9

ALBANIA: 3. Aperta l’Università cattolica.............................................................................. 10

INDIA: La Chiesa Siro-Malankarese dichiarata Arcivescovado Maggiore.................................. 10

LUNGRO: Tre sacerdoti nel Regno di Dio................................................................................ 10

CIVITA: VI centenario della nascita di Skanderbeg................................................................... 10

FRASCINETO: VI centenario della nascita di Skanderbeg ....................................................... 10

ROMA: Teologia quotidiana: La resurrezione cardine della fede e della vita cristiana................... 11

 

 

Tà lòghia - I detti di Gesù ( 31) : E la casa resse “perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,25)

 

Chiunque costruisce una casa vuole che sia solida, bella, accogliente, protettiva. La casa difende dal freddo e dal caldo. Deve essere robusta, ben fondata e ben costruita su giuste misure e con materiali resistenti, anche ai movimenti tellurici.

Gesù rivolto ai suoi discepoli presenti e a quelli di ogni tempo, assume l’esempio della costruzione della casa per parlare dell’edificazione della propria vita. Parla di una casa e in parallelo della vita cristiana. Seguendo il metodo semitico, dà il suo insegnamento, usando due forme contrarie, la assertiva positiva e quella negativa come prova. “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7, 25).

Ma c’è anche l’esempio contrario. “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande” (Mt 7, 27). E’ normale chiedersi cosa fa sì che la prima resista e la seconda casa cada. Naturalmente le condizioni sono molte e vanno dalle fondamenta al progetto architettonico, al materiale usato. Gesù al momento si riferisce alle fondamenta della casa. La prima egli dice che “non cadde perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7, 25). La seconda invece  “cadde…perché costruita sulla sabbia” (Mt 7, 26).

Ma cosa è questa roccia che mantiene salda la casa e, nella similitudine, rende consistente la vita cristiana? Gesù spiega: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo saggio che ha  costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Chi invece non le ascolta e non le mette in pratica  è simile “ad un uomo stolto  che ha costruito la sua casa sulla sabbia” (Mt 7, 26).  La Parola di Dio è la roccia della nostra vita.

La stessa immagine Gesù usa per spiegare il fondamento e la resistenza della Chiesa. A Pietro che ha confessato la retta fede in Gesù come Figlio del Dio vivente, egli dichiara: “Tu sei Pietro  e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18). Anche per ciascun credente la “roccia” della propria esistenza è la professione di fede in Gesù Cristo figlio di Dio e Signore, come ci insegna il simbolo niceno-costantinopolitano (Besa/Roma).


 



ALBANIA

LA CHIESA GRANDE DI SCUTARI

DISTRUTTA E RISORTA

 

Una significativa pagina di storia raccontata da un testimone, da S.E. Mons. Zef Simoni, Vescovo titolare di Bararo, già Ausiliare di Shkodre (Scutari)

 

La Chiesa Grande è la Cattedrale di Scutari, la chiesa metropolitana, che ha iniziato ad esistere - come un capolavoro - tra le chiese che hanno fatto la storia del mondo, è “Grande” in modo del tutto particolare nei Balcani.

Questa chiesa inizia a diventare così importante in occasione della benedizione della sua “prima pietra”, il 19 aprile 1858. E una chiesa a dimensione dei valori dello stile romanico e, quando venne l'ora della sua apertura ai fedeli, si presentava all'esterno con un'immagine attraente. Riceveva la sua attrattiva in modo particolare dall'entrata e dall'uscita dei fedeli dalle tre porte frontali, in occasione delle grandi feste liturgiche.

In alto, nella chiesa, c’è la croce e sotto di essa una finestra circolare, il rosone, come un grande occhio che penetra nella profondità dei tempi e custodisce i morti e i vivi fino alla beatitudine.

Quando cominciarono a mancare gli aiuti per la sua costruzione, che durò dieci anni, il popolo si mise in fila per dare il proprio contributo. In prima linea furono principalmente le donne, signore autentiche ed onorate della città più che trimillenaria, a dare con il cuore ricchezze preziose, come oro e monete. Gli uomini, consapevoli del significato derivante da questo enorme risultato, come anche i giovani entusiasti e appassionati, aumentarono la loro santa fatica ed il loro sudore per affrettare la costruzione.

 

Quelle indimenticabili voci

dei grandi predicatori

Lì dove era il pulpito dalle scale strette ed eleganti, prima del Concilio Vaticano II, si sentiva la voce forte e tagliente dell'Arcivescovo, Mons. Gasper Thaci, di Mons. Giergj Vola, e dei sacerdoti Don Lazer Shantoja, Don Ndre Zadeja, qualche volta di Padre Anton Harapi e di tanti altri. Tutti predicavano con profondità di pensiero, in modo elevato e grandiosamente, in maniera logica e senza alcuna contraddizione tra il soprannaturale e il naturale, con una grande bellezza di spirito ed energia di espressione, presentando il dogma, la morale, la storia: si sentiva il puro mondo occidentale ed orientale dei Padri della Chiesa espresso con devozione e civiltà.  La Cattedrale di Scutari diffondeva i suoi doni e faceva sì che i molti fedeli vivessero illuminati dallo spirito. Dopo pochi anni comparve il campanile con i suoi quattro orologi, dono di alcuni cittadini, che potevano essere visti da tutte le parti della città. Si sentivano i rintocchi delle campane, a quel tempo cinque, che avrebbero suonato tre volte al giorno e nelle grandi feste, tutte insieme, per dare vivacità alla Pasqua, bellezza al Natale, potenza alla Pentecoste, grandezza al Corpus Domini, Alleluja al cristianesimo diffuso in tutto il mondo. I loro rintocchi erano sempre contro il clamore delle rivolte, per portare solo pace interiore, melodia. A ragione possiamo dire che furono sorgente di grazie e di conversioni. Erano le campane della “Chiesa Grande”: belle e potenti, come quelle di Roma, di Parigi, di Madrid, di Vienna, di tutte le grandi città del mondo. E si sentivano a lungo, in modo che gioisse l'intera città (e più in là di essa), centro del cattolicesimo albanese, affinché i cuori umani avessero nel loro intimo le virtù e gli ideali che sempre portano le campane, la voce di Dio.

All'interno della chiesa c’è l'altare maggiore, dedicato alla Madonna di Scutari in occasione del centesimo anniversario della chiesa (e lo è ancora oggi come allora). La chiesa è dedicata al protomartire del cristianesimo, santo Stefano, conosciuto presso il castello di Rozafa, dove un tempo era la parrocchia di Scutari.

Abbelliscono la costruzione anche i quattordici archi, sette alla destra e altrettanti alla sinistra. Di fronte all'ingresso, di lato, ci sono due altari (dell'Eucaristia e della Sacra Famiglia). Si distingueva lateralmente anche l'altare di Santa Maria Maddalena, seconda patrona della parrocchia. Ed altri cinque altari di santi e di sante, che sono eredità di secoli di cristianesimo ed hanno trionfato per l'eternità: sono i valori eterni celesti che prevalgono su quelli terreni. Si distingueva anche il bel soffitto, opera del famoso scultore scutarino Kole Idromeno, che ci ha dato anche il progetto del campanile ed un quadro, «Le due strade» (il Paradiso e l'Inferno), che è ancora nel museo di Scutari, e all'ingresso della Chiesa, scolpita nel legno, la statua di San Michele, che con la spada in mano mise a testa in giù Lucifero.

Tanta grandezza ebbe la Cattedrale con i due Concili di Arberit, il secondo sotto la direzione dell'Arcivescovo Karl Pooten ed il terzo, il 19 marzo 1895, giorno di San Giuseppe, sotto la direzione dell'Arcivescovo Pasquale Guerrini, durante il quale la Madonna Benedetta fu proclamata «Patrona di tutta l'Albania» e la Chiesa della Madonna presso il Castello: «Madre del Buon Consiglio». Gli scutarini, dopo alcuni anni, proclamarono la sua celebrazione in Cattedrale con il titolo di «Madonna di Scutari». 

In occasione della celebrazione del centenario della «Chiesa Grande», presieduta dal Vescovo di Scutari, Mons. Ernest Çoba, appare, ancora incompleto, anche il quadro di un altro pittore di Scutari, il professor Simon Rrota. Il dipinto rappresenta la benedizione della «prima pietra» della chiesa alla presenza dell'Arcivescovo Pooten. Vi è inoltre anche un quadro, «La fuga della Madonna del Buon Consiglio», opera di Padre Leon Kabashi, in base allo stile di Kole Idromeno, celebrata con il titolo di «Madonna di Scutari».

Dietro l'altare maggiore ci sarebbe stato l'Organo e il coro della chiesa, che era diretto da Don Zef Puka con cantanti tenori e bassi potenti con vesti tipicamente scutarine. Successivamente, quando avrebbe preso in mano la parrocchia con grandi capacità, il coro fu diretto da Don Mikel Koliqi. Egli è stato musicista e compositore nel coro della «Chiesa Grande» e, insieme a Don Zef Sheshtani, ha formato il coro denominato “Schola Cantorum”. Esso era un coro ecclesiale per cantare, innanzitutto, la «Messa De angelis» delle ore 10 dell'esultante domenica e delle feste di precetto, con la musica di Palestrina e dell'immortale compositore Lorenzo Perosi.

 

La cultura cattolica, così ampiamente conosciuta nel mondo per la sua rinomata musica classica e moderna, faceva sentire potentemente i suoi valori spirituali, rinnovando e innalzando i cuori verso il Signore, con i canti della Madonna, soprattutto nel mese ad essa dedicato secondo la tradizione, quando la «Chiesa Grande» si riempiva del popolo di Dio, come anche le altre chiese della città. La chiesa aveva una grande partecipazione per le feste quali Pasqua, Natale, Epifania, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, San Pietro e San Paolo, Assunzione della Madonna in Cielo e per le novene, come quella di San Giuseppe e di san Nicola al suo altare, con il canto “Sa e madhe mrekulli” (Che miracolo grandioso ci è donato) e con un'ardente devozione presso l'altare del Sacro Cuore, sotto il quale si trovava il corpo del martire San Prospero, che durante il periodo della persecuzione fu trasferito nel museo dell'ateismo: nella caverna, cioè, di ogni malefatta, un puzzo pestilenziale in mezzo alla città.

Sarebbero trascorsi altri giorni per fare della Cattedrale di Scutari una chiesa tra le più nominate del mondo: non precisamente chiesa, in questo caso; piuttosto «anti-chiesa».

 E ciò era la conseguenza degli straordinari avvenimenti accaduti nella storia al tempo delle nostre sventure. Ed iniziò presto il terrore che si scagliava contro la religione ed il clero.

 

Fu il tempo di drammatiche preoccupazioni per le menti ed i cuori, del dolore dei fedeli, della chiusura delle chiese, dell'affissione dei volantini, i tazebao cinesi, alle porte della Cattedrale, e degli insulti e delle offese contro il clero, contro il popolo tradito e violentato.

«E’ stata chiusa la Chiesa Grande

Cosicché in data 5 marzo 1967, dopo la Messa del pomeriggio, una commissione di persone colpevoli di ogni genere di malefatte cacciò fuori dalla chiesa il Vescovo Ernest Çoba, il vicario parrocchiale Don Mark Hasi e il popolo. Insieme ad essi gettò fuori anche l'Ostia Eucaristica. La notizia cadde come una bomba: “È stata chiusa la Chiesa Grande!”. Questa violenza, questo male, di cui non c'è nessuno più profondo, non fanno della Cattedrale di Scutari, una chiesa fortemente violentata? Questo fenomeno è un evento di dimensioni mondiali, crudele. In poco tempo la «Chiesa Grande» fu trasformata in museo. Verso l'inizio del mese di maggio iniziò l'abbattimento del campanile e il popolo, tra il dolore e le lacrime, rimaneva intorno alla chiesa, nelle strade anch'esse sofferenti e desolate. Successivamente, la chiesa fu trasformata da museo in palestra sportiva, che attirava al gioco agili ragazzi e ragazze libere, con la partecipazione dei tifosi come spettatori superficiali, in questo posto in cui adesso risuonavano rumori e urla sguaiate. E ciò avveniva proprio nel luogo in cui per più di 100 anni sono stati consacrati vescovi e sacerdoti di Scutari e dell' Albania pieni di virtù, andavano nei confessionali persone spinte dal pentimento e dalla conversione, ricevevano la comunione migliaia di ragazzi e di ragazze. Inoltre ogni anno un gran numero di giovani, che si accostavano al Sacramento della Cresima, riempiva la chiesa della città.

 

Estrassero dalla cripta della chiesa presso l'altare, dove si trovavano sepolte, le ossa dei Vescovi Mons. Cozzi, Moris. Mjeda, Mons. Thaçi e altri per gettarle nelle acque del fiume, secondo il vecchio stile del tempo della dominazione ottomana, che fu utilizzato con Mons. Bogdani e tante altre figure di oggi e di allora. La “Chiesa Grande” continuò ad essere tra le più nominate al mondo, perché lì si svolse il VII congresso delle donne, con la partecipazione di persone che non esprimevano alcun segno di civiltà. A questo congresso prese parte la direzione del comitato centrale del partito. Nel suo svolgimento entrerà con prepotenza e prenderà la parola lo stesso Enver Hoxha, il dittatore comunista albanese, che si è distinto per la sua lotta contro la fede, contro il cattolicesimo, cercando di colpirlo al cuore, contro i sentimenti più santi dei fedeli cattolici. I partecipanti a quel convegno si lasciano andare a risate miste ai sogghigni per le loro vittorie.

La “Chiesa Grande” diverrà tra le più insigni del mondo, quando il 7 marzo 1991 venne riaperta su richiesta della  beata Madre Teresa, la quale venne in Albania per assistere alla prima Messa celebrata tre giorni dopo alla presenza dei trenta sacerdoti albanesi, anziani e i malati, che erano sopravvissuti alla ignobile dittatura.

Come precursore della visita del Papa è venuto nella Cattedrale di Scutari il Cardinale Jozef Tomko per riconsacrare la “Chiesa Grande”, per scacciare dall'altare, dal soffitto, dal pavimento, dai muri, tutti gli elementi infetti e i giochi del fanatismo, dello spirito di odio, ponendo di nuovo nella chiesa anche la statua di San Michele e, al suo ingresso, il busto di Giovanni Paolo II.  E, uno dopo l'altro, ecco la statua della Madonna di  Lourdes, dono del Nunzio Apostolico, Arcivescovo Ivan Dias; una copia dell”Ultima Cena” di Leonardo da Vinci, alle  spalle dell'altare della Madonna, opera del pittore Mons. Injac Dema; le 14 stazioni della Via Crucis e, successivamente, presso l'altare dell'Eucaristia, un' immagine della Sindone di Torino, come anche la pittura dell'adorazione dell'artista scutarino Pjerin Sheldija, un uomo che ha molto sofferto.

 

Nel lato opposto, il battistero e al muro le immagini dei martiri della Chiesa, dei quaranta martiri, che sono la gloria di Dio e l'onore del versamento di sangue degli uomini provati dalla sofferenza: sangue ed ossa nella beatitudine, sangue ed ossa nella storia del cristianesimo, anche di quello albanese, che superò i peggiori tempi per dare a tutti i valori di Cristo e le sue beatitudini, le quali, quando verranno pienamente proclamate, momento di rinascita spirituale e nazionale, daranno vita ad una nuova e solida Albania, perché le nazioni progrediscono principalmente attraverso i  santi.

La venuta del Papa, il 25 aprile 1993, renderà la Metropolia di Scutari fortemente rinomata nel mondo. Il Santo Padre, che ha avuto cosi fortemente a cuore la Chiesa in Albania, si chinò à baciare la nostra terra. Fu una stupenda visita di un giorno, vissuta con l'amore che viene da Dio Trinità. In questo modo egli concretamente ha vissuto con noi momenti di profondo scambio di esperienze. Il Papa è entrato nella Cattedrale di Scutari. Tutta l'Albania ha il dovere di essere ricostruita avendo come base la sua esortazione: «Andate avanti, senza dimenticare il passato».

Giovanni Paolo II ha ricostituito la Gerarchia ecclesiastica in Albania. Egli ha dato alla nostra Chiesa tre elementi: respiro ampio, vivacità e bellezza d’organizzazione. Con questa morale e con questa certezza delle verità, la Chiesa in Albania avrebbe ripreso slancio.

Gli 1l anni di lavoro dei due Arcivescovi, l'anziano Mons. Frano Ilia ed il giovane Mons. Angelo Massafra, accoglieranno la venuta del Nunzio Apostolico, Arcivescovo Giovanni Bulaitis, e la presenza di tanti Cardinali, di una missione piena di zelo, l'ordinazione di diversi sacerdoti albanesi e la benedizione di voti religiosi da parte di suore. Magnificherà la nostra chiesa la nomina del primo Cardinale albanese, Mikel Koliqi.

 

 

Un edificio che fa parte della storia dell'Albania

 

La “Chiesa Grande” ha grandi valori. Avvicina, esorta e forma gli uomini verso una profondità spirituale, nella quale si sperimenta l'allontanamento dai rischi del male. Così si esprime allora anche la forza delle trasformazioni quotidiane, di ogni ora e minuto divino. Per ciò che riguarda l'aspetto esteriore la “Chiesa Grande” non è certo come Notre Dame di Parigi. Dobbiamo però dire che la “Chiesa Grande” è la bellezza della nostra città, è la sua grandezza.

E non solo di Scutari, ma dell'intera Albania: la piccola, grande Albania. Non c'è nessuna costruzione, nessun monumento che può superarla, perché ha un aspetto trionfante: il bene trionfa sul male, così come il cielo beato vince contro le epoche subdole e diaboliche. Si erge con la forza dei valori che possiede, quando essi vengono scoperti, mostrando ciò che è e ciò che non è. Con una nuova forza predomina in essa la santa energia della pacifica sapienza.

Veramente diventi un altro, quando entri in chiesa. In ogni chiesa diventi migliore. Nella “Chiesa Grande” acquisti capacità e coraggio, perché sei nella Sede Metropolitana, vivi nella Cattedrale; vivi nella storia della “Chiesa Grande”, nella storia dei nostri atteggiamenti più interiori, inserito profondamente nell'essenza degli eventi.

Entri in chiesa e senti una serenità, un silenzio e immediatamente metti ordine nel tuo essere, perché si allontanano e spariscono slanci impulsivi e passioni. Chini la testa, non c'è dolore nell'anima e vedi una bontà diversa di te stesso che viene formandosi attraverso le grazie: profondo mondo religioso.

Quando entri in chiesa, dopo esserti segnato con l'acqua benedetta, ti inginocchi, compi un doveroso gesto di adorazione all'Ostia Eucaristica e dopo ti accomodi in un banco senza salutare nessuno, forse qualcuno che conosci con un rapido sorriso, perché in chiesa non bisogna parlare.

 

Qui entri nel tuo mondo personale e preghi e preghi, anche con preghiere comuni insieme a tutti gli altri.

Quando viene il momento della predica del sacerdote, senti la parola del Signore.

 E quando avviene la consacrazione sei anche tu completamente vicino a Colui che riceverai nel cuore al momento della Comunione. Vivendo con Essa, la vita beata continua in te.

Che bella Chiesa! Che cara la “Chiesa Grande” di Scutari, della quale fanno parte i bambini, i giovani, il popolo, gli uomini, tutti gli uomini che testimoniano che esiste la realtà della vita spirituale che trionfa su ogni cosa materiale (Besa/Roma).

 

ALBANIA
TRADUZIONE INTERCONFESSIONALE
DEL NUOVO TESTAMENTO

 

Un progetto di traduzione interconfessionale in lingua albanese corrente è in corso di esecuzione in Albania. Si tratta di un evento pastorale, culturale, spirituale ed ecumenico di grande rilievo.

I primi contatti per la costituzione di una società biblica albanese, sulla base degli orientamenti dati dal Segretariato per l’unione dei Cristiani e dalle Società Bibliche Universali, si sono avuti fra il Dr. Valdo Bertalot, segretaio della Società Biblica in Italia e Mons. Eleuterio F. Fortino, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unione dei Cristiani.

Riportiamo parte di una relazione messaci a disposizione dalla Società Biblica in Italia.

 

 

La società Biblica Interconfessionale Albanese

 

La Società Biblica Interconfessionale dell'Albania (SBIA) è un organizzazione che rappresenta la collaborazione tra tre Chiese in Albania: la Chiesa Ortodossa Autocefala dell'Albania, la Chiesa Cattolica e l'Alleanza Evangelica dell'Albania. Lo scopo della SBIA è lo stesso delle prime Società Bibliche sorte 200 anni fa, quindi tradurre, pubblicare e diffondere la Sacra Scrittura in modo efficiente, con un linguaggio comprensibile e con un prezzo ragionevole.

La Società Biblica collabora con le Chiese e serve in modo diretto ad esse. Essa è per il momento l'unico forum dove ufficialmente le tre Chiese (ortodossa, cattolica e evangelica) presenti in Albania, si riuniscono e collaborano.

 

La Società Britannica e Forestiera e l'Albania.

 

Agli inizi del XIX secolo il desiderio di avere la Parola di Dio in albanese è stato espresso al Dr. Robert Pinkerton a Vienna da una delegazione albanese. Pinkerton un dirigente della Società Biblica Britannica e Forestiera (SBBF) è rimasto impressionato dalla loro domanda e incaricò subito Vangjel Meksi a incominciare la traduzione del Nuovo Testamento nel 1819, lavoro terminato nel 1927. Nel 1860 Dr. Alexander Thomson diventa responsabile della Società Biblica per tutto l'Impero Ottomano. Dopo un viaggio attraverso l'Albania nel 1862, Thomson si dedicò alla causa albanese. Nel 1864 Thomson incaricò Kostandin Kristoforidhi a ritradurre il Nuovo Testamento nei due dialetti ghego e tosk. Nei seguenti vent'anni il Krisoforidhi lavorò instancabilmente e rielaborò il testo purificando e cristallizzando la sua madrelingua. Nel 1912 Mithat Frasheri scrisse quello che lui considerò come un "Omaggio di gratitudine verso la SBBF per il servizio reso al nostro paese e alla nostra letteratura con la traduzione della Sacra Scrittura nella lingua Albanese”.

 

Quando riprese di nuovo la SBIA?

 

Con l'inizio della prima guerra mondiale fino alla caduta del comunismo in Europa, l'attività della Società Biblica ebbe un'interruzione e non potè continuare il suo lavoro in Albania. Nel 1976 l'Albania venne proclamata per Costituzione uno Stato Ateo e ciò portò alla completa impossibilità dell'esercizio delle attività legate alla fede.

La SBIA è relativamente giovane rispetto alle altre Società Bibliche Europee. Il 14 settembre 1996 si è tenuto il primo incontro della fondazione della SBIA. Come primo presidente è stato eletto S.E. Rev. ma Mons. Rrok Mirdita Arcivescovo Cattolico Romano di Durazzo - Tirana, mentre Direttore del Consiglio Esecutivo Sua Beatitudine Anastas, Arcivescovo Ortodosso di Tirana e di tutta l'Albania. Per salvaguardare un certo equilibrio interconfessionale come Segretario Generale è stato eletto un rappresentante della Comunità Cristiana Evangelica (protestante). Da quell’anno la SBIA entrò a far parte nella grande famiglia delle Società Bibliche Unite di tutto il mondo chiamata United Bible Societies (UBS). Oggi la UBS conta nel suo interno circa 180 Società Bibliche.

 

Il progetto della traduzione del NT

 

Uno degli aspetti più importanti per il quale lavora e funziona la Società Biblica è la traduzione della Sacra Scrittura. Siamo nel primo anno della traduzione del NT dal greco antico. Tutto il processo è passato attraverso previ passi preparativi: l'esperienza delle Società Bibliche ha dimostrato come le traduzioni interconfessionali hanno avuto luogo prima in altri paesi del mondo.

Così a Tirana dal 5 al 7 novembre 1988 è stato organizzato un Simposio di Traduzione "Traslating relevant texts" non solo per i cristiani. Lo scopo di questo simposio era lo scambio di esperienze di traduzioni in diversi settori e allo stesso tempo l'incoraggiamento e il coinvolgimento delle persone interessate alla traduzione. L'evento era importante non solo per la presentazione della società Biblica, ma anche per la partecipazione di alcuni conosciuti relatori dall'Albania, dal Kosovo e da altri paesi stranieri: professori universitari, linguisti, la speciale presenza dell’ Arcivescovo ortodosso di Tirana e di tutta l'Albania Anastasio, Mons. Hil Kabashi (vescovo cattolico) Amministratore Apostolico del sud Albania e Albert Dosti in quel tempo Presidente della Alleanza Evangelica dell' Albania. Dall'UBS erano invitati il Dr. Manuel Iinbachian (protestante), coordinatore delle traduzioni in Europa, il Rev.mo don Carlo Buzzeti (cattolico) e il Dr. Sergei Ovsiannikov (ortodosso), consulenti di traduzione, tutti specialisti nella traduzione della Bibbia. Tra i partecipanti vi erano anche molti professori, linguisti, storici, traduttori di vari settori, pastori delle chiese in Albania, studenti della Facoltà di Lingue Straniere ecc. Erano invitati anche uomini dei media e dell'arte.

 

Subito dopo il Simposio, è nata l'idea di una traduzione interconfessionale della Bibbia che corrisponda alle esigenze attuali della lingua albanese. Una traduzione che non voleva essere in competizione con le altre  già esistenti e con quelle per l'uso liturgico, ma un testo di facile comprensione e utilizzo per gli albanesi ai fini della lettura personale della Bibbia. A causa dell'isolamento ideologico comunista per quasi mezzo secolo, nel territorio dell'Albania non è stato fatto nessun lavoro di traduzione della Bibbia. Dobbiamo comunque menzionare il lavoro titanico del Reverendo Don Simon Filipaj, un sacerdote cattolico albanese del Montenegro che tradusse tutta la Bibbia durante il Comunismo in Jugoslavia, ma sempre fuori dal territorio dello stato albanese.

 

Dopo la caduta del Comunismo la traduzione del Filipaj diventò il testo ufficiale e liturgico nella Chiesa Cattolica in Albania. La traduzione del Filipaj è considerata da molti studiosi, come la migliore traduzione in diversi aspetti, anche se è stato redatto solo da studiosi fuori dell'Albania. Un'altra traduzione che si diffuse rapidamente in Albania, fu fatta da una Chiesa Evangelica, basata sul testo del Diodati. Anche se attualmente questa traduzione gode di un largo uso, non è stato realizzato basandosi sull'originale e non facilmente comprensibile.

 

In queste condizioni cominciò la progettazione della traduzione dalla SBIA.

 

In tal modo  l'esigenza di una nuova traduzione della Bibbia non è frutto dell'iniziativa individuale, ma emerge come una richiesta delle stesse Chiese alla SBIA. Quindi, guardando all'esperienza di altre Società Bibliche ed alla buona volontà delle Chiese in Albania per una Bibbia Unica, come importante elemento di comunione, si decise di iniziare il lavoro per offrire ai cristiani e allo stesso tempo alla società albanese, il Nuovo Testamento interconfessionale.

 

La strada, per questa collaborazione interconfessionale, venne preparata attraverso un seminario, una specie di Secondo Simposio di Traduzione, tenutosi sempre a Tirana dall’8 al 10  febbraio 2001, ma questa volta solo per i cristiani. I responsabili delle Chiese si sono riuniti per poter mettersi d'accordo circa un piano e una struttura del nuovo progetto di traduzione.

Questa volta furono invitati a dare il loro contributo alcuni specialisti della UBS: il Dr. David Clark (protestante), il Rev.mo Don Carlo Buzzetti consulente di traduzione (cattolico), il Rev. mo dr. Sergei Ovsiannikov (ortodosso) consulente di traduzione. Erano invitati anche pastori, studenti di teologia e traduttori dalle tre Chiese.

Questo seminario determinò l'inizio del progetto nella sua fase concreta.

La traduzione si sarebbe fatta dal greco antico in albanese, in comparazione con le traduzioni precedenti dall'originale come: Dhiata e Re (Il Nuovo Testamento) del Kristoforidhi (in uso nella Chiesa ortodossa) e la "Bibla" del Filipaj (edizione cattolica) come anche la "Bibla" (edizione protestante). Il progetto doveva durare 5 anni: dal 2001 al 2005.

Fin dall'inizio questo progetto ebbe l'approvazione dei Capi delle Chiese: ortodossa, cattolica e protestante. Ciascuna di esse avrebbe avuto il suo traduttore rappresentante. Il progetto venne chiamato con il nome "Së Bashku” (che vuol dire “insieme”) .

 

Caratteristiche generali del progetto

 

1. Scopo del progetto "Së Bashku”: comunicare alla società albanese la Parola di Dio in modo chiaro ed efficiente.

2. Individuazione del livello della traduzione: il testo sarà fedele all'originale nel greco biblico nella forma e nel contenuto e il linguaggio sarà accessibile a tutti. Non ci saranno tre soluzioni ma una sola, comune e adeguata a tutti, mirando alla esattezza, alla chiarezza, alla dignità, all'autorità, senza mettere da parte la bellezza della lingua nella quale sarà tradotta. Sarà una traduzione che non esclude le altre, ma sta a fianco ad esse, anzi aiuta la loro esistenza.

3. Individuazione dei destinatari: si fa attenzione in modo particolare ai lettori principianti, perciò la maggiore preoccupazione è la trasmissione del contenuto e della forma e la lettura scorrevole.

4. Definizione del livello della traduzione: la traduzione del NT della Società Biblica è un progetto di traduzione interconfessionale perché in tutte le sue fasi è concepito e realizzato da persone di diverse confessioni cristiane.

5. Individuazione delle fonti per la traduzione: il progetto è una traduzione interconfessionale che si basa sul testo originale: "The Greek New Testament" pubblicato dall'UBS, Neste Aland edition. La traduzione avrà riferimenti biblici, note necessarie che riguardano le forme linguistiche, geografiche, storiche ecc. Si faranno comparazioni anche con la Bibbia del Filipaj e con il NT di Kristoforidhi.

 

6.  Le novità del progetto:

1. La partecipazione delle tre chiese (ortodossa, cattolica e protestante). È la prima volta che in Albania si realizza una traduzione interconfessionale ed è un ottimo esempio di Unità tra i cristiani.

2. La prima traduzione della Sacra Scrittura realizzata dalla nostra Società Biblica.

3. Competenza professionale dei traduttori.

4. I traduttori sono stati scelti dalle chiese stesse ed hanno la loro approvazione.

5. E’ rivolta ad un grande pubblico; non solo ai credenti ma anche alla società albanese.

6. Non sostituirà i testi liturgici. Ma gli ortodossi, i cattolici e i protestanti avranno nelle loro mani una traduzione in una lingua abbastanza facile da comprendere.

 

Impatto di una traduzione interconfessionale della Sacra Scrittura nella comunità .

 

Descrizione delle fasi del lavoro:

 

  1. Primo anno: Esercitazione dei traduttori nel Greco del NT: settembre 2001 - ottobre 2002;
  2. Tre anni di traduzione: 2002 - 2004;
  3. Redazione e pubblicazione:2004 - 2005.

 

Chi sono le persone coinvolte nel progetto:

 

Segretario Generale della SBIA: il Sig. Altin Hysi Coordinatrice: La sig.na Bruna Ndoci

Consulente dell'UBS: Rev. Dr. Don Carlo Buzzetti.

 

Il progetto viene seguito da un consulente di traduzione nominato dalla UBS (United Bible Societies). Egli sostiene e consiglia i traduttori nelle difficoltà che loro incontrano durante il processo di traduzione e garantisce che la traduzione si faccia secondo gli standard tecnici dell'UBS. È competente e con molta esperienza nel campo della traduzione della Bibbia.

 

I tre traduttori sono:

 

Traduttore cattolico: Don Marjan Paloka (licenziato in Teologia Dogmatica) dottorando in Teologia Dogmatica: Facoltà di Firenze - Pontificia Università Gregoriana a Roma/ Sacerdote/ nato nel 1974/ Lingue straniere: Inglese, Italiano, Francese, Tedesco, Spagnolo.

 

Traduttore ortodosso: Il Sig. Joan Lena: Teologo Ortodosso, Facoltà Teologica di Tessalonica/ professore di Teologia/ nato nel 1974/ lingue straniere: Inglese, Italiano, Francese.

 

Traduttore protestante: Zefjan Nikolla: Facoltà di Lingue Straniere - Università di Tirana/ Istituto Biblico Albanese/ nato nel 1973. Lingue straniere: Inglese, Italiano.

 

Consulente linguistico: Etleva Shiroka (cattolica). Professore nella facoltà di Lingua e Letteratura Albanese nell'Università di Tirana. Lei garantisce che la lingua usata nella traduzione corrisponda alla corrente lingua albanese.

 

Consulente del Greco Antico: Prof. Helena Galanopulu. (ortodossa) professoressa di Filosofia. Vicedirettore di una scuola di formazione professionale gestita dalla Chiesa ortodossa Autocefala dell' Albania. Durante l'anno di esercitazione aiutava i traduttori allo studio del greco antico in un appuntamento settimanale. Anche durante la fase di traduzione lei continua ad essere un valido aiuto.

 

Un determinato numero di Revisionisti e lettori delle tre confessioni cristiane.

I revisori devono essere competenti nel NT e devono avere conoscenze nelle scienze bibliche. Possono essere vescovi, sacerdoti, pastori persone con autorità e competenza in questo campo. Vengono scelti dalla SBIA con l'aiuto delle rispettive chiese. E’ necessario l'equilibrio interconfessionale.

 

I lettori sono l'ultima fase della traduzione. Loro leggono il testo e danno i loro suggerimenti. Possono essere persone responsabili nelle chiese, studenti, insegnanti, giornalisti, ecc.

 

Il progetto "Së Bashlu" è una traduzione interconfessionale, e come tale ha lo scopo di avvicinare le chiese. Al termine del progetto, gli ortodossi, i protestanti e i cattolici avranno un testo comune in mano per il loro uso quotidiano. Questa è la prima traduzione interconfessionale nella storia del cristianesimo in Albania ed è allo stesso tempo un nuovo concetto per tutti noi: è possibile lavorare insieme e sacrificarsi  per il bene di tutti.

 

È stato detto più volte che, ciò che unisce i cristiani è di più, rispetto a ciò che li divide, e lavorare insieme per la traduzione della Sacra Scrittura ci ha fatto capire l'importanza della Scrittura e quanto essa ci unisce. La provenienza da diverse confessioni cristiane dei traduttori è un buon esempio di collaborazione e una pietra in più per la causa dell'evangelizzazione dell' Albania.

 

Le persone coinvolte in Së Bashku” saranno per sempre buoni amici della Societa Biblica. Ora hanno imparato a conoscersi e stimarsi; hanno imparato a dare importanza ad un linguaggio albanese che è comune, chiaro, semplice, giovanile.

 

 Inoltre SBIA ha deciso di utilizzare le medesime persone per una serie di incontri presso la sede della Società Biblica. Sarà una serie di incontri di lettura biblica.

Avranno luogo letture della Bibbia in diverse lingue (Inglese, Italiano, Francese, Tedesco, Greco moderno) guidate dai traduttori, dalla consulente linguistica ecc. i quali si sono offerti volontariamente a lavorare nei diversi gruppi biblici. Possono partecipare tutti dando una certa priorità agli studenti di lingue straniere (Besa/Roma).

 

GROTTAFERRATA

ULTIME FASI  DEI  LAVORI SINODALI

 

Nelle tre sessioni sinodali sono stati votati tutti  gli schemi e approvati gli emendamenti proposti.

In questo periodo si sta svolgendo il lavoro di ritocco degli schemi sulla base delle richieste sinodali:

·         I Presidenti delle singole Commissioni sinodali hanno introdotto nei testi gli emendamenti votati;

·         quindi è compito della Commissione Centrale di Coordinamento (CCC) fare una attenta lettura dei singoli schemi e della coerenza del loro insieme;

·         al termine la CCC trasmetterà agli Ordinari  il testo definitivo.

·         Infine, dopo il loro esame, gli Ordinari lo trasmetteranno alla Santa Sede per la competente recognitio-approvazione.

Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nel presentare i sinodali al Santo Padre nell’udienza dell’ 11 gennaio, ha spiegato:

“Il Sinodo Intereparchiale è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il consenso della Santa Sede sia per la convocazione sia per l’approvazione definitiva degli atti perché essi possano avere valore normativo”.

Il Santo Padre ha sottolineato:

“Il vostro Sinodo ha posto l’accento su temi essenziali…E’ vostro intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale e atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione” (Besa/Roma).

 

 

NAPOLI

LE CAPITALI DELL’EUROPA ORIENTALE

 

Si è concluso il Convegno su “Le Capitali nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale”, organizzato dal Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale (3-5 marzo 2005), al quale hanno partecipato studiosi provenienti da Università straniere (Char’kov, Budapest, Mosca-Pietroburgo, Parigi-Nantes, Frankfurt/Oder, Tallin) e italiane (Milano, Roma, Trieste, Salerno, Siena, Napoli).

Il Rettore dell’Orientale, Prof. Pasquale Ciriello, inaugurando i lavori del Convegno, ha sottolineato l’opportunità e l’importanza del Convegno sulle Capitali dell’Europa centro-orientale, perché rappresenta un’apertura degli studi dell’Orientale di Napoli su uno scenario europeo inedito, che per la prima volta pone, in concreto, problemi di integrazione di vasta portata. Il contributo che l’Orientale può dare in questo campo è notevole, perché possiede un quadro di studiosi di provate competenze, sempre in contatto con le realtà politico-culturali dei vari paesi dell’Est-europeo.

Il Preside  della Facoltà di Lettere e Filosofia, Prof. Riccardo Maisano, ha ricordato la tradizione degli studi dell’Orientale, e in particolare del settore dell’Est-europeo, che oggi è di grande attualità e va sviluppandosi in filoni che interessano tanto l’Europa occidentale che orientale. Ciò è una conferma che l’attività svolta finora è stata correttamente impostata e si pone in una prospettiva di ulteriore sviluppo.

Il neo-Direttore del Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, Prof. Italo Costante Fortino, ha affermato che il Convegno rappresenta una prima riflessione sui continui cambiamenti che stanno interessando l’intera Europa, a 15 anni dalla caduta del muro di Berlino. 

In particolare ha sostenuto che l’integrazione va intesa non come esportazione di un modello culturale, ma piuttosto come accettazione consapevole del principio della diversità culturale.

Infatti i lavori del Convegno hanno messo in evidenza la diversità delle realtà delle Capitali dei singoli paesi sotto vari profili: storico, culturale, letterario, architettonico, artistico, linguistico, antropologico.

Egli ha anche sottolineato che la tradizione degli studi del Dipartimento dell’Europa Orientale conferma l’importanza della “conoscenza” delle diversità culturali, per poi accettarle con consapevolezza anche nel processo di integrazione in atto.

Una vera “conoscenza delle diversità” storiche, economiche, culturali delle Capitali dell’Est e dell’Ovest – come metafora delle reciproche visioni della vita – è la via obbligata per evitare conflitti e per aprire la strada a più vasti mercati economici e a nuovi scenari culturali, che dalla Spagna arrivano agli Urali. Il contatto tra le diverse culture, in un processo sereno di reciproca accettazione, è alla base della nascita di una nuova identità.

La cultura di Mosca e di San Pietroburgo a confronto con quella di Kiev e di Bucarest, di Ljubljana e di Atene, di  Budapest e di Cracovia, di Kruja e di Helsinki si presenta come un mosaico policromo, in cui si possono tuttavia individuare i lineamenti principali che concorrono a delineare la figura di fondo.

Il Direttore ha infine proposto che il Convegno non si ritenga concluso in questi tre giorni di studio, ma diventi un appuntamento a scadenza biennale, sia per approfondire altri aspetti rimasti in sospeso per mancanza di tempo, sia per seguire il processo di integrazione, che risponde a ritmi propri che si proiettano nel tempo.

Il Convegno, così concepito, diventa un osservatorio attento di quanto si muove all’interno di tutta la compagine europea nella ridefinizione di una nuova identità (Besa/Roma).

 

ALBANIA

  1. Riorganizzazione delle Circoscrizioni

 

Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha adottato i seguenti provvedimenti per la riorganizzazione delle Circoscrizioni ecclesiastiche :

a)      Ha elevato a sede metropolitana l’arcidiocesi di Tirama-Durrës, invertendo l’attuale denominazione di Durrës – Tirana, e assegnando ad essa come suffraganee la diocesi di Rrëshen e l’Amministrazione Apostolica dell’Albania Meridionale;

b)       Ha unito la diocesi di Pult all’Arcidiocesi metropolitana di Shkodrë, che assume la denominazione di Shkodrë – Pult, lasciando come suffraganee della medesima Arcidiocesi le Diocesi di Lezhë e di Sapë.

E’ stato così ristabilito anche in Albania il sistema metropolitano (Besa/Roma).

 

2. Dichiarazione comune dei Capi religiosi

 

I capi religiosi di Albania hanno firmato una dichiarazione sugli “Impegni comuni morali” per la società albanese.

 I firmatari del solenne atto pubblico sono: S. B. Anastas (Chiesa ortodossa), S. E. Mons. Rok Mirdita (Chiesa cattolica), Haxhi Selim Muca (Comunità musulmana),  Haxhi Dede Reshat Bardhi  (Comunità dei Bektashi).

I firmatari hanno dichiarato che “la predicazione  in nessun caso deve causare l’odio religioso” (Besa/Roma).

 

3. Aperta l’Università Cattolica

 

E’ stata inaugurata l’Università Cattolica  che porta il titolo “Nostra Signora del Buon Consiglio”. Essa è gestita dalla Congregazione fondata da Luigi Maria Monti.

Per l’anno accademico corrente  gli studenti si sono potuti iscrivere ai corsi di Scienze Politiche, di Economia;  e ai corsi per corrispondenza di Medicina e Chirurgia. Nei prossimi anni si prevede il completamento delle strutture e l’apertura di altri corsi di laurea (Besa/Roma).

 

INDIA

LA CHIESA SIRO -  MALANKARESE

DICHIARATA ARCIVESCOVADO MAGGIORE

 

 

Il Santo Padre ha elevato, secondo il CCEO, la Chiesa Metropolitana sui iuris Siro-Malankarese al grado di Chiesa Arcivescovile Maggiore e ha promosso l’Arcivescovo Mar Baselios Malancharuvil, OIC, alla dignità di Arcivescovo Maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi in India  (Besa/Roma).

 

 

LUNGRO

TRE SACERDOTI NEL REGNO DI DIO

 

 

In pochi mesi sono venuti a mancare, nell’eparchia di Lungro, tre venerabili sacerdoti.

 

Il protopresbitero P.Vincenzo Matrangolo è deceduto il 18 novembre 2004.  Era nato ad Acquaformosa nel 1913 e ordinato nel 1936. Tornato in diocesi è stato nominato parroco di Acquaformosa dove ha esercitato con zelo il ministero fino alla morte.

L’archimandrita Giovanni Capparelli, parroco di S. Sofia d’Epiro, vicario generale emerito, è morto il 20 gennaio 2005 all’età di 85 anni. Dal 1944 era stato parroco solerte e attivo di S. Sofia d’Epiro.

Il 16 febbraio 2005 è morto l’arciprete papàs Giuseppe Alessandrini, nato nel 1915, ordinato nel 1938, parroco perseverante e combattivo a S. Benedetto Ullano  per 66 anni.

 

I tre sono stati ordinati nella Chiesa di S.Atanasio a Roma. Hanno svolto il loro primo ministero durante gli anni difficili della seconda guerra mondiale e subito dopo. Hanno dedicato il loro ministero anche alla preparazione dello spirito di ricostruzione.

 

Nel periodo seguente hanno contribuito alla crescita delle loro comunità, quale simbolo materiale rimane il recupero della tradizione bizantina e dell’icongrafia che ha trasformato le chiese e le cappelle (Besa/Roma).

 

 

 

 

 

 

CIVITA

 VI CENTENARIO

DELLA NASCITA DI SKANDERBEG

 

Il martedì dopo Pasqua (29 marzo 2005) a Civita è stato organizzato un Convegno su “Scanderbeg tra storia e mito”. Sotto il profilo storico è stato messo in evidenza il ruolo di Giorgio Castriota nella resistenza all’invasione turca. Mentre la figura di Scanderbeg nell’opera di Naim Frashëri è stata tracciata dal Dr. Edmond Çali, lettore di lingua albanese all’Università “L’Orientale” di Napoli. N. Frashëri, benché di fede bektasciana, nel poema “Histori e Skënderbeut” ha voluto sottolineare l’anima cristiana e occidentale dell’Albania.

 

Il pomeriggio dello stesso giorno si sono svolte le “Vallje”, danze e canti tradizionali, con gruppi in costume, locali e di altre comunità arbëreshe.

Le “Vallje” ogni anno, in nome del Principe Scanderbeg, riaffermano l’identità etnica e culturale della minoranza albanese d’Italia (Besa/Roma).

 

 

FRASCINETO

VI CENTENARIO

DELLA NASCITA DI SKANDERBEG

 

Frascineto ha voluto ricordare il 6° centenario della nascita del Principe Giorgio Castriota con varie manifestazioni culturali che vanno dai convegni, alle mostre, alle sfilate.

Il primo appuntamento è stato con le tradizioni religiose e folcloriche pasquali a Frascineto ed Eianina, in cui si sono succeduti i contributi di A. Bellusci, A. Rennis ed E. Giordano, che hanno messo in rilievo il significato e le peculiarità di antiche tradizioni ancora vive, oltre al valore che esse conservano nella società moderna.

 

Un secondo convegno ha trattato “Giorgio Castriota Scanderbeg nella storia”, cui hanno preso parte i Prof.ri P. Xhufi, A. Kalluli e M. Mandalà.

 

Un momento significativo è stato il Panair pan-arbëresh.

Consisteva in una mostra di prodotti culturali di vari paesi arbëreshë: costumi, tessuti, ori, ricami, libri, manoscritti, dolci tipici (Besa/Roma).




 

 

TEOLOGIA QUOTIDIANA

56

LA RISURREZIONE CARDINE DELLA FEDE E DELLA VITA CRISTIANA

 

La risurrezione è il cardine della fede e della vita cristiana. Tutti i cristiani, che proclamano il simbolo niceno-costantinopolitano, confessano che Gesù Cristo “il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture”. La liturgia bizantina celebra con solennità la Pasqua. Inoltre essa prevede una celebrazione che, attraverso il ciclo dell’Oktoichos, ciclo degli Otto toni, con inizio nel giorno di Pasqua, si trasmette a tutte le domeniche e dà unità e coerenza all’intero anno liturgico, determinando lo svolgimento della preghiera e l’orientamento etico quotidiano.

L’inno pasquale del “Christòs anèsti” si ripete in ogni liturgia e akoluthia giornaliera dal giorno di Pasqua fino alla vigilia dell’Ascensione: “Cristo è risorto dai morti, con la morte calpestando la morte e dando la vita a coloro che giacciono nei sepolcri”,

Quest’inno contiene tre dimensioni che descrivono il grande mistero della risurrezione:

a)      la proclamazione della risurrezione di Cristo (“E risorto”).

b)      la risurrezione dei morti  (“dando la vita a coloro che giacciono nei sepolcri”),

c)      la vittoria sulla morte (“con la morte calpestando la morte”) nel duplice senso di morte fisica e spirituale. Salvatore Pricocco spiega: “Con la morte e la resurrezione Cristo ha trionfato sulla morte (=diavolo) che aveva in suo potere tutti gli uomini (Cfr. La Preghiera dei Cristiani, a cura di Salvatore Pricocco e Manlio Simonetti, Fondazione Lorenzo Valla,  Arnoldo Mondadori editore, Milano 2000,  p. 602). Il trionfo sul diavolo-maligno- male implica la vittoria sulla morte e sul peccato.

Il teologo greco Gregorio Palamas (1296-1359), santo della Chiesa ortodossa, nella sua omelia sul sabato santo, ha messo in rilievo le tre dimensioni: la fede nella risurrezione di Cristo, l’attesa della risurrezione di tutti gli uomini, la risurrezione a vita nuova o alla condizione di  nuova creazione di ogni credente, che per il battesimo partecipa già alla morte e alla risurrezione di Cristo. L’insieme viene visto dal Palamas nella prospettiva della redenzione, nell’economia di salvezza. Il Cristo “apertamente dimostra la sua onnipotente potenza vincendo la morte del corpo, risuscitando dopo tre giorni dai morti, salendo al cielo dove siede alla destra del Padre con quella carne che per noi portò e secondo la quale morì. Così ci diede fiducia anche nella risurrezione dai morti, nella apocatastasi in cielo e nell’eredità nel Regno” (PG;151, Omelia 16, n.19).

La resurrezione  costituisce parte essenziale e distintiva del kerygma cristiano sin dal tempo degli apostoli e durante tutta la storia della Chiesa. San Paolo, parlando ai sapienti greci dell’Aeropago, ha  indicato in Gesù Cristo colui che verrà a giudicare “la terra con giustizia”, avendo ricevuto “prova sicura” da Dio “con il risuscitarlo dai morti” (Atti 17, 31).  Il tema della risurrezione ai Greci creava problema. “Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: “Ti sentiremo su questo un’altra volta”, un forma cortese per licenziarlo. “Così Paolo uscì da quella riunione, ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti” (Atti 17, 32-34). La Chiesa ha strutturato la sua fede e la sua predicazione attorno a questo tema sconvolgente: “Aspetto la resurrezione dei morti. Verrà a giudicare i vivi e i morti. Il suo Regno non avrà fine”.

La risurrezione non si riferisce solo agli ultimi tempi, ma ha influsso sui nostri giorni e deve averlo sulla vita quotidiana. Il Palamas ricorda questi due aspetti citando la prima lettera di S. Pietro e quella ai Romani di Paolo. “E darà la vita anche ai corpi di tutti nel giorno in cui ha stabilito di risuscitare e giudicare tutto il genere umano come il capo degli apostoli ci ha insegnato: Cristo morì una volta per tutte per i peccatori, giusto per gli ingiusti, per presentarci a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo. E in spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime incarcerate (1Pt 3, 18-19), cioè alle anime dei morti a partire dall’inizio del tempo” (PG, Ibidem, n. 17).

Il secondo aspetto riguarda la vita quotidiana. Il credente è un uomo risorto e come tale deve comportarsi. Le sue opere siano opere di figli della luce. Dal sepolcro vuoto di Cristo all’alba di “quel” primo giorno della settimana sgorga una luce che illumina l’intera concezione della vita cristiana: il senso della vita, il significato della morte, il valore delle opere della luce. Il tutto è visto nella prospettiva di un orizzonte nuovo senza confini. E senza esclusioni. La risurrezione quotidiana della “vita intermedia” – come il Palamas chiama lo stadio di vita sulla terra – è determinata dal battesimo. Si fonda sulla lettera di S. Paolo ai Romani che cita: “Se infatti siamo divenuti partecipi della sua natura con una morte simile alla sua, lo saremo anche della sua resurrezione” (Rom 6,5). E “così  anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rom 6, 4).

Ciò implica, secondo l’espressione palamita, “la vita secondo l’evangelo di Cristo” (Ibidem). Essa si sviluppa in un rinnovamento che “di giorno in giorno” progredisce verso la conoscenza di Dio, la giustizia e la santificazione con uno scardinamento dell’inclinazione alle passioni e un trasferimento del desiderio sui “beni intellegibili”.

Roma, 3 Aprile 2005, Domenica di Tommaso

 

 

Circolare febbraio 2005                                                                                                                       172/2005

Sommario

II Sinodo Intereparchiale: concelebrazioni liturgiche..................................................................... 1

GROTTAFERRATA: III Sessione Sinodo Intereparchiale........................................................... 2

GROTTAFERRATA: II Sessione Sinodo Intereparchiale............................................................ 3

ROMA: Udienza del Papa al II Sinodo Intereparchiale................................................................ 4

GROTTAFERRATA: Omelia di chiusura del II Sinodo Intereparchiale........................................ 5

ROMA: Sinodo - Intervista a p. Lanne....................................................................................... 7

ATENE: Il diaconato femminile nella Chiesa ortodossa................................................................ 8

CIVITA: XXXV di “Katundi Ynë”............................................................................................. 9

CIVITA: Musiche e danza - Festival Euromediterraneo............................................................... 9

ROMA: Festa Nazionale d’Albania - Presentata l’opera di V. Ujko............................................ 10

ROMA: Gli Italo-Albanesi da Clemente VIII a Giovanni Paolo II............................................... 11

 

 
II Sinodo Intereparchiale: concelebrazioni liturgiche

 

Il 14 gennaio 2005 un’ ampia e sentitamente partecipata concelebrazione liturgica ha concluso le sessioni del II Sinodo Intereparchiale nella Basilica di S. M. di Grottaferrata. Dopo la Grande Dossologia, la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo è stata presieduta dal Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il Patriarca emerito di Antiochia dei Siri, S.B. Ignace Moussa I Card. Daoud e concelebrata dagli Ordinari delle tre Circoscrizioni bizantine e dai Sinodali, sacerdoti e diaconi, di rito bizantino e di rito latino. La Liturgia è stata cantata dall’intera assemblea, guidata da un coro composto da membri delle tre Circoscrizioni,. “Il primo coro  intereparchiale”, ha notato una sinodale. Questa celebrazione eucaristica è stata il vero ringraziamento a Dio per aver accompagnato l’Assemblea sinodale alla positiva conclusione dei suoi lavori. Essa è stata l’espressione sacramentale del tema sinodale: “Comunione e Annuncio dell’Evangelo”.

Le celebrazioni liturgiche hanno scandito i vari momenti celebrativi. La mattina veniva concelebrata la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo alternativamente in lingua greca, in lingua albanese e parzialmente in italiano. Le sessioni avevano inizio sempre con l’intronizzazione del Vangelo. Le sessioni mattutine degli altri giorni prevedevano la recita della preghiera del Sinodo, quelle vespertine l’Ora Nona. Nell’ultima sessione per due volte i rappresentanti delle parrocchie latine, hanno guidato la celebrazione dei vespri in rito romano, partecipati dall’intera assemblea.

Nell’ultima sessione il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, dopo la proclamazione del Vangelo, ha tenuto un articolato discorso sul Sinodo e la sua importanza per la vita delle tre Circoscrizioni, mettendo in rilievo le sue tematiche relative alla formazione dell’intero popolo di Dio, del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata, alla celebrazione della liturgia e dei sacramenti, ai problemi della rievangelizzazione. Ha sottolineato l’importanza del Diritto Particolare. La lettura del Decreto di chiusura del Sinodo ha coronato l’intera sessione.

Risuonava con un particolare significato l’ultima ammonizione del diacono: “En eirini proèlthomen”, “Procediamo in pace”, “Në paqe le të dalim”, mentre si scioglieva l’assemblea. L’esortazione assumeva il senso di un invito a procedere all’applicazione del Sinodo nella vita delle singole comunità: la Liturgia dopo la Liturgia, il Sinodo dopo il Sinodo (Besa/Roma).

 

 

GROTTAFERRATA

III SESSIONE SINODO INTEREPARCHIALE

10-14 gennaio 2005

 

Nella Basilica di Santa Maria di Grottaferrata si è celebrato il II Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia: cioè della eparchia di Lungro per gli albanesi di Calabria e dell’Italia Continentale, dell’eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia e del monastero esarchico di Grottaferrata sul tema: “Comunione e Annuncio dell’Evangelo”.

Questo tema è articolato in undici schemi:

 

1.      Prologo: Contesto teologico e pastorale del Sinodo;

2. La Sacra Scrittura nella Chiesa locale;

3. Catechesi e mistagogia;

4. Liturgia

5. Formazione del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata;

6. Diritto canonico;

7. Ecumenismo, Dialogo interreligioso, Sette e Nuovi Movimenti Religiosi;

8. Rapporti interrituali;

9. Rievangelizzazione;

10. Missione;

11. Epilogo: Chiamati alla santità (Rom 1,7).

 

Dopo l’autorizzazione della Santa Sede (1994) a tenere un II Sinodo Intereparchiale, ha avuto luogo la fase antepreparatoria (1996-2000) e quella preparatoria (2001-2003), seguita dalla fase celebrativa in tre sessioni: la prima nei giorni 17-22 ottobre 2004, la seconda nei giorni 15-18 novembre 2004, e la terza nei giorni 10-14 gennaio 2005. Nelle prime due sessioni sono stati discussi e votati tutti gli schemi. Gli emendamenti proposti sono stati votati definitivamente nella terza sessione.

La III sessione si è aperta con l’udienza speciale di Sua Santità Giovanni Paolo II, nella mattinata dell’11 gennaio 2005 in Vaticano nella Sala Clementina.

Il Prefetto della Cogregazione per le Chiese Orientali S.B. Ignace Moussa I Card. Daoud ha presentato gli Ordinari e i Sinodali al Santo Padre e il Sinodo stesso: “Il Sinodo Intereparchiale – egli ha detto – è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il consenso della Santa Sede sia per la convocazione sia per l’approvazione definitiva degli Atti perché essi abbiano valore normativo”.

Nel suo discorso il Santo Padre ha elogiato il tema scelto per il Sinodo e i suoi intenti: “Per evitare una trasformazione indebita dell’identità spirituale che vi distingue, è vostro intendimento curare una solida formazione radicata  nella tradizione orientale e atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Dopo aver richiamato che la tradizione bizantina contiene celebrazioni che “costituiscono un potente veicolo di catechesi per il popolo cristiano”, come i sacramenti, l’anno liturgico,  l’Ufficio divino e le Liturgie di S. Giovanni Crisostono e di S. Basilio, egli ha concluso: “Giustamente pertanto voi le fate risuonare in modo comprensibile nelle lingue del nostro tempo”.

Durante i lavori sinodali della III Sessione sono stati votati 187 emendamenti per i dieci schemi che erano stati “approvati con riserva” cioè con proposte di emendamenti su questioni determinate. Gli emendamenti si riferivano: 14 al Contesto teologico e pastorale, 16 alla Sacra Scrittura nella Chiesa locale, 24 alla Catechesi e alla mistagogia,  29 alla Liturgia, 39 alla Formazione del clero e dei membri di Istituti di vita consacrata, 17 al Diritto canonico, 13 ai Rapporti interrituali, 14 all’Ecumenismo, 14 alla Rievangelizzazione e 9 alla Missione. Gli emendamenti sono stati approvati tutti, meno uno. L’11° schema (“Chiamati alla santità” Rom. 1,7) era stato approvoto integralmente già nella prima tornata di votazioni.

La votazione degli emendamenti è stata presentata e curata dalla Segretaria generale del Sinodo (segretario p. Antonio Costanza di Grottaferrata e co-segretari: archim. Donato Oliverio e archim. Antonino Paratore).

Al termine delle votazioni il vescovo di Lungro S.E. mons. Lupinacci, nella qualità di Ordinario anziano, ha salutato e ringraziato l’assemblea valutando positivamente il suo operato e ha epresso la gratitudine di tutti al monastero di Grottaferrata per l’ospitalità offerta al Sinodo.

La III Sessione si è conclusa il 14 gennaio 2005 con la Divina Liturgia, presieduta dal Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S.B. Ignace Moussa I Daoud, concelebrata dagli Ordinari (S.E. mons. Ercole Lupinacci, vescovo di Lungro; S.E. mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi; Rev.mo p. Emiliano Fabbricatore, esarca di Grottaferrata) e dai Sinodali (sacerdoti e diaconi) di rito greco e di rito latino. Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha valutato con favore il lavoro sinodale e ha dichiarato: “Delineato il quadro teologico e studiato il contesto pastorale, i vari schemi possono ora affrontare le concrete esigenze ecclesiali in modo canonicamente fondato e coordinato”.

L’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia del Patriarcato Ecumenico è stata rappresentata in tutte e tre le sessioni sinodali attraverso un suo delegato fraterno. Nella prima sessione ha preso parte l’archimandrita Grigorios Stergiou, in seguito nominato metropolita del Camerun. Nella seconda e terza sessione è stato presente l’archimandrita Giorgios Antonopoulos. Questi a conclusione dell’ultima sessione è intervenuto, a nome dell’arcivescovo Gennadios, Metropolita d’Italia, per ringraziare dell’invito e per l’accoglienza fraterna ricevuta. Egli ha espresso un positivo apprezzamento per le tematiche sinodali e per il dibattito svolto, partecipato e puntuale. “Tutto ciò - egli ha detto - interessa anche noi ortodossi in Italia”.

Infine l’archimandrita papàs Donato Oliverio, co-segretario, ha letto il decreto di chiusura del II Sinodo Intereparchiale.

Ora, dopo che da parte della Commissione Centrale di Coordinamento gli emendamenti saranno integrati nei vari schemi, il risultato sarà presentato agli Ordinari che cureranno la presentazione alla Santa Sede per la necessaria Recognitio-approvazione.

Il presidente della Commissione Centrale di Coordinamento, l’archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha dichiarato alla TV SAT 2000: “Le decisioni sinodali costituiscono per gli Italo-Albanesi la guida sicura e il viatico verso il futuro”  (Inter-Sinodo).

 

GROTTAFERRATA: II SESSIONE

SINODO INTEREPARCHIALE

15-18 novembre 2004

 

Intervento del card. Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana - Partecipazione del Patriarca greco melkita cattolico S.B. Gregorio III e del Presidente della Conferenza Episcopale Albanese S.E. Mons. Angelo Massafra - Saluto del Delegato fraterno dell’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia, Archimandrita Giorgio Antonopoulos.

 

Nella Basilica di Santa Maria di Grottaferrata si è svolta (15-18 novembre) la seconda sessione del II Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia delle eparchie di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia e del monastero esarchico di Grottaferrata, per l’esame degli ultimi cinque schemi del programma sinodale sul tema generale: “Comunione e Annuncio dell’Evangelo”.

“E’ motivo di gioia per tutta la Chiesa che è in Italia percepire la vitalità delle Chiese bizantine presenti nel suo seno e che in questi giorni si interrogano qui sul fondamento della koinonia e sull’annuncio dell’Evangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo e del nostro Paese”. Così il cardinale Camillo Ruini, Vicario di S.S. Giovanni Paolo II e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, venuto appositamente da Roma, ha salutato il Sinodo. “Le tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine presenti in Italia - egli ha continuato - hanno storia e caratteristiche diverse, ma sono affini nel loro essere testimoni della tradizione liturgica e spirituale orientale nell’ambito della Chiesa italiana e di una piena e cordiale cattolicità. Per chiunque abbia conoscenze e sensibilità adeguate, le vostre tre Chiese locali sono la prova evidente di come tutta la ricchezza della tradizione cristiana d’Oriente sia perfettamente compatibile con la fedeltà sincera alla Sede Apostolica”. Quindi il cardinale Ruini ha comunicato “il saluto e la benedizione paterna del Santo Padre stesso, che approvò nel 1994 la presente assise sinodale e ne attende con speranza risultati fecondi di bene per la vita spirituale delle Circoscrizioni ecclesiali qui riunite”.

Nei tre intensi giorni di lavoro sinodale sono stati presentati, discussi e approvati con emendamenti, i seguenti cinque schemi: Ecumenismo, Rapporti interrituali, Rievangelizzazione, Missione e l’epilogo sulla vocazione alla santità come scopo ultimo del Sinodo. Gli emendamenti  dovranno ora essere studiati per discernere quelli che, nella linea della votazione, possono essere coerentemente inseriti nei testi sinodali. Tali emendamenti saranno sottoposti alla votazione finale nell’ultima sessione, prevista nei giorni 10-14 gennaio 2005.

Le tematiche di questa sessioni si riferivano al rinnovamento della vita interna di queste Comunità, per mezzo di un’azione pastorale di rievangelizzazione, che faccia fronte alle tendenze secolarizzanti rilevate a livello nazionale da diversi documenti della CEI e riscontrabili anche nelle eparchie bizantine di Calabria e Sicilia. Sono stati analizzati i rapporti fra le eparchie bizantine e le diocesi latine circostanti per una fraterna cooperazione per l’annuncio concorde dell’Evangelo, nel rispetto delle proprie caratteristiche liturgiche e delle norme disciplinari contenute nei due Codici di diritto canonico.

Tutto ciò apre alla riflessione sulla missione delle Chiese locali, come dimensione essenziale del mandato del Signore risorto a fare discepole tutte le genti in ogni tempo. Lo schema sull’ecumenismo ha sollecitato una riflessione sulla ricerca della piena unità tra i cristiani, particolarmente tra cattolici e ortodossi, e sull’apporto che possono offrire le tre Circoscrizioni bizantine cattoliche in Italia.

Questa dimensione è stata sottolineata esistenzialmente dalla presenza del delegato fraterno dell’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia del Patriarcato Ecumenico. L’archimandrita Giorgio Antonopoulos, inviato dall’Arcivescovo Gennadios, Metropolita d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, è stato accolto con fraternità cordiale ed ecclesiale.

Egli si è rivolto all’Assemblea sinodale e ha porto il saluto e l’augurio dell’Arcidiocesi Ortodossa. Anche nella precedente sessione l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia aveva inviato un delegato fraterno, il quale, subito dopo, è stato  eletto metropolita del Camerun del Patriarcato greco-ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa.

Ha onorato questa seconda sessione la presenza, durante tutti e tre i giorni di assemblea, di Sua Beatitudine Gregorio III, Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti cattolici. Egli è più volte intervenuto attivamente e propositivamente nella discussione dell’assemblea, esprimendo un apprezzamento caloroso sugli schemi per la loro “solidità teologica e la loro apertura pastorale” nei confronti dei problemi che la Chiesa deve affrontare oggigiorno. Il Patriarcato greco-melkita cattolico sta preparando a Damasco una’assemblea analoga per l’anno 2006. S.B. Gregorio III ha invitato i tre Ordinari delle Circoscrizioni bizantine in Italia: il vecovo di Lungro mons. Ercole Lupinacci, il vescovo di Piana degli Albanesi mons. Sotir Ferrara e l’archimandrita ordinario di Grottaferrata p. Emiliano Fabbricatore.

La Conferenza Episcopale di Albania è stata rappresentata dal suo stesso presidente: S.E. mons. Angelo Massafra, Arcivescovo di Scutari.

Egli è un italo-albanese delle Puglie, missionario in Albania e poi nominato vescovo. E’ il segno di un contributo vero che gli albanesi d’Italia hanno potuto offrire alla Chiesa in Albania, in questo fecondo periodo di nuova organizzazione materiale e spirituale per la rievangelizzazione di quelle comunità che hanno subìto un mezzo secolo di tragica persecuzione.

Ha seguito l’intera sessione, il rappresentante della Congregazione per le Chiese orientali, S.E. mons. Francesco Pio Tamburrino, Arcivescovo Metropolta di Foggia-Bovino.

Dopo questa sessione il Sinodo si prepara alla sua ultima fase per la votazione delle eventuali modifiche redazionali e per l’approvazione finale degli schemi (Besa/Roma).

 

 

ROMA: UDIENZA DEL PAPA

AL II SINODO INTEREPARCHIALE

Martedì, 11 gennaio 2005

 

 

La mattina dell’11 gennaio S.S. Giovanni Paolo II ha ricevuto nella Sala Clementina i membri del II Sinodo Intereparchiale con a capo i tre Ordinari.

Era presente l’arcivescovo di Foggia S.E. Pio Francesco Tamburrino, rappresentante della Congregazione per le Chiese Orientali.

E’ stata offerta al Santo Padre una icona dipinta da Josif Droboniku, ispirata alla Madonna del Buon Consiglio di Genazzano, che la tradizione vuole emigrata dall’Albania in Italia. Da Genazzano il suo culto è stato trasferito da Stewfano Rodotà tra gli arbëreshë di Calabria.

I sinodali sono stati presentati al Santo Padre da S.B. Ignace Moussa I Daoud, Prefetto della Congregazione Orientale, Patriarca emerito di Antiochia dei Siri.

 

  1. Indirizzo del Cardinale Prefetto

della Congregazione per le Chiese Orientali

 

Beatissimo Padre,

 

Le tre Circoscrizioni bizantine d'Italia si sono riunite nel secondo Sinodo Intereparchiale. I lavori si concluderanno nei prossimi giorni a Grottaferrata con la Divina Liturgia, che porrà il sigillo di grazia al lungo cammino di preparazione e alla fervida celebrazione delle tre sessioni.

Il Sinodo Intereparchiale è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il consenso della Santa Sede sia per la convocazione sia per l'approvazione definitiva degli atti perché essi abbiano valore normativo.

L'assise ha voluto interrogarsi sul tema della comunione e dell'annuncio del Vangelo, nella piena fedeltà alla tradizione bizantina e alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II. Proprio quarant'anni or sono il decreto Orientalium Ecclesiarum ha esaltato la dignità delle Chiese orientali e insieme la loro responsabilità per l'annuncio dell'Evangelo. Il contesto religioso, culturale e sociale italiano è estremamente mutato nell'arco di tempo che ci divide dal primo Sinodo Intereparchiale del 1940. Ma ancora attende che grazie alle comunità bizantine le parole dell'Oriente si uniscano a quelle dell'Occidente per svelare all'uomo contemporaneo tutta la ricchezza del mistero di Cristo Redentore (cfr. Orientale lumen 28).

Santo Padre, ho l'onore di presentarVi l'omaggio devoto e il ringraziamento profondo delle comunità bizantine italiane.

Vi salutano gli Ecc.mi vescovi eparchiali di Lungro e Piana degli Albanesi, mons. Ercole Lupinacci e mons. Sotir Ferrara, e il Rev.mo padre Emiliano Fabbricatore, archimandrita esarca di Grottaferrata con la comunità monastica. A loro ha la gioia di unirsi la Congregazione per le Chiese Orientali. Ed è con noi l'Ecc.mo mons. Francesco Pio Tamburino, arcivescovo di Foggia-Bovino, che ha partecipato ai lavori sinodali come Rappresentante del nostro Dicastero.

Oggi pastori e fedeli ricevono il dono tanto ambito dell'incontro con Vostra Santità e possono rinnovare l'adesione gioiosa di fede e di amore al ministero del Successore di Pietro, al Vostro illuminante magistero, confermando la fedeltà dei loro Padri. E fin d'ora essi assicurano l'accoglienza alle disposizioni che saranno adottate circa il presente Sinodo per il bene delle comunità bizantine d'Italia. Ma quello di oggi è insieme il ritrovo dei figli con il Padre e Pastore da cui sono conosciuti ed amati, il Quale li conforterà e incoraggerà in una generosa testimonianza a Cristo Gesù.

Con Voi eleviamo al Signore uno speciale rendimento di grazie ed invochiamo la benedizione celeste a sostegno delle feconde prospettive di rinnovamento ecclesiale maturate in un clima di intensa preghiera, riflessione e confronto.

Grazie, Santo Padre, dal profondo del cuore!" (Besa/Roma).

 

2. Discorso di S. S. Giovanni Paolo II

 

Beatitudine,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

carissimi Fratelli e Sorelle!

 

1. Vi accolgo con gioia e vi saluto cordialmente. Saluto in primo luogo il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Estendo il mio saluto alle Comunità che voi qui rappresentate, ed a coloro che prendono parte al vostro Sinodo, che ha come tema: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”.

Si tratta di un tema quanto mai attuale per le vostre due eparchie e per il monastero esarchico di Grottaferrata. Eredi di un comune patrimonio spirituale, queste vostre realtà ecclesiali sono chiamate a testimoniare l'unità della stessa fede in diversi contesti sociali. Esse collaborano dal punto di vista pastorale con le comunità di tradizione latina e rafforzano sempre più la loro identità, facendo tesoro della loro millenaria tradizione bizantina.

2. Per favorire tutto ciò, il vostro Sinodo ha posto l’accento su temi essenziali come la catechesi e la mistagogia in vista di un’adeguata crescita spirituale dell'intero Popolo di Dio. Ha inoltre individuato percorsi teologici e ascetici per la preparazione del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata. Inoltre, per evitare una trasformazione indebita dell’identità spirituale che vi distingue, è vostro intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale ed atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione.

La Santa Sede, mediante la Congregazione per le Chiese Orientali, non mancherà di offrire il proprio sostegno a quest’azione rinnovatrice, mentre nei testi del Concilio Vaticano II e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali vi sarà possibile trovare riferimenti utili per sostenere tali vostri sforzi.

3. Il rito bizantino i mirabilia Dei per l'umanità e, al riguardo, le Anafore di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio sono di sublime esemplarità. Le Preghiere Eucaristiche e la celebrazione degli altri Sacramenti, come l'intero svolgimento liturgico e il Culto divino con la ricca innografia, costituiscono un potente veicolo di catechesi per il popolo cristiano.

Quasi quotidianamente voi celebrate la Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, il quale per la sua arte oratoria e per la sua conoscenza delle Sacre Scritture è stato chiamato “Bocca d'oro”. Le sue parole penetrano anche oggi nell'orecchio e nel cuore dell'uomo. Giustamente pertanto voi le fate risuonare in modo comprensibile nelle lingue del nostro tempo.

4. Vi incoraggio poi a proseguire i contatti, grazie alla comune tradizione liturgica, con le Chiese ortodosse desiderose anch’esse di rendere gloria all'Unico Dio e Salvatore. Il Signore Onnipotente, che nel Natale appena passato ha rivelato la sua divina tenerezza nella luminosa incarnazione del Verbo, conceda a tutti i credenti in Cristo di vivere appieno l’unità della medesima fede. Per questo prego e domando al Signore che il vostro Sinodo contribuisca a favorire un rinnovato annuncio dell'Evangelo in ogni vostra Comunità come pure un vigoroso slancio ecumenico.

Questo ardente auspicio affido alla Santissima Madre di Dio, mentre di gran cuore imparto a voi qui presenti ed alle vostre eparchie una speciale Benedizione Apostolica  (Besa/Roma).

 

 

 

GROTTAFERRATA

OMELIA DI CHIUSURA

SINODO INTEREPARCHIALE

 

Durante la concelebrazione della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo che ha concluso il II Sinodo Intereparchiale, il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali S.B. Ignace Moussa I Daoud, ha tenuto la seguente omelia:

 

Eccellenze,

Rev.mo Archirnandrita Esarca,

cari sacerdoti, religiosi e religiose,

fratelli e sorelle nel Signore,

 

"Benedetto sia Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale" (Ef 1,3)".

A conclusione del secondo Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia è doveroso il fervido ringraziamento a Dio che ha ispirato, sostenuto e portato a compimento il cammino!

Un Sinodo è sempre evento di grazia. Il Signore assicura la sua presenza là dove due o tre sono riuniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20). Lo Spirito Santo che è "presente ovunque e tutto riempie", Lui "datore dei beni", invocato all'inizio dell' Assemblea sinodale, vi ha guidato verso tutta intera la verità, nella comune professione di fede e nella comunione di intenti in vista di un rinnovato annuncio dell'Evangelo.

1. Il nostro grazie va al Santo Padre, mentre siamo ancora commossi per l'udienza speciale accordataci martedì 11 gennaio nel Palazzo Apostolico Vaticano. La Sua parola tanto benevola ed autorevole sarà senz'altro accolta con profonda devozione e responsabilità da tutte le componenti di questa assemblea. Per Lui eleviamo al Signore l'ardente preghiera dei figli riconoscenti e fedeli.

2. Il Sinodo delle Circoscrizioni bizantine in Italia, le quali vivono in contesto di maggioranza latina, assume un particolare significato. Il Cardinale Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità e Presidente della CEI, venendo ad incoraggiare i lavori sinodali ha rilevato la vostra vitalità quale "prova evidente di come tutta la ricchezza della tradizione cristiana d'Oriente sia perfettamente compatibile con la fedeltà sincera alla Sede Apostolica".

Effettivamente, quali eredi di una singolare tradizione teologica, culturale, spirituale, liturgica, disciplinare siete chiamati a rafforzare la vostra identità e a trasmetterne fedelmente i valori alle nuove generazioni in comunione di fede e fraterna cooperazione con i cattolici di tradizione latina.

3. Il primo Sinodo nell'anno 1940 è stato convocato subito dopo la costituzione dell'eparchia di Piana degli Albanesi (1937) e l'elevazione a Monastero Esarchico dell'antico cenobio di Grottaferrata (1937). Le nuove Circoscrizioni, assieme all'eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi dell'Italia Continentale, istituita nel 1919, pur distanti tra loro dal punto di vista geografico, sono accomunate dalla stessa tradizione. Il primo Sinodo aveva lo scopo di rafforzarla, di purificarla da ibridismi determinati da varie traversie storiche ed avviare una migliore presenza ecclesiale degli orientali in Italia.

Gli Ordinari del tempo, nel decreto di indizione, ricordando la genesi dell'assise sinodale ne indicavano gli scopi: "Fin dall'ottobre del 1937, dopo la costituzione dell'eparchia di Piana dei Greci e del monastero esarchico di Grottaferrata, l'immortale Pontefice Pio XI, cui stette tanto a cuore la causa degli Orientali, ebbe a manifestare il desiderio che il clero e i fedeli di rito bizantino delle eparchie e del monastero esarchico studiassero l'opportunità di celebrare un Sinodo Intereparchiale che unificasse la disciplina nei paesi sottratti agli Ordinari di rito latino per far parte delle eparchie ed assicurasse la purezza di quei riti che a voi tramandarono, come la più preziosa eredità, i vostri Padri, pur tra mille pericoli e difficoltà".

Un auspicio speciale formulava Pio XII nell'udienza concessa ai sinodali (18 ottobre 1940) a conclusione dei lavori: "Cotesto Sinodo, che ci auguriamo sia albore di un nuovo meriggio nella storia religiosa degli Italo-Greci, richiama alla nostra mente la visione di un passato ricco di preziosa operosità a gloria di Dio e a bene delle anime e ci insinua e ci dà fiduciosa speranza di attuazioni non meno belle e feconde per l'avvenire".

Nonostante le obiettive difficoltà dei tempi bellici e postbellici, quel Sinodo si è rivelato positivo nel campo di una più adeguata prassi liturgica, nella formazione di uno spirito unitario e nell'incremento di fraterni rapporti con le comunità latine circostanti.

4. Il presente Sinodo si svolge in una situazione nuova. Le tre Circoscrizioni si sono ben consolidate. La Congregazione per le Chiese Orientali ha dato il suo contributo alla riorganizzazione delle strutture, alla formazione del clero, alla promozione liturgica, e tuttora ritiene suo compito istituzionale la cura più attenta nei vostri confronti.

Ed importanti eventi sono sopraggiunti a segnare la vita della Chiesa intera, con influssi di notevole portata sulle Chiese Orientali Cattoliche.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, prima di tutto.

Con i suoi documenti, e in particolare con il decreto "Orientalium Ecclesiarum", l'assise conciliare ha sottolineato dignità e valori delle Chiese Orientali Cattoliche considerandole "fermamente quale patrimonio di tutta la Chiesa" (OE, 5), e ha espresso il desiderio che esse "fioriscano e assolvano con nuovo vigore apostolico la missione loro affidata" (OE, l).

Il secondo evento è la promulgazione (1990) del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali Cattoliche (CCEO), il quale offre il quadro canonico generale in cui situare le decisioni sinodali. Ed è proprio il Codice a richiedere che le singole Chiese elaborino il Diritto Particolare. Ho appreso con soddisfazione che il Sinodo ha riservato alla questione la dovuta attenzione e che uno schema contiene una specifica proposta. Il Diritto Particolare darà la piattaforma unitaria nel perseguimento degli orientamenti del Concilio e del nuovo Codice. Per la prima volta nella storia le Circoscrizioni bizantine italiane hanno questa provvidenziale opportunità.

5. Il Sinodo Intereparchiale si presenta, pertanto, come adeguato strumento di ricezione dello spirito del Concilio e del Codice. I criteri che hanno guidato la preparazione e la celebrazione, lo studio previo, la redazione degli schemi, la loro discussione ai vari livelli e la loro votazione, lo mostrano con evidenza. La consultazione sinodale ha inteso mantenere integre le tradizioni della Chiesa bizantina (OE, 2) e ritornare a quelle avite qualora indebitamente fossero state abbandonate (OE, 6). Essa, inoltre, ha deciso di guardare al futuro, applicando l'indicazione conciliare dell'organico progresso (OE, 6) e tenendo ben presenti le esigenze attuali e le prospettive per l'avvenire.

Delineato il quadro teologico e studiato il contesto pastorale, sulla base dei diversi schemi potranno essere affrontate le concrete esigenze ecclesiali in modo canonicamente fondato e coordinato.

Mi rallegro, soprattutto, perché avete posto a riferimento supremo la Sacra Scrittura, ravvisando in essa la fonte di ogni riflessione e di ogni vero orientamento pastorale.

Giustamente vi siete preoccupati della formazione di tutti i membri della comunità, proponendo una rinnovata catechesi e mistagogia. La Congregazione per le Chiese Orientali condivide questa priorità e la ritiene indispensabile per guardare con speranza al domani. Essa considera con particolare favore e incoraggiamento l'apporto del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio e del Pontificio Seminario Benedetto XV, quali seminari maggiore e minore.

Le vocazioni, però, richiedono la preghiera e la testimonianza dell'intera comunità ecclesiale, e la cura per le vocazioni deve essere inserita nella pastorale generale, opportunamente coordinata con la pastorale familiare e giovanile. La Congregazione segue, altresì, con interesse le altre iniziative che possono contribuire alla formazione culturale e spirituale (come gli Istituti di Scienze Religiose) e la promozione degli studi biblici.

Fonte e culmine della vita cristiana è la liturgia. Il vostro Sinodo, lodevolmente, ne fa un punto centrale, considerando tutti gli aspetti che aiutino una migliore partecipazione del clero e dei laici.

Incoraggio, poi, anche per parte mia la sensibilità ecumenica. Avete voluto testimoniare che la diversità legittima è arricchimento per tutti. Ed avete affermato che le vostre comunità intendono partecipare alla ricerca della piena unità dei cristiani con la preghiera e con ogni possibile sforzo. E' motivo di intensa gioia la presenza a questo Sinodo dei delegati fraterni dell’Arcidiocesi Ortodossa d'Italia del Patriarcato Ecumenico.

Vi siete interessati anche ai rapporti interrituali. Per la prima volta hanno preso parte al Sinodo le parrocchie latine che si trovano nella giurisdizione dell'eparchia di Piana degli Albanesi, con rappresentanti del clero e del laicato. Tale partecipazione favorirà una cooperazione pastorale rispettosa e costruttiva nella condivisa comunione di fede e di giurisdizione.

Scopo ultimo del Sinodo è la vocazione alla santità. Cristo, partecipando la sua santità alla Chiesa, genera, illumina e sostiene i passi degli individui e delle comunità verso la perfezione cristiana. Tutto e tutti debbono tendere a questa comune meta, che è l'apice del cammino ecclesiale. La serietà di un Sinodo si giudica su questa preoccupazione fondamentale, e sono lieto di potervi rendere atto di questa specifica attenzione sinodale.

6. Dopo la recognitio della Santa Sede, le vostre deliberazioni entreranno nella vita delle comunità. Mi auguro che possano costituire una guida sicura per risolvere le questioni aperte dall'evoluzione dei tempi e un aiuto concreto per incrementare la vita cristiana e renderla proposta avvincente per le nuove generazioni e per chi ancora non conosce il Vangelo vivo: Cristo Signore!

7. Cari fratelli e sorelle,

mi felicito con gli Ecc.mi e Rev.mi Ordinari per l'indizione del Sinodo e li ringrazio di cuore!

Ringrazio tutti coloro che vi hanno preso parte a diverso titolo: la Commissione Centrale di Coordinamento guidata con competenza e passione dall'archimandrita mons. Eleuterio Fortino, le commissioni di studio, gli esperti, la segreteria esecutiva. Un rinnovato ringraziamento all'Arcivescovo Mons. Francesco Pio Tamburrino, che ha seguito con vera disponibilità i lavori sinodali a nome della nostra Congregazione.

Mi congratulo con gli organismi che ne hanno diretto la celebrazione, e con l'amata Comunità Monastica che ci ospita nella fervida memoria del suo millennio di fondazione.

La preghiera delle tre Circoscrizioni ha certamente sostenuto l'intero lavoro di preparazione al Sinodo e la sua celebrazione. Sia ancora la preghiera ad ispirarne l'esecuzione.

Il Signore e la Sua Santissima Madre, i Santi vostri speciali Patroni, vi guidino sempre sulla via che porta al Regno della luce e della gloria. Amen! (Besa/Roma).

 

 

 

ROMA: SINODO

INTERVISTA ALL’ARCHIMANDRITA

 P. LANNE

 

1. Besa: Come le è sembrata la preparazione dei progetti del Sinodo Intereparchiale? E come considera il coinvolgimento che le Comunità locali hanno avuto per l’esame dei progetti?

Risposta: Sia la preparazione che il coinvolgimento delle comunità locali mi sono sembrati molto positivi. Si tratta dell’effetto costruttivo più immediato del Sinodo sulle tre Circoscrizioni.

 

2. Besa: Lei ha partecipato alle tre sessioni sinodali. Come considera il processo di votazione dei testi a due riprese? La prima fase con due sessioni - per identificare la sostanza del testo - con tre possibilità di voto (approvo, non approvo, approvo con riserva) e la seconda fase - per giudicare gli emendamenti proposti  - con sole due possibilità di voto (approvo, non approvo)?

Risposta: Il processo di votazione in due fasi mi pare l’unico che si potesse fare. Mi rincresce soltanto che non sia stato richiesto (o per lo meno proposto) a coloro che votavano “non approvo” di dire perché non approvavano, perché si poteva forse soddisfare le reticenze dell’uno o dell’altro che non approvava, con qualche cambiamento minore che non intaccase la sostanza.

Inoltre penso che l’approvazione con la “metà più uno” sia giusta dal punto di vista canonico, ma non soddisfacente dal punto di vista pastorale. Lo scopo del Sinodo è - idealmente -  di raggiungere una certa unanimità per un rinnovamento della Chiesa locale, e non di approvare con la “metà più uno” contro una “metà meno uno”. Ciò rischia di spaccare la comunità fra chi vuole rinnovare in questo modo e chi  non lo vuole.

3.Besa: La norma canonica richiede la “metà più uno”solo come dato minimo per l’efficacia del voto di approvazione o di rifiuto. Nel nostro Sinodo le votazioni hanno registrato alte percentuali. Nella prima fase gli schemi sono stati approvati quanto alla sostanza con i seguenti risultati: Prologo, 113 su 118 votanti; Sacra Scrittura, 104 su 116; Liturgia, 88 su 112; Catechesi, 104 su 115; Formazione del clero, 61 su 118; Diritto canonico, 100 su 113; Rapporti interrituali, 89 su 118; Ecumenismo, 92 su 112; Rievangelizzazione, 79 su 111; Missione, 82 su 111; Epilogo, 93 su 104.

Nella terza sessione i singoli emendamenti - 187 per tutti gli schemi - sono stati approvati a larghissima maggioranza.

Ma voremmo fare qualche altra domanda: Come considera l’insieme degli schemi in relazione alla coerenza con la nostra tradizione bizantina?

Risposta: L’insieme degli schemi mi pare coerente con la tradizione bizantina.

 Mi piace anche che si sia tenuto conto delle comunità latine nella eparchia di Piana, giacchè da decenni ci sono problemi concreti da risolvere. Lo scopo del Sinodo, infatti, è anzitutto pastorale.

 

4. Besa: Come considera gli orientamenti sinodali in relazione alle esigenze delle nostre comunità nel nostro tempo e in prospettiva del futuro con i rischi di omologazione e di secolarizzazione?

Risposta: Penso che gli orientamenti pastorali del Sinodo siano una opportuna difesa contro i rischi di omologazione e secolarizzazione delle due eparchie. Tuttavia mi domando se il problema della diaspora sia stato considerato a sufficienza. Questo è il problema maggiore del futuro.

 

5. Besa: In base all’esperienza fatta dal Concilio Vaticano II in poi, cosa suggerisce per la divulgazione e la ricezione degli orientamenti sinodali?

Risposta: Suggerirei che ciascun tema dei vari capitoli sia riassunto brevemente e commentato nelle lettere pastorali. Il documento finale degli schemi sinodali è bellissimo, ma molto lungo. Quindi bisogna farlo passare pezzo per pezzo nella vita concreta delle eparchie (Besa/Roma).

 

 

 

ATENE

Il diaconato femminile

Nella Chiesa ortodossa

 

L’assemblea dell’episcopato della Chiesa ortodossa di Grecia ha tenuto la sua sessione annuale dal 7 al 9 ottobre scorso ad Atene, sotto la presidenza del suo primate, l’arcivescovo Christodoulos di Atene. Tra diversi punti delicati figurava una proposta per il ristabilimento dell’istituzione del diaconato femminile. L’assemblea plenaria dell’episcopato è l’organo collegiale supremo che dirige la Chiesa di Grecia. Essa si riunisce ogni anno nella prima quindicina del mese di ottobre. Sessantadue vescovi hanno partecipato a questa sessione. Riportiamo una informazione dal Service orthodoxe de Presse (SOP) di Parigi:

 

(…) Su un’altra questione, ugualmente controversa, riguardante il ripristino del diaconato femminile, l’assemblea dell’episcopato greco ha dato prova di volontà di apertura, proponendo di reintrodurre, anche se a certe condizioni, questa istituzione. E’ il metropolita Chrysostomo di Chalkis (isola d’Eubea) che, durante la sessione dell’8 ottobre, aveva aperto la discussione, presentando un rapporto su “Il ruolo delle donne nella Chiesa” nel quale egli prevedeva la possibilità di far rinascere un’istituzione esistente nella Chiesa nel IV e V secolo. “Questa istituzione, importante per la Chiesa, può rivivere se la Chiesa lo reputa necessario” ha affermato. L’assemblea ha votato, a maggioranza, i due punti seguenti: in primo luogo, “l’istituzione del diaconato femminile è prevista dai santi canoni e non è mai stata abolita”; in secondo luogo, “spetta ad ogni vescovo diocesano la decisione di concedere il permesso ai superiori delle comunità monastiche femminili di esercitare certe funzioni diaconali”, così come di dare la comunione ai malati, e ciò unicamente in base ai bisogni del suo monastero e senza che questo dia luogo ad una ordinazione, come nel caso dei diaconi, ma solo ad una semplice benedizione. Questa proposta è stata criticata da alcuni vescovi, che l’hanno considerata come una mezza-misura. “Il ruolo del diaconato femminile consiste nel servire nella società e non nei monasteri” ha dichiarato il metropolita Chrysostomo di Peristerion, citato dall’agenzia di stampa greca ANA. Al contrario, altri vescovi hanno sottolineato che essi non ritenevano necessario, nel futuro, andare più in là.

(…) Un diaconato femminile esisteva già ai tempi dei Padri della Chiesa, nel IV e V secolo. In quell’epoca, si trattava di un ministero sia liturgico che catechetico che filantropico, adattato alla strutture sociali del tempo. Questa questione è ritornata all’ordine del giorno all’inizio del XX secolo con le iniziative di san Nectario d’Egina, vescovo greco morto nel 1922, di san Vladimir, metropolita di Kiev, e di sant’Elisabetta, granduchessa di Russia, entrambi morti martirizzati nel 1918. Le due consultazioni internazionali panortodosse su “Il ruolo della donna nella Chiesa”, a Agapia (Romania) nel 1976 e a Rodi (Grecia) nel 1988, così come gli incontri delle donne ortodosse a Damasco nel 1996 e a Istanbul nel 1997, si sono espressi a favore del ripristino del diaconato femminile. In Francia, è stata avviata una lunga riflessione sulla storia e sulla teologia del diaconato femminile da Elisabeth Behr-Sigel, autrice di numerosi studi sull’argomento, e da un gruppo chiamato “Donne e uomini nella Chiesa”, che si riunisce a Parigi da molti anni. Nel 2000, i membri di questo gruppo hanno indirizzato ai primati di tutte le Chiese ortodosse territoriali una lettera in favore di un “ristabilimento creativo del diaconato femminile […], che si iscriva pienamente nella tradizione della Chiesa” (Besa/Roma).

 

 

CIVITA

XXXV DI “KATUNDI YNË”

 

Nel salone del Castello polifunzionale, denominato “La Rocca di Kruja”, di Civita si è svolto il 4 gennaio 2005 un Convegno dal titolo “Trentacinque anni di impegno culturale a favore dell’Arbëria e della società civile”, per celebrare il XXXV di fondazione dell’Associazione Culturale “G. Placco” e della rivista “Katundi ynë”.

Promosso dal Direttore della rivista, Demetrio Emmanuele, il convegno ha registrato una numerosa presenza di autorità politiche che hanno sottolineato, all’unisono, il ruolo positivo svolto dalla rivista in seno alle comunità albanesi e nei confronti anche dei non albanesi, per la soluzione dei problemi relativi alla tutela dell’identità degli Arbëreshë. Gli interventi hanno posto all’attenzione dell’assemblea, anch’essa molto numerosa, l’importanza, non solo per gli Arbëreshë ma anche per tutti gli italiani, del rispetto della diversità delle culture, che arricchiscono l’intero quadro nazionale e pongono premesse interessanti anche per lo sviluppo economico. Hanno fatto seguito alcuni interventi più specifici sul ruolo svolto dalla rivista “Katundi ynë”. Il Redattore capo, Emanuele Pisarra, ha fatto un excursus, col supporto di immagini create col Pawer Point, attraverso i trentacinque anni di vita della rivista, mettendo in luce i lineamenti del contesto culturale entro cui si è mossa la rivista, l’ampia rete di collaboratori sparsi in tutta l’Arberia e fuori di essa, e le ricadute positive nell’ambiente.

Il Prof. Italo Costante Fortino ha delineato l’apporto della rivista alla letteratura arbëreshe, evidenziando il percorso che essa ha tracciato, attraverso le opere principali degli Autori della letteratura albanese, mentre Caterina Zuccaro, tra le fondatrici della rivista stessa, ha parlato dell’interesse costante della rivista per il folklore arbëreshe, che si presenta ricco e pregnante di significato per la cultura della minoranza albanese d’Italia.

Il Condirettore Vincenzo Bruno, noto come autore di commedie, ha letto un racconto in arbëreshe e in italiano, incentrato sulla rivista, suscitando particolare attenzione nel pubblico. Tra le proposte emerse per il prossimo futuro va sottolineata la creazione di una rubrica che presenti organicamente e con criteri specifici  brani antologici della letteratura arbëreshe, brani di letteratura popolare dovutamente commentati, e infine l’auspicio che la rivista abbia scadenza mensile, e non più trimestrale (Besa/Roma).

 

 

 

CIVITA: MUSICA E DANZA

FESTIVAL EUROMEDITERRANEO

 

 

Il Centro Studi e Ricerche delle tradizioni popolari italo-albanesi, presieduto da Italo Elmo, ha promosso il Terzo Festival Euromediterraneo della Musica e della Danza Etnica Arbëreshe.

Nei giorni 5-6 gennaio 2005 si è svolta a Civita la prima parte del Festival con due sezioni: la sezione della convegnistica e la sezione delle esibizioni canore.

Nella prima sezione sono state affrontate tematiche specifiche relative alla cultura popolare.

La relazione sulla letteratura popolare arbëreshe, dopo averne evidenziato le peculiarità e i mezzi di trasmissione, ha indicato, soprattutto a chi voglia addentrarsi nello studio, gli strumenti bibliografici. Il relatore, (I.C.Fortino) ha inoltre rilevato l’importanza della letteratura orale non solo in ambito arbëresh, ma più ampiamente anche in area balcanica. Tale importanza appare maggiormente giustificata se si tiene presente che esistono rapsodie che si sono trasmesse per cinque secoli tra gli Arbëreshë d’Italia e che trovano archetipi tra gli Albanesi d’Albania. Il discorso diventa ancora più interessante se lo studio comparativo  tra temi comuni arbëreshë e shqiptarë, trova addentellati anche in altre aree balcaniche (greca, serba, macedone).   Il relatore si è ripromesso di svolgere il tema dei riflessi della letteratura orale in quella colta nella seconda parte del Festival che si terrà nella prossima primavera sempre a Civita.

Il Prof. Franco Marchianò di Spezzano Albanese ha presentato alcune ninne nanne raccolte nel suo paese. L’argomento si è presentato interessante e richiede ulteriori sondaggi per completare il quadro e per individuare le tematiche in vista di una interpretazione globale della tipologia.

Dal Prof. Luigi Fioriti è stato presentato l’aspetto popolare della religiosità, un tema questo di grande attualità per quanti tentino un approccio per la comprensione della visione della vita che si deposita in molte popolazioni.

Il concetto alto e ortodosso di religione non sempre penetra nelle coscienze, mentre l’immaginario collettivo per ragioni varie surroga una sua visione, come esigenza profonda dello spirito. La ricezione popolare della religiosità, unitamente alla propria elaborazione, deve essere oggetto attento da parte di chi opera nel settore. Alla base di tutto si pone il problema della comprensione di fenomeni che, se apparentemente si presentano con i connotati della eterodossia, contengono tuttavia principi e motivazioni importanti che non meritano di essere trascurati.

E’ stato quindi presentato un progetto di completamento della raccolta e dello studio delle Kalimere di Civita, da parte di C. Zuccaro, che sulla rivista “Katundi ynë, ne ha pubblicato già vari testi. L’attuazione del progetto si rende urgente per avere un numero di testi abbastanza rappresentativo della tipologia di questo canto religioso, onde facilitarne l’interpretazione e la comprensione del ruolo nell’ambito delle festività del ciclo dell’anno.

Il Papàs A. Bellusci, che nel corso degli ultimi anni ha realizzato raccolte di testi popolari arbëreshë, ha messo a confronto tre canti da lui raccolti a S. Costantino Albanese con quelli riproposti dopo venti anni dall’etnomusicologo Nicola Scaldaferri. Si tratta di canti con proprie peculiarità che riportano a tematiche di origine pagana, risalenti ad un’epoca arcaica.

Basti avere citato questi interventi per mettere in luce l’importanza delle tematiche toccate e il quadro abbastanza ampio entro cui esse si muovono.

La sezione convegnistica del III Festival ha messo abbondantemente in luce l’urgenza della particolare attenzione che deve essere posta alla letteratura popolare, alla musica popolare e alla cultura popolare nell’accezione più ampia del temine. 

La sezione canora del III Festival, con l’esibizione di vari gruppi arbëreshë nel salone del Castello “La Rocca di Kruja” è stata seguita con particolare interesse da un pubblico attento e numeroso.

Si sono esibiti i “Vjershëtarët“ di S. Basile, di Lungro (denominato“Moti i parë”), di Firmo, di S. Benedetto Ullano, e il gruppo di giovanissimi di Civita, che si è distinto per precisione e simpatia.

Tutti i gruppi hanno dimostrato un elevato livello di preparazione e  grande senso della professionalità. Il passo di qualità che si è notato, rispetto al livello di alcuni anni addietro, è indice di un percorso e di una maturazione che fa ben sperare nel futuro e nella continuità di una cultura che diventa consapevolezza e parte integrante della identità dei singoli individui (Besa/Roma).

 

 

 

ROMA: FESTA NAZIONALE DI ALBANIA

PRESENTATA L’OPERA DI VOREA UJKO

 

 

La Comunità Arbëreshe di Roma ha commemorato la festa nazionale di Albania (28 novembre) con la presentazione dell’Opera Omnia del poeta Vorea Ujko (1918 - 1979), probabilmemte il maggiore poeta contemporaneo arbëresh, e con la celebrazione della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo in lingua albanese.

La liturgia è stata presieduta dall’arch. Eleuterio F. Fortino, cantata dal coro della Chiesa di S. Atanasio sulla musica di p. Nilo Somma, jeromonaco arbëresh di Grottaferrrata. Si è pregato per tutti gli albanesi viventi in Patria, nella Kossova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora.

Il prof. Domenico Morelli ha presentato il tradizionale modo di celebrare la festa nazionale da parte del Circolo culturale “Besa/Fede” fin dagli anni ’60 e ininterrotamente ogni anno. La signorina Kikina Martino ha fatto da moderatrice dell’incontro.

Il prof. Italo C. Fortino ha presentato Vorea Ujko come “poeta moderno dell’ethnos albanese”, in tutto il suo percorso poetico, dagli inizi con le prime pubblicazioni sulla rivista Shêjzat di Ernest Koliqi, alle ultime sulle riviste letterarie di Albania.

Il prof. Agostino Giordano, direttore del mensile “Jeta Arbëreshe”, ha presentato “la problematica dei testi letterari di Vorea”.

La dott.ssa Caterina Zuccaro ha fatto un’analisi minuziosa e puntuale, mostrando l’evoluzione della lingua poetica attraversata dal Vorea Ujko.

Ha preso parte alla conferanza il vicesindaco di Firmo il  Dr. Lanza.

La pubblicazione di tutta l’“Opera Letteraria” è un monumento a Vorea Ujko (Besa/Roma).

 

 

 

 

 

 

 

UN COMMENTO DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO

 

GLI ITALO-ALBANESI

DA CLEMENTE VIII (1595) A GIOVANNI PAOLO II (2005)

 

Le tre Circoscrizioni bizantine in Italia, vale a dire le eparchie di Lungro per gli Albanesi di Calabria e dell’Italia continentale e di Piana degli Albanesi in Sicilia, e il monastero esarchico di Grottaferrata stanno celebrando il II Sinodo Intereparchiale. L’11 gennaio 2005, avviandosi a conclusione il Sinodo, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto nella Sala Clementina tutti i sinodali e ha rivolto loro una densa esortazione aperta al futuro. Il luogo dove si teneva l’udienza, la Sala Clementina, affrescata da Giovanni e Cherubino Alberti al tempo di Clemente VIII (1592-1605) e l’evento dell’udienza mostravano l’evoluzione realizzata nel frattempo e il senso dei nuovi orientamenti ecclesiali che riguardano le Chiese orientali cattoliche e nella fattispecie gli Italo-albanesi.

1. Clemente VIII ha un posto importante nella storiografia e nella vita degli albanesi in Italia. Nel 1595 per suo mandato è stata promulgata una “Perbrevis Instructio su alcuni riti indirizzata ai Vescovi latini, nelle cui città vivono Greci o Albanesi di rito greco”  (cfr. Italo - Albanensia a cura di Attilio Vaccaro, Editoriale Bios, Cosenza, 1994, pp.135 -137). Come si può notare, nel titolo stesso sono presi in considerazione gli Albanesi di rito greco. Essi erano già stati sistemati all’interno delle diocesi latine, pur conservando la propria tradizione liturgica. Vengono identificati quali “Albanenses graeco ritu viventes”. L’istruzione è perciò indirizzata agli “Episcopi latini” nelle cui diocesi vivevano greci e italo-albanesi. Ciò significa che il fenomeno degli Italo-Albanesi era conosciuto e che dal punto di vista romano, in risposta a sollecitazioni dei vescovi locali latini, si davano delle norme di comportamento, particolarmente per questioni liturgiche. L’Istruzione si apre con la proibizione rivolta ai “Praesbyteri graeci” di cresimare, al contrario di come invece prevede la prassi bizantina. L’intervento nell’Ordo liturgico, confermato dalla Costituzione Etsi pastoralis di Benedetto XIV (1742), è grave e ha generato permanenti tensioni. Al caso il I Sinodo Intereparchiale di Grottaferrata (1940) ha portato una prima correzione sancita dal Concilio Vaticano II e dal conseguente Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO). Inoltre l’Istruzione clementina prevedeva la creazione a Roma di un vescovo ordinante di rito greco per le ordinazioni dei candidati di rito greco agli ordini sacri. I vescovi latini nelle cui giurisdizioni si trovavano fedeli di rito greco, soltanto a questo vescovo ordinante dovevano dare le loro dimissorie. L’Istruzione clementina, era limitata alla concezione del tempo, ma era importante, perchè riconosceva la presenza delle comunità di rito greco, comprese quelle italo-albanesi, dava delle norme precise di comportamento che prevenivano interventi indebiti delle autorità locali.

2. Di carattere e qualità profondamente diversa era l’evento che si realizzava con l’udienza di Papa Giovanni Paolo II al II Sinodo Intereparchiale. Non si trattava più di fedeli immessi in Comunità latine, o al massimo di parrocchie di rito greco inserite in diocesi latine, ma di eparchie – Sinodo Intereparchiale – formalmente istituite da Benedetto XV (1919) e da Pio XI (1937), con una propria gerarchia e un proprio popolo, cosciente della propria identità ecclesiale bizantina in piena comunione nella Chiesa cattolica e con un particolare impegno morale per il raggiungimento della piena unità con i fratelli ortodossi. La pacificazione interiore apportata dalla creazione delle eparchie è stata vera e profonda. Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha presentato al Papa i Sinodali, pastori e fedeli, dichiarando che essi nell’incontro “possono rinnovare l’adesione gioiosa di fede e di amore al ministero del successore di Pietro, al vostro illuminato magistero, confermando la fedeltà dei loro Padri”. Oltre alla creazione delle strutture ecclesiali, l’elemento decisivo che ha promosso la crescita coerente di queste comunità bizantine in Italia è stato l’orientamento, che si è progressivamente fatto strada, del diritto e del dovere di recuperare la propria autentica tradizione liturgica e disciplinare. Questa prospettiva è emersa dalle parole di Giovanni Paolo II rivolte al Sinodo. Egli considera le comunità bizantine “eredi di un comune patrimonio spirituale” e rileva che ora esse “rafforzano sempre più la loro identità, facendo tesoro della loro millenaria tradizione bizantina”. Elogia lo sforzo sinodale di promuovere una solida formazione catechetica, mistagogica e teologica. Per questo il sinodo “ha individuato percorsi teologici e ascetici per la preparazione del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata”. Il Papa ribadisce come fatto e come dovere il consolidamento dell’identità ecclesiale. “Per evitare una trasformazione indebita dell’dentità spirituale che vi distingue, è vostro intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale e atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Giovanni Paolo II assicura l’assistenza positiva di Roma. “La Santa Sede – egli afferma – mediante la Congregazione per le Chiese Orientali, non mancherà di offrire il proprio sostegno a quest’azione rinnovatrice”. E ha aggiunto: “Nei testi del Concilio Vaticano II e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali vi sarà prossibile trovare riferimenti utili per sostenere i vostri sforzi”.

  1. Da Clemente VIII a Giovanni Paolo II gli Italo-Albanesi hanno vissuto un lento, ma vero progresso istituzionale, culturale e spirituale. Il Sinodo dà ora orientamenti certi per il futuro (Besa/Roma).

 

 

 

Circolo italo-Albanese di Cultura –Via dei Greci 46 – 00187 Roma

 

Circolare luglio 2004                                                                                                                           168/2004

 

 

Sommario

 

Ta lòghia – I Detti di Gesù (27):  “Non gettate le vostre perle davanti ai porci”...................... 1

ROMA: La spiritualità ecumenica secondo il Concilio Vaticano II................................................ 2

ROMA: Intervista al Card. Daoud.............................................................................................. 5

ROMA: Studi sull’Oriente Cristiano ........................................................................................... 7

ROMA: Sinodo Intereparchiale – Incontro di giugno.................................................................... 8

TIRANA: Conferenza scientifica su Sami Frashëri (1850 – 1904)................................................ 9

TIRANA: La rivista “Ars” e la letteratura arbëreshe contemporanea......................................... 10

MEZZOIUSO: XIII Convegno ecclesiale.................................................................................. 10

ALBANIA: Nuove pubblicazioni religiose................................................................................. 10

ROMA: 40° del Decreto sull’ecumenismo – III. La Chiesa è cattolica...................................... 11

 

 

Tà lòghia – I Detti di Gesù (27): “Non gettate le vostre perle davanti ai porci”

 

Non disprezzate ciò che è santo. Neanche scherzate con le cose sante. Al contrario rispettatele perché si riferiscono a Dio. Se non sono direttamente collegate a Dio, sono connesse con il suo culto. Nel suo insegnamento, come rare altre volte, Gesù direttamente rivolto ai suoi discepoli, quasi in modo personale, consiglia: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt 7,6).

L’espressione “cose sante” contiene due dimensioni: ciò che riguarda Dio e il suo messaggio salvifico. Nell’Esodo, là dove si parla dei cibi sacrificali, troviamo un elemento che permeerà la tradizione giudaica che qui sembra essere ricordata. Dei cibi sacrificali “nessun estraneo dovrà mangiare perché sono cose sante” (Es 29, 33). Gesù, amareggiato, pare dire che è inutile proporre ai malintenzionati lo stesso messaggio salvifico. “Per questo parlo loro in parabole, perché vedendo non vedono, eppur udendo non odono e non comprendono” (Mt 13, 13). Questo, benchè rimanga valido il suo consiglio di proporre a tutti il suo insegnamento: “Quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti” (Mt 10, 27). I termini “cose sante” e “perle” indicano cose preziose che vanno salvaguardate con cura. I termini di “cani” e “porci” vogliono esprimere soggetti che non sono in grado di apprezzarne il valore. S. Giovanni Crisostomo commenta: “Con il termine “cani” (Gesù) allude qui a coloro che vivono nell’empietà incurabile e non hanno speranza di cambiare in meglio; con il termine “porci” allude a quelli che vivono continuamente una vita dissoluta; ha detto che tutti questi sono indegni di ascoltare simili insegnamenti” (Omelie sul Vangelo di Matteo 23, 3). Gli fa eco S. Paolo quando scrive che “l’uomo animale non comprende le cose dello spirito: esse sono una follia per lui” (1 Cor 2, 14).

S. Giovanni Crisostomo prende spunto da qui per spiegare la prassi liturgica di celebrare l’eucarestia a porte chiuse. Egli afferma: “Perciò celebriamo i misteri a porte chiuse e allontaniamo i non iniziati, non perché riconosciamo la debolezza di quanto viene celebrato, ma perché i più sono ancora troppo imperfetti per essi” (Ibidem). Tuttora all’elevazione il celebrante proclama: “Le cose sante ai santi”(Besa/Roma).

 


ROMA: LA SPIRITUALITA’ ECUMENICA

SECONDO IL CONCILIO VATICANO II

 

Dal 3 al 6 settembre 2003 si è tenuto un simposio tra la Facoltà Teologica di Tessalonica e  l’Istituto di Spiritualità dell’Ateneo Antonianum di Roma sulla “Spriritualità in oriente e in occidente - Reciproci influssi. Mons. Eleuterio F. Fortino, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unione dei Cristiani, ha tenuto una relazione sulla  “Spiritalità ecumenica secondo il Concilio Vaticano II”. Riportiamo un riassunto distribuito al simposio:

 

“Per grazia dello Spirito Santo è sorto un movimento ogni giorno più ampio per il ristabilimento dell’unità di tutti  i cristiani” (Unitatis Redintegratio, 1). Questa affermazione del decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II manifesta la prospettiva nella quale la Chiesa cattolica vede il movimento ecumenico: un movimento sorto per opera dello Spirito Santo. Certamente un movimento complesso con implicazioni teologiche, ecclesiologiche, sociologiche, psicologiche, spirituali. Ma ispirato dallo Spirito Santo per l’unità di tutti i cristiani nella Chiesa di Cristo, una e unica.

 

1.  Base teologica della spiritualità ecumenica

 

1. Nel proemio del decreto del Concilio Vaticano II Unitatis Redintegratio si ha una sobria descrizione del movimento ecumenico. Da essa emergono il riferimento alla Trinità, a  Gesù Cristo, alla Chiesa e alla missione della Chiesa nel mondo. “A questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Cristo, Signore e Salvatore, e non solo singole persone, ma anche riunite in Comunità, nelle quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli dicono di essere la Chiesa loro e di Dio, Quasi tutti però, in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio” (Ibidem).

Questo riferimento trinitario, cristologico, ecclesiologico, e missionario è indispensabile per comprendere la spiritualità ecumenica soggiacente ai documenti del Concilio Vaticano II.

2. Oltre alla professione di fede nella Trinità e in Gesù Cristo Signore e Salvatore, il decreto sull’ecumenismo segnala un altro elemento fondamentale: “Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige fra quelli che per mezzo di esso sono rigenerati” (UR,22). Professione di fede trinitaria quindi e vincolo del battesimo formano la base su cui si fonda l’azione ecumenica ed anche il suo orientamento spirituale.

3. Ma la situazione complessiva dei cristiani non è uniforme: vi sono diverse Chiese e comunità ecclesiali. Con esse la Chiesa cattolica romana ha rapporti diversificati di comunione.

Con alcuni abbiamo maggiori elementi comuni, con altri più grandi sono le divergenze.

Questa comunione diversificata viene sommariamente distinta in due grandi sezioni:

a)      le Chiese ortodosse da una parte (UR, 14-18);

b)      e le Comunioni protestanti dall’altra (UR 19-23).

4. La Chiesa cattolica romana ha coscienza di essere in comunione parziale, diversificata, con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. Tutte le sue iniziative tuttavia tendono al superamento dello stadio attuale di comunione parziale per avviarsi verso la piena comunione, quando sarà possibile celebrare insieme l’Eucaristia, l’unico sacrificio di Cristo per l’umanità intera.

 

5. Da queste premesse dottrinali - ecumeniche emergono due dimensioni necessarie per la sostanza della spiritualità ecumenica:

a)      la coscienza ecclesiale che  la Chiesa cattolica ha di se stessa;

b)      e la considerazione che la Chiesa cattolica romana ha delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Al di fuori dell’organismo visibile della Chiesa cattolica non vi è un “vuoto” ecclesiale: ci sono vere realtà ecclesiali.

 

6. Il decreto sull’ecumenismo mette in evidenza che in queste Chiese e Comunità ecclesiali è presente ed operante: la Parola di Dio Scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, altri doni interiori dello Spirito Santo ed altri elementi visibili: tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a Lui conducono, giustamente appartengono all’unica Chiesa di Cristo. Il decreto aggiunge: “Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o Comunità possono senza dubbio produrre la vita della grazia e si devono dire atte ad aprire l’ingresso nella comunione della salvezza” (UR,3). Per la Chiesa cattolica, le altre Chiese e Comunità ecclesiali sono “strumenti di salvezza” (ibidem).

7. Qui oggi  consideriamo soltanto le Chiese ortodosse. Di esse il decreto conciliare rileva che hanno veri sacramenti e soprattutto in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia. Il decreto fa questa solenne dichiarazione:

“Per mezzo della celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste singole Chiese (=nelle Chiese ortodosse), la Chiesa di Dio è edificata e cresce” (UR,15).

Il decreto sull’ecumenismo conseguentemente raccomanda: che i cattolici  con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani” che si trovano presso gli altri cristiani (UR,4).

8. Per quanto riguarda le Chiese ortodosse il Concilio Vaticano II ha attirato l’attenzione sulla grande tradizione storica (UR,14)  liturgica (UR, 15), disciplinare (UR, 16) e teologica (UR, 17).

Ne emerge una visione di apprezzamento dei valori cristiani presenti in queste Chiese e della possibilità di scambio di doni per il bene della Comunità cristiana nel suo insieme.

 

9. La varietà legittima può essere un arricchimento reciproco. Infatti in Oriente e in Occidente “furono usati metodi e prospettive diversi, per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine”. A questo punto il decreto fa una affermazione determinante per una sana spiritualità ecumenica fondata sulla teologia: “Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro (= dalle Chiese ortodosse che non dalla Chiesa cattolica e viceversa) , cosicché si può dire allora che quelle diverse formule teologiche non di rado si completino piuttosto che opporsi”(Ibidem).

Il Decreto fa un analogo discorso per quanto riguarda la varietà di disciplina.

 

10. A questo punto possiamo rilevare alcuni elementi di fondo di una spiritualità ecumenica secondo il Concilio Vaticano II: 

a)      La spiritualità  ecumenica è fondata sulla teologia;

b)      Ha sempre presente la coscienza che ognuno deve avere della propria Chiesa;

c)      Ha sempre presente la realtà ecclesiale delle altre Chiese,  nella diversità causata dalle divergenze esistenti;

d)      Ha  sempre presente che nell’unità di fede è possibile una varietà di espressioni, essendo il mistero cristiano mai completamente esprimibile;

e)      Sopra tutto tiene presente il “comandamento nuovo” dell’amore reciproco.

 

Deve prevalere l’amore – che si esprime in rispetto, in positiva considerazione, in solidarietà battesimale. Sono tutte esigenze inculcate dal decreto sull’ecumenismo il quale, a motivo della loro incorporazione in Cristo, dichiara che gli altri cristiani “dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore”(UR,3).

Con essi, in obbedienza al Vangelo, occorre, come diceva Giovanni Battista: “Preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi  sentieri” (Mt 3, 3).

2. Espressioni di spiritualità ecumenica

 

a) La spiritualità non può essere confinata in categorie mentali, ma deve incidere nella vita concreta. Il Concilio Vaticano II ne fa un dovere per tutti i membri della Chiesa. “La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, ed ognuno secondo la propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici” (UR,5).

b) La ricerca dell’unità deve essere svolta anche nella vita di ogni giorno: nella vita personale, ecclesiale, professionale, sociale, politica. Il decreto sull’ecumenismo espone un principio fondamentale: “Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo” (UR, 7).

c) Il secondo capitolo del decreto Unitatis Redintegratio è dedicato all’esercizio dell’ecumenismo e contiene molte indicazioni  per quella condotta cristiana che possiamo chiamare spiritualità ecumenica, tanto a livello personale quanto comunitario/ecclesiale. Il concilio indica i seguenti aspetti: L’esigenza della conversione del cuore, la riforma della Chiesa peregrinante, la preghiera per l’unità dei cristiani, la communicatio in sacris, l’atteggiamento di dialogo.

 

a)      La conversione del cuore

 

1. Alla ricerca dell’unità deve contribuire ogni cristiano che professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Ogni battezzato è membro attivo del corpo di Cristo. Di conseguenza ognuno è tenuto a formarsi un atteggiamento coerente con la ricerca della unità.

 

2. Avendo presente che la divisione “apertamente contraddice alla volontà di Cristo” (UR, 1), quindi appartiene alla sfera delle conseguenze del peccato, come atteggiamento prioritario il decreto richiede la conversione del cuore: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione, poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (UR, 7).

 

3. La storia della Chiesa mostra che lungo i secoli violenze ed ingiustizie sono state fatte tra i cristiani. Occorre la purificazione della memoria ed il perdono reciproco per avviarsi sulla via della comunione. I Padri conciliari dichiarano: “Con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati come pure noi rimettiamo ai nostri debitori” (UR,7).

4. Quasi a 40 anni dalla promulgazione del decreto conciliare sull’ecumenismo (21 novembre 1964) tutto ciò mantiene ancora una straordinaria attualità. Rimane una esigenza prioritaria nella ricerca dell’unità.

 

b) Riforma della Chiesa peregrinante

 

1. Lungo la storia sono apparse rughe sul volto della Chiesa, sono cresciuti usi e costumi meno coerenti con il Vangelo o che, semplicemente, corrispondevano ad un tempo passato. Il decreto conciliare asserisce che “il rinnovamento ha una importanza ecumenica singolare” (UR, 6). Anzi più fortemente dichiara che “ogni rinnovamento della Chiesa è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità” (ibidem).  Naturalmente il Concilio spiega anche di quale rinnovamento si tratta: il rinnovamento della Chiesa “consiste nella accresciuta fedeltà alla sua vocazione” (Ibidem).

 

2. Da una parte il decreto afferma che la Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma”. Dall’altra parte specifica quale dimensione della Chiesa ha bisogno di riforma. La Chiesa è teandrica, divino-umana. Non certo la dimensione di Corpo misterioso di Cristo ha bisogno di riforma, né quella di istituzione di Gesù Cristo. Ha bisogno sempre di riforma quella dimensione storico – umana condizionata dal tempo. Il Decreto specifica che è la Chiesa peregrinante “in quanto istituzione umana e terrena” che ha bisogno di continua riforma.

 

3. Il decreto nomina anche alcuni ambiti in cui si può applicare l’esercizio di rinnovamento: nei costumi e nella disciplina ecclesiastica in primo luogo, ma anche nel modo stesso di enunciare la dottrina. Il decreto richiama l’attenzione a questo punto sul fatto che il modo di enunciare le dottrine “non deve essere assolutamente confuso con lo stesso deposito della fede” che resta intangibile e immutabile. Vengono segnalati alcuni campi in cui il rinnovamento è in corso.

Si menzionano: il movimento biblico e liturgico, la predicazione della Parola di Dio, la Catechesi, l’apostolato dei laici, nuove forme di vita religiosa, la spiritualità del matrimonio, la dottrina e l’attività nel campo sociale. A prima vista queste dimensioni possono sorprendere per il non ovvio impatto sull’ecumenismo, ma essi fanno parte del rinnovamento evangelico della Chiesa.

 

c)      La preghiera per l’unità dei cristiani

 

Il decreto Unitatis Redintegratio pone la preghiera per l’unità dei cristiani in quel nucleo centrale che ritiene come “l’anima di tutto il movimento ecumenico” e che giustamente si può “chiamare ecumenismo spirituale”(UR,8).

Si tratta delle preghiere personali e di quelle pubbliche per l’unità. Di preghiere nella propria Chiesa per l’unità dei cristiani e di preghiere comuni, cioè di preghiere a cui partecipano membri di Chiese diverse non in piena comunione.

 

2. Queste preghiere da una parte si fondano sulla fede comune esistente e sul battesimo comune, dall’altra parte tendono alla piena comunione. Il decreto lo afferma a chiare note: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità, sono una genuina manifestazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora congiunti con i fratelli separati” (UR,8). Per queste assemblee di preghiera il decreto cita il Vangelo di san Matteo sulla presenza di Cristo: “Dove sono due o tre adunati nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).

 

d) la communicatio in sacris

 

1. In relazione alla preghiera sorge la questione della possibilità o meno di partecipare insieme all’Eucaristia. E’ certo che l’impossibilità di celebrare insieme l’Eucaristia è l’aspetto più drammatico per i cristiani. I cristiani,  noi, non siamo in grado di fare insieme quanto il Signore ha comandato di fare in sua “memoria”.

 

2. Ma, per cattolici e ortodossi, l’eucaristia è il segno della piena comunione, pertanto risulta contraddittorio celebrarla insieme in stato di divisione. L’eucaristia esige la completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico (Cfr. Ecclesia de Eucharistia,44).

 

Il Concilio Vaticano II ha disposto che non si deve considerare la communicatio in sacris come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità.  La Chiesa cattolica, per il bene delle anime, ammette la possibilità che i suoi ministri amministrino alcuni sacramenti a battezzati non cattolici e permette ai propri fedeli di riceverli dagli ortodossi, in casi particolari e sotto certe condizioni. Il Concilio ha stabilito il principio che orienta fino ad oggi l’azione della Chiesa cattolica. La communicatio in sacris “dipende soprattutto da due princìpi: dalla manifestazione dell’unità della chiesa e dalla partecipazione ai mezzi di grazia. La significazione dell’unità per lo più vieta la comunicazione. La necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda” (UR, 8).

3. Fa parte di una spiritualità coerente comprendere questo principio e attenervisi, ma anche considerare lo stato attuale di impossibilità di concelebrazione come lo stato anormale creato dalla divisione. Il desiderio della concelebrazione deve essere sollecitazione di dinamismo per l’impegno ecumenico.

 

4. La concelebrazione rimane lo scopo ultimo dell’intero movimento ecumenico.

 

e) Atteggiamento di dialogo

 

1. Una spiritualità ecumenica non può che avere una solida disposizione al dialogo. Disposizione all’ascolto, alla comunicazione, alla ricerca delle convergenze per trovare insieme l’accordo nella fede.

 

2. Il decreto sull’ecumenismo richiede che nel dialogo “i teologi cattolici, procedano con amore della verità, con carità e con umiltà” (UR,11). Il decreto domanda che nei dialoghi si esponga “con chiarezza tutta intera la dottrina”. Occorre evitare “il falso irenismo”.Il modo e il metodo di enunciare la fede cattolica “non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli”. Occorre presentare la fede cattolica con un “modo di esposizione e di espressioni che possa essere compreso”.

 

3. Inoltre il Concilio richiede che si conosca  l’animo degli altri cristiani.

Perciò i cattolici devono acquistare una migliore conoscenza della storia e della dottrina, della vita spirituale e liturgica, della stessa psicologia religiosa e della cultura degli altri cristiani con cui occorre instaurare relazioni, affinché si entri in vero dialogo e non in sterili diatribe.

 

4. La spiritualità ecumenica del dialogo tende a tutta intera la verità.

 

5, La disposizione caritatevole richiesta dal Vangelo è la condizione indispensabile per un vero dialogo della verità.

 

Osservazione conclusiva:

affidamento allo Spirito Santo

 

Il movimento ecumenico è complesso. Implica una grande varietà di problematiche teologiche, disciplinari, storiche. In ultima analisi implica tematiche che investono la coscienza cristiana dei dialoganti, il proprio rapporto con la professione di fede e con l’insegnamento della propria Chiesa.

Il Concilio Vaticano II prende atto di queste ragioni e, con lucidità spirituale,  “dichiara  di essere consapevole che questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane” (UR,24).

Il Concilio esprime la sua fede e manifesta la sua speranza. “Perciò – aggiunge il decreto conciliare – ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo” (Ibidem). La nostra speranza non inganna  (Rom 5,5).

Per questo il Concilio incoraggia i fedeli a perseverare nell’opera intrapresa; sollecita la cooperazione con gli altri cristiani in un atteggiamento aperto al futuro e fiducioso nella Provvidenza. E’ singolare il suo richiamo: occorre cooperare nella ricerca dell’unità, “senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza e senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo” (Ibidem).

La spiritualità ecumenica proposta dal Concilio Vaticano II  è fondata sulla fede (con base teologica ed ecclesiologica), sulla carità (per un rapporto trasparente e solidale con gli altri cristiani) e nella speranza, certi  che il Signore non abbandona i suoi figli nel deserto, ma che li guida verso la terra promessa, per mezzo del suo Spirito (Besa/Roma).

 

ROMA: INTERVISTA AL CARD. DAOUD

 

Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S. B. Ignace Moussa Daoud, patriarca emerito di Antiochia  dei Siri-Cattolici, ha concesso una intervista al giornalista Giuseppe De Carli (“Il Tempo”, 7 giugno 2004). Ne riportiamo una parte:

 

 

Domanda: Lei, Em.za Daoud, è stato eletto patriarca di Antiochia dei Siri dal Sinodo ed ha ricevuto la “comunione ecclesiastica” dal Sommo Pontefice. Tutto è un po’ complicato e semplice insieme, almeno per la nostra mentalità. Patriarca come i patriarchi dell’Antico Testamento?

 

Risposta: “Non siamo come i patriarchi antichi! La parola “patriarca” nella storia cristiana ha assunto il significato di “Capo e padre” di una Chiesa. Egli ha un potere non solo sulla sua eparchia, o diocesi, ma su tutte le eparchie che formano la sua Chiesa. Convoca e presiede i Sinodi. Prende delle decisioni come vero pastore del suo popolo”.

 

D. Come titolo d’onore ha quello di “sua Beatitudine”?

R. E’ un titolo tipicamente orientale. Un vescovo è chiamato “eccellenza”, il capo dei vescovi “beatitudine”. Nella Chiesa di rito latino i cardinali hanno il titolo d’onore di “eminenza”.

D. Io, dunque, potrei chiamarla “Beatitudine eminentissima”.

 

R. “Come crede. Qualcuno mi chiama beatitudine, qualcuno eminenza. La beatitudine è del cielo. Là c’è la beatitudine eterna. Non c’è la parola eminenza, c’è solo felicità e beatitudine. Allora, se vuole che sia sincero, preferisco questo ultimo termine che è la traduzione della parola araba “Ghebtat”.

 

D. Allora, beatitudine, ci può fare una breve presentazione della Chiesa siro-cattolica, la comunità di cui è figlio e della quale è stato pastore.

 

R. “La Chiesa siro-cattolica è nata quasi nel Cenacolo, perché Gesù, Maria e gli Apostoli parlavano il siriaco antico, cioè l’aramaico. L’aramaico è stata la lingua della prima evangelizzazione. Poi i cristiani da Gerusalemme passarono ad Antiochia. Qui i fedeli di Cristo hanno ricevuto il nome di cristiani. Il siriaco è divenuto la lingua di tutto il Medio Oriente. E la religione cristiana si è spinta fino all’India. S. Efrem, poeta e teologo insigne, con lo strumento della lingua siriaca operò uno slancio teologico e missionario ineguagliabile.

Nel 451 il Concilio di Calcedonia affronta il problema della natura umana e divina di Cristo. I siri si uniscono ai copti e abbracciano il monofisismo. E’ lo scisma. Intervengono nella contesa teologica l’imperatore Giustiniano, l’imperatrice Teodora.

Si formano due Chiese parallele, una Chiesa fedele all’impero ed una separata.

Il risultato è quello che oggi è sotto gli occhi di tutti. Due comunità cristiane sire, una ortodossa e una cattolica, distanti e vicine, così vicine che, durante il viaggio apostolico di Giovanni Paolo II a Damasco nel 2001, per la prima volta si è visto insieme al pontefice sulla “papa mobile” anche il patriarca greco- ortodosso di Antiochia e di tutto l’oriente, S. B. Ignace I Hazim e il capo supremo della Chiesa siro-ortodossa, S. S. Ignatius Zakka I Iwas”.

 

D. La Chiesa siro-cattolica è numericamente consistente?

 

R. “No! E’ una Chiesa minuscola: appena 200 mila fedeli. Undici eparchie nel mondo e 15 vescovi”.

 

D. Qual è il posto delle Chiese cattoliche orientali nella Chiesa universale e il loro rapporto con la Chiesa latina?

 

R. “Dalle chiese ortodosse dei vari riti sono derivate le Chiese orientali cattoliche che sono al presente 22. Sono dette “sui juris”. Hanno scelto l’unione con Roma, sono state accolte dai successori di Pietro, fanno parte integrante della Chiesa cattolica allo stesso modo della Chiesa latina. Nessuna ha un diritto di primogenitura, nessuna è inferiore o superiore, tutte insieme formano la cattolicità”.

 

D. Scegliendo lei, il papa ha fatto una scelta orientalista.

 

R. “Papa Wojtyla, chiamandomi a Roma, ha voluto onorare queste Chiese orientali ed ha voluto facilitare i loro rapporti con la Chiesa di Roma. Come orientale conosco la sensibilità di queste Chiese, posso meglio sintonizzarmi con loro. E’ stato un bel gesto nei confronti delle Chiese Orientali”.

 

D. Segnali d’apertura si mescolano a rigide chiusure. Dialogo e separatezze che sembrano invincibili. Scenari opposti, forse, in Medio Oriente rispetto all’Est europeo dove pure vi sono Chiese orientali.

 

R. “In Medio Oriente non si lavora per la separazione. Al contrario, c’è un avvicinamento molto forte. Le Chiese ortodosse non vedono più le comunità cattoliche come nemiche. Convivono insieme. I patriarchi e i vesovi ortodossi hanno accolto il papa come i patriarchi e i vesovi cattolici. Preghiamo insieme, andiamo insieme alle feste”.

 

D. Non così nell’Europa orientale.

 

R. “Il condizionamento storico è stato evidente. Nell’Europa dell’Est i regimi comunisti hanno scavato un fossato che è difficile colmare. Fallito il comunismo le Chiese cattoliche hanno ritrovato la libertà ed ora vogliono riprendersi il loro diritti, il che ha irritato e irrigidito le Chiese ortodosse. In Slovacchia  le questioni che riguardano la restituzione dei beni alla Chiesa cattolica sono in via di soluzione. In Ucraina, in Romania, nella Repubblica Ceca ci sono ancora dei problemi”.

 

 

D. Nella comunione cattolica troviamo molti riti e la grande maggioranza di essi spetta all’oriente. Lungo i secoli si può pensare ad una influenza reciproca, ad una varietà di soluzioni a temi particolarmente dibattuti. Penso al clero uxorato, ai preti sposati che avete mantenuto in oriente.

 

R. “Le Chiese d’Oriente sono eredi di un patrimonio prezioso per la Chiesa universale, perché conservano le testimonianze dei Padri dei primi secoli. Un tesoro di liturgia, riflessione teologica, spiritualità, musica e disciplina.

Le prime definizioni dogmatiche della Chiesa cattolica sono venute dai Concili e dai Sinodi orientali. L’apporto della Chiesa latina d’occidente si è fatto sentire specie dopo l’anno mille. Dunque, abbiamo bisogno sia dell’apporto dell’oriente che dell’occidente. Le parole dell’occidente non possono parlare al mondo moderno senza le parole dell’oriente. Dobbiamo respirare con due polmoni. Il clero sposato è una tradizione che abbiamo sempre conservato”.

 

D. Anche in occidente, all’inizio, i preti si potevano sposare.

 

R. “Certamente. La Chiesa latina ha poi optato per il celibato perchè sono subentrate altre valutazioni. L’oriente ha conservato il clero sposato che tanto bene ha fatto alla Chiesa. Guardi, io ho l’impressione che nei paesi dove i preti sposati sono rimasti, come in Egitto, Siria, Libano, Turchia, la Chiesa ha resistito malgrado l’occupazione musulmana. Mentre in Tunisia, Marocco e Algeria la Chiesa “autoctona” è quasi scomparsa”.

 

D. Mi colpisce questo “elogio al clero sposato” che viene da una beatitudine eminentissima. Il discorso vale anche per l’Est europeo?

 

R. “Non ho dati sufficienti su questo aspetto specifico relativamente agli anni della persecuzione comunista nell’Europa orientale. Ma penso si tratti di una situazione diversa”.

 

D. I preti sposati in Medio Oriente sono stati perciò di aiuto al mantenimento della presenza cristiana?

 

R. “Penso di sì. Hanno conservato il cristianesimo nei villaggi e nelle campagne, sono stati punti di coagulo per piccole comunità che altrimenti sarebbero state spazzate via”.

 

D. Beatitudine Daoud, nel prossimo futuro non vede preti sposati anche nella Chiesa latina?

 

R. “Come orientale?”.

 

D. Sì, come orientale, dal suo punto di vista.

 

R. “Come orientale penso che si tratti di una buona istituzione, senza minimizzare il valore del celibato”. Noi, in Oriente, possiamo scegliere due strade. Io, ad esempio, ho scelto di essere sacerdote celibe, mentre mio zio ha scelto di essere prete uxorato ed ha svolto molto bene il suo servizio pastorale”.

D. Potrebbe essere una soluzione alla crisi delle vocazioni nei paesi occidentali. Che le pare?

R. “La crisi delle vocazioni non dipende dal matrimonio, dipende dalla fede. Quando la fede non c’è non ci sono più vocazioni, né preti sposati o non sposati” (Besa/Roma).

 

 

ROMA

STUDI SULL’ORIENTE CRISTIANO

 

La rivista “Studi sull’Oriente Cristiano” dell’Accademia Angelica – Costantiniana, diretta da Gaetano Passarelli continua a includere nel suo ampio spettro di problematiche, anche  tematiche che toccano gli interessi culturali degli italo-albanesi.

Nel n. 8, 1/2004 presenta tre titoli importanti per questo intento.

1. Innanzitutto presenta uno studio di Attilio Vaccaro dell’Università della Calabria, pp. 131 – 192: “Fonti storiche e percorsi della storiografia sugli albanesi d’Italia (secc. XV-XVII). Un consuntivo e prospettive di ricerca”.

Presenta una bibliografia quasi completa sull’argomento, offrendo un contributo importante per gli studi con un orientamento storiografico ormai sperimentato, sicuro quindi per chi vuole avviarsi in questi campi oppure scegliere aspetti da approfondire.

L’occasione di questa ricerca è stata la presentazione dello stesso Vaccaro al Circolo “Besa-Fede” di Roma, della edizione della versione italiana curata da Domenico Morelli, dell’opera dello Zavarroni “Il Collegio Corsini di S. Benedetto Ullano” (Brenner, Cosenza 2002).

 

2. Il secondo contributo di tematica albanese è di sabrina Patrillo, “Nascita della Cattedra di lingua e letteratura albanese all’Istituto Universitario Orientale di Napoli” (pp. 193-209).

La ricostruzione puntuale della ininiziativa culturale di creazione di una cattedra a Napoli, dà l’occasione di indagare gli interessi che l’Italia aveva per l’Albania.

 

3. Il terzo contributo è dello stesso direttore della rivista, autore di fondamentali studi sull’iconografia. Egli si è soffermato su “alcune icone albanesi e la loro datazione” con la riproduzione a colori di alcuni esemplari di icone albanesi (pp.211-246). L’occasione è data da due mostre di icone albanesi, una a Roma (1998) e l’altra a Vicenza (2002).

Le due mostre evidenziavano un volto sconosciuto di un’Albania spirituale; la redazione e la pubblicazione dei cataloghi rivelavano anche la non competenza dei curatori.

L’autore dello studio puntualizza le date delle opere. La riproduzione delle icone rende un servizio di valore (Besa/Roma).

ROMA: PREGHIERE PER OGNI GIORNO

DALLA TRADIZIONE BIZANTINA

 

E’ già in distribuzione nelle librerie una nuova pubblicazione di Gaetano Passarelli, membro della comunità italo-albanese di Roma (Il Roseto – Preghiere per ogni giorno dalla tradizione bizantina, a cura di Gaetano Passarelli, Ed. Città Nuova, pp. 200, euro 10,50). La cristianità di rito bizantino ha elaborato nel corso dei secoli una ricchissima tradizione di preghiera collettiva e individuale. Attingendo a questa tradizione ancora molto viva, ma in Italia poco conosciuta, Gaetano Passarelli propone una raccolta di preghiere quotidiane per la pratica individuale. Dalle preghiere del mattino a quelle del pranzo o della cena, quelle per la semina, il raccolto e per scongiurare la siccità, fino alle orazioni per intenzioni particolari: per chi è alla ricerca di un lavoro o per la costruzione di una casa, per chi deve intraprendere un viaggio o per essere custodito da un angelo. Completano la raccolta i canti liturgici di Romano il Melode del VI secolo, di grande bellezza espressiva. Con l’intento di offrire uno strumento accessibile a tutti e di facile uso, Passarelli ha volutamente abbandonato ogni preoccupazione filologica e, nella traduzione, ha scelto un linguaggio più aderente alla realtà e alle esigenze di oggi.

Per i Salmi ed i Cantici biblici è stata usata la traduzione ufficiale della Cei; per diverse preghiere bizantine si è presa la traduzione dell’Eucologio Barberini gr.336 curata da Stefano Parenti ed Elena Velkovska, per  i kontàkia di Romano il Melode l’edizione curata da Riccardo Maisano (Cantici di Romano il Melodo, I-II Utet,Torino 2002), per l’Akathistos si è usata la traduzione di Carlo del Corno (Firenze 1948). Si è anche adoperata l’edizione italiana dell’Anthologhion (Roma 1999-2000) a cura di maria Benedetta Artioli. E’ stata inoltre usata la Liturgia delle ore italo-bizantina (Libreria Editrice Vaticana 2001) a cura di Stefano Parenti. Gaetano Passarelli è docente di Storia bizantina presso l’Università di Roma Tre e di Spiritualità presso l’Istituto Superiore di Studi Medievali e Francescani del pontificio Ateneo Antonianum. E’ inoltre direttore responsabile della rivista “Studi sull’Oriente Cristiano”. Conta pubblicazioni scientifiche sull’iconografia, la liturgia, e la storia bizantina, tradotte in diverse lingue. E’ esperto per la preparazione del II Sinodo Intereparchiale delle Circoscrizioni cattoliche bizantine in Italia (Besa/Roma).

 

TORINO: COMUNITA’ ARBËRESHE

 

Finanziato dalla Provincia di Torino è stato pubblicato uno “Studio antropologico delle Comunità arbëreshe della Provincia di Torino”, realizzato dall’Istituto di Scienze Neurologiche - Consiglio Nazionale delle Ricerche, Mangone (Cosenza), sotto la responsabilità di Antonio Tagarelli.

La pubblicazione è strutturata in due parti: una “Generale”, pp. 21 – 85 e una “parte Speciale”pp. 89-144.

La prima parte generale, anche alquanto generica contiene:

1.                               Gli antichi insediamenti in Italia della comunità albanese e la sua recente emigrazione (Matteo Mandalà);

2.                                L’importanza della letteratura arbëreshe per la conservazione e l’arricchimento della sua cultura” (Anton Nikë Berisha);

3.                               La lingua degli arbëreshë (Giovanni Belluscio);

4.                               Elementi sociali e di vita religiosa della comunità italo-albanese nella città di Torino (Giovanni Bugliari);

5.                               l’immigrazione a Torino negli anni del miracolo economico (Stefano Musso).

La seconda parte presenta lo “Studio antropologico” curato da Giuseppe Tagarelli, Anna Piro, Paolo Lagonia, Francesca Condino.

Sono stati presi in considerazione i paesi arbëreshë  di provenienza, gli anni e i dati numerici dell’emigrazione, la sistemazione nella provincia di Torino (con relative cartine di sintesi), i matrimoni (realizzati tra arbëreshë e tra una parte arbëreshe e l’ altra italiana).

Nella pubblicazione si solleva il problema della legge sulle minoranze che non prevede la possibilità di riconoscimento dello status di minoranza linguistica a quei gruppi che vivono al difuori delle localicà riconosciute come tali. Non possono essere riconosciute come minoranze linguistiche quelle associazioni, circoli, gruppi costituiti da emigrati arbëreshë nelle grandi città dove si sono trasferiti per ragioni di lavoro o di studio. “Questo stato di fatto ha messo in luce le incongruenze e disuguaglianze presenti sia nella recente legge nazionale L. 482/9), sia nelle inadeguate leggi regionali recanti norme di tutela per le minoranze anche storiche d’Italia” (Besa/Roma).

 

ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE

TRE GIORNI DI LAVORO DELLA CCC

 

La Commissione Centrale di Coordinamento si è incontrata a Roma, nella sede della segreteria in via dei Greci presso la Chiesa di S. Atanasio, nei giorni 22, 23, 24 giugno per concludere l’esame dei progetti di schemi sinodali. I lavori hanno avuto inizio con la preghiera presieduta giorno per giorno dall’archimandrita Donato Oliverio, da p. Antonio Costanza e da madre Aurelia Minneci.

Il presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha introdotto i lavori presentando la situazione della revisione in corso. Tre schemi sono stati già inviati agli Ordinari, altri tre sono sostanzialmente pronti, gli ultimi quattro sono in revisione. Nelle prossime settimane tutti saranno comunicati agli Ordinari “per il loro esame previo per decidere se possono essere sottoposti alla discussione sinodale”.

1.       La CCC ha esaminato lo schema “Rievangelizzazione” richiedendo alcune abbreviazioni e precisazioni. Nella fase precedente era stato chiesto un parere sul progetto al rev.mo p.Vittorio Amedeo Marchianò dell’eparchia di Lungro e al rev.mo p. Francesco Masi dell’eparchia di Piana degli Albanesi.

Per l’odierno incontro erano presenti il rev.do diacono prof. Luigi Fioriti e il prof. Nicola Corduano che cureranno la revisione del testo in base alle indicazioni date dalla CCC.

Lo schema contiene queste tematiche: I. Rievangelizzazione e famiglia; II. Mondo della scuola; III. Giovani; IV. Mondo del lavoro; V. Cultura e mezzi di comunicazione; VI. Impegno politico. VII.Comunità della diaspora.

Lo schema si collega e presuppone altri schemi come: la Sacra Scrittura nella Chiesa locale, catechesi e mistagogia, liturgia.

2. Il secondo schema esaminato è stato La Missione. La CCC vi ha apportato diversi ritocchi redazionali. Per questo schema era stato chiesto il contributo di diversi esperti; del rev.mo p. Emmanuele Lanne archimandrita dell’eparchia di Piana degli Albanesi, del prof. Italo C. Fortino dell’Università “Orientale” di Napoli, del prof. Antonio Russo dell’Università di Trieste, del dr. Vincenzo Busa esperto.

Lo schema presenta i seguenti capitoli: I. Annuncio cristiano; II. La missione nelle nostre Comunità; III. La missione delle nostre Comunità; IV. La trasmissione della fede attraverso la cultura (bizantina, arbëreshe, italiana). Le integrazioni delle osservazioni della CCC saranno fatte dal diacono Luigi Fioriti in collaborazione con il prof. Nicola Corduano e con la prof. Maria Franca Cucci.

3. Il terzo schema esaminato è stato quello su “Ecumenismo”. Sullo schema era stato consultato p. Emmanuele Lanne. I suoi emendamenti sono stati inseriti nel testo. Lo schema presenta tre parti chiaramente distinte: I. L’ecumenismo come ricerca dell’unità dei cristiani; II. Il dialogo interreligioso, relazioni con le religioni non cristiane; III. Le sette e i nuovi movimenti religiosi.    

4. La CCC ha esaminato alcuni punti del “Regolamento del Sinodo” presentato dall’archimandrita Donato Oliverio.

5. La CCC ha anche discusso alcune questioni logistiche relative alla celebrazione del Sinodo, come gli inviti a rappresentanti altre Chiese cattoliche sui iuris e a delegati fraterni di Chiese ortodosse.

6. La CCC si incontrerà nel mese di luglio e di agosto secondo le urgenze che si presenteranno per la preparazione immediata della celebrazione del Sinodo (Inter/Sinodo).

 

TIRANA: CONFERENZA SCIENTIFICA

SU SAMI FRASHËRI (1850 – 1904)

 

In occasione del centenario della morte dello scrittore albanese Sami Frashëri (1904-2004), l’Istituto di Storia, l’Istituto di Linguistica e Letteratura dell’Accademia delle Scienze d’Albania, e la Direzione Generale degli Archivi e del Museo Storico Nazionale hanno organizzato un Convegno a Tirana il 18.6.04 su “Sami Frashëri e la sua opera”.

Sami Frashëri, il più giovane dei tre fratelli Frashëri (Abdyl e Naim gli altri due) ritenuto l’intellettuale, ha preso parte alla Lega di Prizren (1878) in cui maturò e si organizzò l’azione che avrebbe portato all’indipendenza dell’Albania dalla dominazione ottomana.

Sami è uno scrittore che rispecchia fedelmente le condizioni culturali dell’epoca: si è interessato della questione politica nel dibattito sull’autonomia o sull’indipendenza dell’Albania, ha abbracciato il problema dello sviluppo della cultura in generale all’interno dell’Impero e in Albania in particolare, ha dibattuto il problema della lingua albanese come segno di unità per tutta la popolazione albanese.

I suoi scritti sono in prevalenza in lingua turca, la lingua ufficiale dell’epoca all’interno dell’Impero, e solo parte in albanese. Famosa è la sua opera Shqipëria çka qenë¸ç’është e çdo të bëhet.

Gli studiosi che hanno preso parte al Convegno hanno sottolineato il ruolo di Sami Frashëri come alfiere della nazionalità albanese, come statista, come studioso di scienze naturali e come linguista. Sulla questione linguistica si sono susseguiti gli interventi dei Professori Rexhep Ismajli (Sami Frashëri come linguistica), di Seit Mansaku (Problemi di storia della lingua albanese nell’opera di Sami Frashëri), di Emil Lafe (La lingua letteraria unificata nel pensiero di Sami Frashëri), di Jorgo Bulo (Il dizionario della lingua albanese di Sami Frashëri, progetto o realtà?) e di Italo Costante Fortino, dell’Orientale di Napoli. Quest’ultimo, dopo avere messo in rilievo la funzione dei carteggi epistolari nella ricostruzione storica, ha focalizzato i punti salienti della lettera che Sami Frashëri ha inviato a Girolamo De Rada, in data 20 febbraio 1881. In particolare ha attirato l’attenzione sulla rete di rapporti che il De Rada intrattenne con le personalità più in vista dell’epoca, sulla circolazione delle opere letterarie tra mondo arbëresh e albanese d’oltre Adriatico, e sulle proposte di entrambi (Sami e De Rada) per la soluzione dei problemi linguistici. Per quest’ultimo aspetto il relatore ha ricordato le reciproche proposte sulla unificazione dell’alfabeto e sul processo di unificazione della lingua per la formazione di uno standard letterario. A questo proposito ha attirato l’attenzione soprattutto sulla tesi sostenuta da Sami Frashëri, e comunicata nella lettera al De Rada, relativa alla convergenza delle tre varianti linguistiche: la ghega, la tosca e l’arbëreshe. La tesi della koiné sarebbe stata ripresa successivamente da Giuseppe Schirò senior.

Il relatore ha concluso informando che rientra nei suoi piani di ricerca la pubblicazione completa della corrispondenza intercorsa tra Sami Frashëri e il De Rada e tra il De Rada e le altre personalità di primo piano sulla scena politica e culturale dell’epoca (Besa/Roma).

 

TIRANA: LA RIVISTA “ARS”

E LA LETTERATURA ARBËRESHE CONTEMPORANEA

 

La rivista “ARS” (Diretta da Irhan  Jubica, che esce a Tirana ogni ultima domenica del mese), mensile che dibatte problemi letterari con posizioni avanguardiste, ha già pubblicato due lunghi articoli sulla letteratura arbëreshe contemporanea.

Gli articoli, che rientrano in una serie di interventi sull’argomento, sono a firma di Caterina Zuccaro e intendono far conoscere la creatività letteraria arbëreshe dei giovanissimi, della generazione – per intenderci – successiva a quella di Vorea Ujko, di Dushko Vetmo e di Giuseppe Schirò Di Maggio. I due articoli pubblicati nei numeri 16 e 17 (aprile, maggio 2004) sono di introduzione e affrontano il tema del contesto culturale e linguistico arbëresh (Besa/Roma).

 

MEZZOIUSO

XIII CONVEGNO ECCLESIALE

 

Il Consiglio Pastorale Diocesano di Piana degli Albanesi ha organizzato il XIII Convegno ecclesiale, a Mezzoiuso, nei giorni 9-10 luglio 2004, sul temaLa Famiglia cristiana: prospettive per il II Millennio”.

Nella prima giornata vi saranno due relazioni sulla fondazione etica:

 

a)      Teologia della famiglia e accoglienza della vita (Salvino Leone);

b)      Aspetti psicologici del ciclo familiare (Gabriella Paravisi).

Nella seconda giornata si tratterà il tema:

c) “La famiglia soggetto di evangelizzazione” con la relazione di Rino La Delfa.

Nei pomeriggi vi saranno gruppi di studio che riferiranno all’assemblea. Concluderà il vescovo Sotir Ferrara (Besa/Roma).

 

ALBANIA

NUOVE PUBBLICAZIONI RELIGIOSE

 

In Albania vedono la luce nuove pubblicazioni di carattere religioso non solo per iniziativa delle autorità ecclesiastiche e orientate al culto o alla catechesi, ma anche per impulso di istituti culturali di interesse storico o artistico.

 

1. ICONE  BIZANTINE E POSTBIZANTINE

 

Una accurata pubblicazione con 60 splendide riproduzioni a colori di icone albanesi è in circolazione (Ikona bizantine dhe pasbizantine në Shqipëri – The byzabtine and post-byzantine icons in Albania, 2003, pp. 143). L’autore Ylli Drishti, storico dell’arte nella galleria Nazionale di Tirana, premette uno studio su “L’arte iconografica albanese”, mentre il dr, Kistofor Naslazi presenta i “Pittori medioevali albanesi” (Besa/Roma).

 

2.        LA DIOCESI DI SCUTARI NEL SEC. XVIII

DAI MANOSCRITTI ARCHIVISTICI

 

Una fonte preziosa di informazioni storiche sono gli archivi ecclesiastici. Nevila Nika ha esaminato quelli relativi alla diocesi di Scutari nel secolo XVIII (Dioqeza e Shkodrës gjatë shek. XVIII sipas dorëshcrimeve arckivore, Shkodra 2001, ff. 260).

Vengono presentate le segueni tematiche:

  • Il clero cattolico albanese e la sua posizione nell’impero ottomano;
  • la situazione politica-economica e sociale;
  • Problemi demografici;
  • Il diritto consuetudinario;
  • Lo sviluppo economico nel sec. XVIII;
  • Documenti dell’archivio diocesano di Scutari.”

 

3.. ISCRIZIONI NELLE CHIESE

 

Theofan Popa, storico dell’arte albanese, riproduce e traduce significative iscrizioni nelle Chiese d’Albania dal VI al XIX sec. con  rilevanza storica particolare (Besa/Roma).


 

                                                                         Teologia quotidiana

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40° DEL DECRETO SULL’ECUMENISMO: LA CHIESA E’ CATTOLICA

 

Quest’anno ricorre il XL della promulgazione del decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio del Concilio Vaticano II, la Magna Charta dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, che ha come scopo diretto il ristabilimento della piena comunione di tutti i cristiani nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.

 

III. La Chiesa è Cattolica

La Chiesa è cattolica. Nella traduzione del simbolo di fede il termine greco “cattolico” non è stato tradotto. E’ stato semplicemente trascritto. La Chiesa d’Occidente sin dall’inizio ha confessato che la Chiesa è una e catholica e così si è continuato nelle traduzioni moderne fino a quando non sono sorte polemiche contro la Chiesa che fa capo a Roma. Varie Comunità protestanti hanno tradotto il termine con “universale”, che è una dimensione vera della Chiesa, ma non è la sola che contiene il concetto di “catholica”, così come ci tramanda la tradizione.

L’agettivo “katholikòs” proviene dall’avverbio “kath’holou” che significa “in modo generale”, “universalmente”, in contrapposizione a “katà mèros”, nel senso di “parziale”, “particolare”. Nell’uso ecclesiologico, connesso al termine Chiesa, “credo nella Chiesa cattolica”, il termine comprende almento tre dimensioni: universalità, ortodossia, totalità. Dimensioni che ben si accordano con l’unicità della Chiesa di Cristo.

1. Caratteristica della Chiesa di Cristo è che è estesa dappertutto e deve estendersi a tutti, a tutte le genti, in tutti i tempi. Essa è universale per mandato di Gesù Cristo (Mt 28, 19). Il termine katholikòs, assunto per esprimere questa dimensione, non è biblico, viene preso dalla letteratura pagana, ma appare ben presto nella didaskalia cristiana. S. Ignazio di Antiochia (+ 115 ca.) lo usa in una espressione densa che mette in relazione l’elemento locale con quello universale. Ai cristiani di Smirne scrive: “Dove è il vescovo, là sia la comunità; così come là dove c’è Gesù ivi è la Chiesa cattolica” (Ad Smirn.VIII, 2). Egli mette in guarda gli Smirnesi contro le aggregazioni scimatiche o settarie. Il Vescovo costituisce il legame di autenticità e di unità sul piano locale, come Cristo lo è nel mondo intero. Dovunqe egli è presente,là è la Chiesa, la Chiesa cattolica. Questa trasmette il messaggio a tutti nel mondo intero. S. Ireneo di Lione (130-200ca.) nell’opera “Contro le Eresie” scrive: “Ricevuto questo messaggio e questa fede, la Chiesa, benchè disseminata in tutto il mondo, lo custodisce  con cura  come se abitasse in una sola casa” (I,X,2). La Chiesa cattolica è disseminata in tutto il mondo, essa è universale.

2. La Chiesa è cattolica, anche nel senso che dappertutto predica lo stesso retto messaggio. Quindi parlare di Chiesa cattolica è affermare l’ortodossia della fede annunciata. Anche questo senso si trova fin da parincipio nella letteratura cristiana. Lo stesso S. Ignazio di Antiochia adopera il termine in questo senso. Nel “Martirio di Policarpo”, è la prima volta che viene usato l’agettivo “cattolico”. Parlando del martire lo presenta come “Vescovo della Chiesa cattolica di Smirne” (XVI, 2). Egli è vescovo di una Chiesa locale,di Smirne, ma questa Chiesa è cattolica: porta l’annuncio delle vera fede. Il termine cattolico assume un significato “dogmatico”. La Chiesa cattolica è infatti distinta dai gruppi marcioniti, eretici, presenti nella città. Essa è cattolica, conserva e trasmette la vera fede. Questa concezione è fortemente presente nel Concilio di Nicea (325) che, nel suo “anatema” parlando degli ariani dichiara: ”Questi la Chiesa cattolica e apostolica li condanna”. E’ la vera Chiesa che tramanda l’ortodossia che li condanna. S. Cirillo di Gerusalemme (315 – 368) dava identico insegnamento ai suoi catecumeni. Immaginando un catecumeno che entra in una città e voglia andare in Chiesa gli dà questo consiglio:“Non devi limitarti a chiedere dove sia la Chiesa, ma dove sia la Chiesa cattolica”. E aggiunge: “Questo è il nome proprio di questa santa Madre di noi tutti” (XVIII, 26).

3. La Chiesa è cattolica perché è dotata dal Signore di tutti i mezzi di salvezza e possiede la totalità di insegnamento che i fedeli devono avere. Essa ha tutti mezzi per guarire gli uomini dalle ferite del peccato. Il Concilio Vaticano II ha riproposto con vigore questa convinzione di fede. “La Chiesa cattolica è in possesso di tutta la verità e di tutti i mezzi di salvezza” (Unitatis Redintegratio, 4).

4.Questa visione di fede, vera e fondata, è ferita tuttavia da contingenze storiche. Il Concilio Vaticano II ne segnala due. La prima riguarda i cattolici stessi. Il Decreto sull’ecumenismo rileva che: “I suoi membri (della Chiesa cattolica)  non se ne servono (di tutta la verità rivelata e di tutti i mezzi di salvezza) per vivere con tutto il dovuto fervore, per cui il volto della Chiesa rifulge meno” (UR, 4). La seconda riguarda le divisioni fra i cristiani che “impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità a lei propria” in quei figli che con lei sono sono in piena comunione. “Anzi alla Chiesa stessa diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita”. La ricomposizione dell’unità tra tutti i cristiani, guarirà anche la ferita inferta alla cattolicità della Chiesa (Besa/Roma).

Roma, 3 luglio 2004

 

 

 

Circolare giugno 2004                                                                                                                       167/2004

Sommario

Ta lòghia – I Detti di Gesù (26): “Togli prima la trave nel tuo occhio”.................................... 1

LUNGRO: Visita del Card. Daoud Prefetto dell’Orientale........................................................... 2

ROMA: Il Card. Daoud ringrazia l’Eparchia di Lungro................................................................ 4

FIRMO: Convegno Internazionale sull’opera letteraria di Vorea Ujko .......................................... 4

GROTTAFERRATA: Mostra di icone russe............................................................................... 6

ALBANIA: La Chiesa trascende l’etnicità ................................................................................ 7

ROMA: Sinodo Intereparchiale – Incontri di maggio della CCC.................................................... 8

ROMA: Diritti dei migranti......................................................................................................... 8

CATANZARO: Millenario di San Nilo....................................................................................... 9

SANTA SOFIA D’EPIRO: Festeggiato papàs Capparelli............................................................ 9

LUNGRO: Museo dinamico .................................................................................................... 10

ROMA: S.E. Mons. Ferrara a S. Atanasio................................................................................ 10

CATROVILLARI: Visita pastorale alla comunità arbëreshe..................................................... .10

ROMA: Icone del Monte Athos.............................................................................................. .10

S. BENEDETTO ULLANO: Emilio Tavolaro..................       ………………………………. 10

ROMA: 40° del Decreto sull’ecumenismo – II. La Chiesa è santa........................................... 11

 

 

Ta lòghia – I Detti di Gesù (26): “Togli prima la trave nel tuo occhio”

 

Il rapporto con il prossimo, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo, dev’essere impostato a misericordia e nell’amore. Ieri e oggi grande è la tentazione di mostrarsi rigorosi ed esigenti verso gli altri, mentre si esige incondizionata tolleranza verso se stessi. Nel contesto del suo atteggiamento verso il prossimo, Gesù, consigliando di “non giudicare per non essere giudicati”, esige dai suoi discepoli un’analisi ed un vero esame di coscienza prima di esprimere alcun giudizio. La stessa etica pagana già richiedeva di guardare prima a se stessi: “Medice cura te ipsum”.

L’autoanalisi è una condizione prerequisita per poter agire con equità e con umiltà. In fondo con realismo. “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?” (Mt 7,3). La contrapposizione paradossale tra pagliuzza (kàrphos) e trave (dokòn) è funzionale per sollecitare il risveglio della coscienza. Gesù vuole suscitare la riflessione, attivare l’uso della ragione. Egli continua con un secondo interrogativo: come potrai chiedere al tuo fratello di togliere la pagliuzza dall’occhio, mentre tu sei in una condizione peggiore della sua? Non una piccola  parte di pula, portata dal vento, hai nell’occhio, ma ua  macchia incommensurabilmente maggiore, quasi una trave. Tu sei ipocrita.

Enunzia quindi il suo consiglio salvifico: “Togli prima la trave dal tuo occhio” (Mt 7,5). Metti a posto te stesso e poi puoi anche aiutare tuo fratello. Gesù raccomanda la correzione fraterna, ma come espressione di amore e non di prevaricazione. Giovanni Crisostomo commenta (Omelie sul Vangelo di Matteo, 23,1): “Non si deve assalire con arroganza, ma correggere con amore” (Besa/Roma).


LUNGRO: VISITA DEL CARD. DAOUD

PREFETTO DELL’ORIENTALE

 

Nei giorni (24-26 aprile 2004) per l’85° della sua  istituzione (1919 –2004), ha fatto visita all’eparchia di Lungro, il il Card. Ignace Moussa I Daoud, Patriarca emerito di Antiochia dei Siri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Prima di lui avevano visitato l’eparchia altri due prefetti della stessa Congregazione: il cardinale Eugenio Tisserant (1959) per il XL della diocesi e nel 1995 il cardinale Achille Silvestrini per l’apertura dell’Assemblea eparchiale.

Riportiamo due indirizzi del Card. Daoud:

 

I.

Incontro con i sacerdoti e i seminaristi, nella Chiesa Parrocchiale del Santissimo Salvatore, domenica

25 aprile 2004:

 

E’ motivo di gioia particolare questo incontro con voi.

Vi saluto molto cordialmente e vi auguro una profonda esperienza della Pasqua del Signore che stimoli il rinnovamento spirituale anche delle comunità che vi sono affidate.

Ai seminaristi esprimo l'augurio per un cammino di preparazione al sacerdozio sempre generoso. Tutti affido, con una speciale preghiera, alla Madre del Signore.

 

1. Il mio pensiero va spontaneamente alla Messa del Sacro Crisma presieduta dal Santo Padre il giovedì santo. Ho avuto la grazia di parteciparvi e penso anche alla sua lettera indirizzata per l'occasione ai sacerdoti.

Un punto mi preme richiamare:

sacerdoti sappiate suscitare, con una vita integra e generosa, nella fedeltà alle promesse sacerdotali, tante e sante vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e missionaria.

E voi seminaristi attendete alla formazione umana, spirituale e culturale con tutto l'entusiasmo della vostra giovinezza, affidandovi agli educatori posti dai Vescovi sul vostro cammino. Diventerete, fin d'ora, una proposta vocazionale per i vostri coetanei.

 

2. C'è un secondo pensiero ed è legato alla visita in Terra Santa! Vi ho ricordato con affetto. Vorrei intrattenervi più a lungo su questo aspetto, che è parte della mia responsabilità di Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

Mi limito a dire che tutta la Chiesa deve rinnovare la sollecitudine della preghiera e della carità a favore della Terra di Gesù. I luoghi santi della nostra redenzione vanno custoditi e valorizzati: sono memoria del Vangelo. Ma, soprattutto, la comunità ecclesiale, le pietre vive, attendono la nostra fraterna condivisione per poter rimanere in quella terra. Invochiamo intensamente la pace, dalla quale tutto può ripartire. E con la dovuta cautela, cerchiamo di tornare pellegrini in quei luoghi per "ricevere e dare speranza".

 

3. Un terzo aspetto mi sta molto a cuore e riguarda l'atteso Sinodo intereparchiale delle tre circoscrizioni bizantine in Italia. La preparazione si avvia alla conclusione. I temi scelti corrispondono alle esigenze particolari di una chiesa di tradizione orientale che vive in un contesto occidentale e in un mondo che cambia. Le indicazioni del Concilio Vaticano Il e della nostra Congregazione con l'Istruzione liturgica, e le linee pastorali della Conferenza Episcopale Italiana vi potranno adeguatamente orientare.

Il criterio di mantenere integre le tradizioni orientali e o di ritornare ad esse laddove fosse necessario, come suggerisce chiaramente il Concilio, e la preoccupazione dell'organico progresso delle nostre Chiese nell'attuale contesto italiano offriranno uno slancio dinamico alla vita spirituale e comunitaria di ciascuna circoscrizione.

Ve lo auguro di cuore!

 

4. Mentre rendiamo grazie a Dio per questo luogo santo, la fede ci fa pensare alla Chiesa Comunità che lo Spirito Santo convoca in assemblea.

Desidero, richiamare la realtà della Chiesa eparchiale, o "chiesa particolare", come è chiamata dal Concilio Vaticano Secondo.

Ecco gli elementi che la distinguono:

1)      una porzione del popolo di Dio,

2)      raccolta attorno ad un Vescovo,

3)      impegnata nella evangelizzazione e nella carità, perché è

4)   fedele nella celebrazione eucaristica.

E' nella chiesa particolare, nella nostra amata Eparchia, nella sua realtà concreta, con i suoi valori e le sue difficoltà, che troviamo i mezzi della Salvezza: la Parola di Dio e i Sacramenti!

Per l' Eparchia di Lungro prego perché sia sempre all'altezza del dono e della missione che ha ricevuto da Dio.

 

5. La Chiesa particolare è una comunità aperta e non si esaurisce in se stessa.

Essa, infatti, è unita ad una Chiesa sui iuris, che comprende altre chiese particolari legate da un rito e da un patrimonio teologico e spirituale comuni.

Nella Chiesa sui iuris risplende l'eredità di una venerabile tradizione cristiana, che va gelosamente custodita e sviluppata. Le circoscrizioni di rito bizantino d'Italia aspirano a questo pieno riconoscimento.

 

Siamo fieri di appartenere alle chiese orientali e vogliamo dare il nostro contributo personale di coerenza cristiana, e poi di amore e di studio, per conoscere sempre meglio questo prezioso tesoro e favorirne lo sviluppo, affinché la chiesa orientale che ci ha generati fiorisca e porti abbondanti frutti di comunione interecclesiale.

 

6. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le comunità italo-albanesi di rito bizantino sono parte viva della Chiesa universale, la quale riconosce alla Chiesa di Roma la presidenza nella carità.

Siamo altrettanto fieri dell'unità con Roma, con il Papa, con la roccia di San Pietro! I nostri padri hanno pagato, non raramente col sangue, questa appartenenza. Vorremo onorare questa eredità "cattolica" e trasmetterla alle nuove generazioni. Uniti alla Chiesa di Roma, riceviamo la garanzia di essere inseriti nell’ unica Chiesa: possiamo attingere alla linfa della fede apostolica e beneficiare del carisma che l'Apostolo Pietro ha ricevuto da Cristo Pastore, quello di confermare i fratelli nella verità e nella carità.

 

E' per me un onore di portare in questa felice celebrazione il saluto e la benedizione del Papa, che sentiamo tanto vicino e per il quale preghiamo.

La Santa Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, ci custodisca tutti nella luce pasquale del Suo divin Figlio, Gesù. Amen! (Besa/Roma).

 

II.

Omelia durante la Divina Liturgia  nella Cattedrale di Lungro, domenica 25 aprile 2004:

 

Saluto tutti, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi carissimi e tutta questa amata assemblea.

Un saluto speciale a Sua Eccellenza Mons. Ercole Lupinacci, Vescovo di Lungro, che ha avuto l'amabilità di invitarmi in mezzo a voi. Grazie, Eccellenza Reverendissima!

Rivolgo un pensiero rispettoso alle distinte autorità civili e militari, al Signor Prefetto, al Signor Sindaco, e a tutti i Responsabili delle pubbliche istituzioni. Sono lieto e grato per questa accoglienza tanto cordiale e familiare.

Desidero, prima di tutto, dire una parola sul brano tratto dal Vangelo di S. Marco, di cui ricorre il ricordo liturgico in questo giorno.

 

l. Per proclamare la verità della Risurrezione e propagarla tra le nazioni, il Signore non ha fatto ricorso a grandi filosofi, scienziati o personalità pubbliche e nemmeno a sofisticati mezzi di comunicazione.

 

Ha preferito alcune donne, semplici, umili, perché fossero con la loro semplicità, umiltà, fede e amore le prime testimoni della sua gloriosa Risurrezione e il modello dei credenti.

S. Marco ci presenta Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome, le "Mirofore", che portano al sepolcro oli balsami ci per ungere il corpo di Gesù.

Da queste donne impariamo il coraggio, l'amore e la fedeltà. Le tre donne avevano conosciuto Gesù, l'avevano seguito e amato. Dopo che Egli era stato arrestato, giudicato e crocifisso ingiustamente, non lo avevano abbandonato; non erano fuggite, come avevano fatto gli stessi Apostoli; erano rimaste fedeli fino alla fine.

Era ancora buio, quando queste donne percorrevano le vie di Gerusalemme per recarsi al sepolcro. A causa della tristezza e della paura non scambiavano tra loro che poche parole. Una cosa le preoccupava seriamente: "chi ci aiuterà a far rotolare la pietra all'ingresso della tomba". Era una "pietra enorme"! (16,4).

 

La preoccupazione conferma che le donne non erano vittime di sogni o di allucinazioni. Mai avrebbero immaginato ad un evento come la Risurrezione. Non avrebbero, peraltro, comprato gli aromi, e nemmeno domandato: "chi ci aiuterà a rotolare la grande pietra?".

 

Arrivate al sepolcro, e vedendo la pietra rovesciata e la tomba vuota, ancora non ipotizzavano l'evento. Pensavano piuttosto, che qualcuno avesse trasferito altrove il corpo di Gesù. Così contempliamo Maria di Magdala che va da Simone e da Giovanni per dire che hanno preso il Signore dal sepolcro. E anche nella prima apparizione pensa ad un giardiniere più che al Risorto.

Le donne ci insegnano una nuova lezione: non dobbiamo inseguire ciò che è appariscente, miracoloso o stupefacente, bensì la certezza della verità!

E' proprio S. Pietro a dire chiaramente:

"Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate, vi abbiamo annunziato Gesù Cristo!"

La realtà e la verità, non negano la fede. La fede ci dispone ad accogliere la Parola di Dio; e la Parola di Dio è sempre sorprendente e più grande delle nostre attese, è un annuncio che va al di là delle nostre speranze.

La Parola di Dio chiara, trasparente, sicura ci conforta: "voi cercate Gesù il Nazareno, il Crocifisso. Si è risvegliato dalla morte, non è qui"! Sulle tombe era usuale scolpire sempre: "è qui". Ma davanti alla tomba di Gesù, l'angelo proclama: "non è qui. Non è qui!" E' la prima volta nella storia che davanti ad una tomba si dice: "non è qui!". Un annuncio insolito, il primo in assoluto della storia.

Alle donne tocca un altro privilegio. Quello di essere le prime ad annunciare il Cristo Risorto. E' la missione che ricevono dall'angelo. "Forza, andate a dire ai discepoli e a Pietro: Lui vi precede in Galilea, è là che lo vedrete, proprio come vi aveva detto". Non solo prime testimoni! Anche prime annunciatrici! Furono proprio loro le prime missionarie. Dopo le donne, e gli Apostoli, la Chiesa ha continuato ad annunciare e a portare a tutti la gioia del Signore Risorto. L'annuncio della risurrezione di Gesù, da  duemila anni, sconvolge il mondo. Come ha ben spiegato S. Paolo: “Se Gesù non fosse risorto, la nostra fede sarebbe vana!”.

 

2. In questa prima visita a Lungro, mentre con voi condivido la gioia pasquale, come non ricordare l'inizio del vostro cammino eparchiale? Ottantacinque anni fa (era il 13 febbraio 1919) il Papa Benedetto XV erigeva la vostra Eparchia. In una pubblicazione della nostra Congregazione, ci sono pagine commoventi che raccontano il vostro ritorno alle tradizioni orientali. Siete stati anticipatori del Concilio Vaticano II, che ha esortato a tornare all’eredità spirituale dei Padri.

Il Cardinale Eugenio Tisserant, con la sua cultura e il suo geniale amore per l'Oriente, visitò la vostra Eparchia nel quarantesimo dell'erezione e tanto vi sostenne in questo intento.

Sono lieto di seguire le sue orme e quelle dei miei predecessori. Mi congratulo per l'ammirevole sviluppo della vostra Chiesa! Mi rallegro col carissimo Vescovo Mons. Lupinacci, i sacerdoti, le religiose e tutti i fedeli. E vi dico: il traguardo raggiunto è tanto significativo da esigere un cammino ulteriore.

 

Quale cammino?

Prima di tutto la trasmissione alle giovani generazioni del tesoro della vostra spiritualità perché trovino Colui di cui essa parla, il Signore Gesù, Via Verità e Vita!

E, insieme, la fedeltà al patrimonio orientale nella lealtà. Il termine BESA, nella vostra amata lingua, vuol dire appunto fedeltà leale! L’impegno è, dunque, quello di custodire e sviluppare il tesoro della fede, dialogando però con il nostro tempo, che è da amare, da apprezzare e per questo anche da correggere e rinnovare! Senza paura del nuovo! In questa prospettiva si colloca il Sinodo intereparchiale indetto per i prossimi mesi.

Sono venuto a Lungro per incoraggiarvi su questo cammino. Il vostro Sinodo eparchiale è da vivere; e il Sinodo intereparchiale da celebrare nel modo più efficace.

Ponendosi in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, la vostra Eparchia diverrà instancabile nella missione. E unita alle altre comunità di Piana degli Albanesi (qui c’è il Vescovo Sotir) e Grottaferrata sarà portatrice della dimensione orientale nella Chiesa d'Italia.

Come Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, figlio e pastore della Chiesa di Antiochia dei Siri, condivido con voi la gioia di appartenere all'Oriente cristiano.

Mi è gradito portarvi il saluto del Santo Padre e la sua speciale benedizione per questa amata Eparchia.

 

La Madre del Signore Risorto, con la sua potente preghiera, ci aiuti tutti ad essere "pietre vive" della Santa Chiesa. Amen! (Besa/Roma).

 

 

ROMA: IL CARDINALE DAOUD

RINGRAZIA L’EPARCHIA DI LUNGRO

 

Di ritorno a Roma il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha ringraziato il vescovo e l’eparchia di Lungro, con lettera del 30 aprile 2004, per l’accoglienza ricevuta. Tra l’altro ha scritto:

“Prego il Signore risorto per l’intera eparchia, che accompagno con simpatia e incoraggiamento, augurando un sempre generoso cammino di testimonianza al Vangelo e di servizio alla comunità umana nella fedeltà alla tradizione orientale. Rinnovo, infine, uno speciale augurio per il prossimo Sinodo Intereparchiale, di cui non mi sfugge l’importanza per lo sviluppo delle Circoscrizioni cattolico bizantine in Italia” (Besa/Roma).

 

 

FIRMO: CONVEGNO INTERNAZIONALE SULL’OPERA LETTERARIA DI VOREA UJKO

 

Il I maggio la comunità di Firmo (Cs) ha ospitato un Convegno Internazionale sul poeta Domenico Bellizzi (1925-1989), noto con lo pseudonimo di Vorea Ujko, in occasione della pubblicazione di tutta la sua opera letteraria, quella edita e quella inedita, in poesia e in prosa.

Il volume di oltre 750 pagine è stato curato da I. C. Fortino, per l’aspetto critico-letterario, da A. Giordano, per la sistemazione dei testi, e da C. Zuccaro, per le traduzioni in italiano.

Oltre alla presentazione del volume, il Convegno si proponeva di creare un momento di riflessione sulla produzione letteraria di uno dei più stimati autori della letteratura della diaspora albanese.

Gli interventi degli studiosi – 4 d’Albania, 1 della Kosova e 4 albanesi d’Italia – hanno affrontato gli aspetti salienti e più significativi della sua produzione, riconoscendo tutti al Vorea il talento poetico, il piglio informale ed estroverso, la forte carica umana, individuando il particolare percorso artistico che coniuga cultura del passato con esperienza culturale del presente.

 

L’opera letteraria di Vorea Ujko

La riproposizione della scoperta della cultura popolare della comunità di appartenenza, nel risvegliargli profondi sussulti d’animo, gli ha indicato la strada poetica da percorrere. Quasi un novello De Rada si è posto di fronte all’ethnos albanese senza prevenzioni di sorta, scavalcando il filo spinato posto dagli uomini, per immergersi nell’albanesità e rimeditare su cinque secoli di storia. Il Vorea, in forma poetica moderna, ha saputo creare un forte collegamento fra esperienza storica ed esperienza vissuta nel presente. La sua, dunque, diventa arte viva che fa riflettere sull’uomo, centro della sua costante attenzione, al di là di stereotipi convenzionali storico-politico-religiosi. La libertà interiore di uomo di radicate convinzioni pervade i suoi versi  rendendoli ricettivi. La poesia di Vorea appare come una favola, che sa di nostalgie del passato confrontate con la realtà del presente, poesia dell’evocazione e della protesta, poesia di un linguaggio che connota le immagini con riuscite strutture foniche. Il linguaggio metaforico s’intreccia con quello comune, familiare, per creare un connubio in cui realtà e astrazione si possano armonizzare (I. C. Fortino).

 

Vorea Ujko galantuomo e ottimo poeta

Ogni poeta, oltre che artista, è sempre un uomo, e Vorea è rimasto sempre uomo anche quando creava versi di elevatissima liricità

 La qualità profonda che lo ha contraddistinto in ogni circostanza è stata la grande carica umana.

 

L’amore per l’uomo vero, mentre gli fa gridare contro la disumanità dell’uomo moderno, lo porta a crearsi una visione positiva nei confronti di ogni persona, anche per quelle che si pongono al di fuori delle nostre categorie logiche.

In lui anche il bicchiere di vino gustato con gli amici aveva una funzione esaltante, era un mezzo di comunicazione, un giuramento d’amore che diventava contagioso per le coscienze.

In questa visione i suoi contatti con i maggiori poeti d’Albania (Agolli, Arapi, Spahiu, Jorgaqi, Varfi, Gjata) divennero rivelatori di una comune esperienza storica che riusciva a creare anche nel presente positivi presupposti per un sodalizio umano e articolato, atto a colmare l’ansia di comunicazione e di vero affetto (D. Agolli).

La Kosova nella poesia di Vorea Ujko

Vorea Ujko, trascinato dai sussulti del sangue, nel 1970 sorprendentemente scopre la terra albanese della Kosova, la voce del tempo che si manifesta e fa sentire il suo timbro dopo cinque secoli. Non una terra geograficamente ben delimitata, ma la terra albanese, in cui ritorna e ritrova brandelli di se stesso. La poesia s’impossessa delle piante, degli uomini, della loro voce che conoscono le sue stesse parole. Quando nessuno sapeva della Kosova, egli la visitava e ne gridava la meraviglia. Di quella terra nutre il nerbo della sua poesia che diventa robusta e distinta nella coloritura, con note che la collegano per un verso al Serembe e per l’altro al De Rada (A. Vinca).

 

L’Albania come ritorno e fonte di ispirazione nella poesia di Vorea Ujko

L’emozione del ritrovamento della terra madre, nel mentre in De Rada era un sogno e come tale mai infranto dall’esperienza del reale, in Vorea rimase sogno anche a contatto con la realtà. Infatti il suo è il viaggio del ritorno verso una meta agognata e cantata da una schiera di poeti e scrittori. Toccata e visitata la terra dei suoi antenati, egli è affascinato da luoghi e persone. La realtà, bella o brutta, gli uomini, giusti o ingiusti, nella sua mente si trasfigurano raggiungendo il mito. Il poeta diventa voce del coro esaltante e soddisfa la sua ansia di identificazione con la madre terra (N. Jorgaqi).

 

Vorea Ujko travaglio tra due lingue

La ricerca della espressione linguistica appropriata ha impegnato Vorea Ujko durante tutto l’arco della sua creazione: alcuni testi li redigeva prima in italiano e poi in albanese (prima fase), mentre altri direttamente in albanese (fase della maturità).  Da  una lingua che conservava tratti tipici della sua parlata è passato a una lingua letteraria “alta”. In ogni caso l’Ujko ha avuto sempre grande cura per l’espressione linguistica, consapevole che la forma in poesia diventa sostanza, atta a contenere i germi estetici. Ma sia che scrivesse in italiano, che in albanese, il Vorea si è dimostrato ottimo poeta (C. Zuccaro).

 

L’arcobaleno lirico di Vorea Ujko

I simboli percorrono la poesia fin dallo pseudonimo Vorea, che nella sostanza  tradisce il senso di “tramontana” e diventa “brezza”, e Ujko da “lupo” diventa “cerbiatto”, termini che gli si addicono dopo avere letto le sue liriche e i poemi, ricchi di umanità e di spirito. Uomo gioioso, cordiale, spiritoso, sensibile e curioso, da cui sgorga con freschezza una poesia nuova nel quadro della cultura albanese. L’umanesimo del Vorea abbraccia il mondo arbëresh, con le note che si originano dalla poetica deradiana, e il mondo shqiptar, che pone solidi radici nell’opera naimiana. Vorea è il poeta che crede nell’uomo e nella trasformazione del mondo che passa dalle tendenze eccentriche e trasgressive a un ecumenismo rigenerante. Egli crede nella immortalità dell’uomo, ma crede anche nell’immortalità del verbo poetico, perché lui stesso poeta vero (Xh. Spahiu).

 

La poesia del nostos in Vorea Ujko

Il viaggio poetico di Vorea è una metafora che si può attribuire ad ogni persona pensante in un percorso che lo porta lontano, ma lo fa anche rientrare in sé. E’ il viaggio di una cultura che sfida il tempo perché viene riappropriata da generazione a generazione. Il viaggio di Vorea è un tuffo nella profondità e un riemergere dalle profondità: è “nostos” nella terra lontana cinque secoli, dove il fermento di echi arcani svela una cultura comune. Quella terra, anche se tradita dagli uomini,  rimane vergine nei sussulti e nelle voci che s’impossessano del poeta (G. Schirò di Maggio).

 

Le tendenze poetiche di Vorea Ujko

Il Vorea, consapevole delle contraddizioni politiche esistenti nella terra madre, adotta un atteggiamento benevolo verso tutti, in nome dell’impulso etnico. La sua sospensione di giudizio politico, spinto da opportunità e deferenza, in nome del “ritorno” di un figlio proveniente da lontano, dagli shqiptarë poteva essere intesa come sostegno alla loro politica. Ci troviamo di fronte a due posizioni che si collocano in un quadro differenziato di visione storica e della realtà del presente.

Anche nell’espressione  il Vorea vive un’avventura linguistica sorprendente: da una raccolta all’altra acquisisce elementi linguistici, funzionali alla ricerca espressiva, che avvicinano la sua koinè progressivamente alla lingua letteraria. Un percorso linguistico che può essere letto anch’esso come “nostos” nella terra madre (B. Suta).

 

Problematica dei testi letterari di Vorea Ujko

Il volume “L’opera letteraria” di Vorea Ujko ha avuto una gestazione durata alcuni anni, che ha qualificato, con l’ottimo risultato, l’Amministrazione comunale di Firmo – che ora diventa esempio per altre amministrazioni – ed ha impegnato i curatori che, alla fine, hanno elaborato un prodotto su una solida base scientifica e al contempo fruibile da un vasto pubblico. Sono state reperite tutte le varianti d’autore, sia in redazione a stampa, in genere su riviste, sia in redazione manoscritta. Grazie alla sensibilità dei nipoti del Poeta, è stato possibile avere a disposizione tutti i fogli manoscritti e ricostruire tutte le fasi dell’evoluzione della creazione letteraria. Gli apparati critici, infatti, sono un riflesso delle varie fasi attraverso cui è passato il testo poetico. Ciò impreziosisce l’opera perché svela il processo di perfezionamento dei contenuti e della forma, e offre strumenti di ulteriori riflessioni agli studiosi che volessero approfondirne lo studio. La scelta di offrire ai lettori una bella traduzione italiana dell’opera letteraria è stata fatta dai curatori per porre all’attenzione dei lettori italiani un’opera di sicuro pregio letterario, appartenente ad una letteratura che ha bisogno di essere conosciuta e possibilmente apprezzata (A. Giordano).

 

Conclusioni

Il pieno successo del Convegno è dovuto a più fattori: alla capacità di attrazione di Vorea Ujko anche dopo morte, all’iniziativa originale e insolita di investimento nella cultura presa dall’Amministrazione comunale di Firmo, e non ultimo all’impegno professionale dei curatori dell’opera che hanno voluto trasformare l’occasione del Convegno in un vero laboratorio linguistico, adottando per le loro relazioni la variante linguistica arbëreshe.

A conclusione del Convegno si è potuto cogliere, in tutti gli interventi, il giudizio unanimemente positivo sul valore estetico dell’opera del Vorea. La sua, è stato ribadito, non è un’opera occasionale di circostanza, ma un’opera di grande respiro poetico che trova addentellati, sotto certi aspetti, per alcune sensibilità pavesiane e ungarettiane, nella grande poesia italiana contemporanea. La poesia del Vorea, nell’ambito della letteratura contemporanea degli albanesi d’Italia, spicca per valore estetico, per la forza di ispirazione, per l’attenzione alla moderna espressività e per la grande carica umana (Besa-Roma).

 

GROTTAFERRATA

MOSTRA DI ICONE RUSSE

 

Dall’8 maggio al 6 giugno ha avuto luogo a Grottaferrata, nel contesto delle celebrazioni millenarie di S. Nilo, una mostra di 250 icone russe della collezione Orler. Si tratta di icone dei secoli XVI-XIX. Sul piano critico sono da segnalare in particolare una Discesa agli Inferi dell’iconografo Tichon Filatev, una crocifissione del secolo XVII proveniente da Tver, una icona-calendario di tutti i santi celebrati durante l’anno risalente ai primi del secolo XIX.

 

E’ stato pubblicato un catalogo con le schede delle icone curato da Giovanna Parravicini, mentre p. Matteo del Monastero di Grottaferrata ha presentato la storia del monastero e le linee essenziali dell’icona nella tradizione bizantina e del suo uso liturgico.

Mons. Eleuterio F. Fortino ha portato il saluto del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unione dei Cristiani e rilevato come la mostra ben si inseriva nello spirito delle celebrazioni niliane con l’attenzione all’ortodossia, questa volta all’ortodossia russa, che nell’ultimo secolo ha dato una forte testimonianza cristiana. Tra l’altro egli ha rilevato come la mostra manifesti la varietà di scuole e tradizioni diverse nel mondo bizantino (Besa/Roma).

 

ALBANIA

LA CHIESA TRASCENDE L’ETNICITA’

 

Il nazionalismo spesso imprigiona la Chiesa, ma la Chiesa è universale, rispetta l’individuo, la nazione nell’ambito della universalità.

Sono stati pubblicati gli atti di una conferenza internazionale sul tema “The Orthodox Churces  in a Pluralistic World – An Ecumenical Conversation”, Holy Cross Orthodox Press, Brookline, 2004.

Tra le altre, vi è una relazione del metropolita ortodosso albanese di Korça. S.E. Joan Pellushi sul tema: “Ethnic Conflicts and Orthodox Church”.

Ne riportiamo, in nostra traduzione, alcuni paragrafi:

 

In questo tempo di globalizzazione (e, sfortunatamente, anche di uniformità), si ha l’impressione che molti valori tradizionali siano a repentaglio. Tra questi, vi è il sentimento della perdita di identità nazionale, che spesso alimenta il timore nei confronti degli stranieri ed accresce lo spirito nazionalista, originando non di rado fenomeni peccaminosi quali la xenofobia e l’inimicizia inter-etnica, che conducono spesso a restrizioni dei diritti degli individui e delle nazioni, a persecuzioni, a guerre e ad altre manifestazioni di violenza. Tutto ciò può essere contrastato dal messaggio cristiano. La missione ed il valore della cristianità sono universali. Essi non hanno niente da temere dalla globalizzazione. La cura per la malattia della globalizzazione secolare e della perdita dei valori non può essere il rintanarsi in un anfratto etnico e nazionale, ma la somministrazione della medicina della cristianità, che è la sua missione universale. Il vero cristiano non può sentirsi minacciato etnicamente, poiché una globalizzazione cristiana non nega l’etnicità. La missione universale della cristianità non è l’uniformità, ma l’unità.

 

La Chiesa non nega l’etnicità, poiché negarla significherebbe negare il mistero della persona e la particolarità di ogni individuo. La Chiesa, al contrario, trascende l’etnicità.

La Chiesa deve considerare nazione e guerra in base ai suoi valori assoluti ed eterni: tutte gli altri valori, qualunque essi siano e per quanto giustificati essi possano essere, sono inferiori e relativi.

La rivelazione divina e la vita in Cristo tramite i sacramenti della Chiesa sono assoluti. Pertanto, ogni altro valore relativo che incide su questi valori assoluti non può essere accettato dalla Chiesa – la patria celeste è superiore ad ogni patria terrena. Il santo Giovanni di Kronstadt ha scritto, sull’amore verso la patria terrena:

“Ama la patria terrena… lei ti ha fatto crescere, ti ha distinto, ti ha onorato e provvisto di tutto; ma nutri un amore speciale per la patria celeste… quella patria è infinitamente più preziosa di questa”.

Nei conflitti etnici, la Chiesa dovrebbe avere una forte voce profetica. Quando si rende conto che tra i suoi fedeli o altrove iniziano a svilupparsi malsani movimenti nazionalistici, motivati e alimentati dall’odio, essa dovrebbe diagnosticare la malattia, con discernimento ed amore. La Chiesa non deve tollerare l’odio etnico, che è origine di razzismo e fascismo. Deve combattere senza mezzi termini questo demone dell’odio. Vero amore verso la nazione significa desiderio di curare la sua malattia. Come un medico coscienzioso cerca di curare i mali senza preoccuparsi di cosa il malato pensa di lui, così anche la Chiesa, spinta da un amore autentico verso la nazione ed il popolo, e con la potenza profetica dello Spirito Santo, deve diagnosticare il male e somministrare la medicina adeguata indipendentemente da ciò che le persone penseranno. Il ruolo profetico della Chiesa consiste nel dire ciò che Dio dice. Sappiamo dalle Sacre Scritture quanto importante per i profeti fosse la frase “così dice il Signore”. Tutti i profeti furono perseguitati ed uccisi per aver detto “così dice il Signore” ed aver proclamato la parola di Dio. I re, i governanti, i sacerdoti, il popolo volevano che i profeti dicessero solo ciò che essi volevano sentire, ma i profeti hanno detto ciò che il Signore diceva. La verità può essere perseguitata, ma essa vivrà sempre. Le sue parole sono eterne, poiché “così dice il Signore”. Se non diciamo la verità agli altri, mostriamo di non amarli.

 

Sulla base di un’antropologia cristiana che crede che Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (Atti 17,26), la Chiesa vede che l’unità del genere umano è più profonda e che le divisioni etniche sono superficiali, non essenziali. L’unica divisione legittima avviene quando “saranno riunite davanti a lui [il Figlio dell’Uomo] tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri” (Mt 25:32).

Per concludere, desidero citare le parole di N. Berdayev:

Ci sono sempre state due razze nel mondo; esse esistono oggi e questa divisione è la divisione più importante. Ci sono coloro che crocifiggono e coloro che sono crocifissi, coloro che opprimono e coloro che sono oppressi, coloro che odiano o coloro che sono odiati, coloro che infliggono sofferenze e coloro che soffrono, coloro che perseguitano e coloro che sono perseguitati. Non occorre certo spiegare dalla parte di chi i cristiani dovrebbero stare (Besa/Roma).

 

ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE

INCONTRI DI MAGGIO DELLA CCC

 

Nel mese di maggio la Commissione Centrale di Coordinamento del Sinodo Intereparchiale si è incontrata due volte a Roma per rivedere i progetti di schemi preparati per il Sinodo:

 

6 MAGGIO 2004

 

Il 6 maggio 2004, si è svolta a Roma, nella sede della Segreteria centrale presso la Chiesa di S. Atanasio (via dei Greci 46) la riunione mensile dei membri della Commissione Centrale di Coordinamento (CCC).

L’incontro è stato aperto con la preghiera per il Sinodo guidata Madre Aurelia Minneci. Il presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha informato sul procedimento in corso dei lavori di revisione. Ha presentato l’Ordine del Giorno. Nella prima sessione di lavoro si è studiata la procedura da proporre agli Ordinari per l’approvazione di un decreto sulle modalità circa la validità delle sessioni e delle decisioni dell’Assemblea Sinodale in relazione al can. 924 del CCEO.

In seguito si è studiata la compilazione dell’elenco delle persone da convocare per il Sinodo, secondo le varie categorie previste dal Decreto di Indizione del Sinodo, elenco da sottoporre agli Ordinari.

Nel pomeriggio il presidente ha introdotto lo studio fatto sul progetto di Schema sul “Diritto Canonico” elaborato dalla competente Commissione. Erano stati consultati i canonisti: prof. dr. Carl Gerold Fürst (Germania) e il prof. p. Lorenzo Lorusso (Istituto Ecumenico di Bari).

Il prof. p. Dimitrios Salachas ha presentato una nuova redazione dello schema con l’analisi e l’integrazione delle osservazioni ricevute. Sono state esaminate e discusse le nuove formulazioni di diversi canoni.

La prossima riunione della CCC avrà luogo il 25 maggio 2004 per l’esame dello schema “Formazione del clero e alla vita consacrata”, su cui sono stati consultati il rev. prof. p. Luigi Padovese, l’Archimandrita p. Manel Nin, rettore del Pontificio Collegio greco, e il rev. p. Nicola Cuccia rettore del Seminario Pontificio “Benedetto XV” di Grottaferrata (Inter/Sinodo).

25 MAGGIO

 

Il 25 maggio 2004, si è svolta a Roma, nella sede della Segreteria centrale presso la Chiesa di S. Atanasio (via dei Greci 46) la riunione mensile dei membri della Commissione Centrale di Coordinamento (CCC) che in questo periodo sta valutando gli schemi completati dalle rispettive Commissioni.

L’incontro è stato aperto con la preghiera per il Sinodo guidata dall’Archimandrita p. Antonino Paratore.

1.   presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F.

Fortino, ha informato sul procedimento in corso dei lavori di revisione. In particolare ha comunicato che p. Lamberto Crociani, esperto per il Sinodo, ha riveduto lo schema “Catechesi e Mistagogia”. Per lo schema “La Sacra Scrittura nella Chiesa locale è stato consultato p. Giovanni Odasso, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università Urbaniana.

2.           Padre Antonio Costanza, segretario della competente commissione, ha presentato lo schema “Formazione del clero e alla vita consacrata”, sulla base dei pareri di p. Luigi Padovese, delegato per i collegi della Congregazione per le Chiese Orientali, di p. Manel Nin, rettore del Pontificio Collegio Greco e di Suor Rosalia, della Congregazione delle Suore Basiliane, a nome delle religiose impegnate nella preparazione del Sinodo. Sono state prese in considerazione le osservazioni ricevute.

3.  In seguito si è esaminato lo schema “Rapporti Inter-rituali” sulla base delle osservazioni del prof. Carl Gerold Fürst (Germania) e di p. Lorusso (Istituto Ecumenico “S. Nicola” di Bari). E quindi il progetto di “Regolamento del Sinodo” su cui si erano ricevuti i due pareri richiesti per una “lettura canonica” ai professori p. Dimitrios Salachas e mons. Natale Loda.

4. Sono state esaminate diverse questioni organizzative (convocazione dei membri sinodali, invito a membri di altre Chiese, ecc.). Il Sinodo avrà inizio il 17 ottobre, Domenica dei Santi Padri del VII Concilio Ecumenico e si svolgerà in tre sessioni:

I    sessione dal 17 al 22 ottobre 2004

II   sessione dal 15 al 19 novembre 2004

III  sessione dal 10 al 14 gennaio 2005.

5.  La Commissione Centrale di Coordinamento si riunirà per un incontro di tre giorni (24-26 giugno) per un esame complessivo della lettura critica di tutti i progetti di schemi sinodali (Inter/Sinodo).

 

ROMA
DIRITTI DEI MIGRANTI

 

Il Pontificio Consiglio per la cura pastorale dei Migranti ha pubblicato il 14 maggio una Istruzione sull’accoglienza dei migranti per ragioni di lavoro, di studio, o per situazioni politiche avverse (“Erga migrantes caritas Christi”). Vi sono degli articoli che riguardano i membri delle Chiese Orientali cattoliche.

Le diposizioni dei due codici e l’orientamento della Istruzione si applicano anche agli arbëreshë di rito greco che si trovano a vivere in parrocchie di rito latino, in Italia o all’estero.

Riportiamo gli articoli relativi agli orientali cattolici:

52. I migranti cattolici di rito orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare attenzione pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l'obbligo giuridico di osservare dovunque - quando sia possibile - il proprio rito, inteso come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (cfr. CCEO can. 28, §l e PaG 72).

Di conseguenza "anche se affidati alla cura del Gerarca o del parroco di un'altra Chiesa sui iuris, rimangono tuttavia ascritti alla propria Chiesa sui iuris" (CCEO can. 38); anzi, l'usanza, pur a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un'altra Chiesa sui iuris, non comporta l'iscrizione alla medesima (CIC can. 112, §2). Vi è, infatti, divieto di "cambiare rito senza il consenso della Sede Apostolica" (CCEO can. 32 e CIC can. 112, §1).

I migranti cattolici orientali, poi, fermo restando il diritto e il dovere di osservare il proprio rito, hanno pure il diritto di partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche di qualunque Chiesa sui iuris, quindi anche della Chiesa Latina, secondo le prescrizioni dei libri liturgici (cfr. CCEO can. 403, §1).

La Gerarchia deve curare inoltre che coloro i quali hanno relazioni frequenti con fedeli di altro rito lo conoscano e venerino (cfr. CCEO can. 41) e vigilerà affinché nessuno si senta limitato nella sua libertà a motivo della lingua o del rito (cfr. CCEO can. 588).

 

53. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (CD 23) in effetti stabilisce che: "Dove si trovano fedeli di diverso Rito, il Vescovo deve provvedere alle loro necessità, sia per mezzo di sacerdoti o parrocchie dello stesso Rito; sia per mezzo di un Vicario episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se opportuno, insignito anche del carattere episcopale; sia da se stesso come Ordinario di diversi Riti". Inoltre "il Vescovo può costituire uno o più Vicari Episcopali che, in forza del diritto ... nei riguardi dei fedeli di un determinato Rito, godono dello stesso potere che il diritto comune attribuisce al Vicario Generale" (CD 27).

 

54. Conformemente al dettato conciliare, il CIC (can. 383, §2) stabilisce quindi che se il Vescovo diocesano "ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia mediante un Vicario episcopale".

Questi, a norma del can. 476 del CIC, "ha la stessa potestà ordinaria che, per diritto universale ... spetta al Vicario generale" anche in rapporto ai fedeli di un determinato rito.

Il CIC, dopo aver enunciato il principio della territorialità della Parrocchia, stabilisce infatti che, "dove risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del rito" (can. 518).

 

55. Qualora così si proceda, tali Parrocchie faranno giuridicamente parte integrante della Diocesi latina, e i Parroci del medesimo rito saranno membri del Presbiterio diocesano del Vescovo latino.

E' da notare, tuttavia, che sebbene i fedeli, nell'ipotesi prevista dai suddetti canoni, si trovino nell'ambito della giurisdizione del Vescovo latino, è opportuno che questi, prima di istituire Parrocchie personali o designare un Presbitero come assistente o parroco, o addirittura Vicario episcopale, entri in dialogo sia con la Congregazione per le Chiese Orientali, sia con la rispettiva Gerarchia, e in particolare con il Patriarca.

Varrà qui ricordare infatti che il CCEO (can. 193, §3) prevede, quando i Vescovi eparchiali "costituiscono questo tipo di presbiteri, di parroci o sincelli per la cura dei fedeli cristiani delle Chiese patriarcali", che essi "prendano contatto con i relativi Patriarchi e, se sono consenzienti, agiscano di propria autorità informandone al più presto la Sede Apostolica; se però i Patriarchi per qualunque ragione dissentano, la cosa  venga deferita alla Sede Apostolica"[54].

Sebbene nel CIC manchi una espressa disposizione a questo proposito, per analogia essa dovrebbe però valere anche per i Vescovi diocesani latini (Besa/Roma).

 

 

CATANZARO

MILLENARIO DI S. NILO

 

Il 14 maggio 2004 ha avuto luogo a Catanzaro un incontro su “Nilo da Rossano – Un Santo tra Oriente e Occidente”. Ha tenuto la conferenza centrale p. Matteo di Grottaferrata. Vi è intervenuto anche l’Egumeno, p. Emiliano. L’incontro si inseriva nelle celebrazioni del millenario niliano (Besa/Roma).

 

S. SOFIA D’EPIRO

FESTEGGIATO PAPÀS CAPPARELLI

 

Per il 60° di arcipretura in S.Sofia d’Epiro, sabato 15 maggio 2004, è stato calorosamente festeggiato l’Archimandrita Papàs Giovanni Capparelli, sacerdote zelante e perseverante nel suo lungo ministero parrocchiale.

Vi ha partecipato il vescovo diocesano, Mons. Lupinacci assieme all’egumeno di Grottaferrata, padre Emiliano, nativo del luogo, molti sacerdoti dell’eparchia, autorità locali e la grande moltitudine dei fedeli.

Per l’occasione è stata donata alla parrocchia dalla Comunità francesana dell’Ara Coeli di Roma una reliquia di S. Atanasio, patrono di Santa Sofia (Besa/Roma).

LUNGRO: MUSEO DINAMICO

 

L’Amministrazione comunale di Lungro ha un piano per realizzare un “Museo dinamico della cultura arbëreshe”. A questo scopo sono state organizzate due giornate di riflessione (21-22 maggio 2004) con tre sessioni.

Nella prima si è affrontato il seguente tema: “Alcune problematiche della dignità arbëreshe: pari dignità di una lingua meno diffusa, conservazione ed insegnamento, religiosità greco-bizantina e devozione popolare”.

Per l’aspetto religioso si sono avuti due intenventi: “Ruolo dell’eparchia di Lungro, tra gli italo-albanesi dell’Italia continentale” (Archimandrita Donato Oliverio) e “L’introduzione delle icone nell’eparchia di Lungro” (dr. Daniela Moccia).

La seconda sessione trattava un tema proprio del circondario: “Le saline di Lungro, l’ambiente e la storia politica e sociale” con quattro interventi di docenti dell’Università della Calabria.

La terza sessione considerava “L’aspetto della ricerca antropologica sul terreno, l’ecomuseo e l’identità delle Comunità”.

Ha tirato le conclusioni il Prof. Cesare Pitto, dell’Università della Calabria, sugli “Sconfinati confini del museo dinamico di Lungro” (Besa/Roma).

 

 

ROMA

S. E. MONS. FERRARA A S. ATANASIO

 

Domenica 23 maggio 2004, commemorazione dei Santi Padri  del I Concilio Ecumenico di Nicea (325), ha presieduto la Divina Liturgia nella Chiesa di S. Atanasio S.E. Mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi. All’omelia ha ricordato il valore per la nostra professione di fede della decisione antiariana di quel Concilio.

Al termine della Liturgia egli ha anche presieduto il Trisaghion per la madre del prof. Domenico Morelli della Comunità arbëreshe di Roma.

Nella sala del Circolo “Besa-Fede” Mons. Ferrara è stato festeggiato con il canto del polychronion (Besa/Roma).

 

CASTROVILLARI

VISITA PASTORALE

ALLA COMUNITA’ARBËRESHE

 

Informazione della Curia eparchiale di Lungro:

 

Nei giorni 23-24 maggio il vescovo Ercole Lupinacci ha svolto la sua prima visita pastorale alla parrocchia bizantina di Castrovillari. Essa è stata istituita il 9 marzo 2003 e parroco è stato nominato il Protopresbitero Antonio Bellusci. La Diocesi di Cassano Ionio ha donato all’Eparchia di Lungro la chiesa di “S. Giuseppe”, sita nel rione Civita, per celebrare le sacre funzioni. Tale chiesa era un tempo dedicata a “S. Maria di Costantinopoli” per cui il vescovo di Lungro ha intitolato la parrocchia alla Madre di Dio, ma fino a quando non saranno ultimati i lavori di ristrutturazione, la comunità si riunirà nella chiesa dei “SS. Medici”, di proprietà del prof. Cosimo Vigna, che la mise a dispozione dei fedeli dell’Eparchia di Lungro.

La nuova parrocchia vuole essere un punto di riferimento sia spirituale che culturale per gli italo – albanesi presenti a Castrovillari, provenienti da vari paesi arbëreshë, i quali si sono ben integrati nella società castrovillarese.

Domenica 23, il vescovo ha celebrato la solenne liturgia pontificale, dove ha partecipato un buon numero di fedeli bizantini, presenti anche i sindaci di Castrovillari e di Frascineto; nel pomeriggio il vescovo ha fatto visita ai malati della parrocchia bizantina nelle loro abitazioni. Lunedì 24, il vescovo ha ricambiato la visita al Sindaco di Castrovillari, il prof. Franco Blaiotta, arbëresh di Frascineto, con il quale ha auspicato una sempre maggiore collaborazione tra le due istituzioni da loro rappresentate per il bene di tutta la collettività.

In seguito il vescovo ha completato la visita ai malati (Besa/Roma).

 

 

ROMA

ICONE DEL MONTE ATHOS

 

“Il volto dell’assoluto”. Con questo titolo ha avuto luogo dal 24 maggio al 6 giugno 2004 una mostra di icone del Monte Athos al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma.

Sono state esposte 40 icone dipinte dai monaci athoniti contemporanei operanti nella Nea Skiti annessa al Monastero di S. Paolo sull’Athos.

La mostra viene presentata come “Esposizione dedicata alla bellezza e alla spiritualità della pittura sacra bizantina” (Besa/Roma).

 

S. BENEDETTO ULLANO

EMILIO TAVOLARO

 

Quest’anno cade il XX anniversario della morte di Emilio Tavolaro (1899 – 1984).

Nel prossimo autunno si terrà una giornata commemorativa che metterà in rilievo il suo contributo alla tutela e alla promozione della cultura arbëreshe (Besa/Roma).



Teologia quotidiana

51

40° DEL DECRETO SULL’ECUMENISMO: LA CHIESA E’ SANTA

 

Quest’anno ricorre il XL della promulgazione del decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio del Concilio Vaticano II, la Magna Charta dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, che ha come scopo diretto il ristabilimento della piena comunione di tutti i cristiani nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.

 

II. La Chiesa è Santa

Tra le quattro note della Chiesa – una, santa, cattolica e apostolica – quella che risulta documentata per prima nelle professioni di fede è la santità, tanto in oriente quanto in occidente. La cosiddetta “Lettera degli Apostoli”, scritta in Asia Minore attorno agli anni 160-170, e giuntaci nella versione etiopica, menziona: la fede nel Padre, in Gesù Cristo, nel Santo Spirito, nella Chiesa Santa e nella remissione dei peccati (Denzinger-Hünermann,1). Ugualmente il più antico simbolo occidentale detto “Apostolico” contiene la menzione della “Santa Chiesa”

La Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II ne ha riassunto la dottrina sull’argomento tenendo conto dell’evoluzione teologica lungo i secoli e della dimensione trinitaria della Chiesa. “La Chiesa…è per fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale con il Padre e lo Spirito è proclamato, “il solo Santo” …diede se stesso per essa al fine di santificarla e la congiunse a sé come suo Corpo, l’ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio” (LG, 39). Santificata, la Chiesa santifica. Essa è santa nella sua natura, nei suoi mezzi e nel suo scopo.

1. Il progetto del Padre è la salvezza dell’umanità e la sua partecipazione alla vita divina. “Siate santi perché io sono santo” (Lv 19,2). L’incarnazione del Verbo che ha assunto la natura umana è l’atto redentivo fondamentale, completato dalla morte e dalla resurrezione di Cristo e della discesa dello Spirito Santo. L’opera salvifica è continuata nel tempo attraverso la Chiesa Corpo di Cristo. “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo dell’acqua… al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa, tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata” (Ef. 5,25-27). La Chiesa è il Corpo di Cristo, di cui il Signore è il capo, e i cristiani le membra. Per mezzo del battesimo il credente viene inserito in Cristo e partecipa alla sua natura divina; diventa con lui un Corpo inabitato dallo Spirito Santo. Una visione analoga è presente nella Chiesa ortodossa. “La Santità della Chiesa è la stessa santità di Cristo…La santificazione della Chiesa, che si realiza per mezzo del sangue di Cristo, si completa per mezzo dello Spirito Santo, che scende a Pentecoste e rimane in essa” (Sergio Bulgakov, Hê Orthodoxia, Istambul 1964, p. 107). L’uomo redento, l’uomo nuovo, restaurato ad immagine e somiglianza di Dio è chiamato alla progressiva trafiguraz                                                                                                     ione, crescendo in se stesso chiamato a raggiungere la misura di Cristo stesso.

La Chiesa, è composta dalla moltitudine di coloro che sono stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Essi così sono resi “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4). Nella preghiera rivolta al Padre, prima della sua passione e morte, Gesù chiese: “Come tu Padre sei in me  e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Questa comunione vitale nella natura divina rende la Chiesa santa e santificante.

2. La Chiesa è santa nel suo scopo e nei suoi mezzi. Lo scopo è la santificazione dell’umanità, la realizzazione dell’intima unione degli uomini con Dio. La continua aggregazione di nuovi membri è la missione fondamentale della Chiesa. Essa propone la Parola di Vita, il Kerygma della salvezza, e attraverso la celebrazione dei santi Misteri, i santi sacramenti, raduna e purifica gli aderenti, li nutre con il corpo e il sangue di Cristo, li aggrega nel proprio corpo comunicando la grazia che tutto trasforma.

La Chiesa è una realtà teandrica, in analogia alla stessa cristologia che presenta Gesù Cristo, il Verbo incarnato come vero Dio e vero uomo. Anche la Chiesa ha la sua dimensione divina e umana. Si tratta di una realtà misteriosa divino-umana. Ne consegue che i suoi membri, per la sua parte umana, possono peccare.

3. La conversione, il rinnovamento, la riforma sono pertanto richiesti ai singoli cristiani e all’intera comunità ecclesiale. Il Decreto sull’ecumenismo ha proposto la riforma della Chiesa, indicando orientamenti e modalità. “La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma (accresciuta fedeltà alla propria vocazione) di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno” (UR, 6). Il decreto individua anche i campi in cui operare e cioè: i costumi, la disciplica ecclesiastica e lo stesso modo di enunciare le dottrine. Il rinnovamento che ne proviene, per il decreto “ha una importanza ecumenica singolare”  (UR, 6).

La Chiesa è santa nella sua vocazione, nella sua natura, nel suo scopo e nei mezzi della sua azione nel mondo. Ma nel suo seno ci sono membri peccatori che hanno continuo bisogno della sua azione salvifica (Besa/Roma).

Roma, 6 giugno 2004

 

 

 

 

Circolare marzo 2004                                                                                                                        165/2004

 

Sommario

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (24): A ciascun giorno basta la sua pena”.................................. 1

ROMA: Relazioni con le Chiese ortodosse............................................................................... 2

ATENE: La Chiesa Ortodossa di Grecia e la venerazione delle icone........................................ 4

ROMA: Gennaro Cassiani (1903-1978) commemorato all’Istituto Sturzo................................. 6

ROMA: Fede e Martirio – Chiese Orientali cattoliche............................................................... 6

NAPOLI: Tendenze linguistiche tra gli autori arbëreshë contemporanei...................................... 7

MILANO: Ruolo dei Patriarchi nelle Chiese Ortodosse............................................................ 8

CHEVETOGNE: 50° di P. Giacomo Engels............................................................................. 8

ALBANIA: Quaresima di evangelizzazione............................................................................... 9

ROMA:Sinodo Intereparchiale - Incontro mesnile della Commissione Centrale........................ 10

ROMA: Quaresima a S.Atanasio............................................................................................ 10

ROMA: Kerygma, catechesi e mistagogia............................................................................... 11

 

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (24): “A ciascun giorno basta la sua pena”

 

Gesù sta spiegando ai suoi discepoli la vera pratica religiosa nel suo grande discorso “sulla montagna”. Ha  già promulgato le beatitudini (Mt 5,1-14), ha introdotto la legge nuova (Mt 5,17-47), ora insegna il modo di praticarla (Mt 6, 1-7,28) concentrato sulla ricerca prioritaria del Regno. Ciò comporta conoscenza e pazienza, nella quotidiana obbedienza e fiducia in Dio. L’orientamento al Regno incontra la contraddizione delle tendenze istintive dell’uomo, la sofferenza, la malattia, il dolore e la croce. La via che porta al Regno è quella della conversione. Gesù è esplicito: “Se qualcuno vorrà venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno (kath’emèran) e mi segua” (Lc 9,23). Questa situazione non dovrà essere appesantita con le preoccupazioni del domani. Il futuro avrà le sue pene. Ma noi viviamo oggi e per l’oggi bastano i suoi disagi, le sue tentazioni, il suo peso. “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,34).

“Perché aggiungi un’altra tribolazione che ti viene dalle preoccupazioni?”, chiede S. Giovanni Crisostomo, commentando questo passo (Omelie sul Vangelo di Matteo, 22,3). E aggiunge: “Niente fa soffrire l’animo così come l’affanno e la preoccupazione”. Se entri in questa perversa dinamica, vi rimarrai imprigionato. “Perché se  oggi ti preoccupi per il domani, anche domani ti preoccuperai di nuovo”. Il Crisostomo nota che così facendo neanche si “alleggerisce il domani”. Il domani avrà le sue pene.

Occorre quindi vivere il nostro “oggi” che è l’oggi di Dio con fiducia in Dio, con speranza nel suo soccorso. Nella preghiera insegnata da Gesù stesso ai discepoli si chiede: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano .. e liberaci dal male”. Non si tratta di un tipo di vita irresponsabile, ma di una visione nella fede. “Il giusto vive di fede” (Rom 1,17). Quando si dice che a ciascun giorno basta la sua pena, si vuol liberare lo spirito dei credenti da preoccupazioni inutili accettando il presente sperando nel domani di Dio (Besa/Roma).


 

Roma

RELAZIONI CON LE CHIESE ORTODOSSE

 

In occasione della “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani” l’Osservatore Romano (18.1.2004) ha pubblicato un resoconto delle relazioni con le Chiese ortodosse nel 2003 a firma di Mons. Eleuterio F. Fortino. Lo riportiamo qui di seguito:

 

Nell’ultimo anno le relazioni fra la Chiesa cattolica e le singole Chiese ortodosse sono state differenziate per intensità e qualità. E diversificate sono state anche le problematiche presenti che talora rendono più difficili i contatti. Tanto da parte cattolica quanto da parte ortodossa si cercano gli strumenti per migliorare la situazione e promuovere l’unità dei cristiani. “La nostra Chiesa – ha dichiarato il Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I nel discorso rivolto alla Delegazione cattolica presieduta dal Card. Walter Kasper per la festa di S. Andrea al Fanar (30 novembre 2003) – si oppone con argomentazioni ad ogni azione che tenda a stabilizzare la divisione esistente”. La divisione è contraria alla volontà di Cristo sulla comunità dei suoi discepoli. Gli sforzi attuali sono orientati a ricomporre la piena comunione. Nel loro insieme, le relazioni tra cattolici e ortodossi si svolgono su un duplice binario: quello del dialogo della carità e l’altro del dialogo teologico. Quest’ultimo è impostato con la Chiesa ortodossa nel suo insieme ed è stato aperto nel 1979 in occasione della visita di S.S. Giovanni Paolo II al Patriarcato Ecumenico. Ha svolto un cammino positivo pubblicando quattro documenti di cui si fa un buon apprezzamento nell’Enciclica Ut Unum Sint (n. 59-61).

 

Le relazioni con le Chiese ortodosse

nel loro insieme

 

Nell’ultimo decennio però, da quando è stato pubblicato il suo quarto documento su “L’uniatismo, metodo di unione del passato e l’attuale ricerca della piena unità” (Balamand 1993), il dialogo teologico con tutta la Chiesa ortodossa incontra serie difficoltà a rimanere in quota. Neanche l’ultima sessione plenaria (Baltimora, luglio 2000) è riuscita a rimetterlo in moto. In quest’ultima sessione si è discusso sulle “Implicazioni ecclesiologiche e canoniche dell’uniatismo” senza poter pervenire ad un orientamento comune. La sessione tuttavia ha messo in rilievo un dato importante per il dialogo teologico. Ha constatato che la nascita delle Chiese orientali cattoliche è legata alla questione del primato del vescovo di Roma nella Chiesa. Di conseguenza la questione non avrà soluzione se non in relazione a quella del problema maggiore nelle relazioni cattolico-ortodosse. Da parte cattolica il Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica sull’ecumenismo ha ricordato che: La Chiesa cattolica, sia nella sua praxis che nei testi ufficiali, sostiene che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro vescovi con il vescovo di Roma, è un requisito essenziale – nel disegno di Dio – della comunione piena e visibile” (Ut Unum Sint, 97). Pertanto le due questioni sono tra loro intimamente connesse e restano aperte nell’agenda del dialogo. Tanto da parte cattolica quanto da parte ortodossa ci si adopera per un nuovo avvio del dialogo secondo l’impostazione prevista dal documento comune preparatorio (1978) approvato dalle autorità di ciascuna Chiesa ortodossa e da quella della Chiesa cattolica.

In questa prospettiva è necessario l’accordo di tutte le Chiese ortodosse. Questa ricerca avviene attraverso varie iniziative. Da una parte attraverso consultazioni sull’aspetto tecnico del dialogo, la composizione e il funzionamento della Commissione Mista Internazionale, e dall’altra nel migliorare le condizioni di fiducia e di fraternità con le singole Chiese ortodosse con rapporti e collaborazioni bilaterali.

Da parte ortodossa, si rimprovera alla Chiesa cattolica di usare iniziative, che essi giudicano come espressioni di proselitismo e di promuovere metodi che essi considerano uniatistici. Su questi temi si continua a discutere senza raggiungere ancora una vera intesa anche se la risposta cattolica, a vari livelli, viene presentata e precisata con insistenza. Un’ eco si trova anche nel discorso pronunciato al Fanar dal Card. Kasper che si riferiva alla carità reciproca: “Questo amore esclude ogni forma di gelosia, di competizione, di proselitismo. Quest’ultimo non è la linea di condotta della Chiesa cattolica. Il dialogo ecumenico è uno scambio non solo di idee ma – come ribadisce il Papa Giovanni Paolo II – di doni spirituali. Entrambe le nostre Chiese sono ricche di doni dello Spirito. Gli uni e gli altri  abbiamo ricche tradizioni liturgiche, spirituali, teologiche, che non sono contraddittorie bensì complementari, così come era evidente nel passato. Esse non appartengono all’una o all’atra Chiesa, ma all’unica e intera Chiesa di Cristo. In tal modo la piena comunione verso cui ci orientiamo non è né può essere una impoverita uniformità, ma una ricca e florida unità nella pluriformità con tutto lo splendore della vera bellezza della Chiesa di Cristo

 

Simposio sul primato petrino

 

Il fatto che la Commissione Mista Internazionale, come si è detto, non abbia avuto alcuna sessione plenaria dal luglio del 2000, non sta a significare che vi è stato un “tempo vuoto”. Nel suo significato più ampio, la ricerca è continuata a vari livelli, in convegni, in confronti dottrinali, nella ricerca più silenziosa delle facoltà di teologia e negli istituti ecumenici e nello scambio di visite ufficiali.

Si è continuata la riflessione incominciata dopo la pubblicazione dell’Enciclica Ut Unum Sint sulla richiesta del Santo Padre di studiare insieme, cattolici e ortodossi, la questione del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa allo scopo di trovare una forma di esercizio del primato che possa essere accettata dagli uni e dagli altri e così rendere fecondo il servizio di unità che gli è proprio. Il PCPUC ha organizzato un symposium accademico cattolico – ortodosso (21 – 24 maggio 2003) proprio sul ministero petrino. Al symposium partecipavano teologi a titolo della loro competenza, ma erano stati invitati su segnalazione delle rispettive Chiese. Vi hanno preso parte 25 invitati.

Sono stati affrontati quattro temi su cui vi sono state otto relazioni, due per ciascun tema, una di un cattolico e una di un ortodosso. I temi affrontati sono stati:

a)      Il fondamento biblico del primato (Mgr. Joachim Gnilka, cattolico – Rev. Theodore Stylianopoulos, ortodosso);

b)      Il primato nel pensiero dei Padri della Chiesa (Prof. Vlassios Feidas, ortodosso –Rev. Vittorino Grossi, o.s.a, cattolico);

c)      Il ruolo del vescovo di Roma nei Concili Ecumenici (Prof. Vittorio Peri, cattolico – Rev. Nicolae V. Dura, ortodosso);

d)      Le discussioni recenti in merito al primato in relazione al Vaticano I e la discussione sul primato fra i teologi ortodossi (Rev. Hermann Josef Pottmeyer, cattolico – Metropolita prof. Joannis Zizioulas, ortodosso).

Per continuare la riflessione saranno pubblicati gli atti del symposium. Forse il suo apporto più importante è stato, nel confronto,  quello della individuazione, della definizione e della precisazione dei veri problemi implicati. La storia del ministero petrino, nei rapporti tra i cristiani divisi, è fatta anche di polemiche aspre, di incomprensioni, di esagerazioni. Uno studio scientifico sulle fonti evangeliche e sulla tradizione della Chiesa può apportare la serenità necessaria per  garantire un dialogo più costruttivo.

 

Rapporti con le singole Chiese ortodosse

 

In questi ultimi anni sono aumentati i rapporti con singole Chiese ortodosse tanto con visite del Santo Padre quanto del Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unione dei Cristiani, quanto per mezzo di visite di delegazioni ortodosse a Roma e quanto, infine, con iniziative particolari a vario livello.

Questa prospettiva di azione era prevista fin dal 1964, dalla III Conferenza pan-ortodossa di Rodi, che aveva considerato se e come aprire il dialogo fra tutta la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Si constatava allora la necessità di “una preparazione adeguata” con la creazione “di condizioni favorevoli”.

Nel frattempo e a questo scopo – si diceva allora - le singole Chiese potevano avere relazioni fraterne con la Chiesa cattolico - romana con la precisazione che Ciascuna lo può fare a nome proprio, ma non di tutta la Chiesa ortodossa, nella fiducia che in tal modo esse possano superare gradualmente le difficoltà che ancora rimangono”. Una tale disposizione rimane sempre valida, soprattutto in tempi di tensioni e di incomprensioni.

Nell’ultimo anno, si sono mantenute e talvolta incrementate le relazioni bilaterali. Si sono affrontate nuove difficoltà di cui molte sono ancora oggetto di seria discussione.

Con il Patriarcato ecumenico, oltre a momenti particolari, vi è stato lo scambio regolare di visite per le feste patronali a Roma (29 giugno) e al Fanar (30 novembre), occasione di preghiera comune e di festa, ma anche di conversazioni per coordinare le iniziative e per affrontare difficoltà emergenti.

Nel discorso durante l’udienza ufficiale concessa alla delegazione ortodossa per la festa di S. Pietro e Paolo (2003) presieduta dall’Arcivescovo ortodosso di America S.E. Dimitrios, il Santo Padre, tra l’altro, si è riferito alle consultazioni che il Patriarcato Ecumenico sta conducendo tra le Chiese ortodosse, per rilanciare il dialogo ecumenico.

Il Santo Padre ha affermato: Sono profondamente grato per gli sforzi compiuti negli ultimi mesi dal Patriarcato Ecumenico per coordinare il proseguimento del lavoro della Commissione Internazionale Mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Vogliate assicurare Sua Santità delle mie ferventi preghiere affinché questa iniziativa, che è indispensabile per la nostra crescita nell’unità, sia coronata da successo”. Non manca il riferimento alle difficoltà che incontra il dialogo: “Mentre cerchiamo di progredire nel dialogo della verità e nel dialogo della carità, non lasciamoci scoraggiare dalle difficoltà che incontriamo. Vi è sempre un modo per andare avanti se siamo impegnati a fare la volontà di Dio per l’unità dei suoi discepoli (L’Osservatore Romano, 1 luglio 2003).

 

Nel mese di giugno 2003 Il Patriarca Ecumenico, particolarmente interessato alla salvaguardia del creato, ha organizzato, dopo quello precedente sul Mare Adriatico, un symposium sul Mar Baltico.

Il card. Walter Kasper  vi ha partecipato ed ha portato un messaggio del Santo Padre. (2 giugno 2003).

Relazioni a vari livelli si sono avute praticamente con tutte le Chiese ortodosse. Quelle con cui si sono avuti nuovi rapporti sono i Patriarcati di Serbia e di Bulgaria, e la Chiesa autocefala di Grecia.

In seguito alla visita del Santo Padre all’Aeropago di Atene (2001), per la prima volta la Chiesa di Grecia ha inviato a Roma una delegazione ufficiale del Santo Sinodo, composta da un metropolita, due vescovi e due archimandriti tutti impegnati nei vari dipartimenti di dialogo (8-13 marzo 2002). Essa è stata ricevuta anche dal Santo Padre. Le maggiori preoccupazioni  comunicate erano: cooperazione per una rinnovata pastorale nel nostro tempo, concertazione per una presenza cristiana nell’ Unione Europea.

Di rimando la Chiesa cattolica ha inviato una sua delegazione, presieduta dal Card. Walter Kasper, accompagnato dal Segretario del Dicastero S.E. Mons. Brian Farrell, da Mons. Johan Bonny, e dal Nunzio ad Atene (10-14 febbraio 2003). Oltre ai contatti con l’Arcivescovo e le commissioni di dialogo della Chiesa di Grecia, il programma della delegazione comprendeva visite alle istituzioni di azione pastorale della Chiesa. La delegazione ha constatato lo spirito di nuovo impegno pastorale e l’interesse per la cooperazione con la Chiesa cattolica. Le nuove sfide alle Chiese, come la questione bioetica, e i problemi relativi alla presenza cristiana nel mondo di oggi sono stati esaminati durante le conversazioni.

Nel messaggio inviato all’Arcivescovo Christodoulos il Santo Padre ha scritto: Auspico, Beatitudine, che questo nuovo contatto susciti forme concrete di cooperazione tra noi. La Chiesa di Roma è disponibile alla reciproca collaborazione, nella consapevolezza della necessità di integrare le tradizioni greca, latina e slava dell’Europa di oggi, affinché tutto sia articolato in un insieme armonico          .

Dal 1 al 3 giugno 2003 ha avuto luogo a Tessalonica, organizzato dalla Facoltà Teologica dell’Università Aristotele un simposio internazionale, sotto gli auspici dell’Arcivescovo Christodoulos sul tema: Orthodox Theology and Ecumenical dialogue – Perspectives and Problems”. Vi ha preso parte Mons. Johan Bonny della sezione orientale del Pontifico Consiglio per la promozione dell’Unione dei Cristiani.

Nella prima settimana di settembre 2003 ha avuto luogo a Joannina nell’Epiro l’VIII symposium  sulla “Spiritualità in oriente e in occidente e sui reciproci influssi” organizzato dalla Facoltà Teologica dell’Università di Tessalonica e dall’Istituto di Spiritualità dell’Ateneo Antonianum. Al sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unione dei Cristiani è stata chiesta una relazione sulla Spiritualità ecumenica secondo il Concilio Vaticano II”.

Nella settimana tra il 15 e il 20 settembre 2003 un gruppo di 31 parroci ortodossi di Atene, con l’approvazione dello stesso Arcivescovo Christodoulos, ha fatto una visita di contatto a Roma, visitando uffici della Santa Sede, istituzioni culturali, parrocchie e movimenti come i focolarini e la Comunità di S. Egidio. Il gruppo è stato ricevuto dal Santo Padre a Castelgandolfo.

Ad un anno di distanza dalla visita del Santo Padre in Bulgaria, una delegazione del Santo Sinodo di Sofia ha fatto visita a Roma (22-27 maggio 2003). Nella circostanza è stato inaugurato l’uso liturgico da parte della Comunità bulgara ortodossa di Roma della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio nei pressi di Fontana di Trevi.

Una delegazione del Santo Sinodo del Patriarcato di Serbia è stata a Roma dal 3 all’8 febbraio 2003 e ha avuto contatti con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unione dei Cristiani, con il Segretario per i Rapporti con gli Stati, con il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e con altre Congregazioni e Pontifici Consigli.

Anche la piccola Chiesa autocefala di Albania mantiene buone relazioni tanto con Roma, quanto con i cattolici sul luogo. Per la beatificazione di Madre Teresa, S.B. Anastas, Arcivescovo di Tirana e di Tutta l’Albania, ha inviato a Roma, come membri della delegazione albanese, il metropolita di Korça e il decano della Scuola Teologica di Durrës.

Questi elementi segnalati sono soltanto alcuni esempi che intendono mostrare come le relazioni bilaterali si estendono pur nella loro complessità.

 

Osservazione

 

Questi contatti sono una fonte preziosa di conoscenza reciproca e occasione di chiarificazione dei problemi aperti. Il processo di avvicinamento tra cattolici e ortodossi è lento, ma, nello stesso tempo, molto variegato. Le situazioni storiche, psicologiche, sociologiche sono diverse da Chiesa a Chiesa. All’orizzonte di tutto rimane il dialogo teologico, lo strumento specifico per la discussione delle divergenze permanenti.

La preghiera per l’unità che in questa settimana si eleva al Signore della Chiesa sarà certamente di sostegno e di illuminazione per tutti coloro che sono impegnati in questo compito evangelico di ricomposizione della piena comunione dei discepoli di Cristo (Besa/Roma).

 

ATENE

LA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA

LA VENERAZIONE DELLE ICONE

 

In occasione delle recenti pubblicazioni comparse sulla stampa relative al ruolo delle sante icone nella vita della Chiesa ortodossa e alla loro venerazione, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia diffonde (16.1.2003) il presente comunicato, per riproporre il chiaro insegnamento della Chiesa e fugare gli eventuali malintesi, qualsiasi ne sia la provenienza.

 

1. L’iconografia e la venerazione delle sante icone, che risalgono all’epoca apostolica, si sviluppano in maniera straordinaria nel IV secolo, l’età d’oro della teologia patristica. Secondo quest’ultima, è indispensabile rappresentare la persona di Cristo, poiché il Figlio e Verbo di Dio si è incarnato ed ha divinizzato la natura umana, assumendola. È bene raffigurare inoltre la Vergine Maria ed i santi poiché essi partecipano alla divinizzazione, essendo membri del Corpo risuscitato di Cristo. È precisamente per tale motivo che la fede in Cristo, così come il rapporto con Lui, non può fare a meno della raffigurazione: il Corpo di Cristo è visibile e reale, non è immaginario e figurato.

            Nell’VIII e IX secolo fanno la loro comparsa iconoclasti di ogni genere, che difendono opinioni giudaiche, musulmane e varie credenze eretiche. Per un lungo periodo di tempo, le parti avverse espongono i rispettivi argomenti. Proprio per far fronte a questo problema, si riunisce il VII concilio ecumenico, dato che la Chiesa è accusata “dai giudei, dai saraceni, dai pagani, dai manichei” e da altri eretici (Atti del VII concilio ecumenico). Questo concilio decide che le venerabili e sante immagini di Cristo, della Theotokos, degli angeli e dei santi – fatte di colori, mosaici e ogni altra materia adeguata - devono essere venerate “in modo quasi uguale al segno della Croce degno di onore e vivificante”. Inoltre, si afferma che l’onore reso alle sante icone “passa all’originale” e che chi si prostra davanti all’icona “si prostra davanti all’ipostasi di colui che è in essa inscritto”. E il concilio conclude: “Ecco la tradizione della Chiesa universale che ha ricevuto il Vangelo da un confine all’altro della terra” (Atti del VII concilio ecumenico).

 

....................... 2. Le sante icone della nostra Chiesa appartengono all’arte e alla pittura bizantina.

Tuttavia non rappresentano una semplice immagine religiosa, una rappresentazione naturalistica, il cui tema è un personaggio religioso o una storia religiosa.

Esse sono considerate dai credenti, e di fatti lo sono, come dei “vasi sacri” liturgici inalienabili che santificano l’uomo e che lo fanno entrare in rapporto diretto con la grazia e con l’ipostasi della persona rappresentata, poiché persino la materia è santificata nel seno della Chiesa. S. Teodoro, igumeno di Studion, dice: “È l’ipostasi della persona raffigurata ad essere rappresentata e non la sua natura”.

Le icone rivelano questa realtà, inaccessibile agli occhi. Esse ci mostrano e ci insegnano non come guardare il nostro Signore e Dio nella nostra miseria, ma come accedere alla Sua ricchezza.

            3. Per questo, è assolutamente impossibile paragonare le sante icone agli idoli, come tentano di fare i loro avversari di ogni tempo. Le principali ragioni di ciò sono le seguenti: a) le icone dei Santi della Chiesa rappresentano dei personaggi storici e dei fatti reali, legati personalmente ed essenzialmente, da un rapporto diretto di santità e di comunione, al solo ed unico vero Dio; b) le icone dei Santi sono oggetto di venerazione, mentre il culto è soltanto destinato al vero Dio Trinitario, rivelato dal Figlio e Verbo di Dio, che si è incarnato attraverso lo Spirito Santo e la Vergine Maria.

            Il VII concilio ecumenico, che esamina le sante icone, fa una netta distinzione tra “santo” e “sacrilego”. È per questo che “il santo Sinodo dichiara (…) noi accogliamo le sante immagini (…) Anatema a chi non le onora! A coloro che definiscono le sante icone degli idoli: anatema!” (Atti del VII concilio ecumenico). San Tarasio, vescovo di Costantinopoli e presidente del Concilio, riporta ciò che i santi martiri rispondevano quando venivano accusati di non voler adorare gli idoli e di avere i loro propri idoli, ovvero le icone: “noi non raffiguriamo dei demoni, ma il Verbo di Dio incarnato ed i suoi santi, senza tuttavia divinizzare le loro icone” (Atti del VII concilio ecumenico).

            Di conseguenza, le ragioni che, conformemente alla teologia patristica, dettano la venerazione delle sante icone sono le seguenti: “gli occhi degli spettatori sono anch’essi santificati dalle sante icone e, attraverso loro, lo spirito è portato a conoscere Dio” (Synodikon dell’Ortodossia). Così si manifesta il bisogno da parte di fedeli di concentrare il pensiero e l’anima sui destinatari delle loro preghiere, delle loro suppliche e delle loro implorazioni, ma anche della loro glorificazione e del loro rendimento di grazie, ovvero sui Santi rappresentati. Il grande valore didattico delle icone è illustrato anche dal posto che esse occupano nelle chiese e nel culto divino. Grazie a questi “libri parlanti”, secondo San Gregorio di Nissa, ogni cristiano viene a conoscenza del premio che Dio e la Chiesa accordano a coloro che, sulla terra, sono rimasti fedeli alla Sua volontà e si sono mostrati degni della morte in croce e dell’opera redentrice di Dio fatto uomo. Il VII concilio ecumenico definisce l’onore reso alle icone e la prostrazione davanti ad esse “legge approvata e gradita a Dio e tradizione della Chiesa, devota richiesta e bisogno di pleroma della Chiesa” (Atti del VII concilio ecumenico).

4. È la fede della Chiesa ciò a cui dobbiamo tenere come alla pupilla dei nostri occhi, come confessano tutti i vescovi prima della loro ordinazione. Ecco perché le nostre chiese sono piene d’icone che portiamo in processione con ceri ed incenso. Noi ci prostriamo davanti ad esse con devozione, ci facciamo il segno della croce e le baciamo pregando. È dunque in questo quadro teologico ed ecclesiale che devono rimanere sia coloro che espongono le icone alla venerazione del popolo che coloro che si avvicinano per venerarle e ricevere la grazia di Dio; grazia che viene anche dalle icone, a seconda del grado di elevazione spirituale dei credenti. Questa presa di posizione teologica ed ecclesiale precisa il contesto in cui si realizza la vera venerazione delle sante icone. Possedendo una fede pura, libera da ogni forma di razionalismo, pietismo e moralismo, il popolo comprende la potenza di Dio che si sprigiona dalle sante e venerabili icone, come l’emorroissa che riceve la forza di Cristo toccando la frangia della sua veste nel momento stesso in cui i farisei e gli altri che seguivano il Signore erano incapaci di comprendere l’accaduto.

In questo contesto, ricordiamo anche che l’enciclica 2597/19.6.1995 del Santo Sinodo permanente segnala il fatto seguente: mentre i fedeli desiderano venerare realmente le sante icone “a volte, il modo di organizzare l’evento non tiene conto della serietà dell’obiettivo e rende un cattivo servizio all’edificazione spirituale dei fedeli”. L’enciclica raccomanda dunque che la traslazione di reliquie, d’icone e di altri oggetti sacri si faccia con l’accordo del vescovo locale e con l’approvazione del Santo Sinodo permanente.

Per concludere, desideroso di dissipare le tenebre dell’ignoranza e d’insegnare ai suoi devoti fedeli, come è suo dovere, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia proclama: “… Così pensiamo, così parliamo, così predichiamo, onorando il Cristo nostro vero Dio ed i suoi Santi con le nostre parole, i nostri scritti, i nostri pensieri, i nostri sacrifici, i nostri templi e le nostre Icone, ci prostriamo con devozione davanti al primo come Dio e Signore, venerando gli altri a causa del Maestro comune di cui sono gli intimi servitori e accordando loro i segni di devozione che si addicono al loro rango. Questa è la fede degli Apostoli, questa è la fede dei Padri, questa è la fede dei cristiani ortodossi, questa è la fede che sostiene l’universo” (Synodikon della domenica dell’Ortodossia).

Quest’insegnamento ortodosso della Chiesa ci libera dal razionalismo, dal misticismo, dal manicheismo e dall’agnosticismo. È il nostro modo puramente ortodosso di pensare e d’agire (Besa/Roma).

 

ROMA: GENNARO CASSIANI

1903 - 1978

 

Presso l’Istituto Luigi Sturzo il 10 febbraio 2004 è stato commemorato l’On. Gennaro Cassiani, come penalista, umanista e politico della Calabria da Giulio Andreotti, Francesco Malgeri, Giovanni Russo e Giuseppe Talamo. L’occasione è stata la presentazione  di un volume contenente una biografia curata da Gabriella Fanello Marcucci e con una antologia di scritti curata dalla figlia Rita Cassiani. E’ emersa la figura del Cassiani – personalità di forti concezioni politiche, etiche e culturali. E’ stata rilevata anche la sua appartenenza alla comunità albanese d’Italia. Ha presieduto l’incontro il direttore dell’Istituto Sturzo lo storico Gabriele De Rosa (Besa/Roma).

 

ROMA: FEDE E MARTIRIO

CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE

 

La Congregazione per le Chiese Orientali ha pubblicato un volume sulla testimonianza cristiana data dalla Chiese Orientali Cattoliche in Europa nel Novecento (Fede e Martirio – Le Chiese Orientali Cattoliche nell’Europa del Novecento, Libreria Editrice Vaticana, 2003, pp. 509, E. 20). Si tratta degli “Atti del Convegno di storia ecclesiastica contemporanea, tenuto a Roma nei giorni 22-24 ottobre 1998”. Il volume è stato curato da Aleksander Revenik, Gianpaolo Rigotti e Michel Van Paris. Si tratta di una informazione avvincente e di una documentazione importante, con una interiore apertura allo sviluppo dello studio di questa vicenda ecclesiale di immenso valore.

Sotto il regime comunista sono stati perseguitati i cristiani delle varie Chiese. Il Convegno organizzato a Roma ha voluto iniziare e sollecitare la raccolta della documentazione dei testimoni delle Chiese orientali cattoliche. Vengono così presentati i primi elementi raccolti organizzati per singole Chiese nel modo seguente:

·        Prolusione del Card. Silvestrini;

·        Le Chiese orientali cattoliche d’Europa nella storia del Novecento (Roberto Morozzo Della Rocca);

·        La Chiesa greco-cattolica bielorussa (S. Gajek – S. Ablamejka);

·        Chiesa greco-cattolica e Chiesa ortodossa nei progetti della politica estera dell’URSS (S. Iakovenko – O. Vasilieva);

·        La Chiesa cattolica in Grecia (K. Douramani);

·        La Chiesa cattolica bizantina albanese (Nik Pace);

·        La Chiesa romena. Il cammino verso l’unità (O. Barlea);

·        La Chiesa romena unita. Persecuzione e ricostruzione di una identità (C. Alzati);

·        The Hardships of the Greek-Catholic Church in Bulgaria after World War II (B. J. Groen);

·        Gli armeni cattolici nella Chiesa armena e nella comunione di Roma (B. L. Zeriyan);

·        La Chiesa greco-cattolica del’ex-Cecoslovacchia (C. Vasil’);

·        I ruteni della diocesi di Krizevci (B. Holosniaj);

·        The Greek-Catholic Diocese of Mukacs - Mukacevo: a Testimony of Faith (C. Simon);

·        La Chiesa greco-cattolica ungherese (I. Ivancso);

·        The Ukrainian Diaspora in the Former Soviet Union (M. Marynovych).

Segue una seconda parte del volume con informazioni sugli archivi in cui si è trovata parte del materiale presentato al convegno, ma in cui si trovano altre informazioni per continuare gli studi.

Così vengono date informazioni su:

·        Archivi della Compagnia di Gesù;

·        Archivio generale della Congregazione dei Padri Redentoristi;

·        Archivi dell’Ordine basiliano di S. Giosofat;

·        Archivio generale dell’Ordine dei Predicatori;

·        Archivio degli Assunzionisti;

In particolare va segnalata la presentazione di Gianpaolo Rigotti: L’archivio  della Congregazione per le Chiese Orientali:dalla Costituzione apostolica “Romani Pontifices” (1862) al morte del cardinale Gabriele Acacio Coussa (1962)”.

Il volume presenta in seguito alcuni progetti di studio per gli ucraini e per i romeni greco-cattolici.

Nel volume della Congregazione per le Chiese Orientali si ha la presentazione di una pubblicazione particolare in preparazione al tempo del convegno, che poi (2002) ha avuto luogo, di Riccardo Larini del monastero di Bose: “Il libro dei testimoni. Il martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose”.

Per vie diverse i romeni hanno visto un seguito di documentazione.

Nel 2003 da parte greco-cattolica sono state pubblicate le memorie del card. Iuliu Hossu “Credinta noastra este viata noastra”, Viata Crestina 2003, Cluj-Napoca, pp. 495) a cura di p. Augustin Prundus; mentre l’Istituto Nazionale per lo Studio del Totalitarismo dell’Accademia di Romania – ha pubblicato (“The imprisoned Church Romania 1944-1989, Bucharest 1999, pp. 415. Il volume comprende tutti i nomi di ortodossi, protestanti e di cattolici di rito latino e di rito bizantino che durante il regime comunista hanno subito persecuzione. A ciascuno, in ordine alfabetico sotto forma di dizionario, vengono dedicate poche righe con le informazioni essenziali (vita, condanne e pene subite). Il secondo ecclesiastico greco-cattolico nominato, per ordine alfabetico, è l’ex alunno del Collegio Greco Vasile Aftenie (1899-1950). A lui si dedica quasi una pagina. Vi si afferma: “In april 1950 (he was tranferret) to the ministry of Internal Affairs for investigation, where pressure was used to determine him to convert to Orthodoxy” (p. 50). Tra l’altro si afferma che è stato assassinato e che “oggi riposa” nel Cimitero Bellu di Bucarest “dove i fedeli si fermano davanti alla tomba attribuendogli doni miracolosi”. Ugualmente un’ampia biografia con stima è dedicata al sopracitato Iuliu Hossu (1885-1970). Tra l’altro si riporta che nella prigione di Sighet gli ufficiali politici “hanno cercato di “persuaderlo” (tra virgolette nel testo) di organizzare una Chiesa greco-cattolica indipendente dall’autorità del Papa”, che in seguito gli hanno proposto il posto vescovile di Moldavia. E’ stato cardinale in pectore.

La pubblicazione dell’Accademia di Romania elenca 2544 persone perseguitate per ragioni di fede: In particolare specifica:

·        Sacerdoti ortodossi 1888

·        Greco-cattolici 235

·        Cattolici-latini 172

·        Pastori protestanti 67

·        Neoprotestanti 25

·        Musulmani 23

·        Mosaici (della religione di Mosé, Ebrei) 13

L’edizione inglese della pubblicazione è dovuta all’intervento di S.B. Teoctist Patriarca di Romania.

Lo studio della persecuzione e, positivamente, della testimonianza cristiana resa talvolta fino al martirio è allo studio delle varie Chiese.

A questo tendeva, per la sua parte, il convegno organizzato dalla Congregazione per le Chiese Orientali. Alcuni testimoni sono stati già canonizzati dalla Chiesa cattolica, per altri è in corso il processo. E così altrettanto  nelle Chiese ortodosse.

Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali  S.B. Ignace Moussa I Card. Daoud nella prefazione del volume ha fatto riferimento alla celebrazione ecumenica per i testimoni della fede del secolo XX, presieduta dal Papa al Colosseo il 7 maggio del 2000. E ha aggiunto: “Con forza e convinzione il Santo Padre ha ricordato che la testimonianza dei martiri appartenenti a Chiese cristiane, purtroppo ancora divise, costituisce il nostro patrimonio ecumenico comune. La Chiesa sulla terra ha degli intercessori uniti dal vincolo della gloria al cospetto di Dio” (Besa/Roma).

 

NAPOLI

TENDENZE LINGUISTICHE

AUTORI ARBËRESHË CONTEMPORANEI

 

Un puntuale studio sulle “Tendenze linguistiche degli autori abëreshë contemporanei” di Italo C. Fortino è stato incluso nel volume “Omaggio a Riccardo Picchio per il suo ottantesimo compleanno” dall’Università degli Studi di Napoli – L’Orientale.

Il volume a cura di Rosanna Morabiro (Studi in onore di Riccardo Picchio) 2003, M. D’Auria Editore, pp. 422) contiene 25 contributi.

Quello sugli scrittori arbëreshë comprende le pp.103 - 132, distinto nei seguenti paragrafi:

1.      Giuseppe Schirò e la koiné linguistica;

1.      Sviluppo linguistico nella prima metà del secolo XX;

2.      Sviluppo linguistico nella seconda metà del secolo XX;

3.      Opere nelle parlate locali;

4.      Opere in koiné linguistica;

5.      Opere in lingua nazionale.

L’autore è pervenuto alle seguenti constatazioni:

 

Da questa riflessione si possono trarre alcune conclusioni.

In primo luogo, le tendenze linguistiche degli autori arbëreshë dimostrano che una lingua in diaspora, benchè indebolita nelle strutture e soprattutto nel patrimonio lessicale, può evitare la morte, rivitalizzando il proprio patrimonio, col ricorso alle risorse della propria cultura, arricchita da quelle della nazione di riferimento. Basti, per principio, ricordare il caso dell’ebraico, una lingua quasi del tutto scomparsa, e ritornata a vivere.

In secondo luogo, la presenza dei dialetti non va considerata come una minaccia alla lingua nazionale, bensì come riserva, da cui gli scrittori possono attingere espressioni, sintagmi, idiomatismi, termini con particolare forza espressiva, per introdurli nelle creazioni letterarie, al fine di rendere più vitali i sentimenti, le passioni, le intuizioni poetiche.

In terzo luogo, la produzione degli autori dimostra che la diaspora arbëreshe possiede ancora sufficienti risorse che le permettono, da un lato, di evitare la fossilizzazione e, dall’altro di continuare a creare una letteratura con connotati propri nell’ambito di due culture, quella albanese e quella italiana (Besa/Roma).

 

 

MILANO: IL RUOLO DEL PATRIARCA

NELLE CHIESE ORTODOSSE

 

Il sacerdote russo ortodosso Vladimir Zielinskij, teologo,  ha concesso una intervista al mensile “Mondo e Missione” (gennaio 2004) sulla “Chiesa ortodossa russa oggi”. Riportiamo il paragrafo relativo al ruolo del Patriarca in una Chiesa autocefala:

 

In Occidente, in generale, il ruolo del patriarca ortodosso non è ben capito.

È visto spesso come un altro papa, ma dal punto di vista dell'ecclesiologia ortodossa il patriarca di una Chiesa è solo il suo primo vescovo; è quasi un sacrilegio chiamarlo il suo capo, perché il capo della Chiesa può essere solo Gesù Cristo.

Come figura simbolica della Chiesa, il patriarca ha un'enorme responsabilità che non è bilanciata dalle sue prerogative. Non è l’unico guardiano della fede, perché la fede è affidata a tutta la Chiesa, ai suoi pastori e ai laici; secondo quella stessa fede, però, solo il patriarca è l'intercessore per il gregge dei fedeli e il primo amministratore della Chiesa istituzionale.

La sua responsabilità è triplice: davanti a Dio; davanti alla propria Chiesa, rappresentata dal sinodo, dal corpo vescovile, da tutto il popolo di Dio la cui fede deve salvaguardare e proteggere nella sua purezza dogmatica; davanti ai confratelli e agli altri patriarchi delle Chiese locali, con i quali lui si trova in comunione.

Il peso di questa responsabilità a volte pone il problema della sua libertà personale, che è molto diversa da quella del pontefice romano. Il papa cattolico ha una reale libertà di decisione. Molte innovazioni e cambiamenti, magari non del tutto condivisi dalla curia romana, sono il frutto dell’intuizione e del carisma del papa. Ma il patriarca ortodosso, se osasse riformare la tradizione, sarebbe semplicemente destituito dal suo sinodo o addirittura direttamente dal popolo. Dobbiamo sempre tenere in mente questa eventualità, quando pensiamo ai gesti (fatti o non fatti) o agli incontri (non avvenuti) fra il papa e il patriarca di Mosca. Sebbene il patriarca sia ricordato molto più spesso e molto più solennemente nella liturgia di quanto non lo sia il papa di Roma, di fatto non ha grande spazio per esprimere la sua personalità nella Chiesa di cui è il primo rappresentante. Il patriarca da solo non può (e neppure il concilio della Chiesa locale, che ha il potere più alto) toccare alcunché del sacro deposito della fede tramandata dai padri. Solo il concilio ecumenico, che dal punto di vista dottrinale ha la massima autorità, quella dello Spirito Santo (secondo la formula di Atti 15, 28), potrebbe avere il diritto di cambiare o di "aggiornare" questo deposito, ma solo nello spirito di fedeltà ai concili precedenti. Piccolo particolare: il settimo e ultimo concilio della Chiesa di Dio ancora indivisa fu convocato nel lontanissimo 787 per sconfiggere e condannare gli iconoclasti (Besa/Roma).

 

BELGIO: CHEVETOGNE

50° DI P. GIACOMO ENGELS

 

Il 2 febbraio 2004, Presentazione di Gesù al tempio, è stato festeggiato il 50° anniversario della professione monastica di P. Giacomo Engels, monaco di Chevetogne, già vicerettore e economo del Pont. Collegio Greco. Un gruppo di fedeli di Reggio Calabria (4 sacerdoti,un diacono e laici) si è recato a Chevetogne per partecipare alla celebrazione. P. Giacomo si è recato  tra i grecanici della  provincia di RC da oltre 30 anni per celebrarvi di tempo in tempo la liturgia nel rito bizantino.

Don Filippo Curatola, arciprete della Cattolica di RC, ha pubblicato un commosso réportage, su “L’Avvenire di Calabria” da cui riportiamo qualche stralcio:

 

Se vieni a Chevetogne non lo fai certo per caso. Perché non vieni a Chevetogne se non ami la contemplazione: Chevetogne il monastero benedettino intendo, questo angolo di cielo sulla terra, si può dire sia nato (ormai quasi 80 anni fa) per la contemplazione. Lo sapevamo bene anche prima. Ma tra il conoscere e lo sperimentare c’è un abisso…Recatici solo per vedere p. Giacomo Engels, siamo rimasti lì immobili fino a notte: un piccolo cero in mano e il tempo che si confondeva con l’eterno. I canti perenni, i silenzi, i gesti vissuti come dono, le luci calde che alla fine lentamente sfiorivano trasferendosi nel cuore degli oranti, il tempo che trascorreva senza trascorrere, tutto ci immergeva in una presenza più grande che si imponeva docissima e tremenda. Ti comandava il silenzio e ti consolava. Perfino il dolore ieri notte diventava luce. E capivi che stavi vivendo una pagina della tua storia: l’amore diventava vita e la vita si apriva all’amore. Erano il vespro e le lodi insieme alla festa della Presentazione al tempio di Cristo, la festa della Candelora. E noi di Reggio, un bel po’ di gente tra gruppo del Meic, di Bova e della Cattolica dei Greci, eravamo a Chevetogne per p. Giacomo Engels che nel monastero bizantino cinquant’anni fa aveva vissuto la sua professione religiosa. Cinquant’anni di vita monastica offerti come un dono, vissuti nella perseveranza, cinquant’anni dei quali p. Giacomo ricorda ogni attimo, fin da quel primo momento quando steso a terra “consegnava” se stesso a Dio con parole che non si dimenticano: “Mi affido alla misericordia di Dio  e alla vostra fraternità”.

Ma percepiva egli in quel donarsi che la Misericordia gli sarebbe pervenuta attraverso appunto quella fraternità. Nel dircelo si commuoveva p. Giacomo e la voce per un attimo gli si incrinava.

Coi pellegrini reggini un diacono (don Mario Casile) e quattro preti (don Mimmo Marturano, vicario episcopale per la cultura e assistente del Meic, don Nino Pangallo parroco in S. Giorgio Extra ed incaricato diocesano per l’ecumenismo, don Marco Scordo parroco in Roghudi e direttore della biblioteca arcivescovile ed io stesso come parroco della Cattolica dei Greci): in un certo senso era come se la chiesa locale fosse lì attraverso di noi per contemplare e per dire grazie.

Perché p. Engels non ha mai trascurato – ormai da più di trentanni – di scendere dal Belgio fino alle città e alle contrade della nostra diocesi: e attraverso di lui, presenza mite e tenace, umile e fiera, lo stile della preghiera bizantina, e il dono della contemplazione, mai spenti dentro le nostre radici, si sono riaccesi e attendono di aprirsi a stagioni di una pienezza più grande.

Nella liturgia eucaristica del giorno dopo presieduta – dopo la suggestiva processione dalla chiesa bizantina a quella latina – presieduta, dico, dal p. priore Ambroise Dolfini, presenti l’Abbé p. Philippe Vanderleyden e il p. benedettino vescovo emerito di Rotterdam, p. Philippe Bàr, abbiamo reso grazie tutti all’Altissimo per il dono di p. Giacomo. I suoi confratelli monaci (ben 27 di cui 15 preti, distinti tra rito latino e rito bizantino, esempio altissimo di felice e profetica coesistenza), noi quattro parroci reggini concelebranti e il popolo cristiano di belgi, reggini e bovesi ci si è trovati dentro un’esperienza arricchita di preghiera e di contemplazione. Di luce e di silenzio.

Accompagnati stavolta dalle note eterne del canto gregoriano, dalle preci di intercessione cantati da un frate diacono, dalla compostezza dei gesti e dalla sapienza dei segni.

E quando p. Giacomo si è per tre volte prostrato per rinnovare l’offerta della sua vita cinquant’anni dopo quel giorno, sembrava proprio che il giovane di allora – ischeletrito ma vivo, vivo ma ischeletrito – ci parlasse con il suo corpo, perfino con il candore della barba e il bagliore degli occhi. E con le parole rimasteci nel cuore echi dello spessore di una spiritualità, di una vita consacrata.

Il resto, lo stare fraternamente insieme, il pranzo festoso con gli auguri fraterni dell’abate, l’incontro del pomeriggio per il dolce e la presentazione dei doni dei pellegrini, le parole di Lucia Fedele e le mie non erano che un semplice sigillo e un’esperienza di fede che è servita anche a legare due mondi lontani Reggio e Chevetogne, l’eco per Reggio di un’epoca incancellabile e la testimonianza per Chevetogne di un silenzio possibile dentro le orge del rumore del mondo.

Un’esperienza che ci portiamo dentro come dono. Come monito e una promessa. Segno di strade battute, ma l’aprirsi anche di percorsi nuovi (Besa/Roma).

 

ALBANIA

QUARESIMA DI EVANGELIZZAZIONE

 

“Vorremmo che la quaresima divenisse un’occasione di crescita della dimensione comunitaria e anche presa di coscienza sulla realtà sociale”. E’ questo il pensiero del parroco di Guri i Zi della diocesi di Scutari.

“Durante le settimane di quaresima terremo delle celebrazioni della Via Crucis nei diversi villaggi. Passeremo casa per casa, con i simboli cristiani, i canti e le preghiere.

L’esperienza dello scorso anno ha mostrato che soprattutto i giovani apprezzano questo contatto singolare”. Il tempo della quaresima è tempo di evangelizzazione e di catechesi (Besa/Roma).

 

SINODO INTEREPARCHIALE

INCONTRO MENSILE

DELLA COMMISSIONE CENTRALE

 

Il 26 febbraio 2004, si è svolta a Roma, nella sede della Segreteria centrale presso la Chiesa di S. Atanasio (via dei Greci 46) la riunione mensile dei membri della Commissione Centrale di Coordinamento.

L’incontro è stato aperto con la preghiera per il Sinodo guidata dal rev.mo archimandrita papàs Antonino Parator , segretario della CCC.

Il presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F. Fortino, prima di fare le sue comunicazioni sui lavori del giorno ha ricordato che il 16 febbraio è deceduta la madre di Maria Franca Cucci, coordinatrice della segreteria esecutiva della CCC. Questo spiega l’odierna assenza di Maria Franca. Il presidente ha anche ricordato che nel tempo in cui la signora Zaira Cucci stava a Roma più volte, il sabato, aveva contribuito a correggere i testi relativi alla preparazione del Sinodo, specialmente al tempo della composizione della “bozza” dei progetti sinodali. E’ stato cantato il tropario “Metà pnevmàton”.

 

1.    Il programma del giorno prevedeva l’esame di due schemi: nella mattinata quello su “Catechesi e Mistagogia” e nel pomeriggio la “Sacra Scrittura nella Chiesa locale”.

 

2.    Per lo schema “Catechesi e Mistagogia” era stata chiesta la lettura a due esperti: Don Walter Ruspi, direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale (CEI) e a p. Lamberto Crociani, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale (Siena). Entrambi hanno inviato le loro osservazioni, discusse nell’incontro. P. Lamberto ha anche accettato di partecipare all’odierno incontro e in seguito a “rileggere” lo schema apportandovi le necessarie modifiche concordate nell’incontro odierno, per una redazione più scorrevole e coerente nell’insieme. Il processo di elaborazione dello schema è stato presentato dall’archim. Donato Oliverio, membro della competente Commissione. Nella discussione è stato tenuto presente anche il verbale della riunione della CCC sul tema della catechesi e della mistagogia (1 aprile 2003). Sono state proposte diverse modifiche redazionali. Il progetto di schema presenta un insieme di indicazioni che corrispondono alle problematiche rilevate nelle nostre comunità.

3.    Sullo schema La Sacra Scrittura nella Chiesa locale” era stata chiesta una lettura critica a p. Emmanuele Lanne. Le sue osservazioni erano state introdotte nel testo sottoposto alla discussione nell’incontro odierno. Era anche stata chiesta – come già a suo tempo comunicato – una integrazione sulla interpretazione orientale della Scrittura a p. Innocenzo Gargano, professore all’Istituto Orientale e all’Istituto Biblico. Conseguentemente sono stati introdotti tre paragrafi sulla interpretazione tipologica, allegorica e spirituale. Si tratta di nozioni importanti per comprendere la lettura della Sacra Scrittura da parte dei Padri, nonché della liturgia e dell’innografia liturgica bizantina. Lo schema dovrà ora essere “letto criticamente” da un esperto e si dovranno inserire i necessari ritocchi redazionali richiesti nell’incontro. Le indicazioni di questo schema tendono a dare il giusto posto alla Sacra Scrittura nella predicazione, nell’insegnamento, nella liturgia, nella celebrazione dell’Ufficio divino, e nella vita. La lettura della Scrittura è alla base di ogni rinnovamento ecclesiale.

4.                  L’archim. p. Donato Oliverio ha riferito su alcune nuove formulazioni introdotte nel progetto di “Regolamento del Sinodo”, in seguito a quanto discusso nell’incontro del mese scorso della CCC. A conclusione dello studio della CCC, il progetto dovrà essere esaminato da un canonista.

5.    P. Antonio Costanza del Monastero di Grottaferrata ha informato sulla preparazione dell’Aula Sinodale nella Basilica di S. Maria di Grottaferrata. I Sinodali saranno ospitati al centro “Mondo Migliore” sul lago di Castelgandolfo.

 

Le tre sessioni sinodali si svolgeranno:

dal 17 al 22 ottobre 2004 (1ª Sessione)

·      dal 15 al 19 novembre 2004 (2ª Sessione)

·      dal 10 al 14 gennaio 2005 (3ª Sessione).

6.  La CCC si incontrerà a Roma il 30 marzo 2004 per esaminare lo schema sulla “Liturgia” (Inter -Sinodo).

 

ROMA

QUARESIMA IN S. ATANASIO

 

23 febbraio: Inizio della grande e santa quaresima

 

Durante tutta la quaresima

Ogni mercoledì ore 19: liturgia dei Presantificati;

Ogni venerdì ore 19: canto dell’inno akathistos;

Ogni sabato ore 19: esperinòs;

Ogni domenica ore 10,30: Divina Liturgia di S. Basilio (Besa/Roma).



Teologia quotidiana

50

L’INSEGNAMENTO DELLA CHIESA: KERYGMA, CATECHESI E MISTAGOGIA

 

La formazione cristiana è complessa e continua. La riflessione sulla Parola di Dio non ha veramente mai termine, perché il mistero rimane insondabile nella sua ultima realtà ed ineffabile in tutte le sue ricchezze e profondità. E l’uomo stesso è in via verso la deificazione, vocazione mai pienamente raggiungibile.

Cristo ha affidato alla Chiesa “il deposito della fede affinchè, con l’assistenza dello Spirito Santo, custodisse santamente la verità rivelata, la scrutasse profondamente, la annunciasse e l’esponesse fedelmente” (CCEO, can. 595, §1). Nel corso di questa complessiva azione di insegnamento emergono tre momenti caratterizzanti che la distinguono: l’annuncio (kèrygma), la catechesi e la mistagogia. Nel linguaggio religioso corrente vi è una costante e chiara distinzione fra l’annuncio e l’esposizione ordinata e completa dell’insegnamento cristiano, come si rileva anche dal canone del codice soprariportato. Spesso invece si usano i termini di “catechesi” e “mistagogia” come intercambiabili, mentre per sé essi hanno una propria specificità.

1. Il kèrygma è il primo annuncio della fede cristiana (da kerýssein, dal greco classico, notizia di carattere pubblico, portata da un araldo). Nel NT indica l’annuncio del Vangelo, della Buona Novella della salvezza in Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. “Cristo è risorto” è l’essenza del kèrygma cristiano.

2. La catechesi costituisce un processo di maturazione della fede. Gli elementi essenziali si trovano anche in un canone del CCEO: “E grave obbligo delle singole Chiese sui iuris, ma specialmente dei loro vescovi, di trasmettere la catechesi, con la quale si porti a maturità la fede e venga formato il discepolo di Cristo attraverso una conoscenza più profonda e più ordinata della dottrina di Cristo e un’adesione sempre più stretta alla sua Persona” (can. 617). Il codice non tratta la mistagogia – il termine non ne risulta neanche menzionato - e nella definizione della catechesi sembra includere alcuni elementi che fanno parte più specificatamente della mistagogia, come l’adesione “sempre più stretta” alla persona di Cristo (significato e vita conseguente all’incorporazione in Cristo, partecipazione al corpo e al sangue di Cristo, costituzione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa). La catechesi (dal verbo katechèin, risuonare, trasmettere verbalmente) offre un insegnamento organico sugli elementi essenziali della fede. E’ di tipo didattico: si comunicano nozioni coordinate per una “conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio di Nostro Signore Gesù Cristo” (Paolo VI, Catechesi Tradendae, 19). L’opera di S. Cirillo di Gerusalemme può aiutare a comprendere la distinzione tra catechesi e mistagogia. Egli ha scritto 18 catechesi prebattesimali e 5 mistagogie post-battesimali. Le catechesi agli illuminandi sono state pronunciate durante la quaresima dell’anno 348 in preparazione del battesimo, della cresima e dell’ammissione all’eucaristia durante la veglia di Pasqua, mentre le cinque mistagogie sono state pronunciate nella settimana seguente la Pasqua. Le catechesi prebattesimali sono di carattere esplicativo di quanto si richiede per il battesimo (conversione e fede in Cristo). Si spiega sostanzialmente la professione di fede. Nelle cinque mistagogie si svela il significato dei sacramenti ricevuti: battesimo, cresima, partecipazione al corpo e sangue di Cristo e la sinassi eucaristica.

3. La mistagogia quindi è l’iniziazione vitale ai sacramenti e l’entrata nel mistero cultuale. S. Cirillo di Gerusalemme introducendo il nuovo ciclo di insegnamento ai neobattezzati spiega la natura della mistagogia. Nella catechesi 18 riferendosi ai neo-battezzati afferma: “Sarete di nuovo istruiti sui motivi di ogni rito compiuto e ne riceverete le prove dall’Antico e dal Nuovo Testamento. In primo luogo su quelli immediatamente precedenti il battesimo; in secondo luogo come siete stati purificati dal Signore mediante il lavacro dell’acqua con una parola;…quindi in che modo vi è stato dato il sigillo della comunione con lo Spirito Santo. E poi (sarete istruiti) anche sui misteri del NT che si compiono sull’AltareQuale sia la loro potente efficacia e come avvicinarvi ad essi”. La mistagogia (dal verbo mystagoghèin, iniziare, introdurre ai misteri) introduce esistenzialmente al mistero cristiano vissuto nei sacramenti. La spiegazione del rito non vuole essere l’esposizione di una norma, di una rubrica, ma l’immissione nel mistero che realizza e che svela, il mistero a cui si è stati resi partecipi. In definitiva si tratta del mistero nascosto, rivelato in Gesù Cristo, affidato alla Chiesa e vissuto nei sacramenti, per avviare i fedeli alla crescita fino alla misura di Cristo trasformandoli a sua immagine e somiglianza (thèosis). “Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio”. “Dio vuole che tutti siano salvi”.

Nelle comunità italo-albanesi in cui comunemente si usa, secondo la prassi bizantina, celebrare l’iniziazione cristiana anche ai piccoli, la mistagogia è il metodo normale di insegnamento: l’introduzione vitale nella vita sacramentale e nel mistero di Dio. Nella presentazione dello studio dell’archimandrita p. Marco Sirchia sulla “Mistagogia dei misteri sacramentali nella Chiesa bizantina” (Palermo 2002) il vescovo di Piana degli Albanesi Mons. Sotir Ferrara ha scritto: “Ritengo che è sulla mistagogia che si gioca il futuro della nostra Ecclisia e delle sue tradizioni” (Besa/Roma).

Roma, 1  marzo 2004

 

 

 

Circolare febbraio 2004                                                                                                                     164/2004

 

Sommario

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (23): “Nessuno può servire a due padroni”.................................. 1

PARIGI: I movimenti liturgici nell’Ortodossia............................................................................ 2

NEW YORK: Filioque – Dichiarazione comune........................................................................ 5

ALBANIA: Icone di Onufri – Studio per restauri ..................................................................... 6

KOSSOVA: Missione di riconciliazione  di Don Lush Gjergji.................................................... 6

ATENE: Liturgia di S. Giacomo presieduta dall’arcivescovo Christodoulos............................... 6

CASTELGANDOLFO: Igino Giordani e la preghiera per l’unità dei cristiani............................. 7

LUNGRO: Imerologhion 2004................................................................................................. 9

ROMA: Sinodo- Incontro della CCC con gli Ordinari............................................................. 10

GROTTAFERRATA: Calendario 2004.................................................................................. 10

S:COSMO ALBANESE: Pubblicato il calendario 2004......................................................... 10

ROMA: Il sacramento della penitenza nella Chiesa bizantina.................................................... 11

 

 

Tà lòghia – I detti di Gesù (23): “Nessuno può servire a due padoni”

 

Gesù ha appena insegnato come pregare e ha consegnato ai discepoli la preghiera essenziale mettendoli in grado di rivolgersi, tutti insieme, a Dio come al “Padre nostro” (Mt 6, 9-13). Dio è padre unico di tutti gli uomini. La Sacra Scrittura ribadisce questa unicità ed esprimendosi in forme antropomorfiche, per facilitarne la comprensione, Lo presenta come “geloso” di questa esclusività. Di conseguenza a Lui solo bisogna rendere culto. Lui solo bisogna servire, perché “nessuno può servire due padroni” (Mt 6,24).

Gesù vuole che i suoi discepoli capiscano, che siano introdotti al suo insegnamento con intelligenza. A questo scopo prende un esempio della vita del tempo, epoca in cui persisteva la servitù. Il padrone poteva disporre dei suoi servi in modo esclusivo. Il servo non poteva essere nello stesso tempo  a servizio di più padroni. Ma Gesù va oltre il diritto, porta la questione a livello del cuore, la dimensione più profonda dell’uomo. Nessuno può veramente servire due padroni, perchè “o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro” (ibidem). Due padroni generano conflitto e causano il rigetto dell’uno dei due.

Questo ragionamento storico, sociologico, psicologico serve a Gesù per introdurre l’insegnamento fondamentale: “Non potete servire a Dio e a mammona”(Mt 6,24). “Mammona” è un termine aramaico che significa “ricchezza”, qui quasi innalzata a tal punto da essere contrapposta a Dio, quasi costituita in “idolo”, una tentazione contemporanea ad ogni epoca. Dio richiede una scelta radicale. Domanda per sé un amore più grande di quello che siamo soliti dare ai genitori (Mt 10,37). Esige un amore con tutto il cuore, con  tutta la mente, con tutta l’anima. E chiede un servizio esclusivo: “Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto”(Dt 6,13). Così Gesù rispose  a Satana (Mt 4,10) quando Lo tenta (Besa/Roma).

 

PARIGI

I MOVIMENTI LITURGICI

NELL’ORTODOSSIA

 

Sempre più spesso si sente parlare di riforma liturgica nelle Chiese ortodosse. Riportiamo una nota del teologo ortodosso Boris Bobrinskoy, decano dell’Istituto Saint Serge di Parigi:

 

[…] Sia nella vita sacramentale che nel ciclo liturgico, la Chiesa come Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito attualizza, dal momento della sua fondazione sino alla fine dei tempi, il mistero trinitario della salvezza e realizza la nostra partecipazione e la nostra integrazione alla comunione trinitaria. Partendo dalla semplicità del culto nel tempo apostolico, il culto cristiano, tanto sacramentale quanto liturgico, acquista forme simboliche, si arricchisce di un’innografia e di un’arte musicale, architettonica e iconografica con cui diventa capace di esprimere l’esperienza spirituale più personale ed intima ed allo stesso tempo più comunitaria e collegiale della vita della Chiesa.

 

È vero che la Chiesa è lacerata e spesso “crocifissa” tra, da un lato, la preoccupazione di rimanere fedele alle forme liturgiche ereditate dai nostri Padri, che comporta il rischio di un tradizionalismo eccessivo, e, dall’altro, lo sforzo di rispettare la verità e l’attualità del culto, che può implicare il non minor rischio di trascurare il detto quod semper, quod ubique, quod ab omnibus traditum est del patrimonio tradizionale dei nostri Padri.

 

D’altro canto, man mano che si diffonde il messaggio cristiano e che si organizza il culto cristiano nelle nuove comunità ecclesiali, nasce una tensione creatrice tra, da una parte, l’eredità ricevuta e preservata e, dall’altra, un’assimilazione, anch’essa feconda, secondo le specificità naturali dei popoli evangelizzati. Da qui si sviluppano le culture religiose nazionali che formano nel loro insieme la sinfonia liturgica della Chiesa.

 

L’epifania del Regno,

“visione teologica essenziale”

 

È qua che dobbiamo fermarci sulla nozione stessa di movimento liturgico. Si tratta essenzialmente dei tempi e dei luoghi in cui avviene una presa di coscienza più grande dell’importanza del culto cristiano, della sua centralità nella vita della Chiesa, e direi ancora di più, è proprio quando prega che la Chiesa è veramente Chiesa. Il culto cristiano, in tutte le sue ricchezze e manifestazioni, è il luogo per eccellenza del dialogo e della comunione trinitaria, la quale è “l’Epifania del Regno” per usare una nozione cara a padre Alessandro Schmemann […]. Ma chi dice “l’Epifania del Regno” dice questo per il culto nella sua globalità e per le sue manifestazioni particolari (sacramenti, feste, arte liturgica, ecc.). D’altronde, questa Epifania del Regno si compie nelle modalità del mondo creato, dove gli elementi naturali, acqua, pane, vino, fuoco, luce, terra, temporalità e spazio diventano simboli e quindi portatori dei doni divini, quando lo spazio e il tempo, in quanto realtà create e decadute, si santificano e ridivengono ognuna capax Dei.

 

Ritornando alla nozione di movimento liturgico, sia nell’Antichità che nel Medioevo occidentale e bizantino, ed anche nell’epoca contemporanea, ci sono sempre state delle forti personalità, a volte carismatiche e visionarie, che hanno saputo dare un nuovo impulso al loro tempo e contribuire ad una tradizione liturgica particolare. Citiamo, ad esempio, l’opera liturgica dei padri cappadoci, con l’accentuata dimensione trinitaria nel culto e nell’Eucarestia, l’impatto dell’espansione del monachesimo, il culto cattedrale di Santa Sofia, la riforma studita, l’impatto dell’esicasmo nella riforma sabbaita. Tutto ciò si accompagna ad una produzione innografica considerevole, attraverso tutti i cicli liturgici. Il risultato complessivo è il carattere identitario del culto ortodosso e in particolare del rito bizantino, pervaso profondamente da una visione teologica essenziale.

 

Riforme e rinnovamenti liturgici

 

All’interno della nozione globale di movimento liturgico, desidero ancora distinguere tre momenti particolari:

 

1) la riforma liturgica che si è cristallizzata in certe epoche attorno al monastero di San Sabba, attorno al Monastero di Studion di Costantinopoli, più tardi al patriarca Filoteo di Costantinopoli e al metropolita Cipriano di Kiev, in seguito ancora al patriarca Nikon di Mosca;

2) il rinnovamento liturgico legato allo sforzo di ritornare ad attingere alle origini e all’attualizzazione della centralità del culto;

3) il fenomeno del rifiuto del processo di recupero delle origini, dato che quest’ultimo viene considerato come un’innovazione e quindi un’infedeltà alla tradizione ecclesiale, rifiuto accompagnato da un’incapacità o da una chiusura alla riflessione e al dialogo sui motivi profondi di tale recupero.

Prima di passare ai tempi moderni, segnaliamo ancora il movimento spirituale dei kollibadi del XVIII secolo, legato alla nascita dell’esicasmo, che fiorisce a partire dal XIII e XIV secolo al monte Athos e nei Balcani. La nozione stessa e la preoccupazione di una comunione frequente, vissuta inizialmente a livello di pietà individuale, attraversa tutto il XIX secolo per giungere alla personalità carismatica di S. Giovanni di Cronstadt.

 

Che dire infine dei movimenti o delle correnti di rinnovamento liturgico nell’ortodossia moderna? Mi sembra innegabile che la coscienza liturgica si cristallizza in primo luogo ed essenzialmente attorno alla comunione frequente, o piuttosto attorno a ciò che padre Alexandre Schmemann chiamava la crisi della coscienza eucaristica. Con la crescita graduale della conoscenza storica delle nostre origini, si pone il problema dell’anomalia della celebrazione eucaristica senza comunione (o nella Chiesa cattolica delle messe basse private e individuali). Si riscopre la dimensione collegiale della celebrazione eucaristica, soprattutto la domenica, eucarestia suggellata dalla comunione dei membri. Al riguardo menzioniamo ancora il movimento “Zoi” in Grecia, che ricordava l’importanza della predicazione e sottolineava i valori morali della vita cristiana, sviluppando la missione interna della Chiesa e insistendo sulla comunione eucaristica, in uno spirito di pietà ascetica individuale.

 

“Correnti contraddittorie”

 

Agli inizi degli anni cinquanta la pratica della comunione frequente è stata sostenuta, in Romania, da padre Ioan Iovan, in questo appoggiato oggi dall’arcivescovo Andrea d’Alba Iulia. A loro volta, degli ex allievi dell’Istituto Saint-Serge divenuti vescovi della Chiesa di Romania, continuano a sviluppare questa pratica, sia in Romania, sia nelle loro parrocchie nell’Europa occidentale.

 

Di fatti, non si tratta soltanto della comunione frequente. Precisiamo al riguardo che questa nozione di comunione frequente come nozione quantitativa è a poco a poco sostituita da una nozione qualitativa di comunione organica domenicale; si sottolinea così il senso della necessità della comunione dei fedeli nella celebrazione eucaristica.

 

La Russia ortodossa conosce problemi simili, oltre al fatto di essere segnata, proprio al suo interno, da correnti contraddittorie. Da una parte, il tradizionalismo oltranzista è contrario a qualsiasi “apertura”, traduzione, ascolto delle preghiere “segrete”, dall’altra, vi è il desiderio di fare la comunione, comunione subordinata necessariamente alla previa confessione. Singole iniziative, meritevoli in teoria ma prive del giusto discernimento dei tempi e delle situazioni, hanno condotto a reazioni molto violente e a volte hanno compromesso in maniera permanente scopi in sé lodevoli e necessari.

 

Menzioniamo infine l’attualità ortodossa della “diaspora” occidentale e americana. Va dunque ricordata l’opera liturgica e la personalità di padre Alexandre Schmemann, legata inscindibilmente alla “scuola di Parigi”, essendone, allo stesso tempo, un frutto ed una componente.

 

“Una riflessione teologica fondata

sulla centralità del culto e dell’eucaristia”

 

In questo contesto non parlerò di “movimenti liturgici”, ma piuttosto di una riflessione teologica fondata sulla centralità del culto e dell’eucaristia. Con padre Alexandre Schmemann possiamo proporre qui la nozione di teologia liturgica, sottolineando, da una parte, che la celebrazione liturgica è inseparabile da una visione teologica e che, dall’altra, la celebrazione liturgica ci introduce a questa visione. Questa è la funzione mistagogica del culto cristiano, vissuta particolarmente nella sintesi liturgica ortodossa ereditata da Bisanzio.

 

È difficile, e sarebbe ingiusto, parlare di movimenti liturgici ortodossi contemporanei e quindi di rinnovamento della coscienza liturgica, sacramentale, ecclesiale, senza menzionare con gratitudine le tappe del rinnovamento liturgico nel cattolicesimo, sia attorno a dom Guéranger e a Solesmes, sia attorno a dom Casel, a Maria Laach, a Beuron, al Centro di Pastorale Liturgica in Francia e, in Belgio, a dom Lambert Beauduin, dom Bernard Botte, padre Louis Bouyer e tanti altri che hanno anticipato e preparato la riforma liturgica del Concilio Vaticano II e, in particolare, la riscoperta della centralità del mistero pasquale. Non posso non ricordare il movimento liturgico anglicano con dom Gregory Dix e il monastero benedettino anglicano di Nashdom.

 

Quando furono pubblicate le grandi opere di dom Odo Casel (Le mystère du culte dans le christianisme), di dom Gregory Dix (The Shape of the Liturgy) o di padre Louis Bouyer (Le mystère pascal), noi seguivamo i nostri studi all’Istituto Saint-Serge ed i nostri cuori battevano all’unisono in questa scoperta e riaffermazione delle nostre radici comuni. Negli anni dal 1945 al 1950, formavamo a Saint-Serge un gruppo di giovani insegnanti e studenti molto uniti che riscoprivano insieme la centralità del culto e del suo mistero. Nella nostra diaspora occidentale, cercavamo di conciliare la fedeltà alla grande Tradizione ecclesiale e liturgica delle nostre origini allo sforzo di attualizzare questa tradizione in vista di una partecipazione più effettiva e cosciente del Popolo di Dio.

 

Il problema della lingua liturgica

 

In questa presa di coscienza della centralità del culto cristiano, vorrei soffermarmi su alcuni punti particolari di grande importanza.

 

1) Il problema della lingua rimane sempre attuale. Alcune chiese ortodosse hanno saputo fare il passo e trasmettere l’eredità liturgica in lingua vernacolare, come, ad esempio, la Chiesa romena o antiochena. In queste Chiese, possiamo costatare una grande fecondità spirituale e teologica, un profondo legame tra la corrente monastica (anche esicastica), la pietà popolare e la cultura teologica.

 

Ritengo che lo iato attuale tra lo slavo liturgico e la lingua parlata, in Serbia come pure in Russia, rappresenti un handicap reale per una missione ed una evangelizzazione interiore più vive ed efficaci. Abbiamo la fortuna di poter realizzare nelle nostre chiese di lingua francese, olandese, tedesca, inglese, traduzioni integrali del patrimonio eucologico e innografico bizantino. La barriera (o il ponte) della lingua è un fattore importante nella formazione della coscienza ecclesiale del popolo ortodosso.

 

Comunione frequente e pratiche liturgiche

 

2) La nozione di comunione eucaristica frequente si situa ancora nel XVIII e XIX secolo in una dimensione di pietà individuale, non soltanto lodevole, ma anche feconda di una più ampia partecipazione di fedeli alla vita della Chiesa. Ormai la comunione eucaristica tenta di passare dallo stadio individuale e quantitativo a quello qualitativo e organico, necessario e normale per la vita ecclesiale, tanto per i laici quanto per il clero.

 

Ma occorre subito precisare che le Chiese ortodosse tradizionali sono ancora all’alba di una pratica eucaristica organica e domenicale ed i pastori e i teologi sono spesso loro stessi lontani da questa coscienza, che a volte rifiutano perfino, per motivi ascetici e spirituali.

È per questo che la nozione di ecclesiologia eucaristica è forse più un programma da realizzare che una realtà vissuta nel presente della totalità dell’ortodossia.

3) L’attuale tendenza a pronunciare a voce alta le preghiere “segrete” sottolinea la partecipazione effettiva e cosciente di tutta l’assemblea ecclesiale all’azione liturgica ed ai sacramenti. Anche là, lo iato tra molte comunità ortodosse della diaspora e la pratica delle Chiese tradizionali è ancora importante.

 

4) Potrei ugualmente sottolineare la tendenza dell’ortodossia contemporanea a celebrare la liturgia dei presantificati la sera, dato che questo officio (come quello della liturgia della festa dell’Annunciazione della Madre di Dio) è organicamente legato all’officio dei vespri.

 

Battesimo e Eucaristia

 

5) Desidero infine parlare della celebrazione del battesimo.

Man mano che si rafforza la coscienza della dimensione ecclesiale dei sacramenti, si pone la questione non solo del luogo (chiesa o casa familiare), ma anche del tempo della celebrazione del battesimo. In modo più o meno simultaneo, senza quasi essersi concertate, delle parrocchie in Francia (comprese quelle di cui sono rettore) e nell’America del Nord (soprattutto la cappella dell’Istituto di teologia ortodossa Saint-Vladimir) hanno instaurato da già più di trent’anni la pratica di celebrare il battesimo all’interno della liturgia e, di conseguenza, alla presenza reale del popolo di Dio, riunito per la celebrazione collegiale della divina eucarestia. Questa integrazione dei riti battesimali nella liturgia eucaristica accentua la finalità eucaristica e comunionale del battesimo, sottolinea l’impegno battesimale di tutta la comunità ecclesiale attorno al candidato, ricorda infine l’attualizzazione hic et nunc dell’unico battesimo dei credenti che rinnovano così i loro voti battesimali ed il loro impegno di fedeltà a Cristo.

 

Questo tema della dimensione ecclesiale del battesimo (“Il Battesimo, Sacramento del Regno”) è stato il tema del mio discorso quando mi è stato conferito il dottorato honoris causa all’istituto Saint-Vladimir nel mese di maggior scorso. A seguito del mio discorso vi è stata una discussione che ha mostrato l’esistenza di una bipolarizzazione nell’ortodossia americana attorno al modo di celebrare il battesimo. Le comunità ortodosse si definiscono a favore o contro questa celebrazione intra-eucaristica del battesimo e, così, si opera anche là un indurimento delle correnti tradizionaliste.

 

Riscoprire il senso stesso della liturgia

 

Terminerò con una riflessione sulla nozione stessa di movimento liturgico nell’ortodossia. Si tratta piuttosto, all’interno delle nostre diverse Chiese ortodosse, di interrogarsi profondamente sul senso stesso di liturgia. I mezzi moderni di informazione, la stampa, le riviste, i colloqui, Internet, permettono uno scambio ed una comunicazione molto ampi sui problemi comuni.

 

È possibile dire che, al di là di tensioni, fratture e perfino rifiuti di iniziative particolari, l’ortodossia è, nel suo insieme, in movimento, in gestazione, sotto la guida dello Spirito, in una dinamica di verità e di vita? Si dovrebbe parlare meno di movimenti liturgici nell’ortodossia che di ortodossia lei stessa in movimento, cioè ortodossia viva e all’ascolto delle mozioni dello Spirito.

 

Anche in questo, ci sono periodi di massimo immobilismo, addirittura di ristagno, dove tuttavia l’acqua viva scorre sotto la roccia. In altre parole, l’ortodossia si scontra sempre più con le pressioni e le avversità del mondo. In tale situazione, compaiono personalità carismatiche il cui messaggio rimane anche dopo la loro partenza.

 

Mi chiedo infine quale è l’impatto dell’esicasmo sulla vita liturgica. Penso non solo ai grandi teorici dell’esicasmo, come Gregorio Palamas, ma anche al suo contemporaneo Nicolas Cabasilas, la cui mistica di comunione è al cuore stesso del culto bizantino. Questo porta a una coscienza eucaristica vissuta. A sua volta, l’eucarestia vissuta ci conduce ad una visione rinnovata della Chiesa e della sua collegialità, vissuta a tutti i livelli delle sue strutture e della sua esistenza. Allora si pone la domanda: questo XXI secolo in cui siamo entrati ed in cui ci impegniamo sarà il secolo della Chiesa? (Besa/Roma)

 

NEW YORK: FILIOQUE

DICHIARAZIONE COMUNE

 

La Consultazione teologica ortodossa-cattolica del Nord America ha concluso uno studio durato quattro anni sul Filioque il 25 ottobre 2003, quando è stato unanimemente adottato un testo comune sulla difficile questione che ha diviso le due Comunioni per tanti secoli. Questo importante sviluppo ha avuto luogo al 65° incontro della Consultazione, tenutasi al St Paul’s College in Washington, DC, sotto la presidenza congiunta del Metropolita Maximos della Metropolia greco ortodossa di Pittsburgh e l’Arcivesco Pilarczyk di Cincinnati. Riportiamo, in nostra traduzione italiana, il comunicato – stampa ripreso da www.goarch.org o anche da Email: communications @goarch.org (Traduzione dall’originale in inglese):

 

La versione originale del Credo che molte Chiese cristiane accettano come l’espressione standard delle loro fede viene datata al Primo Concilio di Costantinopoli nel 381, ed è stata usata dai cristiani ortodossi fin da allora. Verso la fine, il Credo afferma che lo Spirito Santo “procede dal Padre”. La parola Filioque (“e dal Figlio”) fu aggiunta più tardi alla versione latina di questo Credo usato nell’Occidente, cosicché la frase, come la maggioranza dei cristiani in Occidente sanno, afferma che lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”.

Questa modifica è apparsa in alcune aree dell’Europa occidentale già dal 6° secolo ma fu accettata a Roma solo nell’11° secolo. Questo cambiamento nelle parole del Credo e le variazioni che sottostanno alla comprensione dell’origine e della processione dello Spirito Santo dentro la Trinità sono state considerate una questione di divisione tra cattolici e ortodossi. La Consultazione ha studiato questa questione fin dal 1999 nella speranza di rilasciare eventualmente una dichiarazione congiunta.

 

Intitolato “Il Filioque - una questione di divisione tra le Chiese”, il testo di diecimila parole presenta tre sezioni principali. La prima, “Lo Spirito Santo nelle Scritture”, offre un sommario dei riferimenti allo Spirito sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

La seconda sezione, più lunga, “Considerazioni storiche” fornisce una panoramica delle origini delle due tradizioni riguardanti la processione eterna dello Spirito e il lento processo con il quale il Filioque è stato aggiunto al Credo nell’Occidente.

Inoltre mostra come questa questione, che riguarda la teologia trinitaria, sia stata legata alle dispute riguardanti la giurisdizione papale e il primato, e analizza gli sviluppi recenti nella Chiesa cattolica che indicano una più grande consapevolezza del carattere unico e normativo della versione originale greca del Credo, come un’espressione della fede che unisce l’Oriente ortodosso e l’Occidente cattolico.

La terza sezione, “Riflessioni teologiche”, dà rilievo alla nostra limitata abilità di parlare della vita intima di Dio; indica che entrambi le parti del dibattito hanno spesso denigrato le posizioni dell’altro; e elencano aree nelle quali le tradizioni sono d’accordo.

Inoltre esplora le differenze che si sono sviluppate riguardo alla terminologia, e identifica le divergenze teologiche e ecclesiologiche che sono sorte lungo i secoli.

In una sezione finale, la Consultazione fa otto raccomandazioni ai membri e ai vescovi delle due Chiese. Raccomanda che “entrino in un nuovo e sincero dialogo riguardante l’origine e la persona dello Spirito Santo”. Propone anche che in futuro sia i cattolici che gli ortodossi “si trattengano dall’etichettare come eretiche le tradizioni dell’altra parte” su questo argomento, e che i teologi di entrambe le tradizioni facciano una più chiara distinzione tra la divinità dello Spirito, e il modo che spiega l’origine dello Spirito, “che ancora è in attesa di una piena e conclusiva risoluzione”. Il testo inoltre richiama i teologi a distinguere, il più possibile, le questioni teologiche che riguardano l’origine dello Spirito Santo dalle questioni ecclesiologiche, e suggerisce che venga posta l’attenzione nel futuro allo status dei Concili di entrambe le nostre Chiese che ebbero luogo dopo i sette Concili ecumenici del primo millennio. Infine, in vista del fatto che il Vaticano ha affermato “il valore dogmatico normativo e irrevocabile del Credo del 381” nella sua versione originale greca, la Consultazione raccomanda che la Chiesa cattolica usi lo stesso testo (senza il Filioque) “nel redigere traduzioni di quel Credo per uso catechistico e liturgico”, e dichiari che l’anatema pronunciato dal Secondo Concilio di Lione contro coloro, i quali negano che lo Spirito procede eternamente dal Padre e dal Figlio, non sia più applicato (Besa/Roma).

 

 

ALBANIA: ICONE DI ONUFRI

STUDIO PER RESTAURI

 

Alla ricerca dei colori misteriosi di Onufri, nella pittura iconografica e murale post-bizantina il colore rosso della scuola di Berata (secolo XVI) presenta una specificità ignota nella sua composizione. Si è costituito un gruppo di studiosi dell’arte composta da specialisti albanesi (dell’Istituto dei Monumenti e delle Schienze naturali) e greci dell’Università di Tessalonica per svolgere uno studio organico. Lo studio ha avuto inizio nel mese di dicembre 2003 e si protrarrà per due anni. Per ora sono state prese in esame due chiese di Berat, quella di “Shën Triada” e quella di “Shën Todri”. Lo studioso albanese Frederik Stamati, responsabile del Laboratorio Archeometrico dell’istituto di Archeologia, ha dichiarato: “Si tratta della prima cooperazione fra studiosi greci e albanesi  nel campo dello studio scientifico degli affreschi: Non solo. E’ la prima volta che nel nostro Paese si fa uno studio di tale genere,  basato su metodologie e tecniche moderne”.

Lo scopo di questa iniziativa è quello di sostenere la conservazione e il restauro delle icone” (Besa/Roma).

 

 

KOSSOVA

MISSIONE DI RICONCILIAZIONE

DI DON LUSH GJERGJI

 

Siamo lieti di segnalarlo. Si tratta di un’opera positiva in se stessa, compiuta da un nostro amico. Il quotidiano “Avvenire” ha riportato una “Buona Novella” da Binça (Kossova). Riferisce di un bambino serbo Mark, di dieci anni. Anche la sua famiglia era fuggita dalla Kossova, per la lotta in corso e per il timore di rappresaglie. Il bambino insistette per ritornare. La sorpresa della sua famiglia fu grande. Ritrovarono la casa intatta, né era stata occupata dagli albanesi. “Avvenire” scrive: “Don Lush un prete volitivo si era imposto su tutto e su tutti: guai a toccare la roba d’altri. Ma le sorprese non finivano qui: la scuola pubblica con quattro prime classi elementari era diventata multietnica, con il 50% di albanesi cattolici, il 30% di albanesi musulmani, il 20 % di serbi ortodossi. Ognuno con la sua identità e la sua lingua”.

Questo accade a Binça il  villaggio dove si trova la parrocchia di Don Lush Gjergji (Besa/Roma).

 

ATENE

LITURGIA DI S.GIACOMO

PRESIEDUTA DALL’ARCIVESCOVO

 

Il 28 dicembre 2003, domenica dopo Natale, l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, S.B. Christodoulos, ha presieduto nella cattaderale la divina Liturgia di S. Giacomo; concelebrata da 6 sacerdoti e 4 diaconi. L’intera celebrazione rivolta al popolo ha avuto luogo attorno ad una Santa Tavola posta davanti all’iconostasi. L’Arcivescovo è entrato nel Vima con i concelebranti soltanto alla fine per benedire il popolo e ricevere le proclamazioni augurali (“Eis pollà eti”).

·        La benedizione iniziale ha avuto luogo all’ingresso nella cattedrale;

  • Ingreso con il canto dell’Ho Monogennis;
  • Grande litania;
  • Preghiera recitata dall’Arcivescovo con ekfonesis cantata;
  • Aghios Ho Theos, intercalato da versetti di salmi;
  • Lettura di una pericope profetica di Isaia;
  • Canto del tropario “Isaia choreve” il cui ultimo versetto viene cantato più volte dopo versetti salmici;
  • Piccola litania;
  • Salmo: “Cantate al Signore un cantico nuovo”;
  • Epistola;
  • Preghiera dell’Arcivescovo sull’incenso;
  • Canto dell’Allilouia e incensazione della santa Tavola;
  • Litania da parte dei diaconi, uno dopo l’altro;
  • Proclamazione del Vangelo dall’ambone stabile;
  • Omelia sulle Scritture proclamate e sulla Liturgia di S. Giacomo, rara, di alto valore teologico e spirituale; antica con elementi aggiunti durante i secoli. Si celebra nel modo antico; anche il vescovo porta, come ogni sacerdote, felonion e stola; si legge l’A e il N Testamento; l’arcivescovo distribuisce l’eucaristia sulla mano e il fedele prende parte al vino dal calice, distribuito da un sacerdote con il cucchiaino. Questa liturgia si celebra due volte all’anno: il 23 ottobre festa di S. Giacomo e la domenica dopo Natale.
  • Dopo l’omelia, come all’inizio, tutti i concelebranti si mettono attorno alla Santa Tavola con al centro rivolto al popolo il presidente, l’Arcivescovo, che ora ha indossato il piccolo omoforion;
  • Litania con risposta “Concedi o Signore”
  • Rinvio dei catecumeni;
  • L’Arcivescovo lava le mani; così pure i concelebranti;
  • Canto: “Sighisato pasa sarx”, lento e a bassa voce in modo che si possa sentire la preghiera  dell’Arcivescovo;
  • I diaconi portano sulla Santa Tavola il pane, il calice, e il vino senza alcuna processione;
  • L’Arcivescovo mette l’incenso nell’incensiere, recita ad alta vole la preghira sull’incenso e incensa tutt’intorno la Santa Tavola;
  • Recita del credo dall’Arcivescovo con i concelebranti e tutta l’assemblea;
  • L’Arcivescovo recita la preghiera preparatoria al segno di pace;
  • “Pace a tutti!”. L’Arcivescovo invita al segno di pace. Un diacono chiede che tutta l’assemblea si scambi l’abbraccio di pace; L’assemblea lo fa;
  • Invito all’assemblea di chinare il capo e preghiere sull’assemblea che sta a capo chino;
  • Litania con risposta “Kyrie eleison”;
  • Si portano le candele sulla Santa Tavola;
  • L’Arcivescovo mette il vino nel calice e fa la protesis; copre i santi doni con i veli;
  • Anafora pronunciata dall’Arcivescovo ad alta voce;
  • Canto dell’Aghios;
  • Si portano ai lati della Santa Tavola due grandi exapteriga ritmicamente mossi da due diaconi;
  • Narrazione dell’Istituzione;
  • Epiclesis;
  •  (Soltanto l’Arcivescovo recita le preghiere di presidenza e benedice);
  • Alla conclusione dell’epiclesis tutti dicono: “Amìn, Amìn, Amìn”;
  • Intercessioni (il coro a bassa voce canta senza interruzione: “Ricordati di noi, o Signore);
  • Benedizione: Pace a tutti;
  • Litania;
  • Padre nostro;
  • Benedizione sull’assemblea che sta a capo chino;
  • “Elevazione” (“Le cose sante ai santi”);
  • Preparazione alla comunione;
  • L’Arcivescovo spezza il pane con un coltello;
  • Si comunicano i celebranti nel modo solito;
  • L’Arcivescovo si lava le mani e si prepara a distribuire l’eucaristia. Egli dà sulla mano il pane ai fedeli, mentre un sacerdote dà il vino con un cucchiaino;
  • Preghiere di ringraziamento, incensazione;
  • Litania;
  • Benedizione;
  • Apolysis;
  • Processione dei celebranti per l’uscita dal centro della Chiesa; l’Arcivescovo. porta il Vangelo che viene incensato dal diacono;
  • Durante la processione si canta il prokimenon: “Tis Theòs megas”;
  • L’Arcivescovo e i concelebranti dalla navata laterale di sinistra entrano nel Vima ;
  • Preghiera e benedizione dell’Arcivescovo, mentre si fanno le proclamazioni in suo onore e si canta l’eis pollà eti.

Questo schema è stato ricavato dalla registrazione della Liturgia di S. Giacomo trasmessa dalla TVEllenica il 28 dicembre 2003 (Besa/Roma).

 

CASTELGANDOLFO

IGINO GIORDANI E LA PREGHIERA

PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

 

Il 15 gennaio 2004 si è tenuto a Castelgandolfo un convegno su Igino Giordano (Tivoli 1894 –1980) co-fondatore del movimento dei focolari: scrittore, docente, politico.Cfr la biografia scritta da Tommaso Sorgi (Un’anima di fuoco, profilo di Igino Giordani, Citta Nuova Ed. Roma 2003). Il vescovo di Frascati ha promulgato(2003) il decreto di inizio della causa di beatificazione.

Mons. Eleuterio F. Fortino al convegno di Castelgandolfo ha svolto un breve intervento sulla posizione del Giordani circa la preghiera comune per l’unità dei cristiani. Lo riportiamo:

 

 

1. L’immediato post-concilio – il tempo subito dopo la conclusione del Concilio Vaticano II (1962-1965) – è stato un periodo di fermenti, di riflessioni, di confronti.

 Per l’ecumenismo il Concilio aveva apportato delle novità teologiche e metodologiche. Si trattava di recepirle. Il mettere in discussione il proprio pensiero, anche di fronte a pronunciamenti alti come quelli di un Concilio, solleva problemi consistenti. Io ho visto persone, che stimavo, soffrire veramente di fronte alla prospettiva di una preghiera comune. Non ne comprendevano la possibilità. E riscontravano una vera difficoltà,  avendo presenti i pronunciamenti precedenti delle autorità ecclesiastiche.

Come pregare insieme per l’unità, se non abbiamo la stessa concezione di unità?

Le preghiere in comune sono senza dubbio  un mezzo molto efficace per impetrare la grazia  dell’unità, sono una genuina  manifestazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati” (UR,8).

Questa decisione conciliare era chiara, ma non era percepita da tutti nello stesso modo. In molte zone della Chiesa cattolica essa suscitava perplessità.

Con un atto simbolico di grande rilevanza il papa Paolo VI, alla vigilia della conclusione del Concilio, ha voluto salutare gli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali proprio con una preghiera comune nella Basilica di  S. Paolo fuori le mura il 4 dicembre 1965.

Erano presenti i Padri Conciliari. A questa preghiera presieduta dal Papa gli Osservatori presero parte attiva.

Durante le sedute conciliari non avevano diritto di parola.

In questa preghiera veniva data loro la parola per proclamare le Sacre Scritture, per recitare alcune preghiere, per pregare insieme. Si riacquistava, cattolici e altri cristiani, la possibilità di rivolgerci insieme all’unico Signore.

Quell’incontro di preghiera era dominato da un senso di profonda gioia.

Presente a quell’evento di grazia, ne conservo il vivo ricordo come di una delle mie più belle esperienze ecumeniche.

2. Si aveva l’importante decisione conciliare; si aveva l’esempio personale del Papa stesso, ma le reticenze in molti permanevano.

Come è noto, nella Chiesa cattolica esistevano due correnti per la preghiera per l’unità, quella che si riferiva a p. Paul Wattson, che era impostata sulla prospettiva del “ritorno” nella Chiesa cattolica degli altri cristiani, e quella che si rifà all’Abbé Paul Couturier che, per promuovere il ristabilimento dell’unità, proponeva una formula più ampia: i cristiani pregano per l’unità che Cristo vuole.

Volendo promuovere la preghiera comune proposta dal Concilio, il Segretariato per la promozione dell’unità – come si chiamava allora l’attuale Pontificio Consiglio per la promozione dell’unione dei cristiani - ha organizzato un incontro fra 15 teologi cattolici delle due tendenze (Lione, 13-16 ottobre 1966) che hanno raggiunto un accordo nella linea degli orientamenti conciliari. Subito dopo (16-20 ottobre)  ha avuto luogo a Ginevra un incontro con il Consiglio Ecumenico delle Chiese sul tema: “L’avvenire della settimana di preghiere per l’unità”. Si raggiunse un accordo che, sostanzialmente, guida l’attuale collaborazione in un questo campo.

Nel maggio del 1967 l’allora Segretariato per l’Unione dei Cristiani pubblicava una prima parte del Direttorio Ecumenico che, tra l’altro, precisava le norme pratiche della Communicatio in sacris. Per la preghiera comune si diceva: “E’ auspicabile che i cattolici si uniscano in preghiera con i fratelli separati, per qualsiasi comune sollecitudine nella quale possono, anzi debbono tra loro cooperare” (n.33).

 

3. Dal punto di vista teorico e normativo tutto era chiaro. Ma non è detto che tutto ciò che è teoricamente chiaro e anche normativamente previsto sia automaticamente recepito.

Nella città di Roma operavano diversi gruppi che si occupavano della preghiera per l’unità. Esistevano gruppi benemeriti precedenti al Concilio, come il Centro “Pro Unione”  dei Padri Francescani dell’Atonement,  - che da tempo con zelo si dedicava alla promozione della preghiera per l’unità secondo l’impostazione di p. Wattson, suo fondatore - e gruppi di nuova formazione, di ispirazione conciliare. Esisteva una certa tensione latente. Un certo disagio, vero non artificioso. Gli incontri di preghiera generavano un clima di inquietudine.

Era l’autunno del 1967. Non so da chi fu presa l’iniziativa. Ma è stata proposta una riunione alla sede del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa. Io accompagnavo il p. Emmanuele Lanne, Osb, rettore del Collegio Greco, che, per il Segretariato per l’unione, aveva contribuito ai lavori del Concilio. Eravamo però invitati all’incontro in rappresentanza del Circolo “Koinonia” che operava  in via dei Greci 46, presso la Chiesa di S. Atanasio. Partecipavamo a quell’incontro forse più di una dozzina di persone. Faceva gli onori di casa il prof. Igino Giordani, assistito da alcune focolarine. Mi sembra che sia stato lui ad aprire l’incontro e ad indicare lo scopo che più o meno poteva essere così sintetizzato: ci prepariamo alla celebrazione della settimana di preghiere per l’unità a Roma, sarebbe bene concordare un atteggiamento comune, pur nel rispetto delle peculiarità dei vari gruppi, il Concilio ci offre le indicazioni essenziali.

Nel corso dell’incontro sono emerse, da parte di alcuni -  come era prevedibile e come era bene che avvenisse - reticenze larvate sulla possibilità teologica della preghiera comune; da altri sono state avanzate problematiche di tipo pastorali (il rischio di creare confusioni ecclesiologiche, relativismo, indifferentismo, sbiadimento della identità cattolica). Un gran numero si esprimeva in favore di una  possibilità teologica per la preghiera comune, di un’ opportunità ecumenica, e della stessa opportunità pastorale (gli incontri di preghiera comune avrebbero potuto chiarire la natura dell’ecumenismo e i suoi strumenti).

4. Vi sono stati anche momenti di dibattito acceso. E’ in uno di questi momenti che è intervenuto il Prof. Giordani ed è questo intervento che ricordo con nitidi contorni. Vi era stato un intervento chiaramente  anti-conciliare: la preghiera comune non è teologicamente possibile, la disposizione conciliare non è dogmatica, si tratta di un orientamento pastorale che può essere discusso e anche non accettato per il bene della Chiesa. La prospettiva precedente (“pregare per il ritorno nella Chiesa cattolica”) è più sicura: indica dove si trova l’unità, qual è la natura dell’unità e la via per raggiungerla.

In questi casi il metodo migliore per riportare la contesa al dialogo è quella di non perdere la calma. Tanto più che i partecipanti in quell’incontro, sebbene con idee differenziate, erano tutti spinti da un interesse ecumenico sentito. Si era tutti spinti da un impegno personale, non imposto da alcuna autorità.

Si trattava di gruppi non istituzionali, ma di tipo volontaristico.

Si potrebbe dire che si trattava di quello che, in senso positivo, si è detto “ecumenismo di base”. L’incontro infatti era indirizzato ai “Circoli ecumenici”.

Ad un certo momento intervenne provvidenzialmente il prof. Giordani.

Il suo intervento fece un’ impressione positiva. La riunione riprese un ritmo più calmo, più riflessivo. Il senso del suo intervento è stato più o meno così articolato:

a.        Il Concilio per tutti noi è l’espressione di una autorità alta nella Chiesa cattolica, anche quando non si esprime dogmaticamente;

a)                         La preparazione dei testi conciliari, l’ampia discussione nel Concilio, l’approvazione del testo conciliare da parte dei vescovi e del Santo Padre, contengono una garanzia che deve far riflettere tutti;

b)                         La quasi unanimità con la quale è stato approvato il decreto sull’ecumenismo  in cui si prevede la preghiera comune per l’unità, esprime certamente il sentimento della Chiesa oggi;

c)                         Certamente l’applicazione di ogni indicazione pastorale esige attenzione; quindi occorre preparare le comunità, spiegare il senso della decisione conciliare, i suoi fondamenti e le sue prospettive. Occorre spiegare anche  che in nessun modo si mette in discussione l’identità della Chiesa cattolica. Il Concilio introduce l’ecumenismo proprio nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa;

d)                         Bisogna che anche i laici siano più solidamente informati sulle questioni religiose. Non bisogna lasciare al clero e ai religiosi le questioni teologiche. Tutto il popolo di Dio, secondo le varie funzioni che si hanno nella Chiesa e secondo i vari livelli culturali, deve “fare teologia”.

(Qui ha raccontato un episodio che ha suscitato una certa ilarità. Ha ricordato che nel passato egli aveva scritto qualcosa sui protestanti – forse un volume. Una rivista americana lo recensì dicendo che l’autore Igino Giordani era un padre gesuita! “Poteva un laico interessarsi di simili questioni”?).

L’incontro si sviluppò in modo più tranquillo e si ebbe l’impressione che si coagulasse un certo consenso, o almeno che il dissenso latente non avrebbe impedito una celebrazione della settimana di preghiere più serena.

5. Conservo un vivido ricordo di questo episodio in cui Igino Giordani ebbe un ruolo decisivo con il suo intervento teologico e metodologico. Due dimensioni essenziali per la promozione della preghiera per l’unità e dell’intera ricerca ecumenica. Necessarie ieri, utili ancora oggi (Besa/Roma).

 

LUNGRO

IMEROLOGHION 2004

 

E’ in distribuzione l’Imerologhion 2004 da parte della Commissione liturgica dell’eparchia di Lungro.

La pubblicazione rende un servizio permanete per il corretto ordinamento liturgico nell’eparchia. Contiene il santorale e indicazioni necessarie per le celebrazioni (esperinòs, orthros, Divina Liturgia) secondo il Typikòn di Costantinopoli e i Dyptika della Chiesa di Grecia (2004), ad eccezioni di lievi variazioni. Ad esempio nei menea di Roma non sono stati introdotti i santi canonizzati dopo la divisione.

L’imerologhion 2004 contiene un’appendice con lo schema del mattutino delle domeniche e delle feste, ed anche uno schema abbreviato di mattutino (Besa/Roma).

 

ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE

INCONTRO DELLA CCC

 

Il 29 gennaio 2004, si è svolta a Roma, presso la sede della Segreteria centrale, una riunione congiunta tra gli Ordinari delle tre Circoscrizioni Bizantine in Italia e i membri della Commissione Centrale di Coordinamento.

La riunione è stata aperta con la preghiera per il Sinodo guidata da S. E. Mons. Ercole Lupinacci.

Il presidente della CCC, Archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha informato sulla situazione della preparazione del Sinodo:

a) Tutte le Commissioni hanno riveduto i progetti di schemi sulla base delle reazioni delle Comunità locali;

b) Ora prende l’avvio la “lettura critica” degli schemi da parte della CCC, con l’aiuto degli esperti;

c) Su tutti gli schemi sono stati già interpellati “esperti” in materia.

S. E. Mons. Ercole Lupinacci, S. E. Mons. Salvatore Ferrara e il Rev.mo Archimandrita Padre Emiliano Fabbricatore hanno ringraziato la CCC per il lavoro di promozione e di coordinamento e tutte le Commissioni che hanno preparato gli schemi sinodali e in seguito riveduti dopo le consultazioni delle Comunità locali.

È seguita la presentazione dei punti all’O.d.G. e la discussione con gli Ordinari. Sono state prese le decisioni riguardanti:

a)                  La modalità di consegna – agli Ordinari - dei progetti sinodali riveduti dalla CCC. Saranno inviati loro schema dopo schema, a mano a mano, che l’esame della CCC è considerato concluso. La CCC riconsidererà in seguito eventuali osservazioni degli Ordinari;

b)                  La presentazione, da parte dell’Archimandrita Donato Oliverio, del progetto di Regolamento del Sinodo, approvato in linea di massima, con richiesta di ulteriori precisazioni;

c)                  La presentazione, da parte dell’Archimandrita Antonino Paratore, di un progetto per invito a delegati fraterni di Chiese ortodosse al Sinodo;

d)                  E’ stato ricordato che al I Sinodo Intereparchiale (1940) ha preso parte una delegazione della Chiesa ortodossa autocefala di Albania;

e)                  E’ stato concordato di invitare rappresentati della CEI, delle Conferenze Regionali di Calabria, di Sicilia, del Lazio e delegati di alcune altre Chiese cattoliche;

f)                    E’ stata presentata l’opportunità di invitare vescovi cattolici, in Italia e all’estero, di quei luoghi dove vive un numero consistente di italo - albanesi;

g)                   Sono state presentate, da parte di P. Antonio Costanza del Monastero di S. Maria di Grottaferrata, questioni logistico - organizzative. I Sinodali saranno ospitati nel Centro “Mondo Migliore” sul lago di Castelgandolfo.

 

Nel pomeriggio i membri della CCC hanno preso in esame la revisione del “Prologo: “Contesto teologico e pastorale del Sinodo”.

La CCC si incontrerà a Roma il 26 febbraio per l’esame di due progetti di schemi:  a) “La Sacra Scrittura e la Chiesa locale”; b) “Catechesi e Mistagogia” (Inter-Sinodo).

 

 

GROTTAFERRATA

CALENDARIO 2004

 

La Badia Greca di Grottaferrata ha pubblicato il calendario italo-bizantino e romano 2004.

Viene riportato il ciclo delle feste (santorale e feste mobili) in paralello con il calebdario italo-bizantino in uso nel monastero e quello romano. Si riporta il kiriakodromion per le letture (Apostolos e Vangelo). Si riproducono icone, mosaici e documenti presenti nel monastero. Quest’anno ricorre il millennio del monastero (1004-2004). Per rinformazioni sul millenario contattare: info@milenariosannilo.it; e il sito: www.milenariosannilo.it (Besa/Roma).

 

 

S.COSMO ALBANESE
PUBBLICATO IL CALENDARIO 2004

 

 

Il Santuario dei Santi Cosmo e Damiano ha pubblicato in duplice colonna il calendario: bizantino e romano. Vengono riportate riproduzioni degli affreschi neo - bizantini del santuario (Besa/Roma).


 

Teologia quotidiana

49

IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA NELLA CHIESA BIZANTINA

 

Con il battesimo l’uomo è incorporato a Cristo, riceve il sigillo dello Spirito Santo, è fatto oggetto dell’amore e della misericordia del Padre. Ciononostante il battezzato, nella sua umana debolezza, può peccare ancora. Gesù risorto comunicò ai suoi discepoli la pace, la riconciliazione con Dio e nello stesso tempo li inviò nel mondo, tra gli uomini, come egli stesso era stato inviato dal Padre. Conferisce loro un potere straordinario: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi” (Gv 21, 22-23). Chi può rimettere i peccati se non Iddio? Ma Iddio tra gli uomini si serve di mezzi di mezzi umani, attraverso i quali egli stesso agisce.

La Chiesa ha accolto questo dono e progressivamente ha organizzato il sacramento della penitenza, in obbedienza al mandato del Signore e in soccorso degli uomini peccatori. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali così descrive la penitenza: “Nel sacramento della penitenza, i fedeli cristiani che, avendo commesso dei peccati dopo il battesimo, condotti dallo Spirito Santo si convertono di cuore a Dio e mossi dal dolore dei peccati fanno il proposito di una nuova vita, mediante il ministero del sacerdote, con la confessione a lui fatta con l’accettazione di un’adeguata soddisfazione, ottengono da Dio il perdono e insieme vengono riconciliati con la Chiesa che peccando hanno ferito; in tal modo questo sacramento contribuisce in massimo grado alla vita cristiana e dispone a ricevere la Divina Eucaristia” (CCEO; can. 718).

In questo canone si trovano condensate le affermazioni essenziali della Chiesa sul sacramento della penitenza:

a)    Si tratta di un sacramento che viene incontro ai fedeli che hanno peccato dopo il battesimo. Gli errori precedenti il battesimo vengono annullati dalla conversione e dal battesimo che libera dal peccato originale e lava da ogni peccato commesso durante la vita;

b)   Il ricorso alla penitenza viene coinsiderato come una “conversione a Dio” sulla mozione dello Spirito, perché il peccato è un allontanamento da Dio;

c)    Questa “conversione” comporta la coscienza di aver errato e un conseguente “dolore” con il “proposito” di un ritorno a Dio per una “vita nuova” secondo il suo volere e l’insegnamento della Chiesa;

d)   Per ricevere il perdono “da Dio” i peccatori fanno ricorso al ministero del sacerdote, davanti al quale confessano i propri peccati , dichiarano di non voler commetterne più e accettano una qualche “epitimia”, atto di penitenza per la correzione della vita;

e)    L’effetto sarà il “perdono da Dio”, ma anche la “riconciliazione con la Chiesa”, perché il peccato personale ha sempre una dimensione comunitaria che intacca il corpo di Cristo di cui ciascuno è membro; il canone annota che i fedeli “peccando hanno ferito” la Chiesa.;

f)     Per tutte queste ragioni la penitenza contribuisce al massimo grado e di continuo al migliramento della vita cristiana che tende ad essere sempre più conforme alle esigenze dell’Evangelo.

Con piccole variazioni particolari il sacramento della penitenza è identico per cattolici e ortodossi, perché esprime l’antica tradizione penitenziale della Chiesa. Ecco come il teologo ortodosso greco Panaghiotis Trembelas presenta la penitenza: “Considerata nel suo specifico significato, la penitenza è un sacramento divinamente istituito, nel quale il sacerdote, in nome del Signore, rimette i peccati commessi dopo il battesimo al fedele, che li confessa con contrizione e con sincera disposizione a cambiare esistenza e a vivere virtuosamente” (Dogmatikē tēs Orthodoksou Katholikēs Ekklēsias, Atene 1961, vol III, p.238).

Accentuando l’uno o l’altro aspetto dei momenti del rito della penitenza o dell’uno o dell’altro effetto, questo sacramento è chiamato con vari nomi nei manuali di direzione spirituale, di morale e di dogmatica. Il Trembelas ne ha raccolto un certo numero di cui riporta alcuni in latino, perché provenienti dalla tradizione occidentale.

A proposito di questo egli scrive: “Così fu chiamato “penitenza” (metanoia), dal cambiamento dei sentimenti e dal mutamento della mente e degli appetiti della volontà, che causa nel peccatore che si converte; “confessione” (eksomologēsis), “confessio” dalla manifestazione davanti al ministro dei peccati compiuti di cui si è pentiti; “secondo battesimo” (baptismus secondus), “lavacro di lacrime” (loutròn dakryon), “lavacro e purificazione (kathartērion) degli errori; e “absoluzio” e “reconciliatio”  e “tabula naufragii” (tavola di salvezza dopo il naufragio) a causa dei risultati e della remissione dei peccati, che concede al penitente” (Ibidem p. 242)

Il sacramento della penitenza estende e concretizza sulle singole persone il perdono ottenuto per l’intera umanità dal sacrificio sulla croce di Gesù Cristo. E’ il canale attraverso cui giunge all’uomo pentito la misericordia di Dio. Il Trembelas inserisce la penitenza tra i mezzi della Grazia “per la nostra incorporazione nel regno dei cieli” (Besa/Roma).

Roma, 2 frebbraio, Ypapandē 2004

 

 

 

 

 

 



[1] 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 1 – 2, 4. Vedi anche Cronaca del Collegio, in Associazione di S. Atanasio no 3 (1923) 2 – 3.

[2] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 5 – 6.

[3] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 2 – 3.

[4] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, p. 8.

[5] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 3 – 4.

[6] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, p. 4.

[7] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 10 – 11.

[8] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921, p. 2.

[9] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921, p. 3.

 

[10] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921, p. 3.

 

[11] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1921 – 1922, p. 3.

 

[12] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1922 – 1923, p. 2.

 

[13] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1924 – 1925, pp. 2 - 4.

[14] 232/ vita interna Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1925 – 1926, p. 3. Vedi anche Cronaca del Collegio (1924 – 1925), in Associazione di S. Atanasio 6 (Dicembre 1925) 2 – 3.

[15] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1925 – 1926, pp. 3 – 4.

[16] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1926 – 1927, p. 2 - 4; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione presentata al Reverendissimo Procuratore apostolico sul Collegio Greco durante l’anno 1926 – 1927, pp. 1 – 5; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione presentata al Reverendissimo Procuratore apostolico sul Collegio Greco durante l’anno 1927 – 1928, p. 2; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1930-1935/Relatio Quinquennalis de Statu Pontificii Collegii Graeci. 1927 – 1932, Cap. 10, Par. 2. Vedi anche Elenco dei Padri Benedettini che sono stati Superiori del Collegio Greco, in Σύνδεσμος (aprile 1938) 16; C. Korolevskij, Saggio di cronotassi dei Rettori del Pontificio Collegio Greco di Roma, in Fyrigos 133 - 134.

[17] Vedi anche p. dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3 (1962), no 3, 53 – 55. Secondo il P. Cirillo Korolevskij, P. Zimmermann fu “il rettore più insigne che abbia avuto il Collegio sotto il regime benedettino. Ne fu il vero riorganizzatore e nel Collegio creò uno spirito che doveva sopravvivere alla sua partenza”.

[18] 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio Roma. Gennaio – Luglio 1915, pp. 1 – 2; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma l’anno 1915, pp. 1 – 2; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo Stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1917, pp. 2, 3.

[19] Come già abbiamo detto, nel 4 luglio 1912 la Sacra Congregazione Concistoriale, dalla quale allora dipendeva il Pontificio Collegio Greco di Sant’Atanasio, per ordine e coll’approvazione del Papa Pio X (5 luglio 1912) diede al medesimo Collegio un nuovo Regolamento. In conformità ad esso la direzione del Collegio, fin dalla 1897 affidata all’Ordine di San Benedetto, passò ad una sola Congregazione dei Benedettini. La Santa Sede determinò la Congregazione dei Benedettini di Beuron.

L’alta soprintendenza del Collegio stava, come dal 1897, presso il Procuratore Apostolico del Collegio, cioè l’Abate Primate dell’Ordine di San Benedetto. Vedi anche P. DUMONT, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3 (1962), no 2, 12.

[20] Vedi anche p. dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3 (1962), no 2, 15.

[21] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma l’anno 1915, pp. 2, 3; 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1912-1917, p. 2b; 232/vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo Stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1917, pp. 2, 3.

[22] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma nell’anno 1916, p. 1; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1912 - 1917, p. 3; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, p. 1.

[23] 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma nell’anno 1916, p. 1. Vedi anche p. dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3(1962), no 2, 15, 18.

[24] 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, p. 1.

[25] Vedi anche p. dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3 (1962), 18.

[26] 232/vita interna/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, pp. 1, 2.

[27] “Missione di Rito Greco in Albania,” Rome, September 21, 1928. ACCO, Prot. 28/28, Fasc. III, p. 5.

[28] Kemal Ataturk, then President of Turkey, considered Albania’s transition from republic to monarchy anachronistic. Logoreci, Anton, The Albanians, Europe’s Forgotten Survivors (London 1977), p. 59.

[29] From September 1, 1928, the day of his crowning, Ahmet Zogu abandoned his Muslim name Ahmet together with the last vowel “u” (Albanian definite case for Zog) from his last name and became “Zog I, King of the Albanians.”  

 

[30] Pollo, Stefanaq, and Puto, Arben, The History of Albania, from Its Origins to the Present Day (London 1990), p. 205.

[31] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 38.

[32] Ibid., p. 37.

[33] Ibid.

[34] Beduli, Dh., Kisha Orthodokse Autoqefale e Shqipërisë, gjer në Vitin 1944 (Tirana 1992), p. 26.

[35] Rama, Fatmira, “Sinodi I Parë Shqiptar dhe Kongresi I Dytë Panortodoks I Kishës Autoqefale Kombëtare,”70-Vjet të Kishës Ortodokse Autoqefale Shqiptare (Tiranë 1993), p. 64.

[36] Beduli, Dh., Kisha Orthodokse Autoqefale e Shqipërisë, gjer në Vitin 1944 (Tirana 1992), p. 26.

[37] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 38.

[38] Cordignano, Fulvio, “Il mio Viaggio nell’Albania del Sud: Aprile 1928. Quel che si può pensare sulla Questione Ortodossa,” to the Provincial, May, 30, 1928. AVPSJ, Albania II, Corrispondenza Epistolare dei Nostri, 1914-1944, Fasc. 1926-1929, p. 10.

[39] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 39; Lettera del Delegato Apostolico alla S.C. pro E.O., 29 Agosto 1929. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. III, p. 19.

[40] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 41.

[41] Cordignano Fulvio, “Da una Visita a Korça, 31 maggio-10 Giugnio 1929, to the Provincial, Shkodër, June 18, 1929. AVPSJ, Albania II, Corrispondenza Epistolare dei Nostri, 1914-1944, Fasc. 1926-1929, p. 7.

[42] For a complete analysis of the events relating to Pietro Scarpelli’s eviction from Albania see Murzaku, Angjeli, Ines, “King Zog I and Albanian’s Religions. The Albanian Autocephalous Orthodox Church and the Byzantine Catholic Church,” Orientalia Christiana Periodica, (forthcoming 2003).

[43] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 47.

 

[44] Ibid., p. 48.

[45] Germano Giovanelli, S. Nilo di Rossano fondatore di Grottaferrata, Badia di Grottaferrata, 1966, p. 14. Il testo originale greco è contenuto nel codice greco criptense B,b. II (430) che risale al secolo XII, dal foglio 12 al 155.

[46] J. Gay, L’Italie Meridionale et l’Empire Byzantin, Paris, 1904, p. 269.

[47] E. Pontieri, Tra i Normanni dell’Italia Meridionale, Napoli 1948, p. 118.

[48] Il decreto sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio”  promulgato dal Concilio Vaticano II costituisce la Magna Charta dell’impegno cattolico nella ricerca della piena unità. Ha avuto una grande divulgazione nel mondo cattolico e ha determinato l’apertura del dialogo con tutte le Chiese e Comunità ecclesiali. Lo scorso anno è stato variamente commemorato tra l’altro con un Convegno internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani (Mondo Migliore, Rocca di Papa, 11-14 novembre 2004). Il decreto mantiene la sua validità di fondo; cfr. Eleuterio F. Fortino, Il Decreto Unitatis Redintegratio a  40 anni dalla pubblicazione, in “Studi Ecumenici” 22, 2004, 391-415.

[49] Il Bios citato in questo testo, qui e di seguito, si riferisce alla traduzione di Germano Giovanelli citata nella nota 1.

[50] Si troverà una descrizione dell’avvio di questo dialogo e degli orientamenti concordati in: Eleuterio F. Fortino, Impostazione del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa,  in “Divinarum  Rerum Notitia”, la teologia tra filosofia e storia, Studi in onore del Cardinale Walter Kasper, a cura di Antonio Russo e Gianfranco Coffele, Edizioni Studium, Roma 2001, pp. 449-476.

[51]Cfr. Tomos Agapis, Vatican - Phanar  (1958 - 1970), Roma - Istanbul, 1971; E. J. Stormon, Towards the Healing of Schism: The See of Rome and Costantinople. Public Statements and Correspondence between the Holy See and the Ecumenical Patriarchate, 1958-1984, Mahwah, Paulist Press (coll. “Ecumenical Documents”,3), 1987; J. E. Desseaux, Le livre de la charité, Cerf, Paris, 1984; A. Panotis, Les pacificateurs: Jean XXIII, Athenagoras, Paul VI, Dimitrios I, Editions de la Fondation Européenne Dragan, Athenes, 1974; McPartlan P. (ed.), One in 2000?,Towards Catholic-Orthodox Unity. Aggreed Statements and Pareish Papers, Middlegeen, St Pauls; Salachas D., Il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolica-romana e la Chiesa ortodossa: Iter e Documentazione (=Quaderni di “O Odigos”,10) Bari, 1994.

 Una prima sintesi dell’idea centrale di questo dialogo si trova in : Eleuterio F. Fortino, La “Communio-koinonia” en el dialogo teologico catolico-ortodoxo, in “Pueblo de Dios, Cuerpo de Cristo, Templo del Espiritu Santo, XV Simposio Internacional de Teologia de la Universitad de Navarra”, Pamplona, 13-15 de abril 1994, Madrid 1996, pp. 476-438.

[52]  Lo scopo del dialogo è così descritto nel documento concordato da cattolici e ortodossi: “Lo scopo del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa è il ristabilimento della piena comunione tra queste due Chiese. Questa comunione fondata sull’unità di fede, nella linea dell’esperienza e della tradizione comuni della Chiesa antica, troverà la sua espressione nella celebrazione dell’Eucaristia”. In questo scopo, il documento di avvio del dialogo, intravvede la varietà delle forme possibili teologiche, liturgiche, spirituali e disciplinari.

[53] Cfr. Eleuterio F. Fortino, Il vestusto cenobio di Grottaferrata - Una testimonianza dell’Oriente, Un servizio all’unità della Chiesa, in “Bollettino della badia Greca di Grottaferrata”, n.s. vol. XLII, 1988, pp. 161-182.

[54] Cfr. Bios kai politeia tou  hosiou patròs ēmōn Neilou tou Neou, Testo originale e studio introduttivi a cura di Germano Giovanelli, Badia Greca di Grottaferrata, 1972. Un’ampia informazione documentata sulla vita, l’opera di S. Nilo e il contesto storico e geografico in cui essa si è svolta può essere trovata in “Atti del Congresso Internazionale su S. Nilo di Rossano, 28 settembre-1 ottobre 1986, Rossano/Grottaferrata, 1989, pp. 606.

[55] Pontificio Consiglio per la promozione dell’unione dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, Libreria Editrice Vaticana, 1993.

[56] Ho hosios Neilos ho kalabròs – Ho Bios tou hosiou Neilou tou Neou (910-1004), Introduzione, edizione critica del testo, traduzione, osservazioni sull’opera innografica del Santo, Edizioni del metochion Evanghelismou,  Ormidha, 1991. Cfr. Eleuterio F. Fortino, Un santo venerato dall’oriente e dall’occidente nello spirito dell’antica comunione, in “L’Osservatore Romano”, 26-27 agosto 1991.