Aggiornato il 13/01/2007 alle 17.04
Circolare gennaio 2008 198/2008
Sommario
I detti di Gesù
(56): Venite a me voi tutti affaticati e
oppressi ed io vi ristorerò........................ 1
ROMA: Il
Collegio di S. Atanasio tra le due guerre..................................................................... 2
MOLISE: Comunità
arbëreshe................................................................................................... 4
ROMA: 90°
Congregazione Orientale e 90° Pontificio Istituto Orientale (1917-2007)..................... 7
PIANA DEGLI
ALBANESI: 70° dell’Eparchia.......................................................................... 8
NAPOLI: Studi
sull’Europa Orientale......................................................................................... 8
TIRANA: Libri
d’arte delle banche............................................................................................ 9
GROTTAFERRATA E
S. COSMO ALBANESE: Calendari bizantini 2008................................. 9
ANTRODOCO: Il
pittore albanese Lin Delija............................................................................. 9
ROMA: Settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani 2008....................................................... 10
Epèktasis: “Essere
pienamente cristiani”.................................................................................. 11
Tà lòghia: I detti di Gesù (56): “Venite a me voi tutti che siete affaticati
e oppressi
ed io vi ristorerò” (Mt 11,28)
Gesù considera la gente del suo tempo come pecore senza pastore, o come popolo con guide
esigenti, legaliste, che scorgono la pagliuzza nell’occhio del prossimo, ma non
la trave nel proprio occhio. Rendono opprimente la stessa legge di Dio,
affaticano i fedeli. Inoltre queste guide del tardo giudaismo rinviano a vari
intermediari tra Dio e l’uomo, alla legge, ai profeti, alla tradizione e alle
tradizioni. Gesù indirizza coloro che lo ascoltano a se stesso come all’unico mediatore: “Venite
a me” (pròs mé), voi tutti affaticati
ed oppressi” (Mt 11,28).
Oppressi
da cosa? Affaticati perché? Si è pensato al peso generale della vita, alle sue
difficoltà, alle sue oscurità, alle sue angosce (Percy). Altri
hanno indicato il legalismo che al tempo di Gesù “imponeva una dura disciplina
morale agli uomini senza comunicare la gioia della salvezza” (Bonnard). Oltre a tutto questo S. Giovanni
Crisostomo aggiunge l’oppressione morale
del peccato. “Nulla appesantisce ed opprime l’anima tanto quanto la coscienza
del peccato; nulla le mette le ali e la solleva in alto così come il possesso
della giustizia e della virtù” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 38,3).
Gesù
invita a sé e libera: “Venite a me ed io vi ristorerò” (anapàvsō).
Questo verbo fa parte della terminologia apocalittica che comprende il riposo
assoluto, la pace intima con Dio. Ma nelle parole di Gesù la sua sequela,
l’andare a lui, ha effetto immediato, con riflessi diretti nella realtà presente,
attuale. Venendo a me “voi troverete riposo per le vostre anime, perchè il mio
giogo è dolce e il mio carico è leggero”(Mt 11,29). Gesù non annulla
l’osservanza della legge di Dio. Ma la vede e la presenta strettamente connessa alla salvezza, quindi alla gioia che
proviene dall’Alleanza con Dio, dalla comunione con Lui. L’osservanza delle
identiche norme della legge non appare più oppressione e pesantezza, ma diventa
espressione di amore e di dolcezza, di vita in comunione (Besa/Roma).
ROMA
IL COLLLEGIO DI S. ATANASIO
TRA LE DUE GUERRE
Continuiamo la
presentazione dello studio dell’Archimandrita ortodosso Evanghelos Yfantidis. In continuazione dal numero precedente
pubblichiamo la seconda parte del
capitolo su “I Padri Rettori e la loro direzione”:
II.
Rettorato del P.
Zimmermann
(1919 – 1927)
Il 1 Novembre 1919[1] si
potè finalmente giungere alla riapertura del Collegio Greco, ponendo fine così
allo stato anormale, in cui il medesimo si trovava fin dal 5 maggio 1915. Gli
alunni, trasferiti in differenti Collegi e Seminari, ebbero l'autorizzazione di
ritornare a Sant’Atanasio il detto giorno e ripresero la vita propria del
Collegio.
Prima della riapertura della casa atanasiana, aveva
avuto luogo un cambiamento importante, riguardo alla direzione del Collegio.
Con lettera del 16 giugno, il Cardinale Segretario dello stato Vaticano fece al
Procuratore Apostolico del Collegio la seguente comunicazione: «
Dall’anno scolastico 1912 –
L’Abate Primate, conformemente a questi ordini,
scrisse ai Superiori delle due Congregazioni benedettine in Italia, di Montecassino
e di Subiaco, ma tanto l’una quanto l’altra Congregazione rispose di non essere
in grado di accettare la direzione del Collegio Greco, per assenza di
personale.
Allora il Procuratore Apostolico si rivolse, col
permesso della Santa Sede, alla Congregazione belga, offrendole la carica
summenzionata.
Nel giugno dell’anno 1920[3], il
Padre Abate Presidente della Congregazione belga comunicò ufficialmente
all’Abate Primate che
Nell’anno scolastico 1919 – 1920[4] nel
Collegio abitava ancora Monsignor Papadopoulos, Assessore della Congregazione
per
Con la riapertura del Collegio erano state ordinate le
finanze del Collegio[5]. Sin
dall’anno 1897 provvedeva in gran parte al mantenimento del Collegio Greco
l’Ordine Benedettino e piuttosto il Collegio di Sant’Anselmo. Quell’obbligo fu
imposto all’Abate Primate Ildebrando de Hemptinne dal Papa Leone XIII, nel
suddetto anno 1897 ed allo stesso Pontefice fu assegnata la somma di un milione
di lire italiane in favore del Collegio di Sant’Anselmo. Considerati i
cambiamenti dei tempi e il rincaro dei viveri, l’obbligo di concorrere in gran
parte al mantenimento nel Collegio Greco doveva riuscire molto gravoso al
Collegio di Sant’Anselmo. L’Abate Primate espose al Papa la situazione
finanziaria del Collegio Greco, domandandogli di degnarsi a provvedere in
qualche altro modo ai gravi bisogni del medesimo. Benedetto XV risolvette le
difficoltà. Alle quattrocento mila lire che l’Abate Primate consegnava da parte
del Collego di Sant’Anselmo alla Santa Sede, in favore del Collegio Greco, il
Papa si degnò di aggiungere dal proprio altre quattrocento mila lire. Nel
medesimo tempo dichiarò “l’Ordine benedettino esonerato dall’obbligo imposto
dal Papa Leone XIII di provvedere al mantenimento del Collegio Greco”. La somma
d’ottocentomila lire fu deposta nella cassa dell’Amministrazione per le Opere
Pie di Religione, e Benedetto XV dispose che l’economo del Collegio Greco
ritirasse gli interessi annui di questo capitale, per erogarli per i bisogni
del predetto Collegio, insieme agli altri redditi di cui disponeva.
Nello stesso tempo fu introdotto per decisione
di Benedetto XV, un altro cambiamento di grande importanza nell’organizzazione
del Collegio: la soppressione degli alunni di ginnasio, in conseguenza della
fondazione del Seminario di Grottaferrata e di quello di Costantinopoli e della
riforma del Seminario Greco - Cattolico di Palermo. Da questi istituti
sarebbero dovuti poi arrivare i giovani nel Collegio di Sant’Atanasio per
compiere gli studi di filosofia e di teologia[6]. In
più,
In questo stesso anno, il Regolamento, compilato per
il Collegio nel 1912 dalla Sacra Congregazione Concistoriale ed approvato solo
“ad quinquennium”, considererete le circostanze, fu mantenuto provvisoriamente
in vigore per ordine del Cardinale Segretario della Congregazione per
Il P. Abate Presidente e gli altri Abati della Congregazione
belga dell’Ordine benedettino avevano, con lettera del giugno 1921[8],
accettato definitivamente la direzione del Collegio di Sant’Atanasio che dal novembre
del 1919 tenevano solo provvisoriamente “ad experimentum”.
Il 23 febbraio Monsignore Papadopoulos, il
quale abitava nel Collegio fin dalla chiamata al posto d’Assessore della Sacra
Congregazione pro Ecclesia Orientali, lasciò il Collegio per stabilirsi nel
nuovo appartamento in piazza Scossacavali. Lo studentato Mechitariato di
Venezia occupava ancora tutto il terzo piano del Collegio, con certi
inconvenienti materiali per il Collegio[9].
Nel settembre del 1921[10], il
P. Rettore fece un viaggio di tre settimane in Sicilia per visitare le colonie
albanesi, ivi esistenti, e per rendersi conto della situazione del clero greco
- cattolico.
Dopo diverse domande e numerosi passi, il Collegio
ottenne dal Ministero della guerra di essere iscritto sull’elenco dei Seminaristi
missionari, in modo che gli alunni italo – albanesi fossero dispensati dal
servizio militare durante gli anni di studio.
Durante l’anno scolastico 1921 - 1922[11] furono
fatte diverse riparazioni al Convento di San Nicola in Sabino Belmonte per affidarlo
ai Carabinieri di Rieti. Dopo che lo studentato Mechitarista ebbe lasciato in
ottobre il terzo piano del Collegio, che teneva in affitto da tre anni, il
Collegio aveva potuto di nuovo prendere possesso di questi locali, dei quali si
avvertiva un urgente bisogno a causa del crescente numero degli allievi.
Il P. Rettore del Collegio fece nel mese d’agosto un
piccolo viaggio nei paesi albanesi della Calabria, assistendo tra l’altro, il
giorno dell’Assunta, all’inaugurazione della nuova Cattedrale greco - cattolica
di Lungro.
L’anno scolastico successivo[12] fu
trascorso in piena regolarità, senza avvenimenti di maggior importanza.
Nell’anno scolastico 1924 - 1925[13] il
regolamento approvato dalla Congregazione per gli Orientali fu stampato e
distribuito a tutti gli alunni.
Il Papa, continuando in tutti i modi a
dimostrare la sua benevolenza verso il Collegio, si degnò di mandare a
Sant’Atanasio un magnifico ritratto, all’interno di una ricca cornice che da
allora ha preso il posto d’onore nel salone.
Viste le numerose difficoltà incontrate dai Padri
stessi nell’esercitare l’ufficio d’esattore, si tornò all’uso precedente,
affidando l’esattoria del Collegio a Filippo Bazonci, domiciliato vicino al
Collegio, Cassiere contabile alla Cassa di Risparmio.
Nei primi d’agosto dell’anno scolastico seguente[14]
iniziarono i lavori di restauro e di addattamento del Collegio. Il progetto fu
approvato dal Papa stesso, a cui lo aveva presentato il Procuratore Apostolico.
I finanziamenti dei lavori, secondo la volontà di Papa, furono ricavati della
vendita di alcuni fondi della cassa atanasiana. Lo scopo principale di questi
lavori fu di rivalorizzare certi locali del Collegio, da dare in affitto per
aumentare le rendite, e contemporaneamente di migliorare alcuni ambienti di
servizio.
Nell’anno scolastico 1925 - 1926[15] la
disposizione delle stanze della casa atanasiana fu finita. La cucina nuova
stava nel sottosuolo, con la dispensa, la cantina per il vino, il locale per i
combustibili e per la frutta. L’antica cucina e la sala da bagno furono riunite
per formare il nuovo refettorio. L’antico refettorio invece con la dispensa
vicina fu ridotto a locale affittato. L’antecucina diventò un piccolo
refettorio e camera da servizio. La dispensa contigua e l’antico refettorio piccolo
dovevano servire per il guardaroba, divenuto troppo piccolo in una sola camera.
Al mezzanino si ebbero due nuove camere nell’altezza della cucina che
prendeva due piani e si rese necessario la demolizione delle volte e dei soffitti,
siccome certi muri divisori salivano sino al primo piano. In quella parte c’era
precedentemente (1907) la cappella domestica. Ricostruita allora quest’ampia sala,
chiara e soleggiata, si pensò di conservarla piuttosto e di trasferirvi la
biblioteca, al momento divisa in tre camere. Mentre si prendevano così due
camere d’abitazione, se ne trovarono altre due, l’una al mezzanino e l’altra
chiudendo la porta di comunicazione tra le due camere cosiddette episcopali; furono
così rese indipendenti ed abitabili separatamente.
I lavori per la parte esteriore da trasformare in negozi d’affittarsi
stavano ancora al principio.
Durante l’anno scolastico 1926 - 1927
l’avvenimento di maggiore importanza fu il cambiamento nella direzione del
Collegio[16].
Il 13 dicembre il P. Rettore si assentò per alcuni
giorni per andare a Maredsous. Il 23 gennaio, Don Andrea Zimmermann diede agli
alunni la comunicazione della sua prossima partenza dal Collegio, col consenso
della Santa Sede. Egli aveva servito il Collegio più di nove anni, in qualità
d’Economo dall’anno 1912 – 1914 e poi da Rettore dall’ottobre 1919 sino alla partenza[17].
Il 4 giugno, giunse da Maredsous il Padre Abate Don
Celestino Golenvaux e con lui il nuovo Rettore del Collegio, nella persona del
P. Odilone Benedetto Golenvaux, il quale il 1° giugno fu ricevuto in udienza
privata dal Papa e dopo fu solennemente introdotto nel Collegio e presentato ai
Padri Superiori ed agli alunni dal Procuratore Apostolico. Dopo la cerimonia
tutti andarono in cappella per le preghiere di ringraziamento. Il 15 agosto il
nuovo P. Rettore celebrò per la prima volta la divina liturgia nel rito greco –
bizantino (Besa/Roma).
MOLISE
COMUNITA’
ARBERESHE
Dopo aver
presentato, nel numero precedente, uno
sguardo d’insieme delle 4 Comunità arbëreshe del Molise, riportiamo la
presentazione di 3 delle 4 Comunità, sempre a cura di Antonio Libertucci. Nel prossimo numero pubblicheremo quella della quarta comunità: Montecilfone
URURI / RUR-RURI
Il
paese è posto sulla dorsale del versante orientale dell’Appennino Sannita, a ridosso
di un’amena collina digradante verso il mare Adriatico.
Mite
è il clima, salubre l’aria.
“Aurora
(è il nome latino di Ururi) … quae in aprico sane solo posita respiciens
propinquas Adriatici oras” scrive Mons.
Il
toponimo ebbe vari cambiamenti nel corso dei secoli: Aurole, Aurora, Ororio,
Doruzi e finalmente Ururi dal sec. XVIII ad oggi.
Le
prime notizie del Casale di Ururi in epoca medioevale, le troviamo in un
manipolo di documenti che risalgono al 1026, 1052 e 1059 (19) e al 1075 (20);
per la storia della comunità arbëreshe è invece da segnalare il Capitolato
stipulato il 4 marzo del 1540 tra i rappresentanti del Casale di Ururi e il
Vescovo di Larino, barone del feudo; molto interessante è poi l’ “Inventario
dei beni e dei pesi della chiesa di Santa Venera nella Terra di Ururi, diocesi
di Larino, fatto da Don Lorenzo Colavita nell’anno
La
struttura dell’agglomerato urbano, privo peraltro di ogni difesa muraria,
“segno di un gruppo sociale povero, senza granché da difendere” (21), anche se
nel tempo è stata oggetto di frequenti ripensamenti e rifacimenti, si presenta
in maniera abbastanza ordinata: strade larghe e lineari, ampi spazi di piazze e
piazzette; il nucleo più antico è rappresentato dal caseggiato sorto intorno
all’antica chiesa madre intitolata a Santa Maria del Vento con l’abside rivolta
ad Oriente, secondo una tradizione che rimonta ai primi tempi del cristianesimo
(“apostolos iussisse ut ecclesiae christianorum orientem spectarent” S. Atanasio,
IV secolo).
L’attuale
chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria delle Grazie, è stata consacrata il
10 settembre 1730 dopo lunghi anni di lavori che ebbero inizio nel 1718. Oltre
alla chiesa madre esiste in paese anche un’altra chiesa recentemente
ricostruita dalle fondamenta, intitolata alla SS. Trinità. Di una chiesetta
situata fuori dell’abitato dedicata a Santa Venera costruita dai primi
arbëreshë giunti in Terra di Ururi, esisteva fino a qualche tempo fa ancora
qualche traccia dell’antica costruzione. Gli Arbëreshë giunsero nel feudo di
Ururi, secondo una verosimile ricostruzione storica, nell’autunno del 1468; era
l’anno della morte di Skanderbeg (18 gennaio 1468).
Ogni
anno, il 3 maggio, si svolge la tradizionale corsa dei carri trainati da buoi
in onore del patrono della Comunità: il Santo Legno della Croce, del quale si
conserva una reliquia custodita in una teca d’argento.
La
corsa, di origini molto antiche, è intensamente sentita in paese e richiama
molta gente da ogni parte del Molise.
E’
vivamente ricordato nella piccola storia di Ururi, l’episodio della strage dei
Vardarelli: una masnada di banditi che infestavano le contrade della Regione;
venne sterminata proprio nella piazza principale del paese, nella mattinata
dell’8 aprile 1818 (22). L’avvenimento dalle motivazioni storiche non molto
chiare viene tramandato dall’immaginario collettivo avvolto in un alone di
leggenda.
In
questi ultimi tempi si è attivato in paese, come anche nelle altre comunità
arbëreshe del Molise, un processo che tende, a livello individuale o di gruppo,
attraverso iniziative varie (studi, ricerche, pubblicazioni), alla
riscoperta della proprie radici
storiche e alla tutela della propria
identità linguistica e culturale.
Già
negli anni sessanta si pubblicavano a Ururi due periodici “Gjuha jone e bukur”
e “Gjellë”, nati per l’iniziativa di due ben noti cultori della parlata arbëreshe
di Ururi: il compianto Giovanni Jannacci e l’instancabile Luis de Rosa.
Ebbero
breve durata, è vero, ma entrambe le pubblicazioni diedero un segnale forte di
risveglio. Oggi due nuove testate “Kumbora” di Luigi de Rosa e “Il Girone”
prodotto da un’associazione di giovani, si propongono come sostenitori della
conservazione della lingua e delle tradizioni popolari.
La
chiesetta di campagna, rustica e disadorna, rappresentata nello stemma del
Comune di Ururi, raffigura, in forma stilizzata, la chiesetta racchiusa nel
sigillo apposto sulle carte del Catasto onciario della Terra di Ururi dell’anno
1743 (23).
CAMPOMARINO / KËMARIN – KËMARINI
La
cittadina si stende su un ameno poggio, lungo le rive del Mare Adriatico.
Recenti
ricerche archeologiche hanno portato alla luce nella vicina località della
Difensola (contrada conosciuta anche con il nome di “Giardini”), reperti di insediamento
umano di origine pleistocenica fiorente nel periodo IX/VIII secolo a.C. (24).
Il
tracciato planimetrico del borgo rivela una struttura edilizia non conclusa
rispetto al borgo di primo impianto, e si apre ad un reticolo di strade che
scendono verso il mare.
Il
paese ha origini medioevali; risulta citato sia nella sentenza del Cardinal
Lombardi sui confini della Diocesi di Larino (1175), sia nelle Bolle di Lucio
III (1181) e di Innocenzo IV (1254): “ … Campum Marinum quod est feudus unius
militis et dimidii”.
Rimasto
desolato e disabitato per lungo tempo, il borgo fu ripopolato nell’ultimo
decennio del XV secolo dagli Albanesi accolti nel Molise grazie ai buoni uffici
di Mons. Antonio De Misseriis.
Lungo
il corso dei secoli successivi, il feudo baronale passò più volte di mano: da
Andrea di Capua, Orazio Marullo, a Scipione di Sangro. Baroni inquieti e
ribelli, sempre in lotta tra loro spinti dalla cupidigia e dalla sete di
potere.
E’
oggi un centro balneare di rilievo nella costa molisana, dotato di comodi alberghi,
campeggi e centri di vacanza. La cittadina, animata da sempre nuove iniziative
e originali richiami culturali, è proiettata verso un sicuro sviluppo economico
e sociale.
La
patrona del paese è Santa Cristina, la cui festa ricorre il 24 luglio; la chiesa
madre, di stile romanico-gotico, con non pochi segni di mano bizantina, è dedicata
a Santa Maria a Mare.
Esistono
ancora ruderi di un’antica cappella intitolata ai Santi Pietro e Paolo.
Nel
passato, tra i paesi Arbëreshë del Molise, è stato quello che più tenacemente e
più a lungo ha resistito alla decisione dei vescovi latini di abolire il rito
greco-bizantino, prima di accettarne la soppressione definitiva.
Oggi,
più che ogni altro paese arbëresh del Molise, Campomarino avverte il problema
della decadenza dell’identità linguistica, sente il rischio della omologazione.
Il declino della parlata arbëreshe in questi ultimi decenni, infatti, va
sensibilmente manifestandosi e suscita nella parte più attenta della comunità
un preoccupante disorientamento.
PORTOCANNONE /PORKANUN – PORKANUNI
Il
paese sorge sulle pendici di una lieve collina, a
Gode
di un vasto panorama che spazia dal Gargano alle Isole Tremiti, dalla valle del
Biferno fino alle splendide vette della Majella.
L’origine
del toponimo, prima del definitivo Portocannone, ancora oggi divide gli
studiosi: da Portus Cantorum a Portus Candunum, da Portus Candoni a Portus Candora
e a Portus Cannonis.
Il
primo agglomerato abitativo era situato in località Castelli, ove oggi sorge il
cimitero comunale; dopo il terremoto del 1456 è passato come “casale” alle dipendenze
di Guglionesi. Con l’arrivo degli arbëreshë il paese fu ricostruito in una zona
poco distante dal borgo primitivo.
Portocannone
fu feudo dapprima di Angelo Castiglione e della moglie Caterina Bellery (25),
poi passò ai duchi di Celenza e infine a Carlo Diego Cini che nel 1753 costruì
l’imponente palazzo baronale, oggi palazzo Tanasso.
La
chiesa parrocchiale è dedicata ai santi Pietro e Paolo, costruita nel XVI
secolo e più volte ritoccata per successivi ampliamenti. Vi è custodita la
bella immagine della Madonna di Costantinopoli, patrona del paese, la cui festa
è celebrata il primo martedì successivo la domenica di Pentecoste.
La
festa è preceduta (lunedì di Pentecoste) dalla tradizionale corsa dei carri che
si conclude con l’affidamento al carro vincente del quadro della Madonna di
Costantinopoli da portare in solenne processione il giorno dopo (martedì di
Pentecoste) per la festa liturgica.
Anche
a Portocannone, come negli altri paesi arbëreshë del Molise, si osservò il rito
greco-bizantino fino alla sua soppressione avvenuta negli ultimi anni del XVII
secolo.
Portocannone
è gemellata con la città di Kruja, città natale di Giorgio Castriota Skanderbeg
al quale è intitolata la piazza maggiore del paese.
Per
maggiore conoscenza degli usi, dei costumi e delle tradizioni popolari di
Portocannone è indispensabile consultare l’interessante volume di Michele
Flocco (26). Per una più vasta bibliografia sulle Comunità albanofone presenti
nel Molise, oltre alle opere citate nelle note, si segnalano:
1. La “Rassegna
bibliografica arbëreshe” curata da Ginetta Calascione e Mauro Spagnoletti,
pubblicata, con il patrocinio della Provincia di Campobasso e del Comune di
Portocannone, nel 1999;
2. “Per una bibliografia
ragionata” curata dal Guido Vincelli, in Samnium 9.XLV, n. 1-2, 1972;
3. “Rassegna
bibliografica molisana” a cura di Giorgio Palmieri e Antonio Santoriello,
per conto dell’Istituto Regionale per gli Studi storici del Molise “Vincenzo
Cuoco”, 2001 (Besa/Roma).
Note
19. Gattola E., Historia cassinensis, 1723; Libertucci,
A., Santa Maria in Aurole, 1994.
20. Tria G. A., Memorie storiche civili ed ecclesiastiche della
città e diocesi di Larino, 1744.
21. Fadda M., Chiesa e castello, Venafro 1995.
22. Sull’argomento dei briganti Vardarelli esiste
una vasta bibliografia; se ne indicano le pubblicazioni più importanti:
Lucarelli A., Il brigantaggio politico
del Mezzogiorno d’Italia, Milano, Longanesi 1968; Monti M., I briganti italiani, Milano, Longanesi
1959; Barra F., Cronache del brigantaggio
meridionale 1806-1815, S.E.M. Salerno 1981; Rondini E., I briganti celebri italiani, Firenze
1890; Manhés A. e McFarlan R., Brigantaggio,
Napoli 1931; De Matteo G., Brigantaggio e
Risorgimento, Napoli 2000; Trotta L. A., Della vita e delle opere di Domenico Trotta e dei suoi tempi nella
provincia di Molise, 1881.
23. Archivio di Stato di Napoli, Arch. R. Camera
Somm., vol. 7707/1-731.
24. Gravina A. – Di Giulio R., Abitato protostorico presso Campomarino in
località Difensola, 1982.
25. Masciotta G, Il
Molise, vol. IV, 1952 (ristampa
1985);
26. Flocco M., Studio su Portocannone e gli Albanesi in Italia,
1985; Musacchio G., Portocannone e la sua
memoria storica nel contesto della diaspora albanese, 1997.
ROMA
90° CONGREGAZIONE ORIENTALE
90° PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE
1917-2007
Nel 2007 è
stato celebrato il 90° anniversario di due Istituzioni di Papa Benedetto XV,
Domanda:
Nelle celebrazioni del 90° della Congregazione
per le Chiese Orientali s’inseriscono i novanta anni dalla fondazione del
Pontificio Istituto Orientale istituiti come sono ambedue da Benedetto XV nel
1917. Che ruolo svolgono attualmente all’interno della Chiesa?
Risposta: Papa Benedetto XV, nel maggio del 1917, istituì
Domanda:
Benedetto XVI vi chiede di porvi accanto
alle Chiese orientali per promuovere il cammino ecumenico nel rispetto delle
prerogative e responsabilità specifiche. In questo senso, quali iniziative
avete in progetto come Congregazione e che ruolo può svolgere il Pontificio
Istituto Orientale?
Risposta: In quella
circostanza Benedetto XVI mi ha chiamato al compito di prefetto del dicastero
ed ha proferito indimenticabili parole sull’identità e sulla missione delle
Chiese orientali. Il Papa ci ha invitati ad accompagnarlo nel “pellegrinaggio
al cuore dell’oriente” per consentire alla Chiesa di abbeverarsi alla sorgente
delle “origini”, senza le quali non c’è futuro. Ha sottolineato l’irreversibilità della scelta ecumenica
operata dal Concilio Ecumenico Vaticano II e la ineludibilità dell’incontro interreligioso. Ed ha subito citato il
Pontificio Istituto Orientale per l’insostituibile
e qualificato servizio ecclesiale offerto in questa direzione. Ricordo bene
i due aggettivi: insostituibile e qualificato. Ho letto in essi una eco della
priorità della formazione che sta a cuore al Papa e alla Congregazione. Essa è
perseguita in Roma attraverso l’Istituto Orientale, con le due facoltà di
scienze ecclesiastiche orientali e diritto canonico orientale, e i diversi
pontifici collegi dove gli studenti orientali completano la preparazione a
livello spirituale e comunitario.
Nei
territori orientali, tale priorità è riaffermata nell’appoggio ai seminari e
alle altre istituzioni educative. Siamo fiduciosi nella ordinaria e seria cura
della formazione per tutte le categorie del popolo di Dio, e specialmente dei
formatori. Una cura attenta alla dimensione ecumenica ed interreligiosa, ma
sempre fedele alla tradizione orientale e ben inserita nell’unica Chiesa,
grazie al legame col successore di Pietro, che costituisce il vanto
ecclesiologico degli orientali cattolici.
Domanda:
Benedetto XVI ha chiesto uno sforzo
intelligente per affrontare il fenomeno delle migrazioni, che priva di risorse
le comunità d’origine e crea problemi di integrazione e di accoglienza. Che può
fare
Risposta: Questa è
l’autentica sfida del presente. Ne siamo preoccupati insieme al Papa. Le
persone sradicate dalle tradizioni di origine rischiano di perdere i profondi valori
religiosi che reggono la vita individuale e comunitaria.
Sostiene
i vescovi e i presbiteri delle diverse Chiese incaricati in tale ambito e favorisce
la creazione di strutture che consentano la pastorale nei riti di appartenenza.
Ma
si impegna, altresì, a sensibilizzare l’intera comunità cattolica perché, pur
nella doverosa prudenza, sia accogliente e capace di coinvolgere le pubbliche
istituzioni.
Nell’affrontare
il problema, esse affondano nella mancanza di pace, per la quale soffrono
pesantemente vaste regioni orientali (Besa/Roma).
PIANA DEGLI ALBANESI
70° DELL’EPARCHIA
Riportiamo una
nota sul 70° dell’Eparchia di Piana degli Albanesi che abbiamo chiesto all’archimandrita p. Antonino Paratore:
Il 26 ottobre 2007, giorno della memoria di S. Demetrio
Megalomartire di Tessalonica, patrono della diocesi di Piana degli Albanesi,
ricorre la fondazione del 70° anniversario della fondazione dell’eparchia voluta
da Pio XI.
Con solenne pontificale celebrato nella cattedrale della
diocesi alla presenza del Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali,
l’eminentissimo cardinale Leonardo Sandri accompagnato dal segretario, mons.
Maurizio Malvestiti, sono iniziate le manifestazioni della fausta ricorrenza.
Il Prefetto è stato accolto da S. Ecc.za mons.Sotir
Ferrara, dal clero, le religiose/i, i seminaristi del Seminario Minore, dal
popolo di Dio e dalle autorità civili e militari.
Dalla chiesa adiacente all’episcopio, dedicata a S.
Nicola di Mira, nella quale si custodisce la preziosa iconostasi della scuola
cretese, si è snodata la processione tra i saluti e il canto del “Benedetto
colui che viene nel nome del Signore”, per arrivare in cattedrale, già gremita
di fedeli.
Dopo il canto del Ton
Despòstin, l’eparca, mons. Sotir Ferrara ha rivolto al Prefetto un saluto
toccante e denso di significato. Così, si esprimeva il presule: "E' una grande gioia festeggiare insieme a
lei l’odierna solenne memoria, e la sua presenza sottolinea anche la presenza
del Santo Padre: lei ci porta la sua benedizione e siamo lieti di questo. Da
sei secoli il nostro popolo ha sempre venerato la figura del Santo Padre. Il
modo di essere cristiani orientali che hanno saputo ben sposare la presenza
dell'altro rito occidentale, il rito latino, che parte della nostra popolazione
segue, è testimoniato - ha aggiunto mons. Ferrara - dall'unico presbiterio di entrambi i riti che oggi concelebra
In segno di gratitudine e fraternità, il vescovo di
Piana ha donato all’em.mo Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali
un encòlpio, con impressa l’immagine
della Madre Dio.
Alla Divina Liturgia, presieduta dall’eparca, erano
presenti tutti i presbiteri della diocesi.
L’omelia è stata proferita dal card. Sandri, che ha
evidenziato le virtù cristiane del grande megalomartire Demetrio e l’attualità
del Santo, nonostante la distanza dei secoli trascorsi. “Anche oggi, diceva il porporato,
le nostre Chiese locali hanno bisogno di
nuovi Demetrio che annuncino senza riserve e paura il kerigma del Vangelo.
Ed aggiungeva: “Il ruolo dell’unicum
dell’eparchia di Piana è segno dell’unità della Chiesa indivisa ”.
Erano presenti alla cerimonia, anche l’arcivescovo di
Palermo, S.E. mons. Paolo Romeo ed il Segretario Generale del Governatorato
della Città del Vaticano, l’ecc.mo mons. Renato Boccardo, nonché i primi cittadini
di tutti i paesi italo-albanesi di Sicilia.
Alla fine del solenne pontificale, i fedeli, con grande
gioia hanno voluto salutare, con spirito di devozione e spontaneità, il
Prefetto, chiedendo la sua benedizione.
Si sono vissuti momenti di autentica agape fraterna
tra il clero, l’eparca e gli illustri ospiti.
Nella serata della stessa giornata, presso il Palazzo
Bonaccori, adiacente alla chiesa di San Nicolò dei Greci, in Palermo, è stata
inaugurata una mostra di oggetti sacri della tradizione romana e bizantina, allestita
con la partecipazione dell’arcidiocesi di Palermo e di Monreale e dell’eparchia
di Piana degli Albanesi.
Inoltre, l’indomani, il 27 ottobre, nella con-cattedrale
dell’eparchia, nella Martorana a Palermo, mons. Aldo Giordano Segretario
Generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha tenuto una conferenza
su “Il dialogo ecumenico in Europa: Dalla
prima Assemblea alla terza Assemblea Ecumenica Europea” (Sibiu 2007), alla
quale ha partecipato un buon numero di gente (Besa/Roma).
NAPOLI
STUDI
SULL’EUROPA ORIENTALE
Una
poderosa silloge di studi, ricca e varia, su tematiche riguardanti l’Europa
Orientale (storia, linguistica, letteratura) è stata pubblicata dal
Dipartimento di studi dell’Europa Orientale dell’Università degli studi di
Napoli “L’Orientale” come omaggio ad A.Bongo, G. Carageani, C. Nikas e A. Wilkon,
docenti che giungono al termine del loro insegnamento accademico (Studi sull’Europa Orientale, a cura di
I. C. Fortino e E. Çali, Napoli 2007, pp. 590).
Dei
quattro studiosi a cui è dedicato il volume il curatore nella presentazione ha
scritto: “Tutti e quattro impersonano un aspetto importante dell’attività
scientifica e didattica, oltre che più in generale culturale”. Inoltre essi
“hanno saputo coniugare ricerca scientifica, didattica e impegno politico-culturale.
La
stessa estrazione della maggior parte di loro si pone opportunamente nel quadro
del dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, una struttura che fin dagli
anni della guerra fredda ha saputo dedicare la dovuta attenzione a quanto
accadeva al di là della Cortina” (I. C. Fortino).
Georghe Carageani (Bucarest, 1939), esule dalla Romania totalitaria, ha
svolto ricerche che interessavano un’area balcanica molto più ampia della
Romania. Tra l’altro ha studiato i caratteri linguistici e culturali degli
Aromeni.
Costantino Nicas (Kiaton, Grecia, 1935), è diventato “punto di riferimento
della grecità in Italia, tanto di quella scientifica che di quella culturale,
ivi compresa la propaggine grecanica di Calabria, che ci riporta assai indietro
nel tempo, forse fino al periodo dell’antica Magna Grecia”.
Alexander Wilkon (Wieliczka, Polonia, 1935), personifica lo scienziato
moderno “che abbraccia Europa Orientale e Europa Occidentale, in un percorso
che collega l’Università Jagellonica di Cracovia,
Angelo Bongo (Benevento, 1942), italiano, ma con solida formazione
culturale russa. Con il suo costante impegno nella didattica della lingua
russa, egli “è diventato per il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale una
vera e propria istituzione”.
Gli
interessi di questo Dipartimento si
estendono a 14 realtà politico-culturali: Paesi: Albania, Bulgaria, Croazia,
Grecia, Finlandia, Macedonia, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca,
Repubblica Slovena, Romania, Russia, Serbia, Ungheria. Gli studi presenti nel
volume si indirizzano particolarmente alle discipline insegnate dai quattro
festeggiati. Ne segnaliamo alcuni più vicini ai nostri interessi:
Edmond Çali, Motivi biblici in Rruga
e Golgotës di Kasëm Trebeshina, pp. 47-90;
Italo Costante Fortino, Letteratura italiana in albanese. Percorsi e
osservazioni, pp. 157-180;
Addolorata Landi, A proposito dell’albanese “dhelpëroj”, pp. 225-237;
Merita Sauku-Bruci, Botimet kritike në Shqipëri misioni i papëmbushur i
filologjisë shqipe, pp. 403-416;
Riccardo Maisano, tradizione in lingua greca e latina della pericope
della Trasfigurazione, pp. 261- 272;
Vincenzo Rotolo, L’insegnamento del greco moderno nell’Università di
Palermo, pp. 391-402;
Giorgia Riela, Il Peloponneso nel Viaggio in Grecia di Saverio Scrofani,
pp. 363-390;
Ion Pop, Intertestualità e postmoderno: il modello di I. L.
Caragiale e la generazione letteraria romena degli anni ’80, pp. 339- 362;
Cesare Alzati, Identità romena e dimensione imperiale nell’età dei
lumi: Blaj da residenza episcopale a “Piccola Roma”, pp. 15- 28;
Lucia Tonini, L’arte russa e l’Italia: tracce di ricerca sul
rapporto con Firenze all’inizio del XIX secolo, pp. 519- 534. L’insieme della
miscellanea è aperta alle nuove problematiche sollevate dall’integrazione europea
in corso. La problematica emerge dalla stessa presentazione del volume: “Il
processo di avvicinamento delle nazioni dell’Europa orientale all’Unione
Europea richiama l’attenzione degli studiosi. Se il processo di integrazione
avviene senza un processo razionale e senza il dovuto rispetto delle identità
culturali, economiche e sociali, si affaccia il rischio di un mescolamento di realtà
che non possono che trasformare l’incontro
in scontro” (Besa/Roma).
TIRANA
LIBRI D’ARTE DELLE BANCHE
Una
iniziativa particolare in corso è quella di rafforzare il rapporto fra il mondo
dell’economia e la cultura. Di solito le grandi banche pubblicano libri
d’arte di alto pregio e rarità. La loro
consultazione rimane difficile al grande pubblico. Per renderla possibile dal
1991 è stata organizzata una mostra itinerante che da Berna si è estesa di anno
in anno a vari paesi con oltre 50 tappe. Quest’anno è giunta in Albania. Sotto
il titolo “I nuovi mecenati” la
mostra si è tenuta a Tirana, organizzata dall’ABI (Associazione Bancaria
Italiana), dall’Ambasciata d’Italia a Tirana, dalla Galleria Nazionale delle
Arti di Albania e la “Dante Alighieri” di Tirana (Besa/Roma).
GROTTAFERRATA E S. COSMO ALBANESE
CALENDARI
BIZANTINI 2008
Sono
regolarmente apparsi due calendari bizantini, quello della badia greca di
Grottaferrata e quello del santuario dei Santi Cosma e Damiano di S. Cosmo Albanese
nell’eparchia di Lungro. Entrambi riportano anche il calendario romano. Il calendario
di Grottaferrata è illustrato con riproduzioni degli stendardi realizzati nel
1904 dai fratelli Varoukas per il IX centenario della morte di S. Nilo. Il calendario
di S. Cosmo, curato dal parroco papàs Pietro Minisci, è illustrato con riproduzione
degli affreschi bizantini del santuario e con immagini della vita della locale
parrocchia (Besa/Roma).
ANTRODOCO
IL PITTORE ALBANESE LIN DELIJA
Nel
Museo della Città di Antrodoco si trovano molte opere di Lin Delija (1926-1994),
noto pittore albanese, che ha trascorso gli ultimi anni in questa cittadina. Vi
è pure una Associazione che porta il suo nome. Di recente il vicepresidente
Armando Nicoletti ha donato alla città di Detroit, dove vive una consistente
comunità cattolica albanese, un ritratto del grande poeta Gjergj Fihsta,
francescano di Scutari. Opere del Delija si trovano in vari Musei del mondo, come
nella raccolta di arte moderna dei Musei Vaticani (Besa/Roma).
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI
CRISTIANI
18-25 gennaio 2008
“Fratelli, vi prego [...] vivete in pace tra voi. Vi
esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi,
sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi di rendere male per
male ad alcuno, ma cercate sempre di fare il bene tra voi e con tutti. Siate
sempre lieti. Pregate incessantemente, e in ogni cosa rendete grazie. Questa è infatti
la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”(1 Ts
5, 12a.13b-18)
PRIMO GIORNO: Pregate sempre
Pregate continuamente” (1 Ts 5, 17)
Isaia 55, 6-9: Cercate il
Signore, ora che si fa trovare
Salmo 34(33): Ho cercato il
Signore e m’ha risposto
1 Ts 5, 12a.13b-18: Pregate continuamente
Luca 18, 1-8: Pregare sempre,
senza stancarsi mai
SECONDO GIORNO: Pregate confidando in Dio
“In ogni tempo
ringraziate il Signore” (1 Ts 5, 18)
1 Re 18, 20-40: Signore
è Dio! È Lui il vero Dio!
Salmo 23(22): Il Signore è il
mio pastore
1 Ts 5, 12a.13b-18: In ogni
circostanza ringraziate Dio
Giovanni 11,17-44: Padre, ti ringrazio, mi hai ascoltato
TERZO GIORNO: Pregate
per la conversione
“Rimproverate quelli che vivono male; incoraggiate i
paurosi” (1 Ts 5, 14)
Giona 3, 1-10: Il
pentimento di Ninive
Salmo 51(50), 10-17: Crea in me, o Dio, un cuore puro
1 Ts 5, 12a.13b-18:
Incoraggiate i paurosi
Marco 11, 15-17: Casa di preghiera
QUARTO GIORNO: Pregate
per la giustizia
“Non vendicatevi contro chi vi fa del male (1 Ts 5,
15)
Esodo 3, 1-12: Dio ascolta il lamento degli Israeliti
Salmo 146(145): Il Signore difende i perseguitati
1 Ts 5, 12a.13b-18: Non
vendicatevi
Matteo 5, 38-42: contro chi
vi fa del male
QUINTO GIORNO: Pregate
con cuore paziente
“Siate
pazienti con tutti” (1 Ts 5, 14)
Esodo 17, 1-4: Perché?
Salmo 1:
Darà frutto a suo tempo
1 Ts 5, 12a.13b-18: Siate pazienti con tutti
Luca 18, 9-14: Una preghiera umile
SESTO GIORNO: Pregate di lavorare con Dio
“Siate sempre lieti”…..(1 Ts 5, 16-17)
2 Samuele 7, 18-29: Davide
ringrazia il Signore
Salmo 86(85): Tendi
l’orecchio, Signore!
1 Ts 5, 12a.13b-18: Siate
sempre lieti
Luca 10, 1-24: Gesù manda altri
settantadue discepoli
SETTIMO GIORNO: Pregate per le necessità
“Aiutate i deboli” (1 Ts 5, 14)
1 Samuele 1, 9-20: Anna prega
per avere un figlio
Salmo 86(85): Non
respingere la mia supplica
1 Ts 5, 12a.13b-18: Aiutate
i deboli
Luca 11, 5-13: Chiedete
e riceverete!
OTTAVO
GIORNO: Che tutti siano uno
“Vivete in pace” (1 Ts 5, 13b)
Isaia 11, 6-13 : Lupi e agnelli
vivranno insieme e in pace
Salmo 122(121): Pace entro le tue mura
1 Ts 5, 12a.13b-18: Vivete in
pace tra voi
Giovanni 17, 6-24: Che siano
tutti una cosa sola
*****
In quest’anno 2008
cade il centenario dell’inizio della prassi di pregare regolarmente per l’unità
dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un
ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society
of the Atonement (Comunità dei Frati e delle Suore dell’Atonement) a Graymoor
(Garrison, New York). In seguito egli ha
aderito alla Chiesa cattolica e la sua iniziativa continua fino ai nostri
giorni. A Roma
Proprio per
commemorare questo avvenimento il Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell’Atonement di
Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti
del Consiglio Ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente
prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero.
Dal 1908 la prassi
della preghiera per l’unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella
sua impostazione e nella divulgazione nel mondo e nella sua stessa titolazione da
“Ottavario per l’unità
della Chiesa”(data da Wattson) in “Settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani” (data dall’Abbé
Paul Couturier,1936). Il gruppo locale degli Usa ha proposto il tema:”Pregate continuamente” per l’unità dei
cristiani. Sembra accogliere la ripetuta domanda del diacono nella Chiesa
bizantina: “Ancora e ancora preghiamo in
pace il Signore!” (Besa/Roma).
81
EPÈKTASIS: ESSERE
PIENAMENTE CRISTIANI
L’epèktasis, la tensione
permanente verso la perfezione, è inerente all’essere stesso cristiano. S. Gregorio
di Nissa nel suo opuscolo sulla “Professione cristiana”
pone la domanda; “Cosa è la professione cristiana”? Nel senso: “Che significa essere cristiano? Cosa
comporta dichiararsi cristiano”? Egli
stesso ne descrive l’importanza. “Se si trovasse l’esatto significato di questo
termine, ne ricaveremmo un grande aiuto nella nostra vita virtuosa. Giacché
mediante un’elevata condotta di vita cercheremmo di essere veramente quello che
il nostro nome (cristiano) vuole esprimere (Fine, professione e perfezione del cristiano, Città Nuova Editrice, Roma 1979, p. 66). La coerenza
nel dichiarasi cristiano implica la realizzazione delle esigenze evangeliche
della vocazione ad essere perfetti.
1.
“Unendoci a Cristo tramite la fede che abbiamo in lui prendiamo lo stesso
nome”. E aggiunge: “Per esprimere con una definizione il concetto di essere
cristiano, diremo che il cristianesimo consiste nell’imitazione della natura
divina” (Ibidem, p. 70). Il cristiano
partecipa alla natura e alla vita divina. Il Nisseno ricorda il racconto
biblico della creazione dell’uomo a immagine di Dio che parafrasa in questi
termini: “La primitiva conformazione dell’uomo imitava infatti la somiglianza a
Dio”. Quindi ne trae il significato della redenzione in Cristo: “La professione
cristiana consiste nel far ritornare l’uomo alla primitiva condizione fortunata”
(Ibidem p. 71). Il Nisseno giustifica
questa visione quasi in risposta a qualche opinione contraria. Egli dichiara
che l’affermazione “che il cristianesimo è una imitazione della natura divina” non
è “una definizione priva di senso” (Ibidem
p. 71). L’obiezione sembra potersi formulare cosi: come sia possibile che
la natura terrena diventi simile a Colui che è nei cieli. Il Nisseno precisa
che non si tratta di “paragonare tra loro le due nature” l’umana e la divina,
quando proprio la differenza tra le due nature mostra l’impossibilità
dell’imitazione. Ma si tratta “di imitare nella nostra vita, per quanto è
possibile, le buone azioni di Dio” (Ibidem
p. 73) come l’amore gratuito, la giustizia, la misericordia.
2.
L’allontanamento da pratiche viziose e la purificazione del pensiero e delle
opere “rappresentano la vera imitazione della perfezione del Dio celeste”. A
questo proposito cita e commenta il consiglio di Gesù: “Siate perfetti come
perfetto è il Padre vostro celeste” (Mt
5,48). Coloro che sono rigenerati tramite il Figlio e inseriti in lui, si avvicinino
ai doni perfetti che si contemplano in Dio Padre. “Il Signore, ordinandoci di
imitare il Padre celeste, ci richiede di purificarci dalle passioni terrene; da
esse ci possiamo allontanare non spostandoci da un posto all’altro, ma soltanto
con la nostra volontà” (Fine, professione
e perfezione del cristiano, Città Nuova Editrice, Roma 1979, p. 74).
L’aggettivo celeste non indica un luogo, ma una qualità, l’appartenenza a Dio.
Il Padre nostro celeste è Dio stesso. Nella medesima linea di pensiero il
Nisseno qui cita un altro versetto del Vangelo di Matteo: “Accumulatevi dei
tesori nel Cielo, dove né ruggine né tignola consumano e dove i ladri non
sfondano né rubano” (Mt 6,19). Occorre
accumulare tesori davanti a Dio, in cielo, dove non possono essere corrotti o
rubati. “Con queste parole – commenta il Nisseno – il Signore mostra che nella
vita superiore non alberga nessuna forza capace di distruggere la beatitudine”
(Ibidem p, 75). Questi tesori celesti
sono tutti quegli atti del cristiano che imitano il modo di agire di Dio stesso,
sono partecipazione alla vita divina, e quindi a Dio graditi e da Dio
garantiti.
3.
“Accumulatevi” tesori in cielo. Continuate a far crescere le vostre virtù che
vi rendono simili a Dio. L’imitazione delle qualità divine vi trasformerà, vi
trasfigurerà, vi renderà “a somiglianza di Dio”. Bisogna passare dalle condizioni
terrestri a quelle celesti, cioè divine. Il Nisseno cita e utilizza nel suo
pensiero l’Apostolo Paolo dove dice: “Non adeguatevi a questo secolo, ma
trasformatevi rinnovando la vostra mente, fino a considerare quella che è la
volontà buona, accettabile e perfetta di Dio” (Rom 12,2). In questo processo di trasfigurazione non vi è alcun termine
perché “la divinità è una cosa ineffabile ed incomprensibile e trascende ogni
pensiero conoscitivo” (Ibidem, p. 68). La meta indicata da Dio è posta in un
orizzonte reale, ma lontano: lo sforzo di raggiungerlo non deve arrestarsi. Il
Nisseno lo descrive in questo modo: “La natura dei suoi doni è tale che non può
né essere concepita dal pensiero, né spiegata con le parole. A proposito di
essi
4.
L’essere cristiano indica la vocazione a trasformare se stesso per imitare
Cristo in un processo ininterrotto verso la deificazione. Ciò comporta la
restaurazione dell’immagine di Dio deturpata dal peccato nell’uomo e quindi un
processo ascetico di conversione, di purificazione e di esercizio delle virtù
teologali (fede, speranza, carità) per crescere sempre più nella maturità
cristiana raggiungendo, per quanto possibile, la somiglianza con il Verbo di
Dio.
Roma 6 gennaio, Epifania, 2008
Circolare novembre 2007 197/2007
Sommario
I detti di Gesù
(54): “Hai tenuto nascoste queste cose ai
“sapienti”… e le hai rivelate ai “piccoli” 1
ROMA: Il collegio di S. Atanasio fra le due guerre............................................................................... 2
RAVENNA: X sessione plenaria del dialogo
cattolico-ortodosso............................................................ 3
ALBANIA: Testimoni
della fede nel ricordo di Pjetër Arbnori............................................................... 4
SCUTARI: P. Zef Pllumi - Testimonianza
di David Luka...................................................................... 5
MOLISE: Le Comunità arbëreshe....................................................................................................... 7
ROSSANO: Ritorno del rito greco....................................................................................................... 9
ROMA: Deceduto
l’archimandrita p. Giorgio Gharib........................................................................... 10
NAPOLI: Laurea Honoris Causa al Patriarca Ecumenico................................................................... 10
ROMA: Consiglio di chiesa di S. Atanasio.......................................................................................... 10
PIANA DEGLI ALBANESI: 70° di creazione dell’Eparchia............................................................... 10
Epèktasis “Grazia divina e sforzo umano”.......................................................................................... 11
Tà
lòghia: I detti di Gesù (55): “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti
e
le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25)
Gesù sta facendo una valutazione dell’effetto della
sua missione; constata tiepidezza ed indifferenza: “Vi abbiamo suonato il
flauto e non avete ballato” (Mt 11,17).
Ha incontrato diffidenza, resistenza, rifiuto, persino nella sua città di
Cafarnao (Mt 11, 22). “Allora si mise
a rimproverare le città dove aveva compiuto il maggior numero di miracoli,
perché non si erano convertite” (Mt 11,20).
La sua parola e le sue opere non sono state comprese proprio da quelle persone,
scribi e farisei, generalmente noti come conoscitori delle questioni religiose
e sapienti.
Gesù, però, è accompagnato da un gruppo di seguaci
fedeli, di discepoli a lui vicini, talvolta da una folla che attende qualcosa,
i suoi miracoli, una guarigione, la sua parola illuminante e consolatrice. E’
gente semplice, considerata “ignorante”, come i pescatori, i campagnoli, i
peccatori. Ma aperti ad accogliere i racconti delle parabole, l’annuncio
dell’opera di Dio. Gesù guarda proprio a questi. In un momento di straordinaria
intimità con Dio Padre esclama: “Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti (sophōn) e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli (nēpìois), Sì, o Padre, così è piaciuto a te” (Mt
11,25).
La rivelazione di Dio è rivolta a tutti e Dio vuole che
tutti siano salvi. Ma la distinzione tra “sapienti” e “piccoli” indica due
dimensioni dello spirito dell’uomo, due atteggiamenti di fronte a Dio: la
tronfia scienza che rifiuta quanto sembra superare la propria conoscenza e
l’umile disposizione ad accogliere la verità e quanto proviene da Dio. S. Paolo
nelle sue Epistole ha commentato questo orientamento: “Se qualcuno tra voi si
crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente”. S.
Giovanni Crisostomo spiega: “Chiamandoli sapienti non parla della vera e
lodevole sapienza, ma di quella che essi credevano di avere” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 38,1).
“Queste cose” (tàvta)
di cui parla Gesù, non sono singoli episodi o singoli insegnamenti, ma indicano
la rivelazione, la salvezza che Dio opera. E quando afferma che Dio le ha
“tenute nascoste” non vuol dire che Dio ha privato l’uomo della conoscenza, ma
che l’uomo superbo non ha voluto aprire gli occhi e il cuore di fronte al dono
di Dio. Il Crisostomo aggiunge che con l’affermazione “hai tenuto nascosto (ékrypsas), non afferma che tutto dipende da
Dio, ma come Paolo dice, che li ha abbandonati in balia di una intelligenza
depravata”(Ibidem, 2). E di contrasto
Gesù gioisce e ringrazia il Padre perché “i piccoli”, i poveri di spirito, “avevano
conosciuto quanto i sapienti non avevano conosciuto” (Ibidem, 1). Nella forma profetica delle beatitudini Gesù aveva già
proclamato: “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,7). La sua missione è efficace. (Besa/Roma).
ROMA
IL COLLEGIO DI S. ATANASIO
TRA LE DUE GUERRE
Continuiamo la presentazione dello
studio presentato dall’Archimandrita ortodosso Evanghelos Yfantidis come tesi alla Pontificia Università Gregoriana. In continuazione dal
numero precedente pubblichiamo la prima parte del capitolo su “I Padri Rettori
e la loro direzione”:
I.
Rettorato
del P. Baur (1915 – 1918)
Il Collegio Greco
ebbe assai a soffrire durante l’anno 1915[18] a
causa delle infelici condizioni dei tempi della guerra. Oltre le difficoltà
comuni a tutti, il Collegio non ebbe speciali risultati dalla composizione del
suo personale, poiché, secondo le ultime decisioni della Santa Sede, la
direzione del Collegio fu affidata ai monaci Benedettini di Beuron di
nazionalità tedesca ed austriaca ed il servizio della casa ai conversi della
stessa Congregazione e nazionalità[19].
Quando
l’incostanza politica cominciò ad aumentare ed in previsione dunque di certe
difficoltà, le quali sembravano inevitabili nel caso che il regno d’Italia
fosse entrato in guerra contro le potenze centrali, il Procuratore Apostolico
ricevette ordine dalla Santa Sede di sciogliere il Collegio prima dello scoppio
della guerra. I Superiori avevano l’ordine, nel caso che l’Italia partecipasse
alla guerra, di lasciarla e di ritornare nei propri paesi. La ricerca di un
ricovero in uno dei Collegi di Roma per gli alunni rimase senza frutto. Quindi
gli allievi di nazionalità italiana avrebbero dovuto tornare nelle loro
famiglie e gli altri trovare un alloggio insieme col Rettore nella Badia
d’Einsiedeln nella Svizzera neutrale, la quale offriva loro l’ospitalità[20];
inoltre una parte degli alunni, i Melchiti della Siria, ottenne la cittadinanza
ottomana.
Dopo lunghi mesi d’incertezza, il 6 Maggio,
il Procuratore Apostolico, avendo ricevuto nuovi ordini dalla Santa Sede,
chiuse il Collegio e la sera stessa tutti partirono per i luoghi indicati dalla
Congregazione. Un solo alunno, destinato alla Romania, rimase a Roma e visse
nel Collegio Leoniano, e una volta chiuso anche questo, nel Collegio Capranica
sino alla fine dell’anno.
Per tutto il tempo dell’assenza del P. Rettore e degli altri Superiori
del Collegio,
Una
piccola parte del pianterreno della fabbrica di Sant’Atanasio fu destinata dal
principio del mese d’agosto al Comitato delle Cucine per i poveri[21], il
quale dava all’Amministrazione del Collegio rimborso di 30 lire mensili per
l’uso degli oggetti. Verso la fine dell’anno 1915, per impedire che del Collegio
di Sant’Atanasio s’impossessassero i militari,
In seguito alle condizioni create dalla prima guerra mondiale, il
Collegio Greco, durante gli anni scolastici 1915-1916, 1916-1917 e 1917-1918
rimase chiuso[22].
Gli alunni atanasiani furono trasferiti ad Einsiedeln ed in Italia nei Seminari
di Catanzaro e Cassano. L’amministrazione del Collegio continuava ad essere
affidata a Monsignore Giuseppe Tondini. Nel Collegio si continuarono la cucina
economica ed i corsi d’esercizi spirituali per il clero sotto la direzione dei
Padri gesuiti.
Il
Collegio Greco, che dopo la visita apostolica del 1911, era rimasto sotto la
direzione della Congregazione Concistoriale, fin quando fu istituita da
Benedetto XV
Fin
dal mese d’agosto dell’anno scolastico 1917-1918[24],
nelle stanze del Vescovo abitava Monsignore Isaia Papadopulo, Assessore della
Congregazione pro Ecclesia Orientali; lui sarà per circa quindici anni il
Vescovo ordinante di rito bizantino a Roma, ma senza prenderne mai il titolo[25]. A
spese della Santa Sede fu fatto l’impianto della luce elettrica per le scale
fino al primo piano e in tutte le camere tenute da Monsignore Papadopulo e
dagli altri signori. Visti i tempi che correvano, l’Amministratore Delegato
depositò nella Cassaforte della diocesi di Sabina in Vaticano i valori del Collegio
insieme alla somma di 15.000 lire che rimanevano negli anni 1917–1918[26] (Besa/Roma).
RAVENNA
X SESSIONE PLENARIA
DIALOGO CATTOLICO-ORTODOSSO
8-15 ottobre 2007
Riportiamo qui di seguito un articolo di
Mons. Eleuterio F. Fortino sulla X Sessione plenaria della Commissione
Mista Internazionale per il dialogo teologico fra
“Una
buona base comune”. Così i due co-presidenti, il cardinale Walter Kasper e il
Metropolita Joannis di Pergamo (Zizioulas) hanno considerato, in una conferenza
stampa, il testo approvato nella X Sessione plenaria della Commissione Mista
Internazionale per il dialogo teologico fra
1.
La sessione ha avuto luogo a Ravenna (8-14 ottobre 2007), generosamente
ospitata dall’Arcidiocesi, e accolta con simpatia e manifesta cordialità dai
fedeli, da tempo preparati da S. E. mons. Giuseppe Verucchi, incoraggiati a
pregare per un evento importante e difficile. “Pregano per voi, egli ha detto
in una omelia, le comunità contemplative, i religiosi e le religiose, i
sacerdoti e le comunità parrocchiali”. Anche le autorità civili - il prefetto e il sindaco con i presidenti della
provincia e della regione - hanno salutato con distinzione in forma ufficiale, in un incontro alla
Prefettura tutti i membri della Commissione Mista. Il prefetto, S. E. Floriana
De Sanctis, ha espresso la speranza che “il desiderio del dialogo, di
comprendere e di essere compresi, che caratterizza
2.
Il tema affrontato nelle sessioni mattutine e pomeridiane durante l’intera
settimana è stato il seguente: «Le
conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa:
Comunione ecclesiale, Conciliarità ed Autorità nella Chiesa».
Da
una parte esso presuppone l’impostazione di questo dialogo e l’insieme dei
documenti precedentemente concordati, tutti nell’ambito del tema generale della
comunione ecclesiale (koinonia),
essendo lo scopo concordato nel “Piano per l’avvio del dialogo teologico”
(1978) “il ristabilimento della piena
unità”. Questa Commissione ha infatti pubblicato dei documenti coerenti con
il tema e con lo scopo come mostrano gli stessi titoli:
•“Il mistero della Chiesa e
dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera
1982);
•“Fede, Sacramenti e Unità della Chiesa”
(Bari 1987);
•“Il sacramento dell’ordine nella
struttura sacramentale della Chiesa. In particolare l’importanza della
successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio (New
Valamo, Finlandia 1988).
A
suo modo, anche se si è trattato di un nuovo argomento affrontato sotto la
pressione di eventi storico-politici del momento, si inserisce - con lo scopo di chiarire una questione controversa
dagli ortodossi - anche il quarto documento pubblicato: “L’uniatismo, metodo d’unione del passato, e la ricerca attuale della piena
unità” (Balamand, Libano 1993).
Emergono
così i lineamenti della comunione
(koinonia) fondati sull’unità di fede, di sacramenti e di ministero.Da
un’altra parte il tema affrontato a Ravenna ha anche una storia più recente, ma
anche complessa e ancora aperta per il futuro. Un progetto era stato elaborato
a Mosca, nel 1990, dal Comitato Misto di Coordinamento della Commissione in
vista della sessione programmata per il mese di giugno dello stesso anno.
Poiché poi quella sessione si era occupata d’altro, il progetto non era mai
stato discusso in plenaria fino alla sessione di Belgrado (18-25 settembre
2006). Sin dall’inizio il progetto prevedeva lo studio della natura e
dell’esercizio dell’autorità e della collegialità nella Chiesa a tre livelli:
locale (diocesi), regionale (metropolia e patriarcato) e a livello universale.
A questi tre livelli si indicava la presenza e il ruolo di un protos, un primo, con particolari
prerogative. A Belgrado si erano discussi i primi due livelli. A Ravenna si è
completato lo studio, raggiungendo un consenso che permette di avanzare in
termini più precisi, già dalla prossima sessione plenaria, il cui tema
concordato sarà il seguente: «Il ruolo
del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio». Come
prelude questo argomento vi saranno altre fasi per il resto della storia della
Chiesa. Il documento di Ravenna costituisce una premessa solida e positiva.
Patriarcato
Ecumenico, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato d’Antiochia, Patriarcato di
Gerusalemme, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di
Romania, Patriarcato di Georgia,
A
proposito della presenza dei rappresentanti della Chiesa “autonoma” di Estonia
la sessione ha vissuto un momento di turbamento. Il comunicato dato alla stampa
riferiva che “nel primo giorno dell’incontro, com’è prassi della Commissione, i
membri cattolici ed ortodossi si sono riuniti separatamente per coordinare il
loro rispettivo lavoro. Durante l’incontro ortodosso, il delegato del
Patriarcato di Mosca ha presentato la decisione della sua Chiesa di ritirarsi
dalla riunione della Commissione a motivo della presenza in essa di delegati
della Chiesa d’Estonia, dichiarata «autonoma» dal Patriarcato ecumenico, uno
statuto non riconosciuto dal Patriarcato di Mosca, e ciò malgrado il fatto che
il Patriarcato ecumenico, con l’accordo di tutti i membri ortodossi presenti,
avesse offerto un compromesso, e cioè: prendere atto del non riconoscimento del
Patriarcato di Mosca della Chiesa autonoma d’Estonia”.
Si
tratta di una questione manifestatasi all’interno della Chiesa ortodossa, a cui
per sé è estranea
4.
Durante
la sessione i due co-presidenti hanno inviato un messaggio di ringraziamento a
S.S. Benedetto XVI e a S.S. Bartolomeo I per i voti augurali indirizzati alla
Commissione Mista (Besa/Roma).
ALBANIA
TESTIMONI DELLA FEDE
NEL RICORDO DI PJETËR
ARBNORI
Riportiamo la seconda
parte della conferenza tenuta a Bari sui testimoni della fede durante il regime
comunista in Albania da Pjetër Arbnori, in carcere lui stesso per 25 anni e poi
Presidente del Parlamento albanese dal 1992 al 1997:
Mikel Koliqi e gli altri
E’ stata gran fortuna, conoscere dall’infanzia il futuro
cardinale Mikel Koliqi, che più tardi fu il primo cardinale albanese, che fece
45 anni di calvario, mons. Gaspër Thaçi, mons. Vinçens Prendushi, Padre Anton
Luli SJ., che era stato il direttore della mia scuola, il gesuita eroico, che
fece 40 anni di prigione, internamenti e campi di lavoro forzati, campi che
erano ugualmente prigioni vere e proprie. Questo sacerdote io l’ho conosciuto
in tenera età, sin dalla terza elementare e siamo rimasti amici, come padre e
figlio, fino poco tempo prima che lui morisse. Non è stata una vera fortuna
conoscere mons. Gaspër Thaçi, don Alfons Tacki, - il mio maestro di recitazione
- , padre Giovanni Fausti SJ., padre Daniel Dajani SJ., don Ded Malaj, don Dedë
Plani, padre Marin Sirdani, don Ndre Zadeja, don Shtjefen Kurti, padre Donat
Kurti, padre Benardin Palaj, padre Çiprian Nika, padre Gjon Shllaku, fratello
di Gjon Pantalia, il diacono Mark Çuni, mons. Gjergj Volaj, mons. Ernest Çoba,
don Pjetër Gruda, don Mark Hasi, don Zef Bici, padre Gegë Lumaj, don Nikoll
Mazreku e molti e molti altri.
E’ stata proclamata una lunga lista dei martiri albanesi, 41,
che saranno canonizzati secondo la direttiva del Santo Padre Giovanni Paolo II.
Ho conosciuto da vicino, la maggior parte di loro, tutti servi di Cristo, tutti
uomini coraggiosi, che in condizioni difficilissime hanno avuto una
caratteristica: non negarono in nessuna circostanza Dio, servirono il Signore,
ma anche professarono la fede in Dio pubblicamente.
Per tutti quelli citati sopra, forse anche per altri, posso
testimoniare pubblicamente, posso dire almeno una parola, due, tre, dieci,
tutte vere ed esatte, che possono aiutare il processo di beatificazione e
santificazione di questi martiri.
Ho parlato spesso di questi testimoni di Cristo, che sono
stati fucilati, morti nelle prigioni, o hanno sofferto nei campi di lavoro,
sempre minacciati: “Vi togliamo la maschera”, li deridevano, li disprezzavano.
Io ho partecipato quando si disseppellivano, e poi si onoravano con sepolture
decorose nelle cerimonie solenni, organizzate dallo Stato democratico. Ma ormai
sono 13 anni che le cose sono cambiate, e mi capita adesso di essere chiamato a
testimoniare soltanto in un simposium, come oggi. Qual è stata la ragione di
una guerra così spietata del comunismo ateo di Enver Hoxha verso il clero cattolico?
Primo motivo: i martiri erano tutti sempre esempio di
santità, testimoni di un altro spirito, nell’Albania arretrata, ma in questi
tempi dei quali parliamo, pieni d’aggressività atea, attuata dai comunisti che
sono stati una strana specie, senza precedenti in Albania, i martiri
testimoniavano la luce dello spirito e della mente. Erano quasi tutti preparati
e conoscitori indiscutibili di molti campi della conoscenza: teologi, filosofi,
scrittori, pubblicisti, pittori, musicisti, politici, sociologi, pedagoghi,
storici, folkloristi, naturalisti, medici, architetti, demografi.
Non c’è campo della cultura dove non fossero presenti. Basta
solo aprire un libro di letteratura e trovi che essi hanno creato l’alfabeto
albanese con lettere latine, invece delle cirilliche. Sono i primi scrittori, i
primi storici, i primi pittori, architetti, musicisti, etc, etc. Per molti è un
mistero la loro partecipazione diretta nella formazione della cultura albanese
e il consolidarsi della nostra nazione. Per gli altri non è un mistero; erano
pieni di Dio e in modo profetico sentivano che era venuto il gran momento di
dare il contributo vitale nella costruzione dello spirito del nostro popolo.
Qui c’entrava Cristo ed era un dovere servire da parte dei migliori in campo di
fede e cultura, e formare delle personalità. Questo non è permesso agli atei.
Il comunismo influenzava le massi ignoranti, i mezzo intellettuali, quelli che
giravano invano per sei o sette anni nelle scuole d’Europa, e che tornavano con
solo uno o due anni di scuola; altri incompiuti.
Secondo motivo: il clero cattolico, essendo colonna del
patriottismo in Albania, sarebbe stato senz’altro contro l’internazionalismo,
che storicamente non ha avuto buone intenzioni verso l’Albania.
Terzo motivo: il clero cattolico è stato sempre una barriera
contro il panslavismo, dunque impedimento anche per i comunisti slavofili, che
intendevano mettere l’Albania sotto la tutela jugoslava. Erano tali i momenti
storici. I chierici non avrebbero mai permesso questo piano. Dagli ultimi dati,
portati alla luce recentemente, risulta che la fucilazione di molti chierici è
stata commissionata dal regime jugoslavo. Senza le anime che da sempre erano
per l’indipendenza, si può raggiungere lo scopo, si può chiedere addirittura
l’annessione dell’Albania alla Jugoslavia, senza che una voce si levi per
contraddire.
Quarto motivo: i comunisti atei, per imporre il regnante
Enver Hoxha come il dio nuovo dell’Albania, avevano bisogno di far sparire il
vero Dio del cielo, dunque, di eliminare anche il clero che teneva viva la fede
in questo Dio (Besa/Roma).
SCUTARI
P. ZEF PLLUMI
TESTIMONIANZA DI DAVID
LUKA
Il prof David Luka, linguista e scrittore di Scutari, ci ha scritto alcune considerazoni
sulla figura religiosa e culturale dei francescano albanese p. Zef Pllumi,
deceduto il 26 settembre scorso. Egli subì la persecuzione, condanne per false
accuse e un lungo periodo di carcere. Il prof Luka ha intitolato le sue
oservazioni: “P. Zef Pllumi, l’Ultimo
dei grandi francescani” che presentiamo nella traduzione di Kate
Zuccaro:
Zef Pllumi “prodotto puro” dei francescani
Il Convento
francescano di Scutari non era soltanto una dimora di preti; era anche un
cenacolo di persone di grande cultura e sapienza. Prescelte fin dall’infanzia,
esse venivano istruite con cura particolare, dapprima in loco, successivamente
all’estero. Ognuno di questi religiosi aveva frequentato almeno due scuole
superiori, una di teologia e l’altra relativa ad una branca specifica delle
scienze umanistiche o esatte. Tornando in patria a conclusione di lunghi studi
in diversi Paesi d’Europa, insieme alla cultura occidentale contemporanea essi
portavano, con sé le lingue di quei Paesi, che conoscevano perfettamente. In
tali condizioni, il Convento francescano di Scutari si presentava come una vera
e propria università, in cui operavano studiosi di tutte le branche del sapere
e della scienza e dove si parlavano tutte le lingue d’Europa. Poiché questi
religiosi francescani provenivano da tutti gli strati della popolazione, e
comunque da famiglie che si distinguevano per rigore etico e morale, essi
portavano con sé anche la mentalità del luogo da cui provenivano. Sicché, in
questi uomini semplici e relativamente poveri per l’epoca, la cultura
occidentale si fondeva con le qualità più preziose dell’uomo albanese, in una
simbiosi che, temprata anche dal sentimento religioso, forgiava personalità
possenti, che ispiravano un rispetto particolare. A ciò vanno aggiunte la
grande reputazione di cui godevano presso il popolo e la loro disponibilità a
servirlo senza esitazione in ogni situazione di criticità.
Con la morte di
Padre Zef Pllumi, si spegne l’ultima luce di questa pleiade irripetibile.
Padre Zef Pllumi era “missionario”
francescano
Ciò che
distingueva Padre Zef Pllumi era il suo essere “missionario” delle anime
umane. Egli si era posto al servizio degli uomini, ed a questa missione
adempiva in ogni condizione. E’ proprio questa missione che gli dava la forza
di affrontare ogni tipo di difficoltà e sofferenza. Padre Zef era missionario
in qualunque ambiente, in carcere e fuori, in parrocchia e nella vita di ogni
giorno. Ogni volta che gli si presentava l’occasione di testimoniare la propria
missione, la prima cosa che faceva era indossare il saio. Indossato il saio,
sembrava un’altra persona, come avesse indossato una corazza impenetrabile.
Padre Zef Pllumi era amante della cultura
Padre
Zef ha sempre avuto a cuore l’elevazione ed il progresso culturale
dell’Albania. Egli sosteneva che senza cultura la nostra nazione non avrebbe
avuto un futuro. E in questa direzione egli lavorava non a parole ma coi fatti.
Appena uscito dalla prigione comunista, in un periodo in cui in Albania non si
stampava nessuna rivista letteraria o culturale, ricominciò a pubblicare la
rivista “Hylli i Dritës”.
Con
ciò egli continuava il lavoro dei suoi predecessori, dando il messaggio “Ubi
Spiritus Domini ibi libertas” (Dove è lo Spirito di Dio lì c’è la
libertà) e restituendo alla rivista il ruolo che le era stato proprio di
“culla della cultura albanese”. Benché stanco ed in età molto avanzata, egli ha
lavorato con determinazione perché venissero ripubblicate le opere dei suoi
grandi maestri e venisse riportato alla luce il contributo che essi avevano
dato alla cultura albanese. Nella Prefazione all’opera di Padre Justin Rrota
abbiamo scritto: “Un ringraziamento particolare va a Padre Zef Pllumi, il quale
ci ha esortato e motivato ad intraprendere il complesso lavoro di preparazione
dell’edizione critica di quest’opera monumentale, che oggi occupa finalmente il
posto che merita nel panorama degli studi linguistici albanesi”. Senza lo
stimolo diretto di padre Zef, quest’opera non avrebbe ancora visto la luce
della stampa.
Padre Zef Pllumi era scrittore
L’opera
di Padre Zef Pllumi “Vivi solo per raccontare” resterà nella storia
della letteratura albanese come cronaca letteraria della parte invisibile
dell’epoca comunista.
Le
generazioni future conosceranno la parte visibile del periodo della feroce
dittatura di Enver Hoxha attraverso le opere di I. Kadare. Ne conosceranno la
parte sotterranea attraverso l’opera letteraria di Padre Zef.
Padre Zef Pllumi era pubblicista
Continuando
l’opera dei suoi predecessori ed in particolare di Padre Gjergj Fisha, Padre
Zef ha trattato con coraggio civile sconosciuto nella pubblicistica albanese
degli ultimi decenni temi sociali estremamente delicati. I suoi scritti,
raccolti nel volume dal titolo “Ut heri dicebamus” (Come dicevamo
ieri), sono lo specchio chiaro dei problemi gravissimi che ha vissuto e
tuttora vive l’Albania nella difficile
fase della sua transizione democratica.
Essendo io
redattore delle sue opere, ho finito per seguirlo da vicino anche nella sua
vita quotidiana. Egli era persona di energia inesauribile, che prendeva parte attiva
in tutte le iniziative sociali che venissero intraprese. Col coraggio proprio
della persona che al di sopra di sé riconosce soltanto Dio, egli non ha mai
esitato ad esprimere apertamente il suo pensiero rivoluzionario. Nella mia
memoria Padre Zef resterà un punto di riferimento forte, assertore convinto dei
valori che avevano contraddistinto i suoi padri, un maestro della lingua,
dotato di quella cultura enciclopedica che aveva contraddistinto tutta la sua
generazione, una persona dal carattere indomito e ribelle, che ha messo in atto
in modo assolutamente consequenziale il motto dei francescani “Patria e Fede”.
Nell’ultimo
numero di “Hylli i Dritës”, poco prima della sua morte, egli scriveva: “Popolo
albanese! E’ con la libertà di voto, se riesci ad ottenerla, che puoi cambiare
questa situazione, altrimenti sei perduto e vanamente ti definisci Stato se non
riesci a creare uno Stato di diritto… Albanesi! Aprite gli occhi, rendetevi
conto di dove state andando!”.
E’
questo il testamento politico di p. Zef Pllumi (Besa/Roma).
MOLISE
LE COMUNITÀ ARBËRESHE
Abbiamo chiesto ad Antonio Libertucci, cultore di storia delle Comunità arbëreshe
del Molise, di scriverci una loro breve presentazione. Qui di seguito
riportiano i lineamenti generali, mentre nei prossimi numeri seguirà
un’informazione più dettagliata di ciascuna delle 4 Comunità:
I
paesi arbëreshë situati nel Molise, entro i confini della provincia di
Campobasso, lungo
Prima
dell'unificazione, delle due diocesi Montecilfone apparteneva a quella di
Termoli, a quella di Larino gli altri tre. Fino al 1975 anche Chieuti (1), importante Comunità arbëreshe in
provincia di Foggia, faceva parte della Diocesi di Larino, prima di passare a
quella di San Severo in Puglia.
Le
due diocesi, accorpate nel 1986, erano in effetti già unite “aeque principaliter
in persona Episcopi” sin dal 1924. Sono entrambe di origine molto antica:
risale al IV secolo quella di Larino, al VI secolo la diocesi di Termoli (2). Gli storici danno per certo che un
vescovo di Larino, Paulus larinensis, abbia preso parte al “sacro e grande
Concilio Ecumenico” celebrato a Nicea nel 325.
A
Larino venne fondato il primo seminario post-tridentino della Chiesa, aperto
ufficialmente in data 26 gennaio 1564 dal vescovo Belisario Balduino in
conformità alle direttive della Riforma cattolica promossa dal Concilio di
Trento (1545/63) (3).
Prima
dell’arrivo degli Arbëreshë (sec. XV), era largamente diffusa nella zona del
Larinese la presenza di numerosi monaci francescani itineranti, ma anche di
basiliani (4) e di altre osservanze
tipiche del medioevo: Celestini, Zoccolanti, Capriolanti, Discalciati (5); nel tempo, di questi piccoli
monasteri alcuni furono soppressi e incorporati nell’Ordine dei Frati Minori,
altri caddero distrutti dal violento terremoto avvenuto nella notte tra il 4 e
il 5 dicembre 1456 (6).
Al
loro arrivo nel feudo di Ururi, l’autunno del 1468 (o forse ancor prima) (7), gli Arbëreshë trovarono un
territorio interamente sconvolto, campi incolti e borghi abbandonati non solo
per la devastazione causata dal sisma, ma anche per le carestie e le frequenti
incessanti incursioni saracene lungo le coste adriatiche del Regno (8).
Varie
furono le ragioni che indussero gli Arbëreshë ad emigrare nel corso dei secoli
dall’Arbëria per stanziarsi nelle regioni meridionali d’Italia; le ultime,
d’ordine politico-religioso, provocate dall’invasione turca, andarono a
sovrapporsi alle motivazioni prevalentemente economiche e militari che avevano
causato migrazioni nel Molise già dal XIII secolo; “Molte famiglie dell’Albania
e dell’Epiro, non soffrendo le barbarie del Turco, alcune si ritirarono nello
stato Veneto, altre in Sicilia … moltissime furono accolte in questa diocesi”,
riferisce mons. Tria, vescovo di Larino (9).
Ad
introdurre gli Arbëreshë nelle terre del Molise fu mons. Antonio De Misseriis,
vescovo di Larino (10); egli li
accolse nella chiesa di S. Antonio da lui stesso fatta edificare appena fuori
della città della sede vescovile e in quel luogo assegnò loro, divisi in gruppi
di famiglie, le terre dove stanziarsi, lavorare e prosperare; non trascurando
di fornirli prima del bestiame e degli attrezzi agricoli necessari.
Alcune famiglie raggiunsero il feudo di Ururi,
sottoposto alla giurisdizione della chiesa di Larino (11) già dal 1075, sorto a seguito della donazione da parte di Roberto
I, conte di Loritello (attuale Rotello), nipote di Roberto il Guiscardo, al
vescovo di Larino; il feudo era allora completamente disabitato e abbandonato.
Altri gruppi furono inviati a ripopolare i casali di Portocannone, di
Cerritello (gli Arbëreshë di questo casale si rifugiarono poi nelle alture di
Montecilfone spaventati dal tremendo flagello del colera scoppiato nella zona
nel 1537) (12), di Campomarino e in
altri casali sparsi nell’agro larinese: casali di S. Elena, di Colle Lauro, di
San Barbato e nel casale di Santa Croce di Magliano dove furono relegati dai
nativi nella parte più periferica del paese, quartiere tuttora chiamato “Quarto
dei Greci” (gli Arbëreshë dagli indigeni venivano chiamati anche greci per via
del loro rito bizantino celebrato in lingua greca).
Lo
scenario che si presentava agli occhi degli Arbëreshë nelle terre molisane,
dovette essere allora davvero desolante, ma ad essi non era concesso
scoraggiarsi; da subito dovettero darsi da fare per ripristinare e migliorare
le condizioni del territorio loro affidato.
Bonificarono
e dissodarono la terra, ricostruirono le case dirute, ripararono le cadenti.
Contribuirono, insomma, sensibilmente alla rigenerazione delle contrade colpite
dalla depressione demografica ed economica.
Travagliata
e carica di traversie fu perciò la vita degli antenati in queste nuove terre;
non mancarono umiliazioni e sospetti da parte delle popolazioni indigene con le
quali era difficile instaurare rapporti di buon vicinato, né la protezione e la
benevolenza dei vescovi feudatari sia di Larino che di Termoli valsero a
preservare i nuovi arrivati dalla diffidenza e dal clima di ostilità che andava
creandosi attorno ad essi, in particolare, a causa della diversità della lingua
e del rito religioso.
In
verità, la pratica del rito bizantino metteva in agitazione anche i vescovi
delle due diocesi, specialmente dopo il Concilio di Trento; non furono pochi,
infatti, i ricorsi presentati alla Congregazione di Propaganda Fide da parte
degli stessi vescovi, interessati com’erano ad affidare al clero latino le
chiese delle comunità albanofone.
Gli
Arbëreshë resistettero a lungo alle pressioni del clero latino, anche perché
erano ben consapevoli di perdere, con la soppressione del rito bizantino, un
punto di riferimento essenziale della propria identità religiosa e culturale.
Il
rito bizantino fu praticato fino a tutto il sec. XVII; poi, ne decretò la fine
mons. Giuseppe Catalani, vescovo di Larino (1686-1703), non senza numerose e
rumorose proteste da parte delle popolazioni di Campomarino in particolare (13). A Ururi il primo parroco di rito
latino fu tacciato di apostasia e si guadagnò il perenne soprannome di
“ndërrjon” tuttora perdurante nella famiglia discendente (14); gli Ururesi per lungo tempo gli negarono le decime.
Il
tempo andò smussando i contrasti; chiusa definitivamente la controversia del
rito a favore di quello latino; alleviato il peso delle decime che gli
Arbëreshë erano sempre e in ogni caso tenuti a versare alle rispettive mense
vescovili, la vita degli Arbëreshë si avviò lentamente e faticosamente verso
una più dignitosa condizione di vita; l’ingegnosità, la perseveranza, la
laboriosità fece il resto.
Insieme
con le Comunità di Villa Badessa (Pescara) dove, mentre è tuttora praticato il
rito bizantino, la lingua arbëreshe si è da tempo dissolta (15), e di Pianiano (Viterbo) dove invece
da tempo si sono spenti sia il rito bizantino sia la parlata arbëreshe (16), i paesi italo-albanesi molisani
sono quelli situati più a Nord nel Continente, geograficamente lontani e
isolati dalle Comunità albanofone concentrate in Calabria e in Sicilia, e
perciò non coinvolti nelle attività e nelle istituzioni culturali sorte, per la
conservazione e la tutela della lingua e del rito, delle quali gli Arbëreshë di
Sicilia e di Calabria furono e sono tenaci custodi e fervidi cultori.
Tagliati
fuori, perciò, da ogni benefico contatto con la vitalità dei gjërì dei nuclei
di Sicilia e di Calabria, privati della pratica del rito bizantino da oltre due
secoli, privi di ogni qualsiasi classe intellettuale che avesse mai preso a
cuore il problema della conservazione e coltivazione della parlata arbëreshe, è
già un miracolo che l’arbërishit si sia ancora mantenuto in buono stato a
tutt’oggi nelle nostre contrade, salvato forse proprio da una ben radicata
cultura popolare, dalla capacità, cioè, del popolo di assorbire il nuovo senza
perdere la propria originalità.
Il
primo e più antico documento scritto in arbërishit nelle Comunità arbëreshe
molisane risale al 1875 con la traduzione in arbëresh di una novella del
Decamerone di Boccaccio fatta dall’allora arciprete di Ururi (17).
Solo
recentemente, infatti, grazie anche all’impulso della Legge 482/99, da appena
qualche anno, si va notando nei paesi arbëreshë del Molise un certo risveglio,
una presa di coscienza di come sia importante e doveroso avviare un processo di
salvaguardia per tutelare e valorizzare il patrimonio storico e culturale degli
Arbëreshë, e preservarne la lingua mediante un’intensa opera di
alfabetizzazione ad ogni livello.
Oggi,
tutte e quattro le comunità arbëreshe, dopo un lungo periodo di dure
vicissitudini e di fatiche e di emarginazione sociale, politica e culturale,
sono altrettante cittadine linde, ordinate, bene organizzate e bene
amministrate, tese al benessere economico e aperte a sempre nuove iniziative
culturali e di progresso civile.
Di
ciascuna di esse si proverà, ora, qui di seguito, a tracciare sinteticamente un
quadro topografico-storico, quanto più preciso possibile, ma certamente non
esaustivo, in quanto le poche notizie riportate sono da completare e integrare
con ulteriori indagini sia archivistiche che bibliografiche.
La
patrona degli italo-albanesi nel Molise è
Note
1. In questa cittadina fu rinvenuto il manoscritto del
XVIII secolo (noto come il Codice Chieutino), opera dell’arciprete Don Nicolò
Figlia, sacerdote di rito greco-bizantino, pubblicata a cura di M. Mandalà nel
1995.
2. Nella cattedrale di Termoli furono ritrovate nel
maggio del 1945 i resti mortali di San Timoteo, discepolo prediletto di San
Paolo, compatrono, con San Basso, di Termoli.
3. Mons. Costanzo
Micci, Il primo seminario della
cattolicità, in L’Osservatore Romano del 2.2.1964; Pietrantonio, U., Il seminario di Larino primo postridentino,
Tip. Polig. Vat., 1965.
4. Nel 1054, il Monastero di Santa Maria di Tremiti
assorbiva una cella basiliana sorta sul lago di Lesina (cfr. A. Petrucci, I bizantini e il Gargano, Foggia 1955).
5. Pietrantonio,
U., Il monachesimo benedettino
nell’Abruzzo e nel Molise, Lanciano, Carabba ed., 1988;
Anastasi L., I
Francescani, Palermo 1952.
6. Sul violento sisma del 1456 esiste una vasta bibliografia:
Baratta M., I
terremoti d’Italia, 1901 (ristampa anastati
ca 1979); Figliuolo B., Il
terremoto del 1456, 1988; Motta E., I
terremoti di Napoli negli anni 1456 e
7. “Nel
1455, i Canonici del Monastero di S. Maria di Tremiti, ottennero da Callisto
III di poter locare terreni di loro proprietà agli Albanesi allora giunti nel
Molise”, in Codice Diplomatico del Monastero benedettino di S. Maria di
Tremiti, a cura di A. Petrucci, Roma 1960 pag. LXXXVII, p. I; (cfr. Archivio
Segreto Vaticano Reg. Lateran. 498, c.85 A.); Mammarella, G., Larino sacra, Campobasso 1993.
8 Marino L., La difesa costiera contro i saraceni e la vita del marchese di Celenza
alle torri di Capitanata, Campobasso, Nocera editore, 1977; Algranati, G., Le torri costiere del Mezzogiorno e le
tradizioni popolari, in Brutium, 9, 10 settembre 1966.
9. Mons Tria Giovanni Andrea, Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche
della Città e Diocesi di Larino, Roma 1744; Ricci, P., Fogli abbandonati di storia larinese, Larino 1913; Magliano, A., Considerazioni storiche sulla città di
Larino, Campobasso 1895; Carfagnini,
L., Memorie storiche di Montorio,
manoscritto conservato nell’archivio privato di Guido Vincelli in Montorio nei
Frentani (CB).
10. Mammarella G., Larino sacra, Campobasso 1993.
11. Libertucci A., Il nome del mio paese, in Kamastra, a. IV, n. 1, gennaio/febbraio
2000.
12. Resětar M., Le colonie serbocroate nell’Italia Meridionale, Vienna 1911.
13. Korolewskij
P.C., Italo-greci e italo-albanesi;
documenti esistenti nell’archivio di Propaganda Fide (cfr. Archivio Storico per
la Calabria e
14. Pertanto
è inesatta la notizia riportata nel “Dizionario
biobibliografico degli italo-albanesi” di G. Laviola, secondo la quale
mons. Felice Samuele Rodotà nel 1736/1737 avrebbe visitato anche le chiese
greche della Diocesi di Larino; a quell’epoca, in realtà, il rito bizantino nei
paesi arbëreshë del Molise era già stato soppresso da più decenni; chiese,
sulle quali, peraltro, il vescovo di Berea non avrebbe avuto alcuna
giurisdizione. Le uniche visite ai monasteri e alle chiese greche del Molise
potrebbero essere state quelle effettuate, per ordine di Onorio III, dal
vescovo di Crotone e dall’Abbate di Grottaferrata nel maggio del 1221:
“Honorius III episcopo Crotonensi et Abbati Criptae Ferratae mandat ut
graecorum monasteria ordinis S. Basilii in Terra Laboris, Apulia et Calabria
constituta visitent et reforment” (cfr Reg. Vat.
15. Bellizzi L., Villa Badessa, Pescara 1994;
16. Granelli A., Pianiano, Una colonia albanese dello Stato Pontificio,
Roma 1913; Stendardi, E., Pianiano e i
suoi ricordi albanesi, Roma 1939; Donati A., Un vescovo nativo di una colonia albanese nel Lazio, Michelangelo
Calmet (1771-1817), in Rivista d’Albania, anno IV, giugno 1943; Fioriti L.,
Un’emigrazione albanese nella Tuscia,
in Zjarri (numero speciale 1969-1989) anno XX, n. 33, 1989; Pianiano tra gli Etruschi, in Besa-Fede
n. 174, maggio 2005.
17. Il
parroco si chiamava Andrea Blanco; la novella tradotta nella parlata arbëreshe
di Ururi (la nona del Decamerone) fu pubblicata nel libro di Giovanni Papanti: I parlari italiani in Certaldo, Livorno
1875 (cfr. Libertucci, A., Il documento
più antico della parlata arbëreshe di Ururi, in Kamastra, a. 7, n. 2,
2003).
18. Delle
Donne Marangone C., Pellegrini a Madonna
Grande, 1999.
ROSSANO
RITORNO DEL RITO GRECO
Il prof. Valerio Capparelli, già membro del Circolo “Besa”, ora
segretario dell’Associazione degli Arbëreshë di Rossano, ci ha inviato una nota sul ritorno, per iniziativa della
suddetta associazione e con l’autorizzaione delle autorità ecclesiastiche, del
rito greco in quella città e dintorni, antica sede metropolitana italo-greca:
Da un anno è stato introdotto a Rossano il rito bizantino.
Dopo la pausa estiva sono riprese le sacre funzioni, che si svolgono nella
chiesa del Sacro Cuore in viale Sant’Angelo, ogni ultima domenica del mese,
eccetto dicembre, in cui l’appuntamento è previsto per il giorno 16. Finora la
sperimentazione è ben riuscita.
L’iniziativa ha coinvolto numerosi fedeli, che hanno
assistito alla celebrazione dell’antico rito. Mancava dalla città di San Nilo
da oltre 500 anni. Ricordiamo che alla base del progetto, c’è l’accordo siglato
tra la diocesi di Rossano-Cariati e l’eparchia di Lungro.
A sottoscrivere il documento i rispettivi vescovi, mons.
Santo Marcianò e mons. Ercole Lupinacci, il parroco della chiesa del Sacro
Cuore Domenico Strafaci, don Franco Milito, estensore del documento, i
rappresentanti dell’associazione arbëreshe, Giulio Baffa, presidente, e Valerio
Capparelli, segretario. L’associazione “Arbëreshë
a Rossano” è nata nel 2005 grazie a molte persone provenienti dai paesi
albanofoni, circa 700, 300 i gruppi familiari, che risiedono a Rossano.
Anche quest’anno, sarà don Agostino De Natale a celebrare il
rito. In diverse occasioni sarà officiato il Trisaghion, Ufficiatura dei defunti. La liturgia, oltre che ad
avvicinare i membri della comunità arbëreshe, costituisce anche un richiamo per
i molti fedeli di rito latino e per gli extracomunitari che da tempo vivono a
Rossano e che si stanno integrando nella società, grazie all’impegno in prima
persona del parroco del Sacro Cuore, don Mimmo Strafaci.
La liturgia, celabrata per gli arbëreshë di tradizione
bizantina che vivono fuori dell’eparchia di Lungro, diventa non solo
un’occasione di preghiera comune, ma un momento di forte coesione (Besa/Roma).
ROMA
DECEDUTO
L’ARCHIMANDRITA G. GHARIB
16 ottobre 2007
Nella Chiesa di S. Maria in Cosmedin il 18 ottobre 2007
l’arcivescovo melchita mons. Hilarion Cappucci ha presieduto i funerali di p.
Giorgio Gharib, archimandrita del Patriarcato melchita, deceduto due giorni
prima.
Era
nato a Damasco nel 1930 ed aveva studiato nel seminario melchita di S. Anna a
Gerusalemme.
A
Roma aveva preso il dottorato al Pontificio Istituto Orientale con una tesi in
liturgia.
Dal
1971 aveva insegnato Mariologia orientale e Dottrina mariana musulmana alla
Pontificia Facoltà “Marianum” e poi anche alla Pontificia Università Urbaniana.
Ha
pubblicato vari studi come:
Per
conto della Congregazione per le Chiese Orientali ha curato la redazione e la
pubblicazione dei quattro volumi del libro liturgico “Anthologhion”.
Per
i fedeli della nostra Chiesa di S. Atanasio, nell’anno 2005-
NAPOLI
LAUREA HONORIS CAUSA
AL PATRIARCA ECUMENICO
L’Università
di Napoli “L’Orientale”, perseguendo una politica culturale di collegamento e
cooperazione internazionale propria della sua vocazione istituzionale, il 23
ottobre
Il
Rettore dell’Orientale, prof. Pasquale Ciriello, nella prolusione ha ricordato il
ruolo de “L’Orientale” quale crocevia di più culture e di più religioni,
ritenendo un onore il conferimento di una tale onorificenza ad una personalità
di alto profilo culturale e religioso, sensibile alle problematiche che
assillano l’uomo contemporaneo.
Il
Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, prof. Riccardo Maisano, ha messo
in luce la levatura del Patriarca, percorrendo il curriculum vitae e la
funzione ecumenica che il Patriarca svolge in condizioni non sempre favorevoli.
Ha anche sottolineato la preoccupazione del Patriarca per i problemi ecologici
che incombono sull’umanità.
Il
Patriarca Bartolomeo I nella sua lectio
magistralis ha parlato dell’Unione Europea e della necessaria attenzione
che essa dovrà porre alle istanze che provengono dal mondo ortodosso, portatore
come è di valori umani di grande spessore, quale il senso della comunità,
contro gli individualismi imperanti soprattutto in occidente.
Infine
ha richiamato l’attenzione sulla necessità del rispetto dell’ambiente naturale
(Besa/Roma).
ROMA
CONSIGLIO DI CHIESA
DI S. ATANASIO
Sabato
6 ottobre si è riunito il Consiglio della Chiesa di S. Atanasio per programmare
le attività dell’anno pastorale 2007-2008.
1. Per la festa nazionale di Albania (28 novembre)
si sono concordate due iniziative:
* Il sabato 24
novembre si farà la commemorazione del X
anniversario della morte di Madre Teresa . Vi sarà la proiezione di un
documentario del regista albanese Gjon Koldrekaj, presente il regista che ne
farà il commento;
* La domenica
25 novembre si celebrerà
2. Si continuerà
il ciclo di mistagogia che quest’anno
si concentrerà in un’introduzione alla
lettura della Sacra Scrittura con tre lezioni di p. Giovanni Odasso della
Pontificia Università Laterannense, con le seguenti scadenze:
* Sabato 16
febbraio: La correlazione tra l’Antico e
il Nuovo Testamento;
* Sabato 8
marzo: Dal Vangelo “annunciato” ai
vangeli scritti;
* Sabato 5
aprile: Prospettive ermeneutiche;
3. Domenica 18
maggio; incontro a Grottaferrata dei
battezzati a S. Atanasio negli ultimi 15 anni, assieme ai genitori.
Responsabile sarà l’ins. Agnese Jerovante.
4. Domenica 8
giugno avrà luogo il pellegrinaggio
annuale per un giorno di vita comunitaria dei fedeli di S. Atanasio con
celebrazione eucaristica e pranzo al sacco. Responsabili saranno la prof. Maria
Franca Cucci e
5. Altre
iniziative saranno concordate nel corso dell’anno secondo le necessità (Besa/Roma).
PIANA DEGLI ALBANESI
70° DI CREAZIONE DELL’EPARCHIA
1937- 2007
Ricorre il 70° di fondazione dell’Eparchia di Piana
degli Albanesi (26 settembre 1937-2007). Per la circostanza ha visitato
l’Eparchia il nuovo Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S.E.
Leonardo Sandri, che il 24 novembre sarà ordinato cardinale da S.S. Benedetto
XVI.
Il 26 ottobre, festa di S. Demetrio Megalomartire,
Patrono dell’Eparchia, egli ha presieduto nella cattedrale la Divina Liturgia
di S. Giovanni Crisostomo.
Sabato 27 ottobre mons. Aldo Giordano, Segretario
Generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha tenuto una
conferenza su “Il dialogo ecumenico in
Europa: Dalla prima assemblea alla terza Assemblea Ecumenica Europea”
(Sibiu 2007), presso la con - cattedrale “S. Nicolò dei Greci alla Martorana” a
Palermo” (Besa/Roma).
Teologia quotidiana
80
EPÈKTASIS: GRAZIA DIVINA E SFORZO UMANO
La tensione che spinge l’uomo
alla perfezione non è un tentativo di un’etica filosofica, o una gnosi o uno
sforzo volontaristico pelagiano. Secondo S. Gregorio di Nissa si tratta di una
vera sinergia tra
1.
“
2.
“L’anima rigenerata dalla potenza di Dio deve nutrirsi fino a raggiungere le
dimensioni proprie della maturazione intelligibile dello Spirito, facendosi
irrigare in misura sufficiente dal sudore della virtù e della concessione della
grazia” (Ibidem p. 25). Lo sforzo
umano è pertanto indispensabile ed è lo strumento ordinario per mettere in
pratica la vocazione divina in ciascun credente. S. Gregorio a questo proposito
presenta l’esempio dell’evoluzione del corpo umano che “corroborato da
nutrimenti materiali progredisce secondo le leggi della natura”. Ugualmente
l’anima rigenerata non deve rimanere sempre bambina “ma deve farsi irrigare dal
proprio nutrimento spirituale e alimentarsi con le virtù e le fatiche fino a raggiungere
le dimensioni richieste dalla sua natura” (Ibidem
p. 26). La tradizione filosofica greca della virtù (aretē) offre il sottofondo culturale per la
comprensione del suo senso come partecipazione al processo di crescita nella
perfezione, come esercizio etico, come ascesi che educa lo spirito e le sue
qualità per mezzo della ripetizione degli atti fino a farsene un abito. Così
l’immagine della ragione come “pilota”,
guida sulla via retta, ha la sua origine in Platone. Anche dal neoplatonismo il
Nisseno assume immagini, motivazioni e orientamenti. Nella sua opera abbiamo
una coerente incarnazione della dimensione cristiana nel contesto culturale
ellenistico. Il Nisseno afferma: “Quanto più ti impegni nella gara della
religiosità, tanto più aumenta la grandezza della tua anima, proprio grazie ai
cimenti e alle fatiche che il Signore ci impone” (Ibidem, p. 27). Il Nisseno in questo contesto si richiama
all’esortazione di S. Paolo di perseverare nella corsa: “Egli ci esorta a
correre …perché il dono della grazia è commisurato agli sforzi di chi lo
riceve” (Ibidem, p.27). Il Nisseno
cita la parabola dei talenti dati perché vengano messi a frutto e non lasciati
giacere inerti. Pure la parabola del seme caduto sul buon terreno, che frutta
il centuplo, illustra la fecondità della cooperazione.
3.
Nell’opuscolo “Il fine del Cristiano”
è esplicitamente affermato, che tra
4.
La presenza dello Spirito nell’uomo genera un dinamismo verso l’infinito per
cui nessuno stadio di crescita è definitivo. E’ tappa intermedia. Per S.
Gregorio è chiaro che “l’uomo deve sempre elevarsi fino a diventare perfetto” e
deve “cercare solo quella (Gloria) la cui bellezza è inesprimibile e il cui
limite è introvabile” (p. 63) (Besa/Roma).
Roma, 4
novembre 2007
Circolare luglio 2007 194/2007
I detti di Gesù (52): “Non
crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra…”................... 1
ROMA: Istituita la “Fondazione Tommaso Federici”.................................................................... 2
ALBANIA: Archimandrita Pietro Scarpelli - Chiesa greco-cattolica............................................. 3
TIRANA: I Codici dell’Albania.................................................................................................. 6
TIRANA: Fede e cultura........................................................................................................... 7
ROMA:
NAPOLI: Atlante dialettologico della lingua albanese.................................................................. 8
CALABRIA: Il vescovo Giuseppe Bugliari e il Collegio di S. Adriano........................................... 9
ROMA: Incontro dei battezzati a S. Atanasio............................................................................ 10
GROTTAFERRATA: Liturgia e agiografia tra Roma e Costantinopoli........................................ 10
Epèktasis - Essere sempre protesi in
avanti.............................................................................. 11
Tà lòghia - I detti di Gesù (52): “Non
crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra;
non sono venuto a portare la
pace, ma la spada” (Mt 10,34)
L’attesa messianica di Gesù è sostanziata di aspettativa della pace
globale che coinvolge l’anima, il corpo, la singola persona, la comunità
religiosa, la società politica. Alla sua nascita gli angeli, interpretando il
più profondo orientamento religioso, hanno cantato: “Gloria a Dio nel più alto
dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). E dopo la sua morte per la redenzione del
mondo, Gesù risorto apparendo ai discepoli
li salutò ripetutamente con
l’annuncio quotidiano ed escatologico: “Pace a voi” (Gv 20, 19.21). Appare quindi paradossale la precisazione
che egli fa ai discepoli quando li sta preparando alla missione: “Non crediate che io sia venuto a portare la
pace (eirēnēn) sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma la
spada (màchairan) (Mt
10,34). La contrapposizione
delle immagini di pace e spada
rende più esplicito e percepibile il pensiero. In più Gesù entra nel discorso
in modo diretto e quasi polemico contro qualche erronea concezione sul
significato della sua venuta, o in seno
“della comunità messianica o delle comunità di ambiente matteano”, cioè
delle comunità che andavano costituendosi attorno alla predicazione di Matteo
(Pierre Bonnard). Gesù scarta sin dall’inizio le eventuali
opinioni erronee: “Non pensate (mē
nomìzēte)”che sia venuto a
portare un vacuo e fatuo pacifismo.
Egli è venuto a portare il rinnovamento radicale dell’uomo che esige la
conversione (metànoia) e quindi un doloroso discernimento. Ciò potrà comportare una
“separazione” tra figlio e padre, tra figlia e madre nel caso in cui “quelli di
casa” - che pure vanno amati per comandamento di Dio - possono essere di intralcio al rapporto con
Dio:“Chi ama il padre o la madre “ più
di me”(hypèr emè) non è degno di me” (Mt 10,37). La conversione richiesta da Gesù ai suoi
discepoli esige la separazione tra il bene e il male, un taglio in due (ēlthon gar dichàsai): perciò si esige la spada (màchairan). Un taglio netto fra il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. Solo
in seguito - dopo aver accolto il vero, il giusto, il bene - si avrà
la pace vera. In altra circostanza Gesù, prima della sua passione e
morte, disse ai discepoli: “Vi lascio
la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi”(Gv 14,27). Una pace cioè fondata sul compromesso etico, o peggio ancora su fini
malvagi, o imposta con il terrore di autorità
violente. S. Giovanni Crisostomo porta l’esempio della falsa concordia e
unità che sosteneva la costruzione della
Torre di Babele. “Dio pose fine a una pace negativa e procurò la pace” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 35,1). Perché - egli aggiunge: “La concordia non è
sempre un bene, perché anche i briganti sono concordi” (Besa/Roma).
ISTITUITA
TOMMASO FEDERICI
Riportiamo
da L’Osservatore Romano il seguente articolo di Mons. Eleuterio F. Fortino scritto per il quinto anniversario della morte (13
aprile) di Tommaso Federici, “laico teologo”:
Ricorre il quinto anniversario della morte (13
aprile 2002-2007) di Tommaso Federici, laico cattolico, impegnato durante
l’intera vita nella ricerca e nell’insegnamento teologico, nonché nella
riflessione ecclesiale nel periodo seguente il Concilio Vaticano II di cui ha
indagato le dimensioni profonde, ricercando sempre nei fenomeni e negli eventi
ecclesiali gli aspetti radicali della vocazione cristiana. Nella sua opera,
permanente è il rinvio all’esigenza della conversione personale e comunitaria.
“Secondo
Per l’anniversario della sua morte sono in programma
diverse iniziative a Roma e nell’abbazia di Pulsano a Montesantangelo sul
Gargano (Fg) dove riposano i suoi resti mortali. Anche nella chiesa cattolica
di rito greco di S. Atanasio in via del Babuino, per anni frequentata dal
Federici, si celebrerà, come ogni anno, un trisaghion
bizantino in suffragio, la prima domenica dopo Pasqua che nella Chiesa bizantina è detta “Domenica
di Tommaso”, perché si ricorda l’apparizione di Gesù risorto a Tommaso assieme
agli altri apostoli (Gv 20, 26-29).
Tommaso Federici è
nato a Canterano (Roma) il 30 aprile del 1927 ed è vissuto sempre a Roma. Ha
avuto una formazione polivalente che egli ha utilizzato ad esclusivo fine
ecclesiale. Laureato prima in lettere antiche presso “
Il vescovo mons. Vincenzo Apicella scrive di lui
che “la vera svolta della sua vita” fu
l’incontro al Pontificio Ateneo S. Anselmo con p. Cipriano Vagaggini e con p.
Salvatore Marsili. E aggiunge che “furono essi ad introdurlo all’insegnamento
accademico a S. Anselmo, dove con studiosi come Emmanuele Lanne, M. Löhrer, B.
Nenhauser e A. Nocent, fu tra i fondatori del Pontificio Istituto Liturgico”.
In seguito, presso questo Pontificio Istituto Liturgico, per anni ha insegnato,
tra l’altro l’introduzione alla storia e alla prassi delle Liturgie Orientali e
una materia che lo distingueva come “Bibbia e Liturgia” e che forse rimane la
sua eredità spirituale. E’ di questo periodo la preparazione del voluminoso
commento del lezionario bizantino (“Resuscitò Cristo”) pubblicato poi
nel 1996. E’ stato professore ordinario presso
Va certamente ricordato anche il suo consistente
contributo a varie riviste teologiche, culturali, pastorali e la sua lunga collaborazione
a L’Osservatore Romano.
Nell’esplicazione di questi incarichi e in particolare dell’insegnamento e dell’accompagnamento didattico degli studenti, da lui particolarmente curato, soggiaceva la permanente e quotidiana ricerca culturale e spesso un appassionato coinvolgimento per il suo amore alla Chiesa e alla sua missione nel mondo.
Per mantenere viva la sua eredità spirituale e per
approfondire e continuarne la riflessione è stata costituita la “Fondazione
Tommaso Federici” che, come si legge nei suoi atti fondativi, “si propone,
tra l’altro la conservazione, la sistemazione e la prosecuzione del lavoro
culturale teologico del suo titolare Tommaso Federici e la pubblicazione dei
suoi inediti e la riedizione delle altre
sue opere già pubblicate”. Inoltre
Attualmente sono in preparazione redazionale altre sue opere inedite. Entro l’anno sarà ripubblicato il commento al lezionario domenicale dei cicli A-B-C in tre volumi. E’ inoltre in preparazione un convegno teologico-liturgico della Fondazione a Pulsano, l’antica storica abbazia, in parte restaurata e ora abitata da una comunità monastica, alla cui rinascita Tommaso Federici ha dato il suo entusiastico impulso di ispirazione e di animazione. E a questa abbazia che egli ha affidato la sua ricca biblioteca biblico-liturgica, strumento prezioso per i centri di cultura religiosa e e di insegnamento teologico nel circondario.
Dalla ricerca e dall’insegnamento del prof. Federici
emerge la permanente e stretta relazione tra la lex orandi e la
lex credendi sostenute dall’unico fondamento stabile della Sacra
Scrittura che interpella e salva e che si esprime nella lex vivendi (Besa/Roma).
ALBANIA
ARCHIMANDRITA PIETRO
SCARPELLI
CHIESA GRECO-CATTOLICA
Domenica 22 aprile, nel salone del seminario eparchiale italo-albanese di Cosenza (Via
Paparelle 16) è stata tenuta una conferenza su Mons. Pietro Scarpelli (Farneta
15 agosto 1887 – S. Paolo Albanese 24 agosto 1973) sotto il titolo “Missionario
arbëresh in Albania dal 1929 al
Mons. Pietro Scarpeli
Missionario arbëresh in
Albania
Nota previa
La via verso l’unione degli albanesi ortodossi: il
difficile inizio della chiesa greco – cattolica di Elbasan.
‘Uniatismo’
è secondo Taft un neologismo peggiorativo coniato per denotare un certo metodo
di unione delle chiese. I cattolici orientali e gli ortodossi intendono il
termine ‘uniatismo’ in modi diversi. I primi interpretano la storia dell’unione
delle loro chiese con Roma come un ritorno alla unio ecclesiarum o
ricostituzione dello stato di cose esistente prima dello scisma. Essi ritengono
che tali unioni siano il risultato di un onesto scambio teologico e del
desiderio sincero di unità tra i cristiani. Gli ortodossi, d’altra parte, danno
poco peso ai fattori religiosi e mettono, invece, in rilievo obiettivi politici
perseguiti da alcuni governi cattolici in accordo con la chiesa cattolica,
espansionista ed ‘assertiva’, considerando, quindi, tali unioni contrarie alla
ecclesiologia condivisa del primo millennio. Per tali implicazioni negative,
nel presente contributo non verranno usati i termini «uniatismo», «uniate» e
«unia» (se non che nelle citazioni dirette) mentre sarà utilizzato il termine
«unione» da intendersi come comunione fraterna basata sulla fede negli stessi
dogmi e sulla stessa Sacra Tradizione, conservata sia in Oriente che in
Occidente. Precisazione dell’autrice nella parte introduttiva del testo orale,
qui riassunto.
Istituzione della Chiesa Greco-Cattolica
Il nuovo Delegato Apostolico in Albania, Monsignor Della
Pietra, prese a cuore il destino della cosiddetta missione per l’unione
albanese, che egli considerò da subito promettente, affermando la disponibilità
di molti ecclesiastici e laici nei confronti di Roma. Della Pietra aveva
un’esperienza consolidata in Albania in quanto, prima della sua consacrazione
episcopale e nomina a delegato, era stato rettore del Seminario di Shkodra.
Nel febbraio del 1928, il Cardinal Sincero della
Congregazione per le Chiese Orientali rispose alle richieste di Della Pietra
inviando ad Elbasan Papàs Pietro Scarpelli, un prete italo-albanese, già
vicario generale dell’Eparchia di Lungro in Calabria. Fu deciso che, sotto la
guida del delegato apostolico e in collaborazione con Germanos, Scarpelli si
sarebbe occupato dell’erezione di una nuova chiesa per i greco - cattolici.
L’arrivo di Scarpelli in Albania il 9 maggio del 1928
coincise con un altro evento cruciale della storia albanese. Alcuni mesi più
tardi, il 1° settembre 1928, con grande sorpresa di molti[28], in
Albania fu proclamata la monarchia con Ahmet Zog, Re degli Albanesi, il quale
avrebbe regnato sotto il nome di Re Zog I[29]. Il
nuovo re voleva ‘plasmare’ l’Albania in base agli standard dell’Europa
occidentale. Nel suo primo discorso al Parlamento, il neo eletto re vantò di
poter apportare una magica trasformazione e si presentò come un sovrano
profondamente dedito al cambiamento e al progresso della nazione balcanica[30].
Ma come si configurava al tempo l’attività missionaria
per l’unione in Albania? All’inizio Scarpelli era quasi del tutto privo di
speranza. Descrivendo la missione albanese per l’unione e specialmente i fedeli
cattolici greci rimasti fedeli a Roma, Scarpelli rilevava che i numeri non
erano certo promettenti in quanto rimanevano soltanto quindici famiglie della
comunità greco-cattolica di Elbasan[31] e le
impressioni che Scarpelli ebbe all’inizio del suo soggiorno ad Elbasan non
erano certo incoraggianti. Egli sosteneva che il lavoro di Germanos non aveva
prodotto risultati degni di considerazione e si era reso conto che l’unione
appoggiata da Germanos era frutto di «mero calcolo di opportunità politica, o
addirittura di una lotta politica tra Austria e Russia, che ebbe fine con il
declino degli Asburgo»[32].
Scarpelli informò Roma sugli errori e le colpe di Germanos nel trattare la
causa greco – cattolica ed ebbe modo di scoprire che la vita del vecchio
archimandrita non era stata «né lecita e né cristiana»[33].
Tuttavia, Scarpelli trovò consolazione nelle numerose
dimostrazioni di simpatia della popolazione ortodossa della città e dei
dintorni nei confronti della sua missione. Scarpelli pensava di essere
circondato dalla stima e dalla deferenza di persone di ogni rango e classe che
spesso gli facevano visita esprimendogli di persona la loro approvazione. Egli
comunque, percepì che le relazioni cordiali si erano leggermente modificate nel
1929, quando Re Zog faceva pressioni perché il riconoscimento ufficiale
dell’autocefalia della chiesa ortodossa albanese avvenisse senza l’aiuto del
Patriarcato Ecumenico[34]. Il
governo albanese da solo «si assumeva il compito di organizzare la chiesa
autocefala»[35].
Inoltre, nel marzo del 1929, fu costituito il Santo Sinodo dei Vescovi della
nuova chiesa ortodossa autocefala albanese mentre, nel giugno dello stesso
anno, il congresso di Korça approvò lo statuto definitivo della chiesa albanese[36].
Nel febbraio del 1929, Scarpelli cominciò ad avvertire le
prime avvisaglie di contrasto e di opposizione che avrebbero determinato la sua
espulsione dall’Albania sei mesi più tardi nel settembre del 1929. Tuttavia, la
stima e la fiducia che il popolo dimostrava per Scarpelli e per la missione
greco - cattolica non svanirono. Durante il periodo pasquale del 1929,
Scarpelli ricevette un certo numero di visite ufficiali come quella del
prefetto di Elbasan e del vescovo locale ortodosso e, per il giorno di San
Pietro, suo onomastico, oltre cento persone gli fecero visita. Inoltre, nella
capitale albanese Tirana, Scarpelli potè incontrare e parlare con Papàs Vasil
Marko, considerato fondatore e creatore dell’autocefalia albanese. Marko si
espresse in favore dell’unione ed assicurò a Scarpelli la sua collaborazione in
quel processo[37].
Vasil Marko sperava che, con l’unione cristiana, la chiesa ortodossa d’Albania
avrebbe riacquistato la sua dignità perduta insieme ad ampie disponibilità
economiche per affrontare l’Islam Albanese, religione prevalente in Albania[38].
Intanto, la costruzione della chiesa greco – cattolica di
Scarpelli era quasi completata, e il giorno dell’inaugurazione era stato
fissato per il 25 agosto 1929. Il Delegato Apostolico Della Pietra, Francisco
Genovizzi S.J., Rettore della Missione della Compagnia di Gesù a Tirana,
autorità civili della regione capeggiati dal prefetto di Elbasan, autorità
militari, Bey Verlaci, deputato di
Tirana, il senatore Beça, sostenitore dell’unione, membri delle elites di
Elbasan, e una gran folla di gente del posto partecipò alla solenne cerimonia
di inaugurazione[39].
Scarpelli aveva scritto al re per annunciare l’apertura della chiesa,
implorando la sua adesione e approvazione per la nuova istituzione. Il re non
rispose mai all’invito. Ciò fu un preannuncio di quanto sarebbe accaduto in
seguito.
Scarpelli non aveva dubbi o illusioni sulla difficile
situazione e circa i problemi che la chiesa greco - cattolica avrebbe dovuto
affrontare con la chiesa ortodossa autocefala albanese, il cui programma
prevedeva l’opposizione sistematica alla crescita del movimento di unione.
Oltre tutto, secondo il rapporto di Scarpelli, la causa dell’unione fu discussa
nel Congresso albanese pan-ortodosso che si tenne a Korça nel marzo del 1929.
Il Sinodo ortodosso aveva anche parlato dei mezzi concreti con cui impedire e
reprimere qualsiasi propaganda di unione.
Inoltre, Scarpelli dovette affrontare le tribolazioni
procurate dal clero della chiesa ortodossa autocefala e dai nazionalisti di
Elbasan, i quali tra l’altro, erano fortemente contrari all’uso della lingua
greca nella liturgia. Infatti i sostenitori dell’autocefalia rifiutavano del
tutto l’uso del greco nelle chiese albanesi[41].
D’altronde, i nazionalisti albanesi ed i sostenitori
dell’autocefalia avevano il pieno sostegno del governo circa la questione della
lingua. La posizione del governo era prudente e sensata agli occhi delle
autorità locali. Infatti il governo aveva affrontato innumerevoli difficoltà
per istituire la chiesa ortodossa autocefala albanese, per sottrarla
all’influenza greca e sostituire l’uso del greco con l’albanese. Perciò non
voleva assolutamente alimentare false aspettative nei grecofili o reminiscenze
della lingua e della cultura greca nei fedeli ortodossi. In questo modo
cresceva l’opposizione verso la nuova chiesa.
Mentre Papàs Scarpelli ringraziava i sostenitori e gli
amici che lo avevano aiutato a realizzare il progetto della chiesa, il governo
di Tirana progettava il suo arresto e il suo espatrio. Papàs Scarpelli fu
arrestato ed espulso dall’Albania il 19 settembre 1929[42].
La polizia ricercava anche Joan Toda e Naum Peqini, i due
preti greco-cattolici di Elbasan, ma solo uno di loro fu catturato. Peqini fu portato
in prefettura dove il prefetto, minacciando l’incarcerazione, l’allontanamento
dalla sua famiglia e il taglio della barba, lo obbligò a ritornare
all’Ortodossia. Peqini non resistette alla dura prova e cedette. Nel frattempo,
dopo questo primo colpo, il Primate della Chiesa Autocefala, Xhuvani, che
continuava la sua permanenza ad Elbasan, la domenica, 22 settembre 1929, nella
chiesa ortodossa di Santa Maria, proclamò la vittoria dell’autocefalia e la
fine dell’uniatismo albanese, «il microbo che aveva minacciato la vera vita
della chiesa autocefala. Questo lupo rapace che ha divorato gli agnelli
dell’Ortodossia, è stato eliminato una volta per sempre»[43].
Il Delegato Apostolico Della Pietra, avendo appreso ciò che
era accaduto alla missione di unione di Elbasan, partì da Shkodra per
confortare i fedeli. I fedeli greco - cattolici erano scoraggiati e depressi
per ciò che era accaduto ai loro pastori e alla loro tanto desiderata chiesa.
Della Pietra protestò in prefettura per il trattamento disonorevole riservato a
Scarpelli, a Peqini e in generale a tutta la missione per l’unione. Ma l’azione
del Primate Ortodosso, Xhuvani di concerto con il governo albanese, non era
ancora conclusa. Si temeva una crisi nelle relazioni italo-albanesi e Xhuvani
falsificò dei documenti per dimostrare la sua rettitudine. Compilò un elenco
con 15 nomi di alcuni tra i più zelanti collaboratori di Scarpelli, i quali
dichiararono di essere stati costretti a firmare un atto di conversione forzata
come obbligo verso Scarpelli. I capi della regione Shpati, che erano stati i
sostenitori dell’unione fin dal suo principio, dovettero comparire presso
Inoltre, vennero sparse voci circa «un accordo segreto
tra il governo di Mussolini e il Vaticano, in base al quale la chiesa, come
strumento di propaganda religiosa (di cui l’Albania non aveva specificamente
bisogno) era opera dell’Italia che, attraverso la chiesa, stava gradualmente
diffondendo la sua influenza in Albania, e io [Scarpelli] fui mandato in
Albania con il solo scopo di diffondere la propaganda italiana, danneggiando di
conseguenza la nazione albanese»[44] (Besa/Roma).
I CODICI DELL’ALBANIA
Una pubblicazione scientifica critica e illustrata dei codici presenti in Albania con il patrocinio dell’Unesco e la redazione scientifica del Prof. Shaban Sinani e un corpo redazionale internazionale (Drejtoria e Përgjithshme e Arkivave, Kodikët e Shqipërisë, Tiranë 2003). Nella presentazione Kaliopi Naska e Shaban Sinani, dal titolo “Si portano a conoscenza 100 codici dell’Albania” si offrono informazioni utili per la comprensione e l’utilizzazione della pubblicazione. Emerge la sollecitazione a studi nuovi e specialistici su questi codici. I due redattori informano: “Nel volume Kodikët e Shqipërisë, opera scientifica e illustrata, si riporta una scelta della maggior parte degli articoli e degli scritti con carattere di studio e di divulgazione sui manoscritti circa i vangeli, pubblicati in un periodo di 135 anni, da quando il vescovo di Berat, Anthim Aleksudi, l’erudito “amico dell’arte”, come con affetto lo chiamano a Costantinopoli, ha descritto, per la prima volta, nel suo libro “Breve descrizione della sacra metropoli di Berat”, alcuni dei codici più antichi che si conservavano nelle Chiese e nei monasteri dei fedeli albanese. Vi si riportano anche studi di paleografia, di critica testuale, di catalogazione, e di biblioteconomia di studiosi locali e stranieri”.
Dall’indice vanno segnalati alcuni contributi
particolari:
Di questi due ultimi capitoli il redattore Sinani osserva:
“Il catalogo di Popa, assieme allo studio introduttivo, che è la prima opera con dati archeologici e
culturali-storici per i 100 codici del “Fondo
La pubblicazione è stata realizzata sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica di Albania, Alfred Moisiu, e costituisce uno strumento per ulteriori studi ma anche per il recupero della dimensione spirituale del popolo albanese dopo l’alienazione materialista (Besa/Roma).
TIRANA
FEDE E CULTURA
In Albania, come nei diversi Paesi dell’Est Europeo, con la caduta dei regimi comunisti, si pone con particolare urgenza la riflessione su “Fede e Cultura”. Don Arian Shkurti dell’Arcidiocesi di Tirana - Durrës ha preso la lungimirante iniziativa di fondare una collana di pubblicazioni su questa tematica. Dopo il razionalismo materialista marxista-leninista, è necessaria una apologetica che risponda alle esigenze della ragione. Nell’incipit del primo volume don Shkurti scrive: “Il Cristianesimo fin dall’inizio ha compreso se stesso come fede del Logos, come fede secondo ragione” (p.3). La collana ha già pubblicato due titoli: Nikolaj Berdjajev, La visione del Mondo di Dostojevski 2006; e Joseph Ratzinger, Il Cristianesimo e la crisi delle culture, 2007. Il primo è stato tradotto dal russo da Don Arian Shkurti in collaborazione con Ferdinand Leka; il secondo volume dall’italiano per opera del direttore della collana.
La scelta dei primi due titoli è indicativa: Berdjajev è un russo del secolo scorso (Kiev 1874-Parigi 1948), convertito al cristianesimo ortodosso dopo una esperienza socialista, il secondo, cattolico, è l’attuale Papa di Roma che proietta la sua riflessione sulla dimensione cristiana dell’Europa rivolta al futuro. Il linguaggio albanese usato è ben studiato e costituisce un apporto arricchente alla lingua albanese, impoverita per questo aspetto per un mezzo secolo di imposta amnesia religiosa. Per la formazione della terminologia teologica potrà offrire un vero apporto lo studio dei classici cattolici albanesi (Buzuku, Budi, Bogdani) e la pubblicistica cattolica, francescana e gesuitica in Albania, dei secoli XIX-XX (Besa/Roma).
ROMA
E GLI ARBËRESHË
Il 9 giugno 2007 il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato il nuovo prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, nella persona di S.E. Mons. Leonardo Sandri, già sostituto della Segreteria di Stato. Egli prende il posto di S.B. Ignace Moussa Daoud, patriarca emerito di Antiochia dei Siri, che per limiti di età aveva presentato le dimissioni da prefetto della detta Congregazione. Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto in quel giorno visita alla Congregazione in relazione all’anniversario della sua istituzione per opera di Benedetto XV (1 maggio 1917). Questo stesso Papa, per il suo interesse verso l’Oriente, ha creato anche il Pontificio Istituto Orientale, e per gli italo-albanesi l’eparchia di Lungro e il Pontificio Seminario Benedetto XV di Grottaferrata.
Le eparchie di Lungro in Calabria e di Piana degli
Albanesi in Sicilia e il monastero esarchico di S. M. di Grottaferrata dipendono direttamente dalla Santa Sede
attraverso
Il nuovo prefetto della Congregazione, mons. Leonardo Sandri, italo-argentino, è nato a Buenos Aires nel 1943 da genitori emigrati trentini. Ha svolto il servizio diplomatico in vari paesi, dal 16 settembre del 2000 era Sostituto della Segreteria di Stato. Il giorno della sua nomina a prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha fatto una dichiarazione in cui tra l’altro affermava: “Come Sostituto della Segreteria di Stato ho collaborato da vicino con Benedetto XVI…Ora continuerò a farlo in questo settore delle Chiese Orientali, da lui intensamente conosciuto e amato.
Sono consapevole che mi viene affidato il grande “tesoro” della preghiera liturgica, della tradizione spirituale, della vita monastica, della vita di tanti Santi, dell’insegnamento dei Padri e dei Dottori della Chiesa d’Oriente. Un “tesoro” che speriamo anche oggi sia ricercato, rivisitato, approfondito e amato, così che esso possa offrire alle attese odierne della Chiesa universale e del mondo del nostro tempo la ricchezza di dottrina e di spiritualità della tradizione orientale”.
Nel discorso rivolto alla Congregazione per le chiese Orientali, Benedetto XVI tra l’altro ha detto:
“Questa visita mi pone sulle orme dei miei venerati
Predecessori, il Servo di Dio Giovanni Paolo II e il Beato Giovanni XXIII, che
vennero personalmente ad incontrare i Superiori e gli Officiali del Dicastero.
Con essa intendo inoltre simbolicamente continuare il pellegrinaggio al cuore
dell’Oriente che Papa Giovanni Paolo II ha proposto nella Lettera apostolica Orientale
lumen. Poiché la venerabile e antica tradizione delle Chiese Orientali è
parte integrante del patrimonio indiviso della Chiesa di Cristo (cfr Unitatis
redintegratio, 17), egli esortava a conoscerla, affermando: "E’
necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina
possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il
Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena
manifestazione della cattolicità della Chiesa" (Orientale lumen,
1). Ho idealmente iniziato tale pellegrinaggio assumendo il nome di un Papa che
tanto amò l’Oriente. E, aprendo ufficialmente il Servizio Petrino del Vescovo
di Roma, mi sono raccolto presso il sepolcro dell’Apostolo chiamando accanto a
me i Patriarchi orientali in comunione con il Successore di Pietro. Così,
davanti a tutta
Ha poi ricordato alcuni compiti del Dicastero:
“
Verso la fine del discorso ha aggiunto: “Con queste preoccupazioni
Affido questi auspici al beato Giovanni XXIII: l’Oriente lo segnò
profondamente fino a condurlo a convocare la "nuova Pentecoste del
Concilio" in docilità allo Spirito e cordiale apertura verso tutti i
popoli”.
Il Patriarca Ignazio Moussa Daoud, che ha concluso il suo servizio per
superati limiti di età, ha retto
NAPOLI
ATLANTE
DIALETTOLOGICO
DELLA LINGUA ALBANESE
E’ stata realizzata una importante collaborazione tra l’Accademia delle Scienze d’Albania - Istituto di linguistica e di letteratura e l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale – Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale. E’ stato appena pubblicato il primo volume dell’Atlante dialettologico della lingua albanese che prende in esame l’intero panorama delle parlate albanesi in Albania e dovunque si parli l’Albanese.
La voluminosa opera in due volumi in folio viene pubblicata con il contributo del CNR di Roma, dell’Università di Napoli L’Orientale, del Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale e della Regione Campania.
Ne sono autori: prof. Jorgaqi Jinari (direttore), prof. Bahri Beci, prof. Gjovalin Shkurtaj, prof. Xheladin Kosturani con la collaborazione del prof. Anastas Dodi e prof. Menella Totoni (Atlasi Dialektologjisë i Gjuhës Shqipe, Vëllimi I, 2007, pp. 464).
Il prof. Italo Costante Fortino, responsabile scientifico dell’Accordo di collaborazione e cooperazione tra l’Accademia delle Scienze d’Albania e l’Università di Napoli L’Orientale ha firmato la “ Presentazione” che riportiamo integralmente dalla p. 3:
“Nell’ambito degli accordi culturali tra l’Accademia delle Scienze d’Albania e l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale rientra la pubblicazione dell’Atlante Dialettologico della Lingua Albanese (ADLA), una ricerca monumentale, condotta da studiosi dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana.
La promozione di un progetto di ricerca per un Atlante Dialettologico della Lingua Albanese spetta al prof. Matteo Batoli (1929), poi ripresa dal prof. Carlo Tagliavini (1940), portata avanti dal prof. Eqrem Çabej che ne formulò il questionario sulla matrice degli atlanti di S. Gilieron e Batoli stesso.
Questo antefatto trovò la pratica realizzazione nel progetto dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana che si sviluppò dal 1970 al 1990, un ventennio di intenso e proficuo lavoro.
La crisi degli anni ’90 non offrì prospettive alla pubblicazione in Albania e, su indicazione del prof. Romano Lazzeroni, allora presidente del Comitato ricerche del CNR, l’Università di Napoli L’Orientale sponsorizzò l’impegno editoriale, inserendolo nell’accordo di collaborazione e cooperazione fra le due Istituzioni, e ottenendo un primo sostegno proprio dal CNR.
Nell’ambito del Convegno “Variazioni linguistiche in Albanese” (Salerno 1994), l’urgenza della pubblicazione dell’Atlante veniva ripresa dal prof. Bahri Beci, allora Direttore dell’Istituto di Linguistica e Letteratura di Tirana, e coautore dell’Atlante stesso, il quale nella sua relazione ne evidenziava non solo gli aspetti strutturali ed il processo evolutivo che aveva portato alla definitiva stesura dell’Atlante, ma, attraverso l’osservazione dei fenomeni di convergenza e divergenza linguistica, riusciva a individuare nel Principato dell’Arbëri (sec. XI-XV), area tra Durazzo e il fiume Drin, il consolidamento di alcuni fenomeni dialettologici omogenei non estranei al processo di formazione di una progressiva “unità politica ed economica”. La tesi apriva prospettive di grande interesse storico e geopolitico che meritano ulteriori riflessioni ed approfondimenti, anche alla luce di tutti i dati che l’Atlante ora fornisce. Questo esempio è illuminante e denota quanta importanza può avere il quadro generale di innumerevoli fenomeni linguistici che hanno come campo tutta l’area albanofona, quella d’Albania, delle terre albanofone limitrofe, della Grecia, di Zara (Croazia) e dell’Italia Meridionale. Un cenno va fatto ai punti sondati per rilevare le varianti delle parlate arcaiche (sec. XV) degli Albanesi della diaspora in Italia: Villa Badessa (PE), Portocannone (CB), Casalvecchio (FG), Greci (AV), Barile (PZ), S. Costantino (PZ), S. Marzano (TA), Lungro (CS), Plataci (CS), S. Benedetto Ullano (CS), Macchia (CS), Falconara (CS), Carfizzi (KR), Caraffa (CZ), Piana degli Albanesi (PA).
I dati forniti dall’Atlante, permettono una ricostruzione complessiva delle varianti dialettali fonomorfologici che offrono fondate indicazioni per individuare le zone di provenienza delle varie ondate migratorie.
Doveroso più di un ringraziamento a chi ha reso possibile la presente pubblicazione: al CNR che ha permesso l’avvio della composizione dell’opera con un suo contributo finanziario; all’Università L’Orientale di Napoli e nello specifico al Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale che, oltre al contributo finanziario, ha investito in impegno ed energie; infine, ma non ultimo, alla Regione Campania, Area di Coordinamento Attività Sociali, in attuazione della Legge 14/2004 relativa alla Tutela della Minoranza Alloglotta e del Patrimonio Storico, Culturale e Folcloristico della Comunità Albanofona del Comune di Greci in Provincia di Avellino, per il prezioso sostegno finanziario che ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione della pubblicazione” (Besa/Roma).
CALABRIA
IL VESCOVO
GIUSEPPE BUGLIARI
E IL COLLEGIO
DI S. ADRIANO
E’ stata ripubblicata la biografia del vescovo Mons. Giuseppe Bugliari (1813-1888) scritta dal Dott. Francesco Bugliari (1850-1926) il quale aveva composto un’altra biografia su Mons. Francesco Bugliari. Entrambi sono stati vescovi presidenti del Collegio Corsini, fondato a s. Benedetto Ullano (1732) e trasferito a S. Demetrio Corone (1794). Il giornalista Cav. Luciano Bugliari nella presentazione della ristampa scrive: “Entrambi i vescovi si sono adoperati a dar vita e decoro al glorioso Collegio di S. Adriano”. I manoscritti delle due biografie sono stati pubblicati dal Com. Angiolino Bugliari, figlio dell’autore. Nella presentazione della ristampa della monografia su Giuseppe Bugliari si scrive: “Con questa ristampa, vogliamo contribuire alla pubblicazione di quest’opera, per dare il giusto omaggio e doverosa riconoscenza a un illustre casato, che ha onorato la storia di S. Sofia e tutte le Comunità arbëreshe”.
Il volumetto (Francesco Bugliari, Mons., Giuseppe Bugliari, Vescovo di rito greco bizantino, Presidente del Collegio italo greco di Sant’Adriano, 1813-1888, Caltagirone, 2007, pp. 84) traccia il percorso biografico di Francesco Bugliari: ambito familiare, formazione culturale, preparazione, servizio pedagogico, elezione episcopale, traversie giuridico-istituzionali, ministero nel Collegio.
Riportiamo il necrologio - egli era morto il primo di settembre 1988 - firmato dal Sac. Nicola Lopez di S.Demetrio Corone e pubblicato dal “Corriere di Roma” del 16 settembre del 1888 e ristampato nella presente biografia (pp. 77-78):
“Pace e Gaudio al suo spirito!
Nacque il 12 marzo 1813, e compì i suoi studi nel Seminario di Bisignano, che allora brillava sì per la valenza dei professori e sì per l’opera indefessa del non mai abbastanza compianto mons. Vescovo Felice Greco.
Unto sacerdote, si diede all’insegnamento di Lettere e di Scienze, e per più anni fu educatore in parecchie proficue famiglie delle due province di Cosenza e Catanzaro.
Con breve del 10 settembre 1875 fu dalla Santità di Pio IX
promosso alla Sede Vescovile di Dansara i.p.i. e con altro di pari data fu
deputato alle ordinazioni per gl’Italo-greci di Calabria e Basilicata. Per
questo secondo ufficio e per il Decreto Reale del 15 aprile 1876, col quale
veniva nominato Presidente del Collegio italo-greco di S. Adriano, fu anche
nominato Abate Commendatario di S. Benedetto Ullano, per essere
Colà, sebbene in una posizione ben diversa da quella degli illustri predecessori, malgrado gli acciacchi della salute e le cento altre difficoltà, Egli, saggio sempre e operoso, accurato e zelante del bene degli Albanesi, spiegò ogni industria per salvare i loro privilegi e tutelare i diritti della Chiesa, non dipartendosi dalla volontà dell’immortale fondatore Clemente XII, espressa col mezzo di varie Bolle, che furono e sono l’organico dell’Istituto nonché la fonte originaria dei privilegi degli Albanesi.
Il bene arrecato al Collegio di S. Adriano dalla Venerabile figura del Vescovo di Dansara di certo non risulta agli occhi di tutti, ma con franchezza si può affermare aver egli delicatamente e nobilmente adempiuto l’apostolica sua missione nel Collegio e fuori, massimamente se si ha riguardo ai tempi e alle condizioni in cui egli visse” (Besa/Roma).
ROMA
INCONTRO DEI
BATTEZZATI
A S. ATANASIO
Il 17 giugno 2007, domenica prima della festa di S.
Giovanni Battista, ha avuto luogo l’incontro dei battezzati nella chiesa
di S. Atanasio. Questa volta sono stati invitati i battezzati dal
GROTTAFERRATA
LITURGIA E AGIOGRAFIA
TRA ROMA E COSTANTINOOLI
Sotto il titolo di “Liturgia e Agiografia tra
Roma e Costantinopoli” [Analekta Kryptoferreis 5], Grottaferrta 2007, sono
stati pubblicati gli “Atti dei Seminari di studio” tenuti a
Grottaferrata negli ani 2000-2001.
I convegni erano stati organizzati dall’Università degli Studi Roma Tre
(Dipartimento di Letterature Comparate e
Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Antropologici), dall’Università
degli Studi di Roma Tor Vergata (Dipartimento di Storia) e dalla Badia
Greca di Grottaferrata, in collaborazione con L’Associazione Italiana per lo
Studio della Santità, dei Culti e dell’Agiografia e con l’Associazione Italiana
degli Slavisti. La miscellanea comprende quattro sezioni, ricche di importanti
e interessanti contributi, di specialisti della materia.
La prima sezione comprende 5 studi su
“Aspetti liturgico-agiografici della tradizione italo-greca”.
La seconda sezione contiene 6 studi su “Liturgia e agiografia nel mondo bizantino-slavo”.
La terza sezione contiene otto studi su
“Inventio e/o translatio : il culto delle reliquie dei santi”.
La quarta sezione contiene sette studi su
“Reliquie e santi e legittimazione del potere”.
Per il nostro interesse particolare segnaliamo i
titoli degli studi sulla tradizione italo-greca:
Enrico Morini: La visione ‘epicletica’ nel Bios
italo-greco di sant’Elia Speleota. Origine e fortuna, risonanze bibliche e
valenza liturgica di un topos agiografico;
Ilaria Bonaccorsi: Il Sermo de Sancto Bartholomeo apostolo
interprete Anastasio Bibliotecario;
Elena Paroli: Aspetti liturgici della festa di S.
Bartolomeo a Grottaferrata;
Gaia Taccagni: Considerazioni sulla paternità del Bios di
S. Bartolomeo di Semeri;
Antonio Saturnino: Sulla titolatura aulica e di funzione
presentente in un Bios monastico italo-greco del X secolo. La
pubblicazione degli Atti è stata curata da Krassimir Stanchev e da Stefano
Parenti.
Essi nella premessa informano sulla genesi e
svolgimento dei seminari. Tra l’altro ne descrivono la forma: “I seminari si
sono svolti sotto forma di tavole rotonde, due per ciascun seminario.
Il Comitato organizzativo aveva invitato per ogni tavola
rotonda un certo numero di relatori che dovevano tracciare le principali linee
della discussione, alla quale, oltre i relatori hanno partecipato numerosi
altri colleghi”. I loro interventi debitamente rielaborati sono stati inclusi
nella presente pubblicazione (Besa/Roma).
“Siate dunque perfetti (tèleioi)
come è perfetto (tèleios) il
Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Il
discepolo è chiamato da Gesù alla perfezione, intesa come realizzazione
completa, piena, senza lacune. E si indica il Padre come modello, esempio da
imitare. In un corrispondente passo del Vangelo di Luca, si usa lo stesso
paragone: “Siate misericordiosi, come misericordioso
è il Padre vostro” (Lc 6, 36). S.
Gregorio di Nissa ha profondamente riflettuto su questa vocazione - essere
perfetti come il Padre - che si pone tra la trascendenza di Dio e
l’inadeguatezza dell’uomo. Nel breve trattato che ha dedicato alla “Perfezione cristiana” San Gregorio mostra
che S. Paolo “indagò sugli oscuri e nascosti misteri divini”. Ma aggiunge che
“avendo compreso tutto ciò che le facoltà umane riescono a concepire sulla
natura divina, (s. Paolo) mostrò che il discorso sull’essenza trascendente è
irraggiungibile e incomprensibile per il pensiero umano” (Fine, Professione
e Perfezione del Cristiano, a cura
di Salvatore Lilla, Città Nuova Editrice, 1979, p. 91). Si tratta quindi di una
realtà “irraggiungibile” a cui però il cristiano è chiamato. A questa meta
lontana si deve “tendere” senza interruzione. I discepoli di Gesù devono essere
perfetti “come” (ōs)
il Padre celeste. L’avverbio “come” (ōs) indica la possibilità e il
limite. In questa prospettiva sviluppa l’orientamento spirituale S. Gregorio di
Nissa: l’uomo rimane sempre “proteso” verso la perfezione. La perfezione umana
è un progresso continuo e non una
meta stabile raggiunta una volta per sempre. Una visione quindi dinamica e
moderna.
1. S. Gregorio di Nissa (335c
- 394c), con suo fratello San Basilio e San Gregorio di Nazianzo è uno dei tre
Padri Cappadoci che hanno segnato definitivamente le vie dello sviluppo e della
formazione della teologia cristiana. Nutrito di cultura classica, e
particolarmente del pensiero platonico e neoplatonico, ha utilizzato modificandoli,
cristianizzandoli, concetti filosofici che sono serviti a inculturare la fede
cristiana nell’ellenismo. E’ stato eletto vescovo di Nissa nel 372. Subì
l’influsso del fratello Basilio di cui completò l’Esamerone, il commento
alla Genesi, con l’opera De hominis opificio. Sullo stile dei dialoghi
di Platone scrive il trattato Sull’anima e la resurrezione, dialogo con
la sorella Macrina morente. Compone trattati di teologia, di ascetica, di
apologetica e diverse opere esegetiche sull’Antico e il Nuovo Testamento. Verso
il 385 scrive
2. Gregorio di Nissa ha
influito in modo determinante sulle correnti spirituali della tradizione
bizantina. Viene indicato come suo orientamento specifico quello riassunto nel
termine epèktasis (tensione
verso): “La tensione dell’anima verso Dio si sviluppa in un continuo
crescendo . Questa ascensione verso Dio è un crescendo illimitato che
proseguirà anche in cielo” (Lucas Francisco Mateo Seco – Giulio Maspero, Gregorio
di Nissa Dizionario, Città Nuova, Roma 2007, sub voce). Egli fonda il suo
orientamento sulla creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo
che riflette su se stesso “con mente schietta e pura” vede chiaramente
“riflessi nella sua natura l’amore di Dio per noi e l’intento della sua
creazione”. L’uomo ha in se stesso una vocazione e un dinamismo che ne fa
trascendere la propria condizione. All’inizio del trattato sul “Fine del cristiano” egli scrive che
l’uomo esaminando la propria natura, “constata che l’impulso che porta a
desiderare le cose belle e migliori fa parte integrante dell’essenza stessa e
della natura dell’uomo”. Inoltre aggiunge che nella sua indagine l’uomo scopre
che “legato alla sua natura è il suo amore, scevro da passioni e beato, per
quell’immagine intelligibile e beata di cui l’uomo stesso non è che
l’imitazione” (immagine di Dio). Ne proviene un dinamismo senza termine. Il
Nisseno fonda questa prospettiva sulla lettera di Paolo ai cristiani di
Filippi: “Fratelli – scrive San Paolo di cui Gregorio è profondo conoscitore –
io non ritengo ancora di esservi giunto; questo soltanto so: dimentico del
passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al
premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3, 13).
3. L’uomo è mutevole, non
soltanto in rapporto al male, ma anche e soprattutto in rapporto al bene. “La
più bella manifestazione della mutevolezza è rappresentata dalla crescita nel
bene”. L’uomo è chiamato all’ascesa. E il Nisseno nelle ultime righe del
trattato su “La perfezione cristiana”
afferma che “l’ascesa ad una condizione migliore fa di chi si trasforma in
senso buono un essere più divino”. La perfezione è uno “status viae”. L’uomo è sempre in cammino e proteso verso la
perfezione. Il Nisseno conclude il trattato in questa prospettiva:: “La vera
perfezione consiste nel non fermarsi mai nella propria crescita, e nel non
circoscriverla entro un limite” (Besa/Roma).
SETTIMANA SANTA E PASQUA IN S. ATANASIO A ROMA
2007
“Credo
in un solo Signore Gesù Cristo
...e patì
e fu sepolto e il terzo giorno risuscitò,
secondo le Scritture”
DOMENICA - PALME |
ore 10,30 |
Benedizione delle Palme |
|
ore 18,45 |
Akoluthia del Nymphios |
LUNEDI’
SANTO |
ore 18,45 |
Liturgia dei Presantificati |
MARTEDI’
SANTO |
ore 18,45 |
Liturgia dei Presantificati |
MERCOLEDI’ SANTO |
ore 18,45 |
Liturgia dei Presantificati |
GIOVEDI’ SANTO |
ore 10,00 |
Esperinòs e Liturgia di S. Basilio |
|
ore 18,00 |
Ufficio della Passione (Lettura dei 12 Vangeli) |
VENERDI’ SANTO |
ore 10,00 |
Ora Nona - Esperinòs e Deposizione dalla Croce |
|
ore 18,00 |
Epitaphios thrinos Enkomia Processione |
SABATO SANTO |
ore 10,00 |
Esperinòs e Liturgia di S. Basilio |
|
ore 23,00 |
Mesonyktikòn Anastasis Orthros Liturgia di S. Giovanni Crisostomo |
DOMENICA DI PASQUA |
ore 10,30 |
Liturgia di S. Giovanni Crisostomo |
|
ore 19,00 |
Esperinòs Proclamazione dell’Evangelo in varie lingue |
^^^^^^^^^^^
Xristo;" ajnevsth ejk nekrw'n
qanavtw/ qavnaton pathvsa"
kai; toi'" ejn toi'?" mnhvmasi zwh;n
carisa;meno".
Cristo
è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte
e a quanti giacevano nei sepolcri ha donato la
vita.
U ngjall nga varri Zoti Krisht, me vdekje
vdekjen dyke shkelur,
edhe të varrosurve një jetë ja duroi të re.
S.
A T A N A S I O
Comunità Cattolica Bizantina – Via dei Greci
46 – 00187 Roma
CATECHESI
PASQUALE
DI S.
GIOVANNI CRISOSTOMO
Se
uno è devoto e ama Dio, goda di questa festa bella e luminosa.
Se
uno ha penato digiunando, adesso goda il suo denaro.
Se
uno ha lavorato dalla prima ora, accetti oggi il giusto salario.
Se
uno è venuto dopo la terza ora, festeggi con gratitudine.
Se
uno è giunto dopo la sesta, per nulla dubiti: nulla perde.
Se
uno ha tardato fino alla nona, s'avvicini, non esiti affatto.
Se
uno è giunto solo all'undecima, non tema il ritardo.
Infatti,
il Signore è premuroso: accetta l'ultimo, proprio come il primo, dà riposo a
quello dell'undecima, come a chi ha operato dalla prima, e fa misericordia
all'ultimo, e cura il primo, e dona a quello, e fa grazia a questo, e accetta
le opere, e accoglie l'intenzione, e onora l'attivarsi, e loda il proposito.
Tutti entrate, dunque, nella gioia del Signore nostro: sia i primi, sia i
secondi, godete la ricompensa.
Ricchi
e poveri, giubilate insieme.
Astinenti e pigri, onorate il giorno.
Digiunanti e non digiunanti, rallegratevi oggi.
La mensa è ricolma, vivete felicemente.
Il vitello è grosso, nessuno esca affamato.
Tutti
godano il convito della fede. Godete tutti la ricchezza della bontà,
poiché si è manifestato il regno comune.
Nessuno
gema per i suoi errori: poiché il perdono è sorto dal sepolcro. Nessuno tema la
morte: poiché ci ha liberati la morte del Salvatore: ne era trattenuto, la ha
spenta. Ha depredato l’Inferno Colui che discende nell'Inferno. Ha amareggiato
l'Inferno, che ha gustato la carne di Lui. Anticipando questo, Isaia ha
gridato:
“L'Inferno
- afferma - è stato amareggiato!”,
avendovi
incontrato Te.
Fu
amareggiato: poiché fu esautorato del tutto.
Fu
amareggiato: poiché fu umiliato per sempre.
Fu
amareggiato: poiché fu reso morto per sempre.
Fu
amareggiato: poiché fu schiantato per sempre.
Fu
amareggiato: poiché fu legato per sempre.
Ha
afferrato un corpo: e s'è scontrato con un Dio.
Ha
afferrato la terra: e s'è incontrato con il cielo
Ha
afferrato quanto vedeva: ed è caduto dove non vedeva.
Dove
sta, morte, il tuo aculeo? Dove sta, Inferno, la tua vittoria?
E'
risorto Cristo, e tu sei stato precipitato.
E'
risorto Cristo e sono caduti i demoni.
E'
risorto Cristo, e gioiscono gli Angeli.
E' risorto Cristo, e
E' risorto Cristo, nessuna morte incombe sui sepolcri.
Poiché
Cristo Risorto dai morti è divenuto, primizia dei dormienti.
A
Lui la gloria e la potenza per i secoli dei secoli. Amìn
(traduzione di Tommaso
Federici)
Pasqua 2007
In
memoria
di
Tommaso Federici
Il
15 aprile, la prima domenica dopo Pasqua, detta di Tommaso,
Durante
la sua vita, il prof. Federici, oltre al suo interesse scientifico e didattico
per le tradizioni liturgiche orientali, ha frequentato per anni questa chiesa e
ha aiutato il Circolo di Cultura “Besa –Fede” con le sue lezioni.
Subito
dopo l’evento del Concilio Vaticano II (1962-1965) egli ha partecipato
attivamente alle iniziative del Circolo ecumenico “Koinonia” sempre presso
questa chiesa.
E
per anni ha diretto e animato la lectio divina settimanale,
sul libro dell’Esodo e sulla Apocalisse con competenza biblica e con zelo
generoso per la presentazione e lo studio della Parola di Dio. A suo nome è
stata costituita una “Fondazione” con lo scopo di promuovere la conoscenza del
suo insegnamento.
Eleuterio F. Fortino
ANNUNCIO DELLA RESURREZIONE NELLA CHIESA DI
S. ATANASIO A ROMA
Terminato il
mesoniktikon, a luci spente, il celebrante accende il cero dalla “lampada
asveston, inestinguibile” che arde sempre nel Vima, invita il popolo ad accendere
il proprio cero con questo inno:
“Venite,
prendete luce dalla Luce che non conosce tramonto e glorificate Cristo, risorto
dai morti”.
Si
ripete l’inno fino a quando non avranno tutti acceso il cero. Quindi si forma
una processione per recarsi fuori della Chiesa, nel luogo dove sarà proclamato
l’Evangelo della resurrezione, mentre si canta ripetutamente questo altro inno:
Gli
angeli inneggiano in cielo! Fa’ che anche noi sulla terra siamo resi degni di
glorificarti con cuore puro.
Il
vangelo che si proclama è preso da Matteo (28, 1-10), oppure da Marco (16,1-8)
su l’apparizione di Cristo alle donne mirofore:
“Voi
cercate il Nazareno, il crocifisso. E’ risorto non è qui. Ecco il luogo dove
l’avevano deposto. Ora andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi
precede in Galilea. Là lo vederete”.
Terminata
la proclamazione del vangelo si canta l’inno della resurrezione:
Cristo
è risorto dai morti con la sua morte ha calpestato la morte, dando la vita a
coloro che giacevano nei sepolcri”.
Dopo
la grande litania degli irinikà, si ricompone la processione per rientrare in
chiesa. La porta della chiesa è chiusa.
APERTURA
DELLA PORTA
Il
celebrante con la croce astile bussa alla
porta: ha luogo un dialogo con il lettore che sta all’interno della
chiesa sulla base del salmo 23 (24),
7-10:
Celebrante:
Sollevate,
porte, i vostri frontali,
alzatevi
porte antiche,
Ed
entri il re della gloria!
Il
lettore:
Chi
è il re della gloria?
Celebrante:
Il
Signore forte e potente,
il Signore
potente in battaglia.
Sollevate,
o porte, i vosri frontali,
alzatevi
porte antiche,
ed
entri il re della gloria.
Il
lettore:
Chi
è il re della gloria?
Il
celebrante:
Il
Signore degli eserciti è il re della gloria!
Si
spalanca la porta, la processione preceduta dalla croce entra in chiesa,
completamente illuminata, mentre si canta il canone di s. Giovanni Damasceno:
E’
il giorno della risurrezione! Risplendiamo di luce, o popoli. E’
Segue
l’òrthros che si conclude con il seguente doxastikòn delle lodi:
E’
questo il giorno della resurrezione! Risplendiamo di luce in questa solennità
ed abbracciamoci gli uni gli altri. Diciamo, fratelli, anche a quelli che ci
odiano: perdoniamo tutto nel giorno della resurrezione e con essi gridiamo:
“Cristo è risorto dai morti con la sua morte ha calpestato la morte, dando la
vita a coloro che giacevano nei sepolcri”.
A
questo punto ha luogo l’abbraccio fra tutti presenti.
PROCLAMAZIONE DELL’EVANGELO A TUTTE LE GENTI
La
sera della domenica di Pasqua si celebra l’esperinòs con la proclamazione dell’Evangelo
in varie lingue per sottolineare il mandato del Signore risorto di fare
discepoli tutti i popoli. Si cantano i seguenti stichirà:
Venite
adoriamo il Verbo di Dio, generato dal Padre prima dei secoli, che si è
incarnato dalla Vergine Maria. Dopo aver subito la croce è stato sepolto, come
volle e, risorto dai morti, ha salvato me, uomo smarrito.
Cristo,
Salvatore nostro, avendo inchiodata alla croce il chirògrafo dei nostri
peccati, lo ha cancellato e ha distrutto la potenza della morte. Adoriamo la
sua resurrezione al terzo giorno.
Inneggiamo
con gli arcangeli alla resurrezione di Cristo. Egli è il liberatore e il
salvatore delle anime nostre e nuovamente verrà con gloria tremenda e grande
potenza a giudicare il mondo, che ha plasmato.
Te,
crocifisso e sepolto, l’angelo ha proclamato Signore e diceva alle donne:
“Venite, vedete dove giaceva il Signore; è risorto, come onnipotente”. Perciò
adoriamo te, il solo Immortale, o Cristo, datore di vita, abbi pietà di noi.
Sulla
croce hai distrutto la maledizione del legno e nella tua sepoltura hai disfatto
la potenza della morte. Nella tua resurrezione hai illuminato il genere umano:
Perciò ti gridiamo: “O Cristo, Dio nostro, benefattore, gloria a te”.
Le
porte della morte per il timore si aprirono, o Signore, davanti a te; e i
custodi dell’Ade, vedendoti ne furono sbigottiti. Stritolasti le porte di
bronzo e frantumasti le sbarre di ferro, traendoci fuori dalle tenebre e
dall’ombra di morte e spezzando le nostre catene.
Dopo
l’Isodos e il canto del Fos ilaròn (luce
gioiosa) si proclama la seguente pericope evangelica (Gv 20, 19-25), suddivisa
in tre brani che uno dopo l’altro vengono proclamati in varie lingue:
La
sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù
e si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” Detto questo, mostrò loro le
mani e il costato. I discepoli gioirono nel vedere il Signore.
Gesù
disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando
voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito
Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li
rimetterete, non rimessi resteranno.
Tommaso,
uno dei dodici, chiamato dìdimo (gemello), non era con loro quando venne
Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore”. Ma
egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il
dito nel posto dei chiodi, e non vedo la mia mano nel suo costato, non
crederò”.
Seguono
gli apòsticha della resurrezione:
La
tua resurrezione, o Cristo salvatore, ha illuminato tutto l’universo; tu hai
richiamato a te la tua creatura, Signore onnipotente, gloria a te!
Una
Pasqua sacra oggi ci è stata rivelata; Pasqua nuova, santa; Pasqua mistica,
Pasqua degna di venerazione; Pasqua, il Cristo liberatore; Pasqua immacolata;
Pasqua grande, Pasqua dei credenti, Pasqua che schiude le porte del Paradiso;
Pasqua che santifica tutti i fedeli”.
Circolare febbraio 2007 190/2007
I detti di Gesù (48): Un discepolo non è più del maestro........................................................... 1
ACQUAFORMOSA: Comunità bizantina arbëreshe................................................................... 2
GROTTAFERRATA: Analisi della dichiarazione comune di Benedetto XVI e di
Bartolomeo I 5
SCUTARI: Studime Gjuhësore................................................................................................... 9
S. DEMETRIO CORONE: Kalendar arbëresh 2007................................................................... 9
S. COSTANTINO ALBANESE: Notizie Istoriche degli Albanesi................................................ 9
ROMA: Quaresima a S. Atanasio............................................................................................ 10
Hesychìa: L’impassibilità che è imitatrice di Dio - cielo sulla terra.............................................. 11
Ta lòghia - I detti di Gesù (48): “Un
discepolo non è più del maestro”
Nell’asserire che “un discepolo non è più (hypèr) del maestro” (Mt 10,24), non si intende parlare in modo generico, perché la storia e l’esperienza mostrano che non di rado il discepolo supera il maestro nel pensiero, nella scienza, nell’arte. Gesù parla del rapporto particolare fra il Maestro, egli stesso, e i suoi discepoli, fra Cristo e i cristiani nel complesso rapporto: Gesù Dio-Uomo e i cristiani chiamati alla deificazione. E si riferisce al caso particolare della sofferenza che egli affrontò fino alla morte in croce.
Inviando in missione i suoi discepoli li previene annunciando loro che incontreranno opposizioni e persecuzioni. “Sarete odiati a causa del mio nome” (Mt 10, 21). Il Cristo è stato perseguitato e crocifisso, il cristiano è messo nella stessa condizione “a causa del suo nome” (dià tò ònoma mou). Non può esserne esentato proprio per la sua qualità di cristiano, perché trasmette lo stesso messaggio di Cristo. E’ il messaggio di redenzione e di conseguenze etiche che è avversato. Non si tratta tuttavia di un paragone di uguaglianza, ma esprime “l’idea di una identità terrena tra il Signore e il suo servitore”, destino che conosce la persecuzione e talvolta la morte. Ma i due percorsi esteriormente simili sono differenti nel significato e nella loro portata. Quella di Gesù è sofferenza di “colui che è il Regno di Dio, quella dei suoi apostoli è la sofferenza dei testimoni di questo Regno” (Pierre Bonnard).
“E’ sufficiente (arketòn) per il discepolo essere come il suo Maestro e per il servo come il suo Padrone” (Mt 10, 25). Questo non vuol dire che il discepolo si debba accontentare di questa situazione, ma che “ciò” è sufficiente in sé, cioè agli occhi di Dio. Il Maestro è nella propria condizione. Il discepolo entra in un processo che lo conduce a una condizione simile: “è sufficiente” che esso entri in quel processo che lo porti ad “essere come il Maestro” (ina ghenētai ōs).
I discepoli potrebbero imbattersi anche in una situazione umana di paura, di dubbio. S. Giovanni Crisostomo attira l’attenzione di chi lo ascolta: “Osserva – egli dice – come li incoraggia, confortandoli con il suo esempio e con tutto ciò che era stato detto su di lui” (Omelie su Matteo 34,1). Lo hanno infatti chiamato Beelzebul. E se hanno detto questo del padrone di casa “quanto più (posō mâllon) dei suoi familiari!” (Matteo 10,25). S. Giovanni Crisostomo mette in rilievo la terminologia: “Non dice: quanto più i suoi servi, ma i suoi familiari, mostrando una grande amicizia nei loro confronti”. I familiari sono quelli della stessa casa (oikiakoùs), un altro richiamo al fatto che sono diventati come (ōs) il Padrone stesso, ma non più di lui perchè egli resta il solo Padrone (Besa/Roma).
ACQUAFORMOSA
COMUNITA’ BIZANTINA ARBËRESHE
Continuiamo la presentazione delle Comunità arbëreshe con la nota dell’avv. Giovanni Giuseppe Capparelli su Acquaformosa:
L’attuale Acquaformosa ha una
lunga storia: esisteva già prima della venuta degli Albanesi che hanno popolato
le sue contrade e la hanno avviata ad una nuova fase.
L’Abbazia di Aquaformosa
I monaci cistercensi dell’abbazia di Santa Maria
di Sambucina di Luzzi, nel 1195,
fondarono il monastero di Santa Maria di San Leucio o di Acquaformosa. La
memoria storica di questo avvenimento é conservata in un documento custodito nell’Archivio
Vaticano, il codice Barberino Latino
Il 1195 é anche la più antica data legata al nome di
Acquaformosa.
Questo documento é l’atto di donazione con il quale, Ogerio e sua
moglie Basilia, Signori di Brahalla,
l’odierna Altomonte, donarono ai monaci cistercensi alcune terre ove avrebbero
potuto edificare un monastero.
All’interno di queste terre i monaci scelsero un
posto ameno, da lì con un solo sguardo si potevano abbracciare la pianura di
Sibari, le montagne della Sila e del Pollino, il mare Ionio, il cielo infinito.
La natura era rigogliosa, scorreva acqua limpida, pura e fresca. Costruirono il
monastero, forse vicino ad un’antica piccola chiesa e lo dedicarono, come tutti
gli altri dell’ordine cistercense, alla Madre di Dio.
In poco tempo il cenobio, che aveva attirato la
benevolenza di molti signori dell’epoca, fu riccamente dotato di possedimenti, grazie a ricche donazioni.
Il più munifico con l’abbazia di Acquaformosa fu
senz’altro Federico II.
Le donazioni furono talmente cospicue, che l’abbazia
di Acquaformosa era diventata proprietaria di possedimenti terrieri che si
estendevano dal territorio di Tarsia
fino all’isola di Dino, al
largo di Scalea. Anche se non tutti i territori ricadenti tra queste due linee
di confine appartenevano all’abbazia, il patrimonio accumulato dal cenobio
acquaformositano era considerevole. La parte di territorio più consistente di
proprietà dell’abbazia era quello
compreso tra il torrente Galatro, che oggi segna il confine tra i comuni di
Lungro e di Acquaformosa, e i monti della Mula. Alcuni studiosi sono giunti
alla conclusione che anche il Santuario della Madonna del Pettoruto sia stato
eretto su iniziativa dei monaci di Acquaformosa. Il Barillaro ne indica anche
la data di erezione: il 1274; il Perrone afferma che fin dal 1226 il Santuario
del Pettoruto era una grancia dell’abbazia di Acquaformosa.
La forma architettonica del monastero di Acquaformosa ci é sconosciuta, ma non doveva essere molto diversa da quella dei monasteri giunti sino a noi in quanto le abbazie cistercensi avevano ed hanno tutte un aspetto comune, perché la spiritualità di San Bernardo di Chiaravalle ha loro imposto, per così dire, la pianta, l’altezza, il decoro. Secondo il santo, i monaci dovevano essere poveri e questa condizione doveva manifestarsi anche nei loro monasteri. Pitture e sculture avevano il loro posto nelle chiese e nelle cattedrali aperte al culto, ma non avevano alcuno scopo nei monasteri dei contemplativi, i quali si erano innalzati al di sopra dei sensi e la cui gioia consisteva nel trovare Dio in pura fede.
Ciononostante il monastero di Acquaformosa custodiva
pregevoli opere d’arte: la statua lignea della Madonna della Badia, di autore
ignoto, di provenienza francese del XV secolo; due dipinti raffiguranti santi
monaci, probabilmente San Benedetto da
Norcia e San Bernardo di Chiaravalle, e una grande tavola raffigurante
l’Assunzione della Vergine, opere del pittore senese Marco Pino.
Inoltre, nel cenobio erano custodite le reliquie di
più di cento santi. Ogni reliquia era posta in un reliquiario. Solo diciasette
reliquiari sono pervenuti fino ai giorni nostri e sono conservate nella Chiesa
della Immacolata Concezione.
Dopo un periodo di floridezza economica e spirituale, il monastero subì un lento ma inesorabile declino.
Alla morte dell’abate Francesco di Carraria
l’abbazia fu concessa in commenda. Commendatario venne nominato il chierico
napoletano Carlo de Cioffis, che ne fu provvisto con bolla pontificia del 3
aprile 1490.
Arrivo degli Albanesi
Durante il governo dell’abate commendatario Carlo
Cioffi, nei territori dell’abbazia di Santa Maria di Acquaformosa, giunse un
gruppo di profughi albanesi fuggiti dalla loro patria per sottrarsi al dominio
dell’invasore turco.
La prima prova che, in modo inequivocabile, attesta
la presenza degli albanesi nel territorio di Acquaformosa, é il documento
“Capitolazioni degli albanesi di Acquaformosa col Monastero di S. Maria”
conservato nell’Archivio Vaticano nel codice Vaticano Latino 14.386. F. 9 ss.
Le “Capitolazioni” firmate nel 1501 tra gli albanesi
con a capo Piligrino Capparello, e l’abate commendatario del Monastero di Santa
Maria di Acquaformosa, rappresentano l’atto costitutivo del casale e, nello
stesso tempo, la fonte delle norme regolatrici dei rapporti tra gli albanesi e
il monastero.
Nel Breve cenno monografico-storico del Comune di
Acquaformosa, il sacerdote Domenico De Marchis riporta il nome di ventidue
albanesi che si insediarono nei territori concessi dall’abate. Anche se non
riportato dal De Marchis tra i primi albanesi insediatisi ad Acquaformosa c’era
un sacerdote, Michele Zenempisa.
Il dato storico é desumibile da alcune iscrizioni
rinvenute nei codici greci 271, 272, 273, 274, 385 e 445, oggi custoditi
nell’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata.
Di questi codici, si tratta di manoscritti liturgici
in greco, quelli contraddistinti con i numeri 272, 274 e 385 sicuramente erano
in dotazione della chiesa parrocchiale di Acquaformosa in quanto tre distinte
iscrizioni ne indicano la provenienza. Secondo gli studi di P. Marco Petta i
codici più antichi il 271 e il 385 probabilmente sono stati copiati in Oriente,
nell’Epiro, gli altri, invece, sono stati copiati in Italia. Lo scriba di tutti
i codici fu Michele Zenempisa che officiava presso la comunità albanese sia in
Albania sia quando questa si trasferì in Italia.
Lo storico Tajani colloca tra il 1476 e il 1478
l’esodo degli albanesi, che poi s’insediarono anche ad Acquaformosa.
Provenienti dalla Beozia
Se la data dell’esodo é di difficile individuazione ancor più difficile é stabilire il luogo di provenienza dei profughi che poi fondarono Acquaformosa.
Recenti studi hanno avanzato l’ipotesi che i primi
abitanti di Acquaformosa provenissero dalla regione greca della Beozia, e
precisamente da Caparelli di Tebe.
Casale di Altomonte fino all’inizio del 1800,
Acquaformosa divenne Comune autonomo a seguito delle leggi francesi che
riorganizzarono amministrativamente il vecchio regno borbonico. Solo nel
Gli abitanti di Acquaformosa all’epoca del loro insediamento nel 1501 erano 22 come riportato dal De Marchis (anche se essendo elencati solo uomini è probabile che la popolazione fosse più consistente), erano 135 nel 1543. Nel 1669 gli abitanti erano circa 510, nel 1861 si contavano 1661 anime, gli abitanti nel 1951 erano 1812, nel 2005 i residenti sono circa 1200.
Oggi, Acquaformosa è in provincia di Cosenza, la sua
popolazione parla ancora l'avita lingua albanese, professa la religione
cattolica di rito grco-bizantino, dal loro arrivo gli abitanti di Acquaformosa
furono affiliati alla diocesi di Cassano all’Ionio, nel 1919 passarono sotto la
giurisdizione dell’Eparchia greca di Lungro eretta in quello stesso anno.
Le Chiese
Ad Acquaformosa quattro sono le chiese aperte al culto pubblico: la chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, la chiesa della Immacolata Concezione della Vergine Maria, la chiesa della Madre di Dio Misericordiosa, e il santuario di Maria Santissima del Monte. Vi sono anche alcune cappelle private tra le quali quella dedicata alla Madre di Dio Addolorata.
La chiesa parrocchiale, dedicata al patrono San Giovanni Battista, é stata costruita dai primi profughi albanesi agli inizi del 1500. Probabilmente venne ultimata già nel 1526. Cadente, fu demolita e ricostruita, tra il 1936 e il 1938. La festa patronale si celebra il 29 agosto.
Le sacre immagini dell’iconostasi della chiesa
matrice di Acquaformosa sono state realizzate tra il 1940 e il 1942 da Giambattista Conti.
Costruita tra la fine del XV e gli inizi del XVI
secolo, la sua struttura originaria nel corso dei secoli é stata soggetta ad
almeno due interventi di ampliamento, le cui tracce sono visibili sulle pareti.
Gli affreschi, rinvenuti casualmente a seguito di
lavori di restauro, risalgono all’epoca della sua costruzione.
Sulla parete laterale destra é raffigurato San
Nicola di Mira o di Bari con in mano un vassoio con i tre pani d’oro, prezzo
del riscatto di tre vergini, seguono Santa Parasceve martire e l’apostolo
Pietro. Al centro
Nel secolo XVII la cappella é stata allargata ed
innalzata. Sono stati aggiunti, in alto, gli affreschi di San Giorgio
Megalomartire e di Santa Caterina di Alessandria.
La
chiesa della Madre di Dio Misericordiosa è la più recente delle chiese di Acquaformosa. Al
suo interno si venera l’icona della Madre di Dio. L’immagine é la copia di
un’icona custodita sul Monte Athos. L’icona é stata eseguita in Grecia nel
1973, da Falina Papoula, iconografa del Museo Bizantino di Atene e raffigura
Il santuario di Maria
Santissima del Monte é ubicato ad oltre
All’interno della chiesa rupestre é custodita una splendida effige della
Madonna che allatta. La statua, in tufo, risale al XIV secolo e, secondo la
tradizione popolare, fu lì portata da un pastore che l’aveva trovata
nell’anfratto di una parete scoscesa chiamata Timba e piasur «Pietra
spaccata».
Il santuario è meta di pellegrinaggio degli abitanti
di Acquaformosa e dei paesi limitrofi. La festa più importante che si celebra
in questo santuario è quella dedicata a Sant’Anna, l’ultima domenica di luglio.
Personaggi storici.
Molti personaggi nati ad Acquaformosa sarebbero
degni di menzione, per ovvie ragioni se ne fa cenno solo di alcuni. Simeone
Orazio Capparelli, poeta popolare i cui versi ancora oggi sono recitati a
memoria dalle persone più anziane; Leonzio Capparelli, medico e scrittore; Annunziato Capparelli, patriota; Vincenzino Capparelli, medico e filosofo, è stato uno dei massimi
studiosi italiani del pensiero di Pitagora.
I personaggi storici più importanti di Acquaformosa
sono stati due religiosi: Mons. Giovanni Mele e Padre Vincenzo Matrangolo.
Mons. Giovanni Mele.
Giovanni Mele nacque ad Acquaformosa il 19 ottobre
1885, compì i suoi studi prima nel seminario di Cassano Ionio e poi nel
Pontificio Collegio Greco di Roma dove studiò dall’ottobre del 1899 al 7 giugno
del 1908 quando fu ordinato sacerdote dal vescovo bulgaro Mladicof.
Vinse il concorso per la vacante parrocchia di
Civita e fu nominato parroco del piccolo
paese italo-albanese dove svolse il suo ministero dal 1908 al 1913, fu poi
chiamato come parroco di Lungro, dal 1913 al 1919, anno della sua elevazione
all’episcopato. Con Bolla del 10 marzo 1919 fu nominato vescovo della appena
istituita Eparchia di Lungro, prese possesso della nuova diocesi il 5 giugno 1921 quando il re d’Italia Vittorio
Emanuele III dette il regio Exequatur alla Bolla Pontificia.
Il lavoro che attendeva Mons. Mele non era semplice. Il primo vescovo di una diocesi di rito greco in Italia, atteso da secoli, aveva il gravoso compito di creare una comunità diocesana, mai prima esistita.
Il secondo problema che Mons. Mele dovette affrontare
fu quello di dare uniformità almeno
esteriore alle pratiche religiose. L’eparchia di Lungro nei primi anni soffriva
forti influenze latine così radicate che ancor oggi stentano a scomparire.
Mons. Mele a seguito della sua prima visita
pastorale di tutta la diocesi, che fece a dorso d’asino o di mulo, pubblicò nel
1922 una lettera: “Disposizioni per il clero” dove emerge tutta la gravità
della situazione e dove dettava le prime regole comuni che tutte le comunità
parrocchiali dovevano osservare.
Organizzò la curia anche materialmente restaurando
l’episcopio e le strutture ecclesiali.
Grande attenzione la rivolse all’istituzione in ogni
paese dell’Azione Cattolica. Questo compito lo affidò a Rosa Lotito, insegnante
di Acquaformosa, la quale dedicò tutta
la sua vita alla Chiesa, ai bambini e
all’Azione Cattolica..
Mons. Mele unitamente a Mons. Lavitrano, vescovo
dell’eparchia di Piana, e all’egumeno di Grottaferrata, Teodoro Minisci,
organizzò il Primo Sinodo Intereparchiale che venne celebrato a Grottaferrata
nel 1940.
Il suo attaccamento alla specificità dell’Eparchia
di Lungro rispetto alle altre diocesi lo dimostra il fatto che Mons. Mele nei
verbali della Conferenza Episcopale Calabra sottoscriveva sempre con la
clausola: “in quanto compatibile con il rito greco”.
Prese parte al Concilio Vaticano II.
Mons. Mele fu anche un poeta e scrittore fecondo.
Diceva di scrivere le poesie non a scopo estetico, ma a scopo didattico e
morale.
L’11 ottobre 1966 comunicava alla Santa Sede le sue
dimissioni per raggiunti limiti di età.
Il 24 aprile 1967 la Santa Sede accoglieva la sua richiesta, pur conservando la
titolarità della diocesi fino alla sua morte avvenuta a Lungro il 10 febbraio
1979.
Padre Vincenzo Matrangolo.
Papàs Vincenzo Matrangolo nacque ad Acquaformosa il
6 dicembre 1913. Studiò nel seminario di Cassano Ionio, in quello di
Grottaferrata e nel collegio greco di Roma. Il 14 giugno
Nel piccolo paese italo-albanese svolse la sua opera
pastorale fino alla sua morte, avvenuta il 18 novembre 2004.
Appena fu nominato parroco dovette affrontare
numerosi problemi, piccoli e grandi. Innanzitutto si adoperò per eliminare le
disuguaglianze sociali. Ad esempio, eliminò l’odiosa usanza di accompagnare al
cimitero i poveri con la croce di legno, i ricchi con quella d’argento.
Nell’ultimo viaggio tutti venivano accompagnati con la croce argentea.
Poi rivolse la sua attenzione alla casa di Dio. Per
rendere la chiesa parrocchiale di Acquaformosa conforme ai canoni
architettonici orientali, fece costruire l’iconostasi e fece dipingere le icone
da uno dei più importanti iconografi del tempo, Giambattista Conti.
Sin dall’inizio del suo apostolato, in cima ai suoi
pensieri ci furono sempre i ragazzi e i giovani. Già verso la fine degli anni
’40 dello scorso secolo costruì il campo di calcio, dove anche lui ha giocato
fin quasi a novant’anni, poco più tardi realizzò il cinema parrocchiale.
L’opera sociale più importante che fece fu la
creazione del Centro di Assistenza preventiva giovanile. Qui dal 1962 ad oggi
più di mille ragazzi sono stati assistiti in momenti difficili della loro
esistenza. Questi ragazzi furono talmente amati dal fondatore dell’opera, che
per essi papàs Matrangolo rifiutò, nel 1981, anche la nomina di vescovo di
Piana degli Albanesi.
Papàs Matrangolo fu anche grande studioso, insegnò
in vari istituti teologici e scrisse alcune opere che hanno riscosso unanimi
consensi: una meditazione sulla Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, La
venerazione a Maria nella tradizione della Chiesa bizantina e Kat’ikona. Della
meditazione sulla Madre di Dio, padre Giuseppe Dossetti ha scritto: “è il più bel libro sulla Vergine che io
abbia mai letto” (Besa/Roma).
Bibliografia:
D. De Marchis, Breve cenno
monografico-storico del comune
di Acquaformosa, Tipografia Migliaccio, Salerno 1957, ristampato nel
2001 da Il Coscile di Castrovillari;
G. G. Capparelli, Acquaformosa, Edizioni Orizzonti Meridionali, Cosenza 2001;
V. Capparelli, Lo sperpero
della proprietà di un popolo, Tipografia Macrini, Castrovillari 1923.
GROTTAFERRATA
ANALISI DELLA DICHIARAZIONE
COMUNE
DI BENEDETTO XVI E
BARTOLOMEO I
Nel contesto della settimana di preghiere per l’unità dei
cristiani, martedì 23 gennaio 2007 mons. Eleuterio F. Fortino, ha tenuto nel
Monastero esarchico di Grottaferrata una conferenza sulla situazione attuale
dei rapporti fra cattolici e ortodossi, facendo una analisi della Dichiarazione
Comune fra il Papa Benedetto XVI e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I (30
novembre 2006). Ne riportiamo il testo:
“Rendiamo
grazie all’autore di ogni bene che ci permette ancora una volta, nella
preghiera e nello scambio, di esprimere la nostra gioia di sentirci fratelli e
di rinnovare il nostro impegno in vista della piena comunione”. Così si esprimono il Papa
Benedetto XVI e il Patriarca di Costantinopoli nella Dichiarazione Comune che ha concluso la visita che per la festa di
S. Andrea (30 novembre 2006) il Papa ha fatto al Patriarcato ecumenico.
La visita è stata caratterizzata da calorosa e
distinta accoglienza e concentrata nella preghiera. La sera stessa dell’arrivo ha
avuto luogo una celebrazione della Parola – una akolouthia composta per la
circostanza – e la venerazione delle reliquie di S. Gregorio il Teologo e di S.
Giovanni Crisostomo che Papa Giovanni Paolo II aveva consegnato in dono al
Patriarca Bartolomeo I. Il 30 novembre il Papa e la delegazione hanno
partecipato alla Divina Liturgia nella cattedrale di S. Giorgio. Durante questa
liturgia patriarcale e sinodale, per la prima volta a Costantinopoli, il
Patriarca e il Papa si sono scambiati l’abbraccio di pace, al momento liturgico
proprio, cioè prima della professione di fede. In altre circostanze l’abbraccio
aveva avuto luogo fuori della liturgia. Poi il Padre Nostro è stato recitato insieme dal Patriarca e dal Papa. Al
termine il Patriarca e il Papa hanno benedetto i fedeli. Tutto ciò è acquisito
e scontato nelle relazioni fra cattolici e ortodossi. Nella Basilica di S.
Pietro il Papa e il Patriarca hanno anche proclamato il Credo insieme e nella lingua originale greca (cioè senza Filioque).
Ma non da tutti ciò è condiviso. La “Sacra Comunità
del Monte Athos” - cioè, i rappresentanti e superiori dei venti monasteri - in
un loro comunicato (30.12.2006) hanno affermato: “L’accoglienza del Papa è avvenuta come se fosse vescovo canonico di
Roma. Ugualmente la sua chorostasìa
(partecipazione dal trono nel coro) alla Divina Liturgia ortodossa con l’ ōmophorion (la stola), la recita (fatta insieme dal
Papa e dal Patriarca) del Padre Nostro,
l’abbraccio liturgico con il Patriarca, sono manifestazioni che vanno al di là
delle semplici preghiere comuni, che sono proibite dai sacri canoni. E tutto
questo mentre non vi è stato alcun allontanamento dell’Istituzione Papale dai
suoi insegnamenti eretici e dalla sua politica”.
Per il progresso ecumenico è necessaria anche l’informazione
e la formazione dell’intero corpo ecclesiale. E non solo sul Monte Athos.
Invece
Per questa conversazione ho pensato di fare
l’ermeneutica della Dichiarazione Comune data
l’alta qualità, di informazione e di impegno, che essa esprime.
1. Precedenti
Innanzitutto il Papa e il Patriarca esprimono un
positivo apprezzamento su quanto avvenuto dal primo esemplare pellegrinaggio e
incontro a Gerusalemme (1964) fra Paolo VI e Athenagoras I in poi e sulle
iniziative prese, per riallacciare le relazioni e per incamminarle sul binario
sicuro del dialogo della carità e di quello teologico. In questo contesto
vengono ricordate le precedenti visite reciproche tra Paolo VI e Athenagoras
(1967) e di Dimitrios I (1987) a Roma e Giovanni Paolo II (1979) al Fanar. I
loro incontri, le preghiere fatte durante gli incontri, le dichiarazioni comuni
hanno preparato e orientato l’apertura e lo sviluppo del dialogo teologico
cattolico-ortodosso. In seguito Bartolomeo I succeduto a Dimitrios I ha fatto
visita a Roma altre tre volte (nel 1995 e nel 2004 ben due volte).
La visita di Benedetto XVI al Fanar fa tesoro di
questa esperienza e ne rilancia gli intenti di fondo contestualizzati nel
momento storico attuale.
Il questo quadro i due firmatari segnalano in
particolare due eventi aperti al futuro. Ricordano che è stato proprio in
occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II al Fanar (1979) che è stata
resa pubblica la creazione della Commissione Mista Internazionale del dialogo
teologico fra
Questo per quanto riguarda il livello dei rapporti
con tutte le Chiese ortodosse insieme, rapporti che rimangono aperti
all’avvenire.
Invece per quanto riguarda le relazioni tra
2. Situazione
attuale del dialogo teologico
Segnala con soddisfazione che nel mese di ottobre
scorso è stato possibile riavviare il dialogo teologico nella sessione plenaria
della Commissione mista in cui sono impegnate tutte le Chiese ortodosse
(Belgrado 18-25 ottobre 2006), dopo una sospensione di alcuni anni, per
difficoltà incontrate. I due firmatari affermano: “Abbiamo espresso la gioia profonda per la ripresa del dialogo
teologico”.
Certamente vi era motivo di gioia. Dall’ultima
sessione plenaria dell’anno 2000 tenuta a Baltimora (Usa) sul tema delle “Conseguenze eclesiologiche e canoniche
dell’uniatismo” - questione sollevata permanentemente dagli ortodossi - non
era stato possibile convocare la commissione.
In questi sei anni però, tanto da parte cattolica
quanto ortodossa, vi è stata una positiva preparazione tanto da creare le
condizioni, nelle relazioni tra le singole Chiese, per la ripresa del dialogo.
Nel nuovo clima creato si è tenuta
Questa ampia composizione manifesta anche la
complessità del lavoro che essa svolge.
Il lavoro compiuto a Belgrado è stato teologicamente
costruttivo, anche se non facile. Non facile perché si è preso come testo base
di discussione un progetto elaborato dal Comitato di Coordinamento in una
riunione avuta a Mosca nel lontano 1990. Quel progetto non era stato mai
discusso dalla Commissione mista. Per la distanza di tempo, per l’ampio
cambiamento di membri della Commissione, per nuovi elementi intervenuti
all’interno delle singole Chiese, il testo doveva essere profondamente
riveduto, anche se si condividevano l’impostazione e le prospettive di fondo.
Qui il Papa Benedetto XVI è stato categorico: “E’ mio desiderio oggi richiamare e
rinnovare tale invito”. Questa prospettiva della ricerca di forme possibili
di esercizio del primato, così da essere condiviso da cattolici e ortodossi, è
aperta su una tematica decisiva per l’avvenire delle relazioni ecumeniche e per
il ristabilimento della piena comunione.
Nella
sessione di Belgrado - in concomitanza con la tematica del ruolo del vescovo di
Roma nella Chiesa - è emersa una difficoltà tra gli ortodossi, sollevata dalla
delegazione russa, sul modo di comprendere la taxis, l’ordine tradizionale tra le Chiese ortodosse, secondo cui
la sede di Costantinopoli gode di un primato di onore. La questione è interna
alla Chiesa ortodossa e, sebbene i cattolici non vi possano intervenire, essa
causa difficoltà nel dialogo stesso. A questa situazione sembra alludere
l’Arcivescovo di Atene e di tutta
3. Cooperazione in appoggio alla ricerca dell’unità
La dichiarazione fra il Papa e il Patriarca
Bartolomeo I segnala vari spazi di cooperazione comune già possibile. Essa
corrisponde a urgenze presenti e nello stesso tempo cementa e incrementa la
ricerca della piena unità. E’aperta al futuro. Vengono tracciate varie linee di
impegno per promuovere la piena comunione.
Giudica positivo il processo verso la costituzione
dell’Unione Europea, che si indica come “grande iniziativa”. Ad essa cattolici
e ortodossi intendono dare un contributo comune relativo alla difesa della
persona con tutto il complesso del rispetto dei diritti umani, al rispetto
delle minoranze con la protezione delle loro tradizioni culturali e specificità
religiose. In particolare si afferma di non risparmiare sforzi per la
protezione delle radici, delle tradizioni e dei valori cristiani dell’Europa.
Il comune patrimonio cristiano può dare fecondi frutti per l’avvenire
dell’Europa.
Va sottolineato l’impegno a collaborare per un
annuncio rinnovato dell’Evangelo nel nostro tempo, in cui si sviluppano
processi di secolarizzazione, correnti di relativismo, e perfino di nichilismo.
Occorre presentare insieme il nostro comune patrimonio cristiano, convinti che “le nostre tradizioni rappresentano per noi
-
affermano il Papa e il Patriarca - un patrimonio che deve essere
continuamente condiviso, proposto e attualizzato”.
Essi concludono questo argomento dichiarando: “Per questo noi dobbiamo rinforzare le
collaborazioni e la nostra testimonianza comune davanti a tutte le nazioni”.
Verso il
futuro
Si afferma che il Papa e il Patriarca auspicano che
il loro incontro “di pastori nella Chiesa possa essere un segno ed un
incoraggiamento per tutti noi a condividere gli stessi sentimenti e gli stessi
atteggiamenti di fraternità, di collaborazione nella carità e nella verità”.
Guardando
al futuro
Un nuovo incontro è previsto entro quest’ anno 2007. Sarà
Il Comitato Misto di Coordinamento di questa
commissione, nel suo ultimo incontro (dicembre 2005) ha ricordato
l’orientamento chiedendo che la nuova
fase deve svolgersi “in continuità con i
documenti già concordati dalla Commissione”… e che “il contesto generale del suo lavoro è la teologia della koinonia, o comunione, e che tale contesto necessita
di essere rafforzato con uno studio ulteriore per permettere di approfondire il
dibattito”.
“Siamo decisi
a sostenere incessantemente il lavoro affidato a quella Commissione (per il
dialogo teologico), mentre ne accompagniamo i membri con le nostre preghiere”. Questo affermavano il Papa
Benedetto XVI e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I nella loro
Dichiarazione Comune.
Inoltre il Papa e il Patriarca si rivolgevano a tutti
i cattolici e gli ortodossi:”Esortiamo i
nostri fratelli a prendere parte attiva a questo processo con la preghiera e con gesti significativi”.
Le relazioni ecclesiali
Le relazioni fra
Il Pontificio Consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani
nel corso dell’ultimo anno ha avuto molti contatti con le singole Chiese
ortodosse. Si è regolarmente mantenuto lo scambio di visite fra Roma e
Costantinopoli per la festa dei Santi
Pietro e Paolo a Roma (29 giugno) e di S. Andrea al Patriarcato Ecumenico (30
novembre); una delegazione ortodossa bulgara è venuta a Roma per ricevere una
reliquia di S. Giorgio; è venuta a Roma anche una delegazione del Patriarcato
di Georgia. Il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Consiglio per la
promozione dell’Unità dei Cristiani, ha fatto una visita in Georgia
(febbraio) e ha guidato la delegazione
cattolica al Summit dei capi religiosi convocato dal Patriarca Alessio
II a Mosca (luglio). Il Consiglio per
Non vanno dimenticate le
crescenti relazioni tra Chiese locali cattoliche e Chiese ortodosse.
L’insieme di queste
relazioni ed altre forme di contatti contribuiscono a rafforzare il clima di
fraternità e di carità che cementano e fortificano lo stesso dialogo teologico.
Naturalmente colpiscono
maggiormente la fantasia, i grandi eventi e questi hanno un oggettivo valore in
sé, come la visita del Santo Padre al Patriarca Ecumenico S.S. Bartolomeo I
(29-30 novembre), la visita al Santo Padre e alla Chiesa di Roma da parte di S.
B. Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta
Le
due visite si sono concluse, rispettivamente, con una Dichiarazione comune.
Esse constatano il cammino fatto e impegnano l’intensificazione delle relazioni
per il futuro. Metodologicamente – la prassi delle dichiarazioni comuni – è la
via maestra verso l’unità: occorre incontrarsi, discutere, confrontare, concordare,
professare insieme.
Si può dire che l’anno
appena trascorso sia stato denso di eventi significativi per le relazioni fra
cattolici e ortodossi.
Si può applicare a tutto
questo complesso di relazioni quanto il Papa Benedetto XVI e il Patriarca
Bartolomeo I hanno affermato del loro incontro e cioè: “E’ opera di Dio e per
di più un dono che proviene da Lui”.
In questa nostra
preghiera odierna rendiamo grazie al Signore (Besa/Roma).
SCUTARI
STUDIME
GJUHËSORE
L’Istituto di Studi
Albanesi “Gjergj Fishta” di Scutari ha
pubblicato un’opera in nove volumi di studi linguistici (Dr. David Luka, Studime Gjuhësore, Shkodër 1999-2006) di
notevole interesse.
L’opera si suddivide in
tre parti:
L’insieme costituisce
l’espressione di una ricerca indefessa con una immensa raccolta di dati che
l’autore presenta con modestia solo come contributi (Besa/Roma).
S. DEMETRIO
CORONE
KALENDAR
ARBËRESH 2007
L’Istituto comprensivo “Skanderbeg” di S. Demetrio
Corone ha pubblicato un calendario didattico per l’anno 2007, curato dagli
alunni delle scuole elementari assistiti dal gruppo degli insegnati. Di mese in
mese viene pubblicata la foto di una classe. In ogni pagina si riproduce un
disegno fatto dagli alunni.
Tutto lo scritto è in arbëresh: mesi, giorni,
didascalie, testi di proverbi, poesie e informazioni varie.
Per esempio nel mese di febbraio si riportano queste
notizie: “Ditën 1 fjavar 1794 u vendos transferimi i kollegjit “Corsini” ha
Shën Benedhiti ndë Shën Mitër.
(Il I febbraio è stato deciso il trasferimento del
collegio “Corsini” da S. Benedetto a S. Demetrio).
Ditën 13 fjavar Papa Benedikti XV krijoi Eparkinë e
Ungrës dhe i pari peshkop qe Zoti Xhuani Mele”.
(Il 13 febbraio Papa Benedetto XV la creato
l’Eparchia di Lungo e il primo vescovo è stato Mons. Giovanni Mele).
Questo calendario didattico è una iniziativa
intelligente ed encomiabile (Besa/Roma).
S. COSTANTINO ALBANESE
NOTIZIE ISTORICHE DEGLI
ALBANESI
In edizione fotostatica è stato ripubblicato il
prezioso opuscolo di D. Michele Scutari del 1825 (Notizie Istoriche
sull’origine e stabilimento degli Albanesi nel Regno delle due Sicilie; sulla
loro indole, linguaggio e rito, compilate da R. Arciprete di S. Costantino D.
Michele Scutari, Potenza nella Tipografia di Basilicata, 1825).
L’informativa è stata scritta per il “Consigliere
dell’Intendenza di Basilicata” e intende
“ribadire tante fole che con obbrobrio degli Albanesi si spacciano sulla loro
origine”.
La “memoria” comprende 6 capitoli: (1) Cenno
storico; (2) Stabilimento degli Albanesi nel Regno di Napoli; (3) Indole,
costumi e procedura degli Albanesi; (4) Linguaggio albanese; (5) Rito degli
Albanesi: (6) Albanesi di rito greco e Albanesi latinizzati e conclusione. Allo
scopo preciso di evitare le “fole” sugli Albanesi l’Autore scrive: “La loro
origine è nobile, e rispettabile è il fine, per cui dalle contrade illiriche
vennero ad abitar questo suolo. Fedeli alla Religione cattolica, per
serbarla inviolata nei loro cuori, non curarono ricchezze ed averi amplissimi
nell’Albania, Epiro e Macedonia, e si rifugiarono nell’Italia per rendere
all’Altissimo libero il culto di loro ortodossa credenza, che non
seppero mai abiurare anche negli estremi casi. Ridonta ciò piuttosto a di loro
gloria, ed onore, anziché a rimprovero, od ignominia” (p. 21).
E’ orgoglioso della tradizione greco-bizantina, ma
si distingue dalle opzioni scismatiche.
“
In seguito presenta alcune caratteristiche della
tradizione bizantina degli Albanesi in Italia.
“Nel rito Italo-Greco Albanese si crede e si afferma
quanto insegna e propone a credere
Nel Sabato si permette l’uso delle carni, ed il
Mercoledì e Venerdì è astinenza. Nel giorno di Sabato non si digiuna, tranne il
Sabato Santo. L’Eucaristia può amministrarsi in ambe le specie. Si osservano le
solenni feste di Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Natale, Circoncisione ed
Epifania nel giorno istesso, che si celebrano da’ Latini…” (p. 29).
L’opuscolo mostra l’autocoscienza cattolico -
bizantina di un sacerdote italo-albanese all’inizio del secolo XIX (Besa/Roma).
L’intero periodo di preparazione alla Pasqua è
guidato dal libro liturgico del Triodion e viene scandito dalla pericope
evangelica della domenica che dà il nome a ciascuna settimana.
1. Preparazione alla
Quaresima
28 gennaio: Domenica del pubblicano e del
fariseo.
Tema della corretta preghiera
4 febbraio: Domenica del figlio prodigo
Tema della conversione e ritorno al Padre
10 febbraio: Commemorazione dei defunti
11 febbraio: Domenica di carnevale
Da questo giorno non si mangia più carne
18 febbraio: Domenica dei latticini
Da questo giorno non si mangiano latticini
2. Grande e Santa
Quaresima
19 febbraio: Inizio della Grande e Santa
Quaresima
Ogni mercoledì si celebra la Liturgia dei
Presantificati
Ogni venerdì: celebrazione dell’Inno
Akathistos
Ogni sabato: celebrazione dell’esperinòs
25 febbraio: I Domenica di Quaresima –
Domenica dell’Ortodossia. Lettura del Synodikòn del Concilio di Nicea II e processione delle icone
4 marzo: II Domenica di Quaresima. Le Chiese ortodosse commemorano S. Gregorio
Palamàs
11 marzo: III Domenica di Quaresima
Adorazione della preziosa e vivificante Croce
18 marzo: IV Domenica di Quaresima.
Commemorazione di S. Giovanni Climaco
25 marzo: V Domenica di
Quaresima.
Commemorazione di S. Maria Egiziaca
Annunciazione della SS. Madre di Dio.
31 marzo: Resurrezione di Lazzaro
1 aprile: Domenica delle Palme
Benedizione e distribuzione delle palme
La sera: Ufficio del Nympfìos
2 aprile: Inizio della Grande e Santa
Settimana.
Teologia quotidiana
73
HESYCHIA (16): L’IMPASSIBILITA’ CHE E’
IMITATRICE DI DIO - CIELO SULLA TERRA
L’impassibilità (apàtheia) è una qualità
prossima alla serenità (hesychìa). S. Giovanni Clinico nella “Scala
del Paradisi” dedica all’impassibilità il gradino 29, mentre solo
poco prima nel gradino 27 tratta della “santa esichia del corpo e
dell’anima”. La nozione di apàtheia, come liberazione dai piaceri e
indifferenza ai mali della vita, era nota e usata dai filosofi greci e in
particolare era supremo ideale etico dello stoicismo. Questa prospettiva viene
assunta dall neoplatonismo di Plotino e da Clemente Alessandrino e fusa con la
purificazione (katharsis) e la formula “somiglianza a Dio per quanto
possibile” (homòiōsis Theō tò dynatòn) di Platone (Teeteto
176b). L’impassibilità è attributo di Dio. Per suo istinto l’uomo è
passionale (empathēs) mentre Dio è impassibile (apathēs).
L’uomo potrà partecipare a questa proprietà dopo la sua risurrezione. Ma
secondo il Climaco per l’uomo mortale l’apàtheia è una pregustazione
parziale della incorrutibilità futura. Nell’affrontare questo tema egli ha la
coscienza di “avere l’incredibile audacia di iniziare un discorso sublime sulle
delizie celesti che si possono godere sulla terra” (
1.
Per sè l’apatia è adorna di virtù “come il firmamento dello splendore degli
astri”. Ma “vi è modo e modo di fruire
dell’apatia: c’è chi ne ha di meno e chi ne ha di più” (
2.
L’apatia è “una compiutezza incompiuta” (
3.
La via che porta all’apàtheia è in salita, è lunga, è aspra e piena di
burroni scoscesi. Le spine delle tentazioni rendono difficile il percorso. Il
Climaco ne ha l’esperienza diretta e raccontata dai suoi amici monaci,
camminatori solitati sulle vie di Dio. Egli esorta: “Non andiamo a mendicare pretesti accusando il
nostro stato di caduti, la mancanza di un’occasione propizia, il peso che ci
costa la risalita”. Situazioni tutte realistiche. Ma il Climaco fa appello
all’atto fondamentale della vita cristiana, al battesimo e alla sua spinta dinamica spirituale: “A quanti siamo stati
rigenerati nel battesimo il Signore ha dato di poter diventare figli di Dio”. E
ha detto: “Mettetevi all’opera, riconoscete che sono il vostro Dio”. E
aggiunge: “La santa apatia ci innalzerà dalla terra al cielo” (Besa/Roma).
Roma 2 febbraio,
Presentazione al Tempio
Circolare novembre 2006 188/2006
I detti di Gesù (46): Siate
prudenti come i serpenti e semplici come le colombe........................... 1
ROMA: Preghiera per l’unità dei cristiani 2007............................................................................. 2
VILLA BADESSA: La più giovane Comunità arbëreshe............................................................... 3
PITTSBURGH: Commento catechetico della Divina Liturgia......................................................... 5
VATICANO: Nuovo Ambasciatore di Albania presso la Santa Sede.............................................. 6
ROMA: Nuovo Ambasciatore di Albania presso il Quirinale.......................................................... 7
COSENZA: Nuovi studi sugli Italo-Albanesi................................................................................. 8
PIANA DEGLI ALBANESI: Paramenti liturgici antichi................................................................ 8
COSENZA: Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi............................................................ 9
VENEZIA: Sussidio liturgico per i Romeni greco-cattolici.............................................................. 9
MACEDONIA: Festival della poesia........................................................................................... . 10
S. BENEDETTO ULLANO: 150° Anniversario della morte di Agesilao Milano............................. 10
ROMA: Festa Nazionale di Albania 2006..................................................................................... 10
Hesychìa: Conformare la propria
volontà al volere di Dio.............................................................. 11
I discepoli sono stati scelti e già introdotti nei
misteri della rivelazione. Gesù li invia in missione, per predicare che il
regno dei cieli è vicino e per portare i segni della salvezza, guarendo gli
infermi, risuscitando i morti, scacciando i demoni. Come la missione di Gesù
anche quella dei discepoli è ardua. Essa richiede fede e abnegazione, perché
incontrerà opposizioni e persecuzioni. “Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti
come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).
Poco prima Gesù aveva parlato delle folle d’Israele “come pecore senza pastore” (Mt 9, 36) e ne aveva avuto compassione, perché senza guide, senza difesa, inermi. Ora egli assume parte dell’immagine e la applica agli stessi pastori, alle guide, allargandola con la nota peggiorativa della presenza dei lupi, affamati, assassini, violenti. Essa indica “la condizione degli apostoli in mezzo ad avversari pericolosi” (Pierre Bonnard). I lupi sono gli avversari che in ogni tempo si oppongono all’annuncio del regno di Dio e quindi alla missione degli apostoli.
In questa situazione i discepoli non si devono adeguare alle leggi di questo mondo: tentati ad usare potenza e malvagità, opponendo al male il male; d’altra parte essi non devono essere pusillanimi, ingenui, ignavi. Gesù dà loro un mandato paradossale: “Siate dunque prudenti (phrònomoi) come i serpenti e semplici (akèrairoi, senza doppiezza, senza ambiguità) come le colombe”. Gesù sollecita la partecipazione attiva e prudente dell’apostolo. Questi non deve passivamente attendere tutto dalla “misericordia” di Gesù, che pure ha per le folle e per i suoi pastori. Egli aveva già detto che “l’uomo prudente (phònimos) costruisce la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24).
I due aspetti in parte si contrappongono: serpente e
colomba; prudenza e semplicità. In questo caso sono presentanti come
complementari. Il simbolismo di candore della colomba è più facilmente
percepibile. L’immagine del serpente è più ambigua, anche in relazione a quanto
riferisce
ROMA
PREGHIERA PER L’UNITA’ 2007
Il tema della preghiera per l’unità dei cristiani per il 2007 è preso dal Vangelo di Marco: “Fa sentire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,31-37). Riportiamo la presentazione scritta da mons. Eleuterio F. Fortino per la “Guida liturgico–pastorale” della Conferenza Episcopale Laziale:
“Tutti erano molto meravigliati e dicevano: “È
straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!” (Marco 7, 31-37).
Ascolto e annuncio: due dimensioni essenziali per la vita cristiana e per lo
stesso impegno ecumenico. Il brano evangelico proposto per la preghiera per
l’unità di quest’anno ricorda inoltre che in assenza di queste dimensioni il
Signore interviene e guarisce l’uomo perché, riportato alla condizione che
corrisponde alla natura redenta, possa realizzare se stesso e vivere nella
comunione con gli altri, mettendosi in contatto con essi, dopo aver riacquistato
la capacità di “sentire e parlare”.
La proposta iniziale di questo tema è venuta da un
gruppo ecumenico del Sud Africa, avendo come spinta contingente una situazione
particolare locale, in cui si stenta a “parlare” per remore personali e per
condizionamenti sociali. Una tale situazione si manifesta anche altrove, là
dove la reticenza diventa connivenza con il male, per timore o per interesse.
La proposta proveniente dal Sud Africa è stata rielaborata e preparata per la
divulgazione internazionale dal Comitato misto per la preghiera tra il
Consiglio Ecumenico delle Chiese e il Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani.
1. Le dimensioni di ascolto e di annuncio sono
strettamente connesse. Il brano evangelico, nello stile sobrio, sintetico di
Marco lo esprime in modo efficace. Presentarono a Gesù “un uomo sordo e muto,
pregandolo di imporgli le mani”. Il contesto è esplicitamente religioso, come
indica la domanda di “imporgli le mani” perché la guarigione che può operare
“il profeta” proviene dalla potenza di Dio. Gesù compie un atto e pronuncia una
parola, ad immagine della struttura sacramentale. Innanzitutto porta in
disparte, lontano dalla folla, il sordomuto. L’incontro vero con il Signore è
strettamente personale, la conversione è sempre personale. Quindi mise le
proprie dita nelle sue orecchie e con la propria saliva toccò la lingua.
Ordinò: “Effatà” cioè, “Apriti”, sordomuto: “Apriti”, apritevi orecchie, apriti
lingua, sciogliti per comunicare agli altri quanto il Potente ha operato in te.
Altrettanto sobria ed essenziale è la sintesi: “ Subito le sue orecchie si
aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto bene (Mc
7,37). Poter ascoltare e poter parlare è un dono di Dio.
2. L’ascolto della Parola di Dio è prioritario nella
visione cristiana. Solo dopo aver ascoltato l’Evangelo di salvezza si può
parlare agli altri per comunicarlo. Ciò che ha operato con la guarigione del
sordo muto Gesù lo dichiara anche con le parole. Nell’episodio di Marta e
Maria. Entrambe le sorelle intendono accogliere amichevolmente e degnamente
Gesù nella loro casa. Marta si preoccupa di “molte cose”, di tutto quanto è
necessario e utile per una tale accoglienza, mentre Maria “si era seduta ai
piedi del Signore e ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39). Alle proteste di
Marta Gesù le dà l’indicazione fondamentale di ogni credente: “Tu ti inquieti e
affanni per molte cose. Una sola cosa è necessaria. Maria invece ha scelto la
parte migliore che non le sarà tolta” (Ibidem, 41). In maniera più tagliente
Gesù ribadisce questo suo insegnamento alla donna che elogiava sua Madre perché
lo aveva portato in grembo chiamandola beata. Gesù ribadisce: “Beati piuttosto
(menoùn - quinimmo) coloro che ascoltano
3. Uno dei modi per mettere in pratica
Il brano evangelico scelto per questa settimana ci
ricorda un’altra dimensione. “Gesù ordinò
di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne
parlava pubblicamente” (Mc 7,36). Ciò corrispondeva alla progressiva
rivelazione del segreto messianico, necessario per la maturazione della fede
dei seguaci di Gesù. Ma ci segnala anche un altro aspetto della predicazione:
quello della testimonianza. L’annuncio attraverso le opere. “Così risplenda la
vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e
glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,15). Ciò vale anche per
l’ecumenismo. Vivere già da ora, per quanto possibile, la comunione esistente
significa favorire concretamente la maturazione dell’unità. Lo aveva intravisto
il decreto Unitatis Redintegratio
quando affermava: “Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio promuoveranno,
anzi vivranno in pratica l’unione quanto più si studieranno di condurre una
vita più conforme all’Evangelo”.
4. “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito
dice alle Chiese” (Ap
2,11). Si può avere orecchi e non sentire, non voler sentire, non ascoltare. Lo
Spirito dice a ciascun cristiano: chi ha orecchi da intendere intenda. Lo
Spirito dice alle Chiese del nostro tempi che l’unità dei Cristiani è
intimamente legato alla evangelizzazione ed anche alla ri–evangelizzazione.
Gesù lo aveva indicato nel modo sublime della preghiera. Aveva pregato che i
suoi discepoli siano uniti, siano uno, una cosa sola, affinché il mondo,
l’umanità creda nel Figlio di Dio, Signore e Salvatore del mondo. E così il
mondo, l’umanità intera, sia salva (Besa/Roma).
VILLA BADESSA
Villa Badessa (Pescara), per il fatto che si trovi lontano
dal nucleo più numeroso delle Comunità arbëreshe, è poco nota. Di solito negli
studi sugli Albanesi d’Italia viene indicata come l’ultima immigrazione, in
forma compatta, di Albanesi. Eppure essa presenta caratteristici elementi per
completare il quadro della storia degli Arbëreshë. La sua storia è anche
interessante per studiare l’intero arco dell’evoluzione di una comunità
emigrata, che va dal trapianto in un altro paese (nel nostro caso dall’Albania in Italia) all’isolamento
culturale, alla lenta integrazione nel nuovo tessuto nazionale, alla
progressiva perdita delle tradizioni tipiche e finalmente della stessa lingua
d’origine.
Il documento che qui presentiamo si trova nell’Archivio
della S. Congregazione di Propaganda Fide e si riferisce all’anno 1841, quando
su incarico e per conto della Propaganda Fide, mons. Antonio Mussabini,
arcivescovo di Smirne, Visit. Apost.
delle colonie greche, nel contesto di una visita canonica a tutte le
comunità di rito greco in Italia, si è recato anche a Villa Badessa
Ecco la sua informazione (Acta 1841, ff. 477-479) su Villa Badessa:
Origine della
colonia greca di Villa Badessa
e stato generale
di quella chiesa
Dalla città di Pichierni nell’Albania fieramente attaccata e soverchiata dai Turchi, nell’anno 1744, molte famiglie della medesima si rifugiarono nel Regno di Napoli con tre sacerdoti di rito greco.
Profughi
dall’Albania accolti dal re Carlo III
Furono essi umanamente ricevute dal Re Carlo III, il quale diede loro a popolare il feudo rustico di Villa Badessa negli Abruzzi e sborsò 3300 ducati dal regio erario per provvedere queste famiglie di bestiami, attrezzi rustici ed altro necessario a fabbricare case e coltivare terreni.
Vi eresse ancora una chiesa in onore di Maria Vergine in cui si dovesse professare il rito greco, e la dotò di alcuni benefici che servissero di sostentamento al parroco.
Furono in seguito stipolate, dal medesimo Sovrano alcune capitolazioni concernenti questa colonia, ove sono da notarsi gli articoli XII, XIII, e XIV, nei quali sua Maestà dichiarò che la chiesa da se eretta dovesse essere di jus padronato regio, di rito greco cattolico, e dipendente dall’Ordinario del luogo.
Questa chiesa era per il passato soggetta all’Abbate della vicina città di Pianella, ma l’abbazia essendo stata soppressa venne la medesima chiesa assoggettata alla giurisdizione del Vescovo di Penne.
Dalle ricerche che ho fatto negli archivi di Pianella e di Penne non ho potuto trovare alcun documento che trattasse dell’amministrazione di questa chiesa, e benché sieno cento anni da che essa fu fondata, tuttavia non si vedono figurare nei predetti archivi che i soli nomi dei tre ultimi parrochi: cioè di papà Giovanni Vlasi, di papà Nestore Palli, e di papà Gregorio Colonnà parroco attuale.
Papà Giovanni Vlasi era nativo di Villa Badessa medesima; e sebbene fosse stato ordinato sacerdote da un Vescovo scismatico non di meno nella curia vescovile non si ritrova la sua abiura, né la sanatoria pontificia, ma semplicemente una carta dell’esame che ha subito prima di occupare la carica di parroco. L’attuale Vescovo di Penne che l’ha conosciuto personalmente mi assicura essere egli stato sempre di fede dubbia, e di non aver mai domandato il sacro Crisma dal suo Ordinario, bensì dai Vescovi scismatici. Papà Nestore Palli, nativo parimente di Villa Badessa ed ordinato sacerdote da un Vescovo scismatico dell’Albania, è quel medesimo che anni fa si era intruso nella cura parrocchiale della chiesa greca di Napoli, e che poi dovette abbandonarla per non aver voluto assoggettarsi a certe condizioni impostegli dal Cardinal Arcivescovo. Costui ritornato in Villa Badessa fu, dietro un semplice esame e senza ulteriori informazioni, surrogato al già morto papà Vlasi nella cura parrocchiale di quella chiesa; ma la sua inclinazione forse allo scisma, o (come egli dice) il bisogno della sua famiglia lo fece rinunziare a questa carica, e quindi partito coi suoi si trasportò in Grecia in mezzo agli scismatici. Fu in quest’occasione che i coloni di Villa Badessa chiamarono da Barletta l’attuale parroco Gregorio Colonnà, che allora era scismatico, e che in seguito essendo andato in Roma si convertì alla fede cattolica, come e bene noto alla Sagra Congregazione di Propaganda.
Dal fin qui esposto apparisce chiaramente che
Apparisce in secondo luogo che gli Abbati di Pianella e quindi i Vescovi di Penne non hanno usato quella vigilanza la quale se per qualunque chiesa è necessaria a più forte ragione lo deve essere per una chiesa greca da cui rare volte è lontano il pericolo di scisma. Infatti, è cosa strana che in una ben regolata diocesi non si ritrovi alcun documento riguardante l’amministrazione di questa chiesa, né alcun indizio della osservanza della bolla benedettina, né alcun ordine della curia vescovile a questo proposito, né istituzioni canoniche di parrochi, né dispense di matrimoni che pure devono essere stati frequenti, né alcun’altra carta relativa alle comunicazioni che devono mantenersi coll’ordinario del luogo. Inoltre non si può concepire come siasi perduta affatto ogni memoria dei parrochi che precedettero i tre ultimi sumentovati a segno che non si conosca come e da chi fosse amministrata questa chiesa per lo passato. Né finalmente reca minore sorpresa che anche questi tre ultimi parrochi sieno andati ad ordinarsi in paesi scismatici, e quindi si sieno intrusi nell’amministrazione parrocchiale sotto gli occhi dell’ordinario diocesano.
Stato attuale della chiesa
Lo stato materiale di questa chiesa è così deplorabile che più non si potrebbe immaginare. L’edificio per la maggior parte scoperto a modo che gli abitanti sono costretti di assistere ai divini uffici a cielo nudo; le pareti ruvide e sconcie, il vacuo ingombro di materiali, il Sancta Santorum sudicio e disordinato, i libri liturgici rosi dalle tarle e scompagnati a segno che si rendono quasi inservibili, e questi con altri utensili collocati disordinatamente sopra la mensa sulla quale si celebra ed è riposto il Ssmo Sacramento che io ho trovato rinchiuso nel tabernacolo unitamente ad una bottiglia nera contenente dell’acqua santa; i sacri arredi pochi e assai deteriorati, le immagini logore e sparse senza ordine, questo è quanto si presenta alla vista di chi va ad osservare questa miserabile chiesa. Non reggendomi il cuore a tanta desolazione ho creduto bene di lasciare al parroco scudi venti acciò si impegnassero per la pulizia immediata ed urgente, ed intanto ho diretto una lettera al Nunzio Apostolico con una supplica del curato tendente ad ottenere dal real governo un sussidio bastevole almeno a coprire il tetto, né ho lasciato di sollecitarlo ad impegnarsi per quest’oggetto.
La popolazione di Villa Badessa ascende a circa
quattrocento individui. Come questi sono all’estremo ignoranti in materia di
Religione, e per lo passato furono diretti sempre da sacerdoti sospetti di
scisma, così sembrano imbevuti di scismatici pregiudici, onde avviene che
manifestino una specie di avversione ai latini e a tutto ciò che è di rito
latino. Invano finora si è tentato di indurli a ricevere la cresima da un
Vescovo, mostrandosi persuasi che loro basti quella che dicono aver ricevuta
nell’amministrazione del Battesimo. Io vedendo l’impossibilità di torli di
errore e prevedendo li gravi sconcerti che nascerebbero se si volessero
costringere, sono rimasto inteso col vescovo di Penne e col loro parroco, di
lasciarli tranquilli per ora affinché mediante le opportune istruzioni
catechistiche si persuadano soavemente a ricevere un giorno questo insigne
sacramento. Frattanto il curato che fin’ora amministrava
Gli altri gravi abusi da me trovati in questa chiesa sono: che non si segue il Calendario Gregoriano, che le specie sacramentali non vengono rinnovate ogni otto o quindici giorni, che gli oli santi benché da qualche tempo in qua si prendano dall’Ordinario diocesano, pure non si rinnovano ogni anno, che nel sacramento della confessione si adopera la formola deprecatoria e non quella del Concilio Fiorentino, che in una parola si pecca contro tutti i punti della bolla benedettina. Siccome però ho osservato che ciò proveniva dalla ignoranza o indolenza del parroco, così dopo avergli date le opportune istruzioni e aver fatto intesa la curia vescovile di tutti questi abusi, ho ordinato una traduzione italiana della Bolle medesima affinché il parroco possa intenderla ed osservarla, il che mi promise di fare. Però è sempre necessario che la Sagra Congregazione colla sua suprema autorità imponga sia al Vescovo che al parroco l’osservanza di questi punti importanti. Finalmente non esistendo in quella colonia alcun catechismo, il parroco si trova costretto a spiegarlo oralmente ai fanciulli; perciò io ho promesso al medesimo che la Sagra Congregazione lo provvederebbe quanto prima di varie copie di qualche piccolo catechismo stampato in Italiano; com’anche di una muta di libri liturgici.
Con mia sorpresa
poi ritrovai ritornato di recente dalla Grecia papà Nestore Palli, quel
medesimo di cui si è parlato di sopra. Egli è naturalmente sospeso, e perciò si
presentò a me per ottenere la riabilitazione. Come però costui per i suoi
antecedenti comparisce molto sospetto e pericoloso, ed è cagione di partiti
nella popolazione, non solo non credo che convenga di abilitarlo, ma mi sono
adoperato presso il Vescovo di Penne e il Nunzio Apostolico acciò si procurasse
di allontanarlo dalla colonia (Besa/Roma).
PITTSBURGH
COMMENTO CATECHETICO
DELLA DIVINA LITURGIA
Nel
passato avevamo pubblicato in nostra traduzione italiana diversi articoli
dell’arciprete ruteno p. David M. Petras. Di lui è apparso nei mesi scorsi un prezioso
volume di catechesi liturgica: “Time for Lord to Act – A cathechetical
Commentary on the Divine Liturgy, Byzantine Catholic Metropolia of Pittsburgh” (66 RuverviewAvenue,
Pittsburgh PA 1514-2253).
Il
commento della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo è organizzato in quattro
parti:
Introduzione:
Riforma liturgica nella Chiesa bizantina (pp.5-22); I. Liturgia e spiritualità
(pp.23-44); II. Preparazione, Assemblea e riti catechetici (pp.45 –79); III:
Anafora pp.71- 122; IV. Riti di comunione. Si aggiunge un utile glossario.
Riportiamo
in nostra traduzione una breve sezione dell’introduzione:
La liturgia dovrebbe essere più breve?
Da
giovane, quando ero studente di Liturgia, feci una volta un viaggio in
Slovacchia per visitare i paesi dei miei nonni. Dovemmo attraversare Praga. Era
domenica. Io ed il mio amico trovammo una chiesa greco-cattolica dove
assistemmo alla Divina Liturgia. Il pastore apprezzò la nostra visita e ci
invitò a colazione. Mi chiese cosa studiassi a Roma e quando gli risposi
“Liturgia”, mi si accostò e disse: “Per favore, mi puoi dire come accorciarla?”
Negli
ultimi trent’anni, ho trovato che questa è una delle principali preoccupazioni
di sacerdoti e fedeli nella nostra Chiesa. Il desiderio di rendere la Liturgia
il più breve possibile deriva dall’idea, non del tutto consapevole, che
prendere parte alla Liturgia sia soltanto un obbligo da rispettare per essere
nelle grazie di Dio. La Liturgia vale poco di per sé ed il tempo trascorso
nella Liturgia è noioso. Più è svolta velocemente, meglio è. Oggi, comunque,
questo atteggiamento strettamente legalistico è meno comune.
La
nostra percezione della Liturgia è influenzata dal modo in cui apprendiamo la
verità o, per dirla in modo più secolare, dal modo in cui la realtà ci viene
presentata. Nella nostra Chiesa, l’icona è la finestra verso la realtà, ma
nella società in cui viviamo, la televisione è diventata la finestra verso il
mondo. Questo ha un impatto sulla vita di ognuno, anche su quella dei pochi che
reagiscono contro di essa e si rifiutano di guardarla. Naturalmente non c’è
niente di intrinsecamente negativo nella televisione, dato che è un dono di
Dio, ma, come ogni beneficio donatoci, noi siamo in grado di distorcerne il
valore. Non mi riferisco semplicemente al contenuto di ciò che viene mostrato
in televisione, ma allo strumento stesso. Per la sua natura specifica, la
televisione può rendere più difficile la distinzione tra realtà e finzione. Una
storia inventata può assumere le parvenze della realtà, mentre la realtà può
diventare una storia tra le tante altre. Non solo. La televisione fa del
divertimento/intrattenimento il valore più importante della vita. E la
Liturgia, che non è divertimento ma comunione con Dio, viene giudicata in base
agli stessi criteri. Poiché i programmi televisivi durano in media un’ora,
un’ora diventa anche la durata massima che si concede alla Liturgia, e se la
nostra preghiera non “intrattiene” abbastanza, ecco che un’ora è perfino
troppa.
La
domanda fondamentale è: qual è il posto della Liturgia nella nostra vita di
fede? I nostri nonni dedicavano più tempo alla Liturgia, spesso due ore o
ancora di più, ed era la cosa più importante che facevano durante tutta la
settimana. Noi adesso li vediamo come “primitivi”, antiquati, ma erano forse
più saggi di noi. Uno dei Padri della Chiesa ha detto che ci vogliono due ore
di preghiera per arrivare alla presenza di Dio. Di nuovo, so bene che questo
non è accettabile per la sensibilità odierna abituata ai parametri temporali
televisivi di un’ora, ma dobbiamo essere umili abbastanza da ammettere che la
nostra fede in Dio ed il nostro desiderio di Dio si sono indeboliti. Al
contempo, mi sento riconfortato dal fatto che c’è stato un certo ritorno al
passato dai tempi della mia gioventù. Allora, una o due generazioni fa, si era
tutti minimalisti e la Liturgia più corta era quella ideale. Da allora, abbiamo
riscoperto in un certo senso il valore della spiritualità, anche se tendiamo a
separarla dalla preghiera liturgica e a collegarla piuttosto al nostro rapporto
personale con Dio.
Qualsiasi
Chiesa ritenga che l’opzione migliore sia quella della Liturgia più breve è
ovviamente una Chiesa morta. Se pensiamo questo, allora crediamo che il nostro
valore più grande, ovvero essere alla presenza del nostro Signore, sia ormai
vuoto e non esista nient’altro. La Liturgia non è divertimento, anche se molti
sono convinti del contrario; le mega-chiese che allestiscono spettacoli per i
loro fedeli sono in aumento. La Liturgia è comunità: ciò significa che tutti
noi dobbiamo partecipare attivamente, unendoci a persone con le quali non
sempre ci sentiamo a nostro agio e sopportando momenti di noia, di non
divertimento. In quanto comunità, la Liturgia spesso richiede lavoro ed
impegno, valori difficili per una società dominata dallo spirito mediatico
dell’ “entertainment”.
Allo
stesso tempo, è chiaro che la Liturgia non deve per forza essere il più
possibile noiosa. I fedeli hanno il diritto di udire il Vangelo in modo chiaro
ed ascoltare una predicazione cristiana che sia almeno sincera, anche se non
tutti i sacerdoti hanno le stesse capacità retoriche. Le varie attività della
Liturgia - preghiere, rituali, gesti, simboli, musica, arte - dovrebbero essere
realizzate nel miglior modo possibile. Se scendono al di sotto degli standard
minimi, siamo chiamati a compiere ogni sforzo per migliorarle. La Liturgia è opera
di Dio, ma se non vi riversiamo la nostra fede, essa rischia di diventare un
gesto vuoto, incapace di santificarci.
Il
gesto di versare acqua calda nel calice prima della Comunione può essere un
simbolo di questo, un simbolo del calore della nostra fede. Nel compierlo, il
sacerdote dice: “Il fervore della fede, piena di Spirito Santo”.
La
Liturgia è sempre presenza di Cristo, che trasforma grazie allo Spirito i doni
del pane e del vino da noi offerti nel suo corpo e nel suo sangue. L’acqua
calda non cambia i doni, ma indica che dobbiamo versare tutta la nostra fede
nella preghiera offerta al Signore. Se portiamo la fede nella Liturgia, il
tempo diventa allora meno importante e, alla fine, scompare del tutto (Besa/Roma).
VATICANO
NUOVO AMBASCIATORE DI ALBANIA
Il nuovo ambasciatore della Repubblica di Albania (S.E. Rrok Logu) ha presentato le lettere credenziali il 29 settembre 2006. Il nuovo ambasciatore è nato nel 1962. Docente di ingegneria civile presso il Politecnico di Tirana, è stato anche consulente dell’Arcidiocesi di Tiranna - Durrës per i rapporti con le istituzioni statali, e membro della Commissione statale per i Culti.
Il Santo Padre ha rivolto il seguente discorso sulle relazioni tra la Santa Sede e l’Albania. Lo riportiamo integralmente:
Signor Ambasciatore,
nel darLe il benvenuto all’inizio della sua missione,
La ringrazio per le cortesi espressioni che mi ha rivolto e per i sentimenti di
profonda stima che ha voluto manifestare nei confronti della Santa Sede. La
prego di significare al Signor Presidente della Repubblica che ricambio
cordialmente i suoi saluti, mentre estendo il mio pensiero all’intero Popolo
albanese, la cui aspirazione alla verità e alla libertà, come Ella ha
opportunamente osservato, non è stata cancellata nemmeno dalla lunga e pesante
dittatura comunista, dalla quale è uscito non molti anni or sono. Per crescere
in un clima di autentica libertà occorre un contesto etico-spirituale adeguato,
fondato su una concezione dell’uomo e del mondo che ne rispecchi la natura e la
vocazione. L’Europa, con il suo ricchissimo patrimonio di idee e di
istituzioni, ha costituito certamente nel corso di questi due millenni un
laboratorio privilegiato di civiltà, anche se a costo di quali e quanti
travagli. Quante guerre! Fino a quelle del secolo scorso, che hanno assunto
proporzioni mondiali. L’Albania aspira ad integrarsi anche istituzionalmente
con le nazioni europee, sentendosi ad esse già legata non solo per motivi
geografici, ma soprattutto per ragioni storico-culturali. Non posso che
augurare che tale aspirazione trovi una valida e piena realizzazione, e che
all’armonico processo di unificazione dell’Europa possa offrire un proprio
peculiare contributo. Signor Ambasciatore, ho molto apprezzato che Ella abbia
sottolineato, sia guardando al passato che al presente, quanto siano state
importanti la presenza e l’opera della Chiesa Cattolica in Albania, per la
promozione della fede e dei valori spirituali come pure il sostegno a
molteplici situazioni di bisogno. A questo proposito vorrei ricordare Madre
Teresa, proclamata beata nel 2003 dal mio venerato predecessore Giovanni Paolo
II. Con la testimonianza di una vita evangelica e con il coraggio disarmante
dei suoi gesti, delle sue parole dei suoi scritti, questa figlia eletta
dell’Albania ha annunciato a tutti che Dio è amore e che ama ogni uomo,
specialmente chi è povero ed abbandonato.
In realtà, è proprio l’amore la vera forza
rivoluzionaria che cambia il mondo e lo fa progredire verso il suo compimento;
di questo amore
Molte sono le sfide che l’Albania deve
affrontare in questo momento. Vorrei citare, tra gli altri problemi,
l’emigrazione di molti suoi figli. Se da una parte è necessario combattere le
cause di tale fenomeno, occorre anche creare le condizioni perché quanti lo
desiderino possano ritornare in patria. E mi piace qui rendere omaggio agli
albanesi che, fedeli ai migliori valori della loro tradizione, sanno farsi
apprezzare in Italia, in Europa e in altri Paesi del mondo.
Per quanto poi riguarda i rapporti ufficiali
tra
Signor Ambasciatore, formulo a Lei i
migliori auguri per una serena e proficua missione, assicurandoLe la cordiale
collaborazione di quanti lavorano nei vari Uffici della Sede Apostolica. Mi è
caro riecheggiare, al termine di queste riflessioni, l’auspicio che il Servo di
Dio Giovanni Paolo II rivolse al Popolo albanese durante la storica visita del
25 aprile 1993, quello cioè di “proseguire uniti e saldi nel cammino che
conduce alla piena libertà, nel rispetto di tutti e seguendo le orme a voi
familiari della pacifica convivenza, dell’aperta collaborazione ed intesa fra
le diverse componenti etniche, culturali e spirituali” (Discorso della
cerimonia di benvenuto, n. 3: Insegnamenti
di Giovanni Paolo II, XVI, 1
[1993], 2003).
Su questa strada l’Albania potrà contare sul
sostegno della Chiesa cattolica e, in particolare, della santa Sede. Lo
assicuro insieme con il mio ricordo nella preghiera, mentre invoco le celesti
benedizioni su di Lei e sulla sua famiglia, sul Presidente della Repubblica e
sull’intero Popolo albanese (Besa/Roma).
ROMA
NUOVO AMBASCIATORE DI ALBANIA
PRESSO IL QUIRINALE
Il Dr. Llesh Zef Kola è il nuovo
ambasciatore presso il Quirinale. Nato a Lezha nel 1960. Diplomatico di
carriera. Ha gia esercitato il servizio diplomatico presso le ambasciate di
Algeria e di Madrid, e nel Ministero degli esteri. Dal settembre 2005 era diventato
Capo Gabinetto del Ministero degli esteri.
Il Dr. Visar Zhiti, poeta rinomato, è
l’addetto culturale dell’Ambasciata (Besa/Roma).
COSENZA
NUOVI STUDI SUGLI
ITALO-ALBANESI
In breve tempo sono apparsi
tre ben documentati studi sugli italo-albanesi dello storico Attilio Vaccaro
dell’Università della Calabria:
Attilio Vaccaro, I Greco-Albanesi d’Italia-
Regime canonico e consuetudini liturgiche, Lecce 2006;
Attilio Vaccaro, Sulle tracce delle comunità
albanesi nel mediterraneo – Istruzione religiosa e tradizione artistica (secoli XIII-XVII), Argo,
Lecce, 2006.
Attilio Vaccaro, I rapporti politico-militari tra
le due sponde adriatiche nei tentativi di dominio dell’Albania medievale
(secoli XI-XIV), in “Studi sull’Oriente Cristiano” dell’Accademia Angelica-Costantiniana,
10/1, pp. 13-71, Roma 2006.
Il primo studio costituisce una
ricostruzione della situazione degli albanesi in Italia nei secoli XIV e XVI,
il loro impatto con la cultura italiana del tempo e con
Il secondo volume ricostruisce le
problematiche relative all’istruzione religiosa e alla tradizione artistica in
un arco di tempo che copre i secoli XIII-XVII in tre capitoli:
Una
appendice su “Sacre Immagini tra passato e presente: l’esempio della cattedrale
di Lungo”, arricchisce e completa il volume. Si tratta questo di un aspetto
interessante per comprendere nella sua integralità la dimensione culturale e
religiosa degli italo-albanesi. L’autore stesso è anche iconografo e diverse
sue icone e affreschi si trovano in varie chiese dell’eparchia di Lungo.
Nel terzo
studio Attilio Vaccaro prende in esame i rapporti militari tra l’Italia e
l’Albania con un perseverante tentativo di dominio dell’Albania medievale,
coprendo i secoli XI-XIV. Un periodo quindi che precede la venuta degli
Albanesi in Italia, comunque non senza influssi preparatori sulla loro venuta.
Viene presentata la politica dei Normanni, quella degli Svevi e quella
angioina. Verso il termine del dominio angioino, conclude il Vaccaro, l’Albania
“si avviava sempre più ad essere un territorio controllato solo dalle potenti
famiglie albanesi”. Sono queste famiglie che stringono l’alleanza con Giorgio
Castriota per la resistenza agli eserciti ottomani.
Si tratta di un apporto storico che illumina diversi
aspetti della situazione albanese che precede l’epoca di Skanderbeg (Besa/Roma).
PIANA DEGLI ALBANESI
A cura di papàs Jani Pecoraro, arciprete di Piana
degli Albanesi, è apparso un bel volume dal titolo “Amfia. Paramenti liturgici antichi della Cattedrale
S. Demetrio M., Piana degli Albanesi 2006”.
Il curatore nella prefazione scrive: “La necessità
di mostrare al pubblico una piccola parte del patrimonio dell’eparchia di Piana
degli Albanesi mi ha spinto a mettere in luce una particolare ricchezza della
Cattedrale di S. Demetrio M.” Egli prima di trattare delle “antiche vesti
liturgiche locali” ha preposto “uno studio sulla tradizione dei paramenti sacri
nella Chiesa bizantina”. Si tratta dunque di vesti liturgiche bizantine
confezionate sul luogo, ma nello stile bizantino tradizionale. Il curatore ha
fatto anche una ricerca storica sull’origine ed è pervenuto a questa
conclusione: “E’ quasi certo che l’arte del ricamo, come attività diffusa a
Piana sia nato subito dopo la fondazione del Collegio di Maria avvenuta nel
La pubblicazione è strutturata in quattro capitoli:
Segue una parte sui “Paramenti liturgici in mostra”
in cui vengono riprodotti a colori 41 parati o loro parti. Si tratta dei
“pezzi” esposti in una mostra (1 aprile – 1 maggio 2006) al Museo Civico
“Ritiri”. L’iniziativa è importante culturalmente e anche particolarmente utile per gli insiti aspetti catechetici.
Oltre a presentare il loro uso pratico, aiuta la comprensione del loro
simbolismo (Besa/Roma).
COSENZA
DIZIONARIO BIOBIBLIOGRAFICO
DEGLI ITALO-ALBANESI
Nella collana “Biblioteca
degli Albanesi d’Italia” è stato pubblicato un prezioso volume sulle
personalità arbëreshe che si sono distinte in qualche disciplina culturale:
letteraria, storiografica, scientifica, musicale, folcloristica, religiosa e
militare (Giovanni Laviola, Dizionario bibliografico degli Italo-Albanesi,
Edizioni Brenner, Cosenza 2006, pp. 308, €.38). E’ il frutto di una trentina di
anni per una silenziosa raccolta dei dati, servendosi di libri, riviste,
segnalazioni bibliografiche precedenti parziali, di contatti e consultazioni
personali. Ne è autore il prof. Giovanni Laviola, scrupoloso e rigoroso
ricercatore di storia, autore di molte pubblicazioni riguardanti fenomeni e
avvenimenti calabresi e italo-albanesi. Egli è nato a Spezzano Albanese il 3
settembre 1915 e vive a Trebisacce (Cs). Il dizionario è il segno della stima,
che egli testimonia per i posteri, per tutti coloro che hanno contribuito alla
salvaguardia e alla promozione della Comunità albanese in Italia dall’Abruzzo
alla Sicilia. Di ogni persona segnalata vengono presentati dati biografici
essenziali, la sua opera, in particolare i dati bibliografici, tanto su quanto
ha prodotto quanto altri hanno scritto e sui giudizi relativi. Al di là di
eventuali lacune e imprecisioni, sempre possibili in opere del genere, ogni
italo-albanese deve essere grato all’autore per una sintesi così documentata
dell’avventura culturale arbëreshe.
Per la festa nazionale di Albania 2006 l’opera di
Giovanni La viola sarà presentata al Circolo Besa di Roma (Besa/Roma).
VENEZIA: SUSSIDIO LITURGICO
PER I ROMENI GRECO-CATTOLICI
Gli immigrati in Italia costituiscono un numero
sensibilmente crescente. Il “Dossier
Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes - Elaborazione su dati del Ministro
degli Interni /Istat”(2005) ha riportato importanti informazioni sul
movimento di popolazioni dall’Est Europeo in Italia.
“Dal 1970 ad oggi in Italia si è passati da meno di
100.000 immigrati a quasi 3.000.000 con un aumento di ben 30 volte ed un
elevato ritmo di crescita negli ultimi cinque anni”. Tra i paesi di provenienza
si indicano
In gran parte essi sono cristiani, ortodossi per la
maggioranza, ma anche cattolici orientali (Romania, Ucraina, , Bulgaria ecc.).
L’accoglienza degli immigrati cristiani, non si può
limitare ad una questione di sistemazione nel campo del lavoro e, in linee
generali, di integrazione nell’ambito sociale. Occorre tenere presenti le
esigenze religiose. L’Istruzione del Pont. Consiglio per i migranti (2004) afferma:
“I migranti cattolici di rito orientale, oggi sempre
più numerosi, meritano una particolare attenzione pastorale. Ricordiamo
anzitutto, a loro riguardo, l'obbligo giuridico di osservare dovunque ‑
quando sia possibile ‑ il proprio rito, inteso come patrimonio liturgico,
teologico, spirituale e disciplinare (n.
52). I vescovi devono aver cura di questi cristiani di diversa tradizione
liturgica e devono vigilare “affinché nessuno si senta limitato nella sua
libertà a motivo della lingua o del rito (Ibidem).
Tra i vari bisogni e problemi che emergono –
pastorali, liturgici, disciplinari – per gli emigrati vi è anche quello dei libri
liturgici con le implicazioni della lingua del paese di arrivo. Per ovviare a
quest’ultimo problema, per i fedeli romeni uniti con Roma, o greco-cattolici,
viventi nel Triveneto e in Emilia-Romagna, è stata presa l’iniziativa opportuna
di pubblicare un bel volume bilingue, romeno e italiano (Catre de Rugaciuni – Manuale di Preghiere, la Divina Liturgia di S.
Giovanni Crisostomo e le principali preghiere del cristiano, Blaj 2005). Il
volume è stato curato da due sacerdoti greco-cattolici romeni (p.V. Barbolovici
e p. R.R. Salanschi) e da un italiano, il prof. Giuseppe Munarini di Padova. La
pubblicazione ha la benedizione dell’Arcivescovo Maggiore della Chiesa
Greco-cattolica Romena, S.B. Lucian, che ha scritto la prefazione e una
raccomandazione del Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, il quale
ha firmato una postfazione. “
Il volume contiene, dopo una breve presentazione
della storia della Chiesa Romena greco-cattolica, i testi liturgici della
Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, l’ufficio del vespro, l’ufficio per
i defunti, la paraklisis alla Madre
di Dio e le principali preghiere quotidiane. I testi sono in romeno tratti dai
libri liturgici in uso nella Chiesa romena greco-cattolica e in italiano. La
traduzione italiana della Divina Liturgia è quella in uso nella Chiesa
italo-albanese ed è stata approvata (1967) dalla Congregazione per le Chiese
orientali.
In appendice, solo in lingua romena, si presenta una
antologia di canti popolari: canti dei salmi, canti tradizionali religiosi,
mariani e natalizi (colinde).Si
tratta di un aiuto concreto alla comunità greco-cattolica romena in Italia per
rafforzare e vivere la sua fede nel quotidiano e nell’assemblea liturgica (Besa/Roma).
MACEDONIA
FESTIVAL DELLA POESIA
A Tetova, nella Macedonia albanese, si è tenuto un
Festival Internazionale della poesia: “Ditët e Naimit” (I giorni di Naim –
19-22 ottobre 2006 – X edizione), dedicato fin dalla sua istituzione al poeta
del XIX secolo Naim Frashëri (1846 – 1900).
Gli albanesi della Macedonia, più di 600.000
abitanti, svolgono una interessante attività culturale, sia a livello di
ricerca scientifica che a livello di divulgazione. Il Festival Internazionale
della poesia vede riuniti ogni anno un numero considerevole di poeti provenienti
da tutte le parti del mondo che presentano un florilegio di poesie che vengono
lette nelle lingue originali e in traduzione albanese. Quest’anno degli
albanesi d’Italia vi ha partecipato
Gli organizzatori del Festival hanno colto
l’occasione per pubblicare un volume antologico delle poesie della Zuccaro: Zëmra e dheu (Tetova, 2006, prefazione
di Ahmet Selmani), che è stato presentato nell’ambito delle attività
promozionali del Festival stesso, presso l’Università del Sud-est europeo di
Tetova.
Nella circostanza gli organizzatori hanno presentato
anche il volume antologico della poesia italiana contemporanea, tradotto in
albanese dalla stessa poetessa Caterina Zuccaro. Il volume dal titolo “Nga njëri breg a tjetri i këtij deti”
(D’una o dell’altra riva di questo mare) è stato pubblicato in Italia nel
“Pensata in
particolare come occasione di avvicinamento alla poesia italiana contemporanea
e rivolta a lettori albanesi, l’antologia bilingue accoglie, accanto ad autori
di fama nazionale, voci di poeti radicati nelle zone dell’Italia meridionale
che appartengono anche alle comunità linguistiche italo-albanesi, tramiti
privilegiati di un incontro e di un dialogo tra l’Italia e l’Albania”
(Luciano Satta, ivi, p. 184). Sono presenti 24 poeti italiani viventi: V.
Andreoli, A. Bevilacqua, G. Bonaviri, C. Calabrò, G. Conte, E. De Luca, F.
Esposito, B. Forte, F. Fusca, D. Giancane, D. Maffia, G. Malgieri, E. Masneri.
A. Merini, S. Mignano, G. Picaro, P. Rasulo, O. Rossani, C. Serricchio, M. L.
Spaziani, S. Trevisani, N. Vacca, N. Ventola, A. Zanzotto (Besa/Roma).
S. BENEDETTO ULLANO
150° ANNIVERSARIO
MORTE DI AGELILASO MILANO
Il 31 ottobre ha avuto luogo a S. Benedetto Ullano
una conferenza sul “Il 150° anniversario della morte di Agesilao Milano”
(1830-1856), patriota nativo di S. Benedetto Ullano, ex alunno del Collegio
Corsini di S. Demetrio Corone, impiccato nel 1856 per avere attentato alla vita
del re Ferdinando II Borbone. Il prof. Leopoldo Conforti ha presentato Agesilao
Milano come “patriota dimenticato” sulla base di documentazione inedita
dell’Archivio di Stato di Napoli.
Il prof. Italo Costante Fortino ha trattato di
alcune opere letterarie (tragedia di Nicola Romano e poema di Giovanni Jatta)
che hanno come protagonista Agesilao Milano. Inoltre ha analizzato la
composizione poetica (“Ode a Marco Boçari”) in cui il Milano canta l’estremo
sacrificio del patriota albanese, morto per l’indipendenza della Grecia. Un
gruppo canoro locale ha eseguito canti civili e religiosi della tradizione
sanbenedettese. Ha coordinato la manifestazione il prof. Alfio Moccia. (Besa/Roma).
ROMA
FESTA NAZIONALE DI ALBANIA
Per la festa nazionale di Albania (2006) la Comunità
arbëreshe di Roma organizza due eventi: una conferenza e una celebrazione
liturgica.
Sabato 25 novembre, ore 17,30, nella sala di Via dei
Greci 46 il prof. Pietro De Leo, ordinario di storia presso l’università della
Calabria presenterà il “Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi” di
Giovanni Laviola, appena pubblicato (2006) dalle Edizioni Brenner di
Cosenza nella collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia”.
Domenica 26 novembre, ore 10,30, nella chiesa di S.
Atanasio (Via del Babuino 149), sarà celebrata la Divina Liturgia di S.
Giovanni Crisostomo in lingua albanese per tutti gli albanesi viventi in
Albania, nella Kosova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora antica e
recente (Besa/Roma).
71
HESYCHIA (14): CONFORMARE
Fonte primaria di inquietudine per l’uomo è la sua
volontà in un duplice versante: l’abulia che prima o poi genera scontentezza e il
volere sempre altro in più perché insoddisfatti per ogni situazione raggiunta.
“Bramate e non riuscite a possedere…Invidiate e non riuscite ad ottenere,
combattete e fate guerre” (Gc 4, 2). L’inquietudine più profonda nasce dal
desiderio e dalla volontà malata dell’uomo che tende a obiettivi non conformi
alla volontà di Dio.
1.
Conformarsi al volere di Dio sempre, dovunque e comunque. E’ questa la
vocazione del cristiano che deve cercare ciò che Dio a lui personalmente
chiede, farlo proprio e realizzarlo, sicuro che Dio che lo ha chiamato gli dà
anche il sostegno nel cammino e la luce per non perdere la meta.
“Siate santi perché io sono santo” – ripetutamente
proclamato nelle Scritture – viene tradotto in altre parole da Gesù Cristo:
“Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt ). L’orientamento di modellare se stessi a
Dio è la forma della realizzazione dell’uomo, del suo perfezionamento, della
sua crescita a misura di Cristo che si sperimenta quando il credente può dire
che certamente egli vive, ma propriamente non è lui che vive, perché è Cristo
che vive in lui (Gc 2,20). I suoi sentimenti, i suoi desideri, la sua volontà
combaciano con quella del Signore.
2.
Nella sua vicenda terrena Gesù Cristo ha dato l’esempio supremo di come
conformare la propria volontà a quella di Dio Padre. Più volte egli dichiara la
sua obbedienza al Padre che lo ha mandato nel mondo per la salvezza
dell’umanità. Egli è il Figlio di Dio, Dio vero da Dio vero, ma egli si è
incarnato ed è in tutto simile all’uomo. Vero Dio e vero uomo. Ha quindi una
propria volontà.
3.
Il processo del divenire cristiano (kerygma, catechesi, ricezione dei
sacramenti, mistagogia) implica la purificazione e l’educazione della propria volontà per conformarla a
quella di Dio. La vita ascetica tende a questo e da questo dipende ogni espressione
della vita quotidiana quando è vissuta alla luce del disegno di Dio su
ciascuno. Questo orientamento non riguarda soltanto i grandi asceti del passato
presenti nei calendari liturgici (Antonio, Pacomio, Benedetto da Norcia, Nilo
di Rossano, Francesco di Paola, ecc.), o quelli dediti per particolare
vocazione alla vita spirituale (eremiti, cenobiti, comunità di vita
consacrata), ma anche e ugualmente ad ogni singolo cristiano che vive in questo
mondo chiamato alla sequela di Cristo e impegnato a darne testimonianza
affinché l’Evangelo raggiunga gli uomini là dove essi concretamente vivono.
Ogni semplice cristiano è testimonianza di una dimensione trascendente: la
volontà di Dio che si realizza tra gli uomini.
4. A mano a mano che il cristiano
sente crescere in sé la presenza di Dio e la sua volontà si conforma a quella
misteriosa presenza si trasforma anche il suo stato d’animo fondamentale in
pace con Dio. Si trasforma ugualmente il suo rapporto con gli altri,
considerati non solo fratelli, ma membri dell’unico corpo di Cristo. La
serenità interiore acquisita si manifesta anche nel rapporto con il prossimo
nel vincolo della pace e dell’amore.
La
sintonia della volontà umana con quella divina è la condizione basilare e
prerequisita per la piena serenità dello spirito umano (Besa/Roma).
Roma, 8 novembre 2006
S. A T A N A S I O
COMUNITA’
CATTOLICA BIZANTINA
IL NATALE
HA FATTO SORGERE
TE, ORIENTE DALL’ALTO
Con questa espressione l’apolytìkion di Natale introduce alla comprensione dell’arcano evento dell’Incarnazione e del significato della Nascita di Gesù Cristo come manifestazione del mistero che scende dall’alto, dalla volontà salvifica di Dio. La nascita di Gesù secondo la carne rende possibile la conoscenza della “giustificazione”, realizzata da Gesù Cristo, “sole di giustizia”, “oriente dall’alto”. E chiama tutti all’adorazione.
La stella, gli angeli, i pastori, i magi sono orientati verso un’umile grotta: “Colui che è nato in una grotta ed è stato posto in una greppia per la nostra salvezza è il Cristo, Dio nostro”. Il creato intero e l’umanità hanno atteso la redenzione, ora glorificano Dio nell’alto dei cieli e invocano la pace in terra.
Il primo inno idiòmelo del vespro di Natale, con riferimenti all’antico e al nuovo Testamento, invita a far festa e invoca la misericordia divina. L’inno, firmato da Germano, così canta:
“Venite esultiamo per il Signore, esponendo questo mistero. Il muro di separazione che era frammezzo è abbattuto; la spada di fuoco si volge indietro e i cherubini si ritirano dall’albero della vita. E anch’io godo del paradiso di delizia, da cui ero stato scacciato per la disubbidienza. Poiché la perfetta immagine del Padre, l’impronta della sua eternità, prende forma di servo, nascendo da Madre ignara di nozze, senza subire mutamento: Ciò che era è rimasto: Dio vero; e ciò che non era ha assunto, divenendo uomo per amore degli uomini. A lui acclamiamo: O Dio, che sei nato dalla Vergine, abbi pietà di noi”.
L’inno invita all’esultanza natalizia perchè Cristo è la nostra pace, venendo tra noi Colui che ha abbattuto “il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14). E ha riconciliato tutti con il Padre.
L’inno adopera diverse espressioni e simboli biblici: il paradiso, i cherubini in guardia dell’Eden, la spada di fuoco. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio “scacciò l’uomo e pose ad oriente dell’Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita (Gen 3,24).
Questa separazione viene abbattuta con l’Incarnazione del Verbo di Dio, “perfetta immagine del Padre, impronta della sua eternità”. Pertanto canta l’innografo: “Anch’io godo del paradiso di delizia”.
L’augurio di Buon Natale comprende il coinvolgimento vitale in questa storia di redenzione, di esultanza e di dossologia.
Natale 2006
Eleuterio F. Fortino
Mistagogia
in S. Atanasio
Il Consiglio della Chiesa di S. Atanasio ha deciso
di studiare nell’anno 2007:
1. I sacramenti
dell’iniziazione cristiana (17 febbraio 2007)
2. Riti della Penitenza
(17 marzo 2007)
3. Il Matrimonio, sponsali
e nozze (21 aprile 2007).
Le conferenze saranno
tenute da p. Miguel Arranz professore emerito del Pontificio Istituto
Orientale e della Pontificia Università Gregoriana.
Gli incontri avranno luogo
nella sala del Circolo italo-albanese di cultura “Besa – Fede” di via dei Greci
46, con inizio alle ore 17,30.
Il programma è coordinato
dal diacono prof. Luigi Fioriti.
·
6 maggio: Pellegrinaggio a Casamari e
Trisulti:
coordinamento,
prof.ssa Maria Franca Cucci.
· Mese di giugno: Incontro dei giovani battezzati nella chiesa di S. Atanasio:
coordinamento,
ins. Agnese Ierovante (Besa/Roma).
Lo scorso anno sono state studiate
le feste (despostiche, teomitoriche e quelle dei santi) con lezioni
dell’Archimandrita p. Giorgio Gharib del Patriarcato greco melkita cattolico.
“FA SENTIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI”
18 – 25 gennaio
Testo biblico di base
“Poi Gesù lasciò la regione di Tiro, passò per la città di Sidone e
tornò ancora verso il lago di Galilea attraverso il territorio delle Dieci
Città.
Gli portarono un uomo che era sordomuto e lo pregarono di porre le mani
sopra di lui.
Allora Gesù lo
prese da parte, lontano dalla folla, gli mise le dita negli orecchi, sputò e
gli toccò la lingua con la saliva. Poi alzò gli occhi al cielo, fece un sospiro
e disse a quell’uomo: «Effatà!», che significa: «Apriti!». Subito le sue
orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare molto
bene.
Gesù ordinò di
non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava
pubblicamente. Tutti erano molto meravigliati e dicevano: «È straordinario! Fa
sentire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco 7, 31-37).
“Tutti erano molto meravigliati
e dicevano: «È straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco
7, 31-37).
Ascolto e annuncio: due dimensioni essenziali per la
vita cristiana e per lo stesso impegno ecumenico. Il brano evangelico proposto
per la preghiera per l’unità di quest’anno ricorda inoltre che, in assenza di
queste dimensioni, il Signore interviene e guarisce l’uomo perché, riportato
alla condizione che corrisponde alla natura redenta, possa realizzare se stesso
e vivere nella comunione con gli altri, mettendosi in contatto con loro, dopo
aver riacquistato la capacità di “sentire e parlare”.
La proposta iniziale di questo tema è venuta da un gruppo ecumenico del Sud Africa, avendo come spinta contingente una situazione particolare locale, in cui si stenta a “parlare” per remore personali e per condizionamenti sociali. Una tale situazione si manifesta anche altrove, là dove la reticenza diventa connivenza con il male, per timore o per interesse.
La proposta proveniente dal Sud Africa è stata rielaborata e preparata per la divulgazione internazionale dal Comitato misto per la preghiera tra il Consiglio Ecumenico delle Chiese e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
Le dimensioni di ascolto e di annuncio sono
strettamente connesse.
Il brano evangelico, nello
stile
sobrio, sintetico di Marco, lo esprime in modo efficace.
Presentarono a Gesù “un uomo sordo e muto,
pregandolo di imporgli le mani”. Il contesto è esplicitamente religioso, come
indica la domanda di “imporgli le mani” perché la guarigione che può operare
“il profeta” proviene dalla potenza di Dio. Gesù compie un atto e pronuncia una
parola, ad immagine della struttura sacramentale. Innanzitutto porta in
disparte, lontano dalla folla, il sordomuto. L’incontro vero con il Signore è
strettamente personale, come la conversione è sempre personale. Quindi mise le
proprie dita nelle sue orecchie e con la propria saliva toccò la lingua.
Ordinò: “Effatà” cioè, “Apriti”, sordomuto! “Apriti”, apritevi orecchie, apriti
lingua, sciogliti per comunicare agli altri quanto il Potente ha operato in te.
Altrettanto sobria ed essenziale è la sintesi: “Subito le sue orecchie si aprirono, la sua lingua si sciolse ed egli si
mise a parlare molto bene (Mc 7,37). Poter ascoltare e poter parlare
è un dono di Dio.
2.
Beati colo che ascoltano
L’ascolto della Parola di Dio è prioritario nella
visione cristiana.
Solo dopo aver ascoltato l’Evangelo di salvezza si
può parlare agli altri per comunicarlo. Ciò che ha operato con la guarigione
del sordo muto Gesù lo dichiara anche con le parole. Nell’episodio di Marta e
Maria. Entrambe le sorelle intendono accogliere amichevolmente e degnamente
Gesù nella loro casa. Marta si preoccupa di “molte cose”, di tutto quanto è
necessario e utile per una tale accoglienza, mentre Maria “si era seduta ai
piedi del Signore e ascoltava la sua parola” (Lc 10, 39).
Alle proteste di Marta Gesù le dà l’indicazione
fondamentale di ogni credente: “Tu ti inquieti e affanni per molte cose. Una
sola cosa è necessaria. Maria invece ha scelto la parte migliore che non le
sarà tolta” (Ibidem, 41). In maniera più tagliente Gesù ribadisce questo
suo insegnamento alla donna che elogiava sua Madre perché lo aveva portato in
grembo chiamandola beata. Gesù ribadisce: “Beati piuttosto (menoùn - quinimmo) coloro che ascoltano
3.
Ascoltare e comunicare nell’ecumenismo
Uno dei modi per mettere in pratica
Il Decreto del Concilio Vaticano II fa esplicito riferimento a questo versetto e dichiara che “tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (UR,1).
La divisione, come già da quasi un secolo ha messo in rilievo la conferenza missionaria mondiale di Edimburgo (1910), indebolisce l’annuncio cristiano. Come possiamo annunciare da cristiani divisi che Gesù è l’unico Signore e Salvatore del mondo? La questione si radica nella preghiera stessa di Gesù: “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21).
Parlare con gli altri per riflettere sulla Parola di Dio e trarne le conseguenze che impegnano gli uni e gli altri fa parte dell’intero movimento ecumenico. Il dialogo è strumento essenziale della ricerca della piena unità dei cristiani, nelle molteplici dimensioni di presentazione della propria fede, di ascolto della esposizione degli altri, del confronto e del tentativo di instaurare convergenze e soluzioni dei problemi controversi. Il decreto sull’ecumenismo lo segnala con chiarezza.
Enumerando le iniziative per la ricerca dell’unità, segnala le conversazioni che si tengono “con intento religioso” tra i cristiani e in particolare “il dialogo avviato tra esponenti debitamente preparati della propria comunità, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunità e ne presenta con chiarezza le caratteristiche.
Infatti con questo dialogo tutti acquistano una cognizione più vera e una più equa estimazione della dottrina e della vita di entrambe le comunioni ed inoltre quelle comunioni conseguono una più ampia collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune” (UR,4).
Il brano evangelico scelto per questa settimana ci
ricorda un’altra dimensione. “Gesù ordinò
di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne
parlava pubblicamente” (Mc 7,36).
Ciò corrispondeva alla progressiva rivelazione del segreto messianico,
necessario per la maturazione della fede dei seguaci di Gesù.
Ma ci segnala anche un altro aspetto della
predicazione: quello della testimonianza. L’annuncio attraverso le opere. “Così
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone
opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,15).
Ciò vale anche per l’ecumenismo. Vivere già da ora,
per quanto possibile, la comunione esistente significa favorire concretamente
la maturazione dell’unità.
Lo aveva intravisto il decreto Unitatis Redintegratio quando affermava: “Si ricordino tutti i
fedeli che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione quanto
più si studieranno di condurre una vita più conforme all’Evangelo”.
4. Chi
ha orecchi da intendere intenda
“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice
alle Chiese” (Ap 2,11). Si può avere orecchi e non sentire, non voler
sentire, non ascoltare. Lo Spirito dice a ciascun cristiano: chi ha orecchi da
intendere intenda. Lo Spirito dice alle Chiese del nostro tempo che l’unità dei
Cristiani è intimamente legata alla evangelizzazione ed anche alla
ri–evangelizzazione. Gesù lo aveva indicato nel modo sublime della preghiera.
Ha pregato che i suoi discepoli siano uniti, siano uno, una cosa sola, affinché
il mondo, l’umanità creda nel Figlio di Dio, Signore e Salvatore del mondo. E
così il mondo, l’umanità intera, sia salva.
Eleuterio
F. Fortino
PREGA PER TUTTI GLI ALBANESI
Per la festa nazionale di Albania (28 novembre 2006) la Comunità
arbëreshe di Roma ha organizzato due incontri: uno culturale e uno spirituale.
Nel primo il prof Pietro De Leo, ordinario di storia
nell’Università della Calabria, ha presentato il volume dello storico Giovanni
La viola:
“Dizionario biobibliografico degli Italo-Albanesi”
appena pubblicato (2006) dalle Edizioni Brenner di Cosenza
nella collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia”.
La pubblicazione è una vera enciclopedia di tutte le personalità della cultura arbëreshe da Luca Matranga (1592) ad oggi con 762 personaggi segnalati (letterati, storici, ecclesiastici, patrioti, cultori). Anche i viventi sono ampiamente presenti. E’ il frutto di una trentina di anni di silenziosa raccolta dei dati, servendosi di libri, riviste, segnalazioni bibliografiche precedenti parziali, di contatti e consultazioni personali. Ne è autore il prof. Giovanni Laviola, scrupoloso e rigoroso ricercatore di storia, autore di molte pubblicazioni riguardanti fenomeni e avvenimenti calabresi e italo-albanesi. Di ogni persona segnalata vengono presentati dati biografici essenziali, la sua opera, in particolare i dati bibliografici, tanto su quanto ha prodotto, quanto su ciò che altri hanno scritto e sui giudizi relativi. Ogni italo-albanese deve essere grato all’autore per una sintesi così documentata dell’avventura culturale arbëreshe.
Nel secondo incontro, domenica 26 novembre, nella chiesa di S. Atanasio (Via del Babuino 149) regolarmente frequentata dagli Arbëreshë di Roma, è stata celebrata la
Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo in lingua albanese
Cantata nella musica dello jeromonaco arbëresh Nilo Somma
Si è pregato per tutti gli albanesi viventi in Albania, nella Kosova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora antica e recente.
All’omelia mons. Eleuterio F.
Fortino, commentando la pericope evangelica del giorno (Luca 18, 18-27) ha riproposto la domanda:“Cosa devo fare per ottenere la
vita?” e ha riportato la risposta di Gesù: “Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non
rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre”.
Queste indicazioni etiche
interessano le singole persone e gli stessi popoli che intendono costruire una
società ordinata e orientata al bene comune e a quello delle singole persone. “Sono particolarmente appropriate per la
nostra patria di origine avviata verso un sostanziale rinnovamento politico,
sociale, spirituale”.
L’esigenza di rinnovamento morale è presente in Albania come mostrano diverse iniziative e pubblicazioni recenti. mons. Eleuterio F. Fortino ha citato lo studio di don Basilio Petrà, professore universitario di etica: “La coscienza secondo lo Spirito. Per una comprensione cristiana della coscienza morale”, tradotta (Tirana, 2006) in albanese dal rev. Arian Shkurti; e il primo volume dell’opera “Il senso religioso” di don Luigi Giussani, tradotta in albanese dal prof. Ferdinand Leka (settembre 2005).
Nella presentazione della traduzione albanese a Tirana è stato sintetizzato il senso in questa espressione: “Occorre ricostruire l’umano e non solo strade e case” (Besa/Roma).
BESA
CIRCOLO ITALO-ALBANESE DI CULTURA
Via dei Greci 46 -00187 Roma
ROMA: IL PRIMATE DI GRECIA IN VISITA AL PAPA
Per la prima volta l’Arcivescovo
di Atene e di tutta
ROMA: INCONTRO DEI BATTEZZATI NELLA CHIESA DI S. ATANASIO
Domenica 17 dicembre
KOSSOVA: NUOVO AMMINISTRATORE APOSTOLICO
Il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico di Prizren (Kossova) S.E. Rev.ma Mons. Dodë Gjergji, trasferendolo dalla diocesi di Sapë (Albania). Questi finora era stato Segretario della Conferenza Episcopale Albanese. Succede a S.E Mons. Mark Sopi, di recente deceduto.
ALBANIA: NUOVO VESCOVO DI SAPË
Il Santo Padre ha nominato vescovo di Sapë (Albania) il Rev. Mons. Lucjan Augustini, finora Vicario Generale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Shkodrë-Pult (Albania).
ROMA: L’ICONA DI MARIA “SEDES SPIENTIAE” IN ALBANIA
Nel suo pellegrinaggio di paese
in paese dal Giubileo del
ROMA. RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA LA SANTA SEDE E IL MONTENEGRO
La Santa Sede e
Circolare ottobre 2006 187/2006
I detti
di Gesù (45): “Misericordia io voglio e
non sacrificio”.................................................. 1
ROMA:
Oriente cristiano in Italia .............................................................................................. 2
CIVITA: I Papades - Testimoni di fede..................................................................................... 7
BELGRADO:
Dialogo cattolico-ortodosso – Conciliarità e autorità nella Chiesa............................ 9
LUNGRO:
Tre chirotonie presbiterali...................................................................................... .10
KOSOVA:
Tre monumenti ortodossi – Luoghi del patrimonio mondiale...................................... .10
LUNGRO:
Coro polifonico italo-bizantino.................................................................................. 10
ROMA: Hesychìa: Cammino di ascesa verso la
tranquillità dell’anima....................................... 11
Tà lòghia - I detti di Gesù (45): “Misericordia io voglio e
non sacrificio”
Gesù ha appena chiamato alla sua sequela Matteo,
esattore delle imposte, funzione sociale generalmente malvista. Ora sta a tavola
assieme “a molti pubblicani e peccatori”. Al vedere ciò alcuni farisei, gruppo
religioso zelota e puritano, chiesero ai discepoli: “Perché il vostro maestro
mangia con i pubblicani e i peccatori?” (Mt 9, 11). Le norme rigoriste
proibivano una tale comunione per un rabbino che osserva la legge. Gesù li udì
e rispose dicendo che egli era venuto a cercare i peccatori per “richiamarli”
alla conversione. E ad essi che si riferivano alla Legge disse: “Andate ad
imparare che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13). Richiede che si
comprenda il senso della legge e il suo scopo che è quello di orientare la vita
secondo la volontà di Dio.
Gesù rinvia al profeta Osea il quale, secondo la
traduzione della CEI, dice: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza
di Dio più degli olocausti” (Os 6,5). Dio esige – “Io voglio” – l’amore (la
misericordia) più degli olocausti (sacrifici cultuali). “Misericordia (hèleon)
io voglio e non sacrificio (thysìan)”. Sulla base della Scrittura Gesù
“rimprovera ai farisei il loro legalismo che li fa insensibili ai reali bisogni
dello spirito” (Lancellotti). E’ una distorta interpretazione della Legge che
Gesù rifiuta e non
Si
presenta qui la seconda parte della conferenza di mons. Eleuterio F. Fortino al Santuario del Divino
Amore:
Si
è di fronte ad una situazione multietnica e multiconfessionale. Tralasciando
gli immigrati protestanti che non rientrano nel tema di oggi, consideriamo i
rapporti con i cristiani orientali.
a. Vi
si incontrano sempre più orientali cattolici. Nei loro bisogni (luoghi di
culto, matrimoni, celebrazione dei sacramenti, assistenza liturgica,
concelebrazione tra latini e orientali, ecc.) sono da applicare le norme di
diritto interrituale presenti nei due Codici di Diritto Canonico.
b. La
presenza degli ortodossi risulta incrementata negli ultimi anni. Nei rapporti
con essi occorre avere presente anche particolari situazioni determinate dalla
Chiesa di origine (Chiese ortodosse e Antiche Chiese ortodosse d’Oriente, e
all’interno di queste due categorie occorre avere presente le specificità di
ciascuna di esse: per es. Chiesa greca, Chiesa russa, chiesa romena, chiesa
serba, chiesa copta, chiesa etiopica, chiesa eritrea, chiesa armena ecc.).
Tutte queste distinzioni possono influire nelle scelte pastorali nei loro
confronti per favorire un’azione costruttiva di servizio e di comunione.
Nel rapporto ecumenico con queste Chiese
occorre avere presente come sicura guida pastorale alcuni documenti principali:
- Il Decreto
Conciliare sull’ecumenismo Unitatis
Redintegratio (1964), in particolare i principi cattolici dell’ecumenismo;
- L’Enciclica
di Giovanni Paolo II sull’impegno ecumenico Ut
Unum Sint (1995);
- Il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle
norme sull’ecumenismo (1993).
Il Pontificio Consiglio per la pastorale dei migrati e degli
itineranti ha studiato da vicino
l’intera problematica delle migrazioni e
ne ha dato anche alcune direttive che riguardano il nostro tema. Riporto
soltanto le indicazione circa:
“Accoglienza e solidarietà” (39- 43)
41. Per questo l'intera Chiesa del Paese
di accoglienza deve sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei
migranti. Nelle Chiese particolari va dunque ripensata e programmata la
pastorale per aiutare i fedeli a vivere
una fede autentica nel nuovo odierno contesto multiculturale e plurireligioso.
Con
l'aiuto di operatori sociali e pastorali, è così necessario far conoscere agli
autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti
infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri.
I “Migranti cattolici di rito orientale” (52- 55)
52. I migranti cattolici di rito
orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare attenzione
pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l’obbligo giuridico di
osservare dovunque ‑ quando sia possibile ‑ il proprio rito, inteso
come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (cfr. CCEO can. 28, §l).
Di
conseguenza “anche se affidati alla cura del gerarca o del parroco di un’altra
Chiesa sui iuris, rimangono tuttavia
ascritti alla propria Chiesa sui iuris”
(CCEO can. 38); anzi, l’usanza, pur a
lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l’iscrizione
alla medesima (CIC can. 112, §2). Vi
è, infatti, divieto di “cambiare rito senza il consenso della Sede Apostolica”
(CCEO can. 32 e CIC can. 112, §1).
I
migranti cattolici orientali, poi, fermo restando il diritto e il dovere di osservare
il proprio rito, hanno pure il diritto di partecipare attivamente alle
celebrazioni liturgiche di qualunque Chiesa sui
iuris, quindi anche della Chiesa latina, secondo le prescrizioni dei libri
liturgici (cfr. CCEO can. 403, §1).
La gerarchia deve curare inoltre che
coloro i quali hanno relazioni frequenti con fedeli di altro rito lo conoscano
e venerino (cfr. CCEO can. 41) e
vigilerà affinché nessuno si senta limitato nella sua libertà a motivo della
lingua o del rito (cfr. CCEO can.
588).
53. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (CD 23) in effetti stabilisce che: “Dove
si trovano fedeli di diverso rito, il vescovo deve provvedere alle loro
necessità, sia per mezzo di sacerdoti o parrocchie dello stesso rito; sia per mezzo
di un vicario episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se opportuno,
insignito anche del carattere episcopale; sia da se stesso come ordinario di
diversi riti”.
Inoltre
“il vescovo può costituire uno o più vicari episcopali che, in forza del diritto
... nei riguardi dei fedeli di un determinato rito, godono dello stesso potere
che il diritto comune attribuisce al vicario generale” (CD 27).
54. Conformemente al dettato conciliare,
il CIC (can. 383, §2) stabilisce
quindi che se il vescovo diocesano “ha nella sua diocesi fedeli di rito
diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o
parroci del medesimo rito, sia mediante un vicario episcopale”. Questi, a norma
del can. 476 del CIC, “ha la stessa
potestà ordinaria che, per diritto universale ... spetta al vicario generale”
anche in rapporto ai fedeli di un determinato rito. Il CIC, dopo aver enunciato il principio della territorialità della
parrocchia, stabilisce infatti che, “dove risulti opportuno, vengano costituite
parrocchie personali, sulla base del rito” (can. 518).
55. Qualora così si proceda, tali
parrocchie faranno giuridicamente parte integrante della diocesi latina, e i
parroci del medesimo rito saranno membri del presbiterio diocesano del vescovo
latino. E’ da notare, tuttavia, che sebbene i fedeli, nell’ipotesi prevista dai
suddetti canoni, si trovino nell’ambito della giurisdizione del vescovo latino,
è opportuno che questi, prima di istituire parrocchie personali o designare un
presbitero come assistente o parroco, o addirittura vicario episcopale, entri
in dialogo sia con
Varrà qui ricordare infatti che il CCEO (can. 193, §3) prevede, quando i
vescovi eparchiali “costituiscono questo tipo di presbiteri, di parroci o
sincelli per la cura dei fedeli cristiani delle Chiese patriarcali”, che essi
“prendano contatto con i relativi patriarchi e, se sono consenzienti, agiscano
di propria autorità informandone al più presto
Sebbene nel CIC manchi una espressa disposizione a questo proposito, per
analogia essa dovrebbe però valere anche per i vescovi diocesani latini.
I “Migranti di altre Chiese e Comunità ecclesiali”
(56-60)
56. La presenza, sempre più numerosa,
anche di immigrati cristiani non in piena comunione con
Si tratta di possedere quello spirito di
carità apostolica che da una parte rispetta le coscienze altrui e riconosce i
beni che vi trova, ma che può attendere anche il momento per diventare
strumento di un incontro più profondo fra Cristo e il fratello.
I
fedeli cattolici non devono dimenticare infatti che è anche servizio e segno di
grande amore, quello di accogliere i fratelli nella piena comunione con
In
circostanze analoghe può essere loro consentito di fare funerali o di celebrare
ufficiature in cimiteri cattolici” (55).
57. Da ricordare qui è poi la legittimità,
in determinate circostanze, per i non cattolici, di ricevere l’Eucarestia
assieme ai cattolici, secondo quanto afferma anche la recente Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Infatti
“Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena
comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia,
in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità
ecclesiali non in piena comunione con
In
tal senso si è mosso il Concilio Vaticano II, fissando il comportamento da
tenere con gli orientali che, trovandosi in buona fede separati dalla Chiesa
cattolica, chiedono spontaneamente di ricevere l’Eucaristia dal ministro
cattolico e sono ben disposti (cfr. OE
27).
Questo
modo di agire è stato poi ratificato da entrambi i Codici, nei quali è
considerato anche, con gli opportuni adeguamenti, il caso degli altri cristiani
non orientali che non sono in piena comunione con
58. Ad ogni modo si avrà un reciproco,
particolare riguardo dei rispettivi ordinamenti, come raccomandato nel Direttorio per l’applicazione dei principi e
norme sull'ecumenismo: “I cattolici
devono dar prova di un sincero rispetto per la disciplina liturgica e
sacramentale delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, e queste ... sono
invitate a mostrare lo stesso rispetto per la disciplina cattolica”.
Tali
disposizioni e l’ “ecumenismo della vita quotidiana” (pag. 64), nel caso dei
migranti, non mancheranno di avere benefici effetti. Momenti salienti d'impegno
ecumenico potranno essere, in ogni caso, le grandi feste liturgiche delle
differenti Confessioni, le tradizionali Giornate mondiali della pace, del
migrante e del rifugiato e
Bibliografia
Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e
gli Itineranti, Istruzione “Erga
Migrantes Caritas Christi”, 3 maggio 2004.
L’Istruzione rinvia al Direttorio
per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo al quale del resto si ispira. Riportiamo alcune norme del
Direttorio:
“I cristiani
possono essere incoraggiati a condividere attività e risorse spirituali, cioè a
condividere quell’eredità spirituale che essi hanno in comune, in una maniera e
ad un livello adeguati al loro stato attuale di divisione” (n.102).
La condivisione deve riflettere questa duplice realtà:
a) la
reale comunione esistente (n.104)
b) il
carattere incompleto di tale comunione (n.104,2).
Si ricorda inoltre:
“La
concelebrazione eucaristica è una manifestazione visibile della piena comunione
di fede”. “Non è permesso concelebrare l’Eucaristia con ministri di altre
Chiese e Comunità ecclesiali” (n.104e).
Preghiera comune
DE 108-115
· “La conversione del cuore e questa santità di
vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono
ritenere come l’anima di tutto il
movimento ecumenico” (UR 8).
· “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo efficace per impetrare la grazia dell’unità, e sono
una genuina manifestazione dei vincoli
con i quali i cattolici sono ancora uniti
con questi altri cristiani” (DE 108, UR 8).
· Occasioni: (esempi): preghiera per la pace,
questioni sociali. Dignità della famiglia, povertà, fame, violenza ecc., festa
nazionale, riunioni tra cristiani per lo studio e l’azione (DE 19).
· “La preghiera comune dovrebbe avere però come
oggetto innanzitutto la ricomposizione
dell’unità dei cristiani” (DE 110).
· “Tale preghiera dovrebbe essere preparata di
comune accordo con l’apporto di
rappresentanti di Chiese e Comunità ecclesiali o altri gruppi” (DE 111).
· “ Sulla via ecumenica verso l’unità il primato spetta senz’altro
alla preghiera comune” (Ut Unum Sint 22).
· Una occasione particolare e che si estende
sempre più, ma da promuovere ulteriormente, è la “settimana di preghiere per
l’unità dei cristiani” (18-25 gennaio).
Alla
preghiera può partecipare l’intero popolo di Dio, anche coloro che non si dedicano
specialmente all’azione ecumenica.
“Condivisione della liturgia non sacramentale
e cooperazione pastorale”
DE 116-121
· “In certe occasioni, la preghiera ufficiale
di una Chiesa può essere preferita a celebrazioni ecumeniche preparate per
l’occasione” (DE 116).
· “Nelle celebrazioni liturgiche che si fanno
in altre Chiese e Comunità ecclesiali,
si consiglia ai cattolici di prendere parte ai salmi, ai responsori….Se i loro
ospiti lo propongono possono proclamare una lettura o predicare” (DE 117).
· “In una celebrazione liturgica cattolica, i ministri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali
possono avere il posto e gli onori liturgici che convengono al loro rango e al
loro ruolo” (DE 119).
· “A prudente giudizio dell’ordinario del
luogo, il rito delle esequie della Chiesa cattolica può essere concesso a
membri di una Chiesa e di una Comunità ecclesiale non cattolica, a condizione
che ciò non sia contrario alla loro volontà, che il loro ministro ne sia
impedito e che non si oppongono le disposizioni generali del diritto” (DE 120).
· “Le benedizioni ordinariamente impartite ai
cattolici possono essere impartite anche agli altri cristiani, vivi e defunti…”
(DE 121).
· Quando è necessario “il vescovo diocesano può
permettere (a comunità o ministri non cattolici) di usare una Chiesa o un
edificio cattolico ed anche prestare loro gli oggetti necessari per il culto”
(DE 137).
· “Nelle scuole e istituzioni cattoliche si
deve fare ogni sforzo per rispettare la fede e la coscienza degli studenti e
dei docenti che appartengono ad altre Chiese e Comunità ecclesiali”… “I
ministri ordinati delle altre comunità possano esercitare senza alcuna
difficoltà il loro servizio spirituale e sacramentale per i loro fedeli che
frequentano tali scuole o istituzioni” (DE 141).
· “Negli ospedali e nelle case per persone anziane e nelle istituzioni
analoghe dirette da cattolici, le autorità devono darsi premura di avvertire i
sacerdoti e i ministri delle altre Comunità cristiane della presenza dei loro
fedeli e agevolarli perché possano far visita a dette persone e portar loro un
aiuto spirituale e sacramentale…” (DE 142).
DE 122-136
Nel Direttorio ecumenico le norme su “La
condivisione di vita sacramentale, in particolare dell’Eucaristia” (nn.
122-136) sono organizzate in base ad una chiara distinzione in due sezioni:
· rapporti con le Chiese ortodosse (nn. 122-128)
· e con le “altre Chiese e Comunità ecclesiali”, cioè
con le Comunità ecclesiali provenienti dalla Riforma (nn. 129-136).
DE 122-128
Affermazioni di base:
· “Quelle chiese,
quantunque separate, hanno veri sacramenti, e soprattutto in forza della
successione apostolica il sacerdozio e
l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi
vincoli” (UR 15, DE 122).
· “Per mezzo
della celebrazione dell’Eucaristia del Signore, in queste singole Chiese,
· Circa l’amministrazione di tre sacramenti (Eucaristia,
penitenza e unzione degli infermi) i due Codici di diritto canonico per
1. Una per i cattolici:
“Ogni volta che una necessità lo esiga o una vera
utilità spirituale lo consigli - e perché sia evitato il pericolo di errore o
di indifferentismo - è lecito ad ogni cattolico, per il quale sia fisicamente o
moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti
della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da parte di un
ministro della Chiesa orientale” (n.123 -
cfr. CJC 844,2 e CCEO 671,2).
N.B. Si richiede
l’impossibilità fisica o morale di accedere al sacerdote cattolico.
2. L’altra per gli ortodossi:
I ministri
cattolici possono amministrare lecitamente i tre sacramenti (Eucaristia,
penitenza e unzione degli infermi) agli ortodossi “qualora questi lo richiedano spontaneamente e abbiano le dovute
disposizioni” (DE 125, cfr. CJC 844,3 e CCEO 671,3).
Non viene
considerata la condizione che non sia possibile accedere al ministro ortodosso.
Questa reciprocità “ineguale” – che proviene dal CJC e dal CCEO – è stata
criticata dagli ortodossi e considerata come tentativo di proselitismo latente.
Tuttavia, tanto i due codici che il DE attirano l’attenzione sulla disciplina
delle Chiese ortodosse.
Il DE chiede
ai ministri cattolici di “evitare ogni
proselitismo, anche solo apparente” (DE 125).
Testimoni al
matrimonio:
Battesimo a
figli di genitori ortodossi
CCEO can.
681, § 4: “Il
bambino sia di genitori cattolici sia di genitori acattolici, che si trova in pericolo
di morte tale da far ritenere prudentemente che morirà prima di raggiungere
l’uso della ragione, è battezzato lecitamente”.
Can 681, § 5: “Il bambino di cristiani acattolici è battezzato
lecitamente, se i genitori oppure uno di essi o chi ne fa legittimamente le
veci lo richiedono e se ad essi è fisicamente
impossibile recarsi dal proprio ministro”.
(In questo caso rimane ai genitori l’obbligo di
educarlo nella fede della propria chiesa, come si deduce dal § 1 dello stesso
canone che dichiara: “Perché un bambino sia lecitamente battezzato si esige che
vi sia la fondata speranza che sarà
educato nella fede della Chiesa cattolica, fermo restando il § 5).
Valore del
battesimo cattolico per gli ortodossi
Il
Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, p. 94 riporta:
“Nel caso di conversione di un eterodosso
all’Ortodossia, qualora siano battezzati nel nome della Santissima Trinità,
viene amministrata solo la santa cresima, dopo che sono stati istruiti nella
fede ortodossa”.
Matrimonio di due fedeli non cattolici può essere
celebrato da un sacerdote cattolico:
CCEO can. 833, §1: “Il gerarca del luogo può
concedere a qualsiasi sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio
dei fedeli di una chiesa orientale acattolica, i quali non possono recarsi dal
proprio sacerdote senza un grave disagio, se lo chiedono spontaneamente e
purché nulla ostacoli la valida e lecita celebrazione del matrimonio”.
§ 2: “Il sacerdote cattolico, se è
possibile, prima di benedire il matrimonio renda nota della cosa la competente
autorità di quei fedeli”.
Matrimoni Misti
Il Direttorio
Ecumenico contiene una sezione sui “Matrimoni misti” (DE 143-160) sull’intera
problematica (aspetti teologici, canonici, pastorali).
A.
Matrimoni misti fra una parte cattolica e una parte
ortodossa
· La celebrazione di un matrimonio tra una parte
cattolica ed una parte ortodossa necessita della “espressa licenza
dell’autorità competente (CJC can. 1124,
CCEO can. 813).
· Per avere questa licenza dall’ordinario del luogo, la
parte cattolica “deve fare sincera
promessa che farà tutto secondo le sue
possibilità affinché l’intera prole sia battezzata ed educata nella Chiesa
cattolica” (CJC can. 1125, §1 - CCEO can. 814, §1). La parte non cattolica deve
essere informata di quest’obbligo della parte cattolica (Ibidem, § 2).
·
Per questi
matrimoni “la forma canonica deve essere osservata solo per la liceità” (CJC
can. 1127, § 1, CCEO can. 834, §2).
·
“E’ vietato che
prima o dopo la celebrazione canonica,
si abbia del medesimo matrimonio un’altra celebrazione religiosa per prestare o per rinnovare il consenso matrimoniale. Egualmente non si
faccia una celebrazione religiosa nella quale un assistente cattolico e un
ministro non cattolico insieme, ciascuno secondo il suo rito, richiedano il
consenso delle parti” (CJC can. 1127, §3 ).
·
Il coniuge
cattolico di un matrimonio misto deve
essere pastoralmente aiutato “per poter adempiere i suoi obblighi”; i pastori
aiutino i coniugi di un matrimonio misto” a favorire l’unità della vita
familiare” (CJC can. 1128, CCEO can. 816).
B.
Per quanto riguarda la partecipazione all’Eucaristia
il Direttorio prevede:
· I matrimoni misti generalmente hanno luogo “al di
fuori della liturgia eucaristica” (n. 159).
· “Il vescovo diocesano può permettere la celebrazione
dell’Eucaristia” (Ibidem, cfr. Ordo
Celebrandi Matrimonium, 8).
· “In quest’ultimo caso, la decisione di ammettere o no
la parte non-cattolica del matrimonio alla Comunione eucaristica va presa in
conformità delle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani
orientali, quanto per gli altri cristiani” (n. 159).
· Ma il DE aggiunge un richiamo particolarmente
importante per la pastorale e per l’ospitalità eucaristica. Il richiamo è
questo: occorre certamente applicare le norme generali, ma “tenendo conto di questa situazione
particolare che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due
cristiani battezzati” (Ibidem).
·
Coloro
che eventualmente in un matrimonio misto chiedono l’Eucaristia hanno ricevuto
due sacramenti: il battesimo e il matrimonio cristiano.
·
Anche per la vita
normale – dopo la celebrazione del matrimonio – di una coppia sorta da un
matrimonio misto, nel resto della vita “la condivisione dell’Eucaristia non può
essere che eccezionale (n. 160) e
vanno osservate sempre le norme generali e le indicazioni pastorali date dal
vescovo o dalla conferenza episcopale.
Il Calendario 2006 della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia,
p. 95, indica che per la celebrazione di un matrimonio misto:
Occorre “una
dichiarazione firmata della parte eterodossa, in cui assume la responsabilità
morale di battezzare ed educare i figli nella Chiesa ortodossa”;
Occorre “che
il/la testimone sia ortodosso/a”;
“E’ proibita
la concelebrazione del sacramento del matrimonio da parte di sacerdoti
ortodossi, con ministri di culto eterotodossi”.
Bibliografia
Sussidio per l’Italia particolarmente dei matrimoni
con i protestanti: Mario Polastro – Igli Vicentini (a cura), Matrimoni misti interconfessionali –
Documenti delle Chiese 1970-2000, Pinerolo 2005
Proposizione
41 del Sinodo dei vescovi (2005)
Ammissione dei fedeli non cattolici alla
Comunione:
“Sulla base della comunione di tutti i cristiani, che
l’unico battesimo già rende operante, anche se non ancora in maniera completa,
la separazione alla mensa del Signore è sperimentata giustamente come dolorosa.
Sia dentro
Si deve
chiarire che l’Eucaristia non designa e opera solo la nostra personale
comunione con Gesù Cristo, ma soprattutto la piena communio della Chiesa. Perciò chiediamo che i cristiani non
cattolici comprendano e rispettino il fatto che per noi, secondo l’intera
tradizione biblicamente fondata, la comunione eucaristica e la comunione
ecclesiale si appartengono intimamente e quindi la comunione eucaristica con i
cristiani non cattolici non è generalmente possibile.
Ancor più è
esclusa una concelebrazione ecumenica. Parimenti dovrebbe essere chiarito che
in vista della salvezza personale l’ammissione di cristiani non cattolici
all’Eucaristia, al sacramento della penitenza e all’unzione dei malati, in
determinate situazioni individuali sotto precise condizioni è possibile e
perfino raccomandata (UR 8,15; Direttorio
Ecumenico 129-131; CIC 844, § 3 e 4; CCEO 671, § 4; Lettera enciclica Ut unum sint 46; Lettera enciclica Ecclesia de Eucaristia 46). Il Sinodo
insiste perché le condizioni espresse nel Catechismo
della Chiesa Cattolica (1398-1401) e nel suo Compendio (293) siano osservate.
La presenza
di cristiani orientali nelle nostre diocesi offre l’opportunità per esercitare
la carità con una accoglienza fraterna e nello stesso tempo vivere insieme
quelle dimensioni della comunione esistenti, anche con la preghiera comune e
con la condivisione di vita non sacramentale e sacramentale sulla base
dell’unità esistente e nei limiti indicati dalla normativa canonica.
La tradizione religiosa arbëreshe è stata trasportata
fino a noi, di generazione in generazione, da una solida catena di sacerdoti,
nella gran parte, anonimi. Vorremo contribuire a ritrovare le loro figure spirituali.
Abbiamo chiesto all’arciprete di Civita, p. Antonio
Trupo, di presentarci la figura di alcuni suoi predecessori:
I nostri antenati, venendo in Italia per
sfuggire alla dominazione turca, sono stati guidati anche dai loro papades.
Questi trovarono benevola accoglienza presso i vescovi latini, le badie dei
religiosi, tenendo conto anche che siamo dopo il Concilio di Firenze (1439),
conclusosi con un Bolla di unione tra
Solo alcuni nomi sono noti per aver firmato i
contratti, le cosiddette “Capitolazioni” con l’autorità del luogo e per aver
scritto in difesa della loro popolazione. Con tenacia e con orgoglio di
appartenenza e col sentirsi tutt’uno con i loro corregionali e connazionali, li
hanno guidati e protetti.
Con tutte le
loro debolezze, limiti e difficoltà incontrate, ma conoscitori dello spirito
umano, anche per loro studi umanistici, filosofici e teologici sia a S.
Demetrio Corone che a Roma e per il loro amore fraterno verso tutti, sono stati
punti di riferimento, propulsori di unità e di amalgama fra le diverse esigenze
dei componenti della comunità.
Dai registri
parrocchiali di Civita, iniziati nel 1610, risulta un numeroso elenco di sacerdoti
nella loro funzione di amministratori di sacramenti. Il primo è D. Frascino
Giovanni. Seguono Bellusci, Dorsa, Stamati, Comino Alfonso, Lopez, Bellizzi,
D’Agostino, Pellicano, Zucchero ed Emmanuele.
Civita possiede i libri liturgici del 1700, consumati
dal tempo e dal continuo uso, segno della preghiera costante, da cui si
ispiravano per la loro vita spirituale e quella della comunità. Però voglio
soffermarmi sugli ultimi parroci, impegnati per quasi due secoli a servizio
della parrocchia di Civita.
Pellicano Nicola (1847-1873)
Proviene da una famiglia benestante e numerosa di
origine reggina, ma presente in questo paese già a metà del 1600. Di lui è
scritto nella lapide posta in chiesa, in latino: Don Nicola arciprete Pellicano
di vita integra, perito nel campo letterario, per molte sue cure rifece,
aumentò, abbellì questa chiesa, con l’intervento del pittore Vincenzo Capaccio
1858.
Da un documento notarile del 1641, la chiesa
parrocchiale di S. M. Assunta era già in buona fase di costruzione con le tre
navate.
Una certa signora Camodeca Martina di Castroregio,
vedova di Giovanni Bellusci, afferma di aver fatto costruire una cappella
dentro
La suddetta signora ha voluto ricordare questo evento
con la cappella dedicata alla santa
Protettrice del popolo albanese.
Non ci sono documenti che attestino il tipo di
intervento. Si suppone che abbia ampliato la sacrestia e il campanile.
Rimangono ancora le testimonianze degli affreschi sul soffitto a volta a botte
incannucciato in buono stato. Le altre due navate laterali hanno le volte a
botte in pietra e in mattoni. Partendo dall’entrata sono raffigurati
l’Immacolata, S. Biagio vescovo e martire,
Decorò tutta la chiesa con vera arte, fiori, viti,
volti angeli, stucchi barocchi, semplici e piacevoli. Questa decorazione
scomparve con i lavori effettuati nel 1937. Gli ultimi anni si ammalò
gravemente e gli successe il nipote Pellicano Antonio. Tra le carte conservate
nell’archivio parrocchiale risulta che ha compilato un lavoro prezioso e
circostanziato: Lo stato delle anime (1864). Di questo rimangono appena
tre fogli. Sono però segni dell’impegno pastorale e di una buona conoscenza
delle famiglie di Civita. Un altro Stato d’anime è del 1780, che indica
i vari rioni, capofamiglia, nucleo familiare.
Da notare che i battesimi, annualmente, superavano le
cento unità, così anche i defunti.
Con le rimesse, frutto del loro lavoro, si è
sviluppato il rione “Magazzeno”, con vie ampie e diritte, e il benessere
familiare prosperò con l’acquisto di proprietà terriere verso Lauropoli e il
monte di Cassano. Anche lo stile di vita si “americanizzò”.
Nel 1896 si pose l’orologio meccanico sul campanile
che, assieme alle campane, con i suoi rintocchi, ha segnato e continua a
segnare la vita dei civitesi.
Mons. Giovanni Mele (1909-1913):
Di animo mite, cordiale e scrupoloso, iniziando a
Civita i suoi primi passi di sacerdote e vivendo con le due sorelle, egli con
puntualità e sobrietà si dedicava al suo esercizio sacerdotale, impartendo il
catechismo ai ragazzi e agli adulti. Nel 1913 viene trasferito a Lungro, nel
1919 è eletto primo vescovo della nuova diocesi. La sua calligrafia sui
registri è chiara, precisa e inconfondibile. E’ il primo parroco non civitese,
che ha dovuto prendere in affitto una casa costruita con le rimesse degli
emigrati americani, perché prima ogni sacerdote abitava presso la propria
famiglia.
Il tempio di culto, grande e maestoso, era sprovvisto di
struttura pastorale e di abitazione per il parroco.
D’Agostino Domenico (1914-1935)
Proviene da Plataci, dove svolse il suo primo
ministero (1907-1914). Era un vulcano nel suo parlare, nel suo agire, aperto,
socievole, generoso e intelligente. Si ricorda ancora con simpatia la sua voce
brillante che incantava per le sue battute particolari. Anche oggi gli anziani
dicono: “Ngle Zoti D’Agostino, thoj, këntonjei, bënjei”. Un vero testimone di
fede!
Di carattere insofferente e quieto, cambiò diverse
abitazioni. Prima abitò negli stretti locali della sacrestia e del Campanile,
fornendoli di servizi di acqua corrente. Sua madre era una donna veramente
santa: non consumava mai da sola i cibi, vi era sempre qualche povero accanto a
lei e al figlio. Negli anni 1916-1928 tenne le cosiddette missioni popolari. La
croce, posta all’inizio del paese, le testimoniano.
Scrive al Papa Pio XI, al prefetto di Cosenza, ai
vescovi di Cassano e di Lungro, ponendo la necessità di una struttura pastorale
e di una casa canonica. Voce non esaudita!
Pone attenzione particolare verso la gioventù,
l’Azione Cattolica e il gruppo “Le Figlie di Maria”, il quale gruppo si impegnò
per l’impianto elettrico in chiesa (1924). In questo periodo scomparvero le
congreghe religiose.
Nel 1935 ebbe l’idea di voler cambiare parrocchia,
perché insoddisfatto delle sue attività pastorali. Una richiesta non pienamente
convinta, ma una forma di protesta. Mons. Mele accettò le sue dimissioni e
nominò Francesco Camodeca, trasferendolo da Eianina. D’Agostino scrive al
vescovo di voler ritirare le dimissioni. Gli fu risposto un po’ duramente che
ormai era tardi. Per alcuni mesi va a Plataci, poi Eianina, ed infine a S.
Giorgio, dove muore nel 1944 per un infarto.
Camodeca Francesco (1935-1985)
Da nobile famiglia dei Coronei di Castroregio, aveva
compiuto gli studi medi, come D’Agostino, presso il seminario di Cassano e
ordinato sacerdote il 27 dicembre
Venne a Civita il 22 dicembre 1935, dove rimase per
cinquant’anni. Nel 1985 si dimise da parroco per l’età avanzata e le
difficoltà di adempiere agli obblighi
pastorali. Ancora si conservano le sue prime omelie.
Uomo colto, prudente e riservato, fu stimato ed
apprezzato da mons. Mele che gli affidò diversi incarichi: Presidente del
Tribunale Ecclesiastico Diocesano, Cancelliere della Curia vescovile, Direttore
ufficio amministrativo, Assistente dell’Azione Cattolica, il delicato compito
di Delegato vescovile. Negli anni ’30 e ’40 è stato uno dei maggiori
collaboratori nella vita della giovane eparchia.
A Civita aprì una scuola media privata, insegnando
egli stesso italiano, latino, greco, matematica, storia e geografia, per venire
incontro alle famiglie e ai giovani che non potevano raggiungere Castrovillari,
dove venivano presentati agli esami di stato. Molti dei professionisti di oggi
lo ricordano con stima e simpatia. Il suo impegno scolastico non lo distolse
dalle attività pastorali. Impartiva con puntualità ogni giorno in quaresima il
catechismo ai ragazzi della V elementare e curava con scrupolosità i giovani
dell’Azione Cattolica. Per le classi I, II, III e IV impegnò le ragazze
dell’Azione Cattolica. E’ stato un lavoro fruttuoso anche perché le signore,
oltre il catechismo, hanno preso in cura anche la chiesa, con la pulizia, con
il cucire e ricamare a uncinetto le tovaglie, che ancora oggi si possono
ammirare.
D’Agostino
sognava una degna abitazione per il parroco con i vari uffici. Ci riuscì Camodeca nel 1956. Con
l’aiuto della S. Congregazione Orientale, acquistò una casa ampia e comoda nel
rione Magazzino con un giardino, dove nel 1963 costruì anche la scuola materna,
finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno e affidata alle suore basiliane.
Oggi, chiusa per mancanza di bambini, è diventata casa di accoglienza e
struttura per le attività parrocchiali.
Il suo pensiero è rivolto anche alla chiesa
come edificio. Nel 1937 un benefattore civitese G.B. Scaracchio, residente in
Brasile, diede un congruo contributo per rifare il pavimento in mattoni di
cemento, decorare la chiesa e acquistare le prime sedie.
Lo attesta una lapide posta alla navata
laterale. Nel
La sua salma riposa nel cimitero di Civita. I validi
collaboratori di questi ultimi parroci sono stati i sacerdoti: Bellusci
Francesco, Bellusci Angelo, Emmanuele Nicola e Pellicano Giuseppe Maria, morto
nel 1941. Da allora Civita non ha espresso alcun altro sacerdote, benché negli
anni ’50 e ’60, un forte nucleo di ragazzi frequentò i seminari minore e
maggiore.
I due Pellicano
hanno avuto la loro formazione culturale e spirituale nel Collegio di S.
Adriano in S. Demetrio Corone, invece Mele, D’Agostino, Camodeca, prima
frequentarono le scuole medie nel seminario di Cassano, poi filosofia e
teologia presso il Pontificio Collegio Greco di Roma, diretto dai padri
Benedettini.
Tutti hanno profuso un
intenso impegno culturale e spirituale.
Dagli ultimi tre,
provenienti da Roma, si aspettava che dessero un tono specifico nel campo
liturgico e strutturale degli edifici di culto, ma prigionieri delle dure
scorie di ibridismo formate nel passato, sotto orientamento dei vescovi latini
non riuscirono a riscoprire la loro identità di Chiesa bizantina, di
valorizzare il proprio patrimonio liturgico e teologico, modificare strutture
interne: iconostasi, altari e altro spazio sacro, e introdurre le icone secondo
i canoni dell’arte bizantina.
Infatti nel 1900
sono state ancora moltiplicate e incentivate usanze latine, come statue, via
crucis, novene, benedizioni vespertine, il rosario e altre preghiere in latino,
anche sotto l’influsso selle missioni popolari dei vari padri Passionisti e
Redentoristi, tralasciando le ufficiature come Paraklisis, Akathistos,
Proiasmena.
Ancora oggi la signora
Vavolizza Rachele, anni 103, canta e prega in latino.
Però nelle grandi festività
veniva celebrato il Mattutino e le varie Ore, il Vespro solenne e cantato in greco
in musiche tradizionali, secondo un Tipikon locale, conservato ancora
nell’archivio parrocchiale, che fa riferimento a quello di Costantinopoli. (Besa/Roma).
BELGRADO
DIALOGO CATTOLICO-ORTODOSSO
“conciliarità e
autorità nella chiesa”
A Belgrado, ospitata dalla Chiesa serba, ha
avuto luogo
IX Sessione
Plenaria
La nona sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale
per il Dialogo Teologico tra
Nella prima
sessione dell’incontro, che si è svolto presso il Centro Internazionale Sava, i co–presidenti della Commissione,
S.E. il Cardinale Walter Kasper e S.E. il Metropolita Ioannis di Pergamo, hanno
introdotto i lavori della Commissione; il Metropolita di Zagabria, Jovan, ha
dato il benvenuto ai presenti a nome del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di
Serbia.
Il Primo Ministro serbo, Dott. Vojislav Koštunica, si
è rivolto alla Commissione affermando: “…Le
Chiese d’Oriente e d’Occidente con il loro dialogo stanno offrendo uno
straordinario esempio, e questo incontro teologico a Belgrado costituisce un
punto di riferimento lungo il cammino. Il più grande dono che può essere fatto
all’umanità contemporanea è quello di convincere i popoli, e forse prima di
tutto le élite politiche, che il dialogo non ha alternative, e che ogni forma di esercizio della forza, di
comando o di imposizione di modelli e soluzioni proprie – principalmente al
servizio di interessi personali – lungi dall’edificare la pace, la fiducia, la
solidarietà e la cooperazione, distrugge
ciò che resta dei ponti tra popoli e comunità che si fronteggiano…”. Il
Primo Ministro ha anche offerto un ricevimento ed una cena a tutti i
partecipanti all’incontro.
altrettanti membri cattolici, ed è moderata
da due co–presidenti, S.E. il Cardinale Walter Kasper e S.E. il Metropolita di
Pergamo, Ioannis (Patriarcato ecumenico). S.E. il Metropolita di Sassima,
Gennadios (Patriarcato ecumenico) e Mons. Eleuterio F. Fortino (Pontificio
Consiglio per
Il testo era stato preparato dal Comitato
Misto di Coordinamento della Commissione riunito a Mosca nel 1990. Esso avrebbe
dovuto essere presentato alla sessione plenaria della Commissione a Freising
(Germania), nello stesso anno 1990, ma non fu discusso né in quell’occasione né
successivamente poiché gli eventi allora in corso in Europa Orientale imposero
alla Commissione di trattare il tema dell’«uniatismo» in relazione al dialogo
ecumenico. Nell’attuale incontro, il documento preparato a Mosca è stato
attentamente esaminato in uno spirito, condiviso dalle due parti, di genuino
impegno a ricercare l’unità.
Durante la settimana dell’incontro, i delegati
cattolici sono stati presenti alla
Divina Liturgia nella chiesa di San Marco,
celebrata in occasione della Festa della Natività della Madre di Dio,
L’incontro della Commissione Mista è stato
caratterizzato da uno spirito di amicizia e di fiduciosa collaborazione. I
membri della Commissione hanno profondamente apprezzato la generosa ospitalità
della Chiesa ortodossa di Serbia ed essi raccomandano, con particolare
intensità, la continuazione dei lavori del dialogo alle preghiere dei fedeli (Besa/Roma).
Nell’eparchia di Lungro, prossimamente, avranno luogo tre
chirotonie presbiterali. Domenica 15 ottobre il diacono Ivan Pitra verrà
ordinato nella Cattedrale; domenica 29 ottobre, il diacono Marcello Iancu nella
chiesa parrocchiale di S. Benedetto Ullano; domenica 5 novembre, il diacono
Raffaele De Angelis nella chiesa parrocchiale di Acquaformosa.
Nella circolare di settembre, il vescovo di Lungro,
mons. Ercole Lupinacci, scrive: “Invito tutti ad offrire preghiere e sacrifici
per gli ordinandi, perché lo Spirito Santo li riempia dei suoi doni e li
conformi a Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, per la gloria del Padre e la
santificazione del popolo di Dio” (Besa/Roma).
KOSOVA
TRE MONUMENTI ORTODOSSI
luoghi del patrimonio mondiale
Il Comitato dell’UNESCO per il Patrimonio Mondiale, nella riunione di
luglio, tenuta a Vilnius (Lituania), ha deciso di includere tre monumenti che
si trovano nella Kossova: la chiesa di Nostra Signora di Ljeviš, il monastero
di Gračanica e il Patriarcato di Peć.
La chiesa di N.S. di Ljeviš si trova a Prizren ed è
stata costruita nel 1307; le decorazioni di Gračanica sono state terminate
nel 1321; le decorazioni del complesso di Peć sono della metà del secolo
XIV (Besa/Roma).
Per il XXV anniversario della chirotonia
episcopale del vescovo di Lungro mons. Ercole Lupinacci, il coro polifonico
bizantino italo-albanese, diretto dal prof. Giovan Battista Rennis, ha
registrato un’ interessante antologia di canti della liturgia bizantina in un
CD offerto in omaggio e augurio per il vescovo. Iniziativa utile da continuare
con la registrazione delle principali akolouthie in modo da favorirne
l’apprendimento e la divulgazione nelle varie Comunità italo-albanesi per
rafforzare il canto della preghiera nella liturgia (Besa/Roma).
Teologia quotidiana
70
HESYCHIA (13): CAMMINO DI ASCESA VERSO
L’hesychìa
prevede un cammino in salita. Tre immagini biblico - patristiche ci illustrano
il processo verso la tranquillità dell’anima e del corpo: la scala con i
suoi gradini indica la lenta progressione, il Monte (Sinai e Tabor) l’ascesa
alla visione di Dio e la crescita alla misura di Cristo vera immagine di Dio.
L’hesychìa non è accidia, non è passività, ma tensione continua verso la
perfezione e la santità a cui Gesù Cristo ha chiamato i suoi seguaci.
1. Il metodo per
l’acquisizione della hesychìa insegnato da Giovanni Climaco (VI-VII
sec.) attualmente si chiama
Nel “Discorso al Pastore”, cioè a Giovanni Raiko cui è
dedicata
2. San Gregorio di Nissa (331c.- 394c.) nella “Vita
di Mosè” aveva già descritto la salita sul monte Sinai e l’incontro con Dio
come l’itinerario spirituale del cristiano. Per accostarsi al monte bisogna che
il popolo sia purificato e abbia le vesti lavate e non superi il limite segnato
da Mosé; soltanto quando suonerà il corno il popolo può salire sul monte
(Es.19,10.12.13). Nel frattempo Mosé parla con Dio, riceve i comandamenti,
accoglie e trasmette l’Alleanza (Es 20,19). Il Nisseno, dopo la narrazione
storica della vita di Mosé fa una
lettura anagogica, una spiegazione introspettiva. “Colui che vuole accostarsi
alla contemplazione delle realtà che sono in alto deve prima purificare da ogni
movimento sensibile e irrazionale il suo modo di vivere, lavare la sua mente” (Vita
di Mosé 156). E occorre salire. Mosé “non interrompeva mai la sua salita.
Una volta salito sulla scala, sulla quale Dio era appoggiato, - come dice
Giacobbe - continuamente saliva sul gradino superiore” (Ibidem, 227).
Sempre trovava un altro gradino. Mosé, nel dialogo con Dio, raggiunge uno
stadio di serenità. San Gregorio scrive: “Fa della quiete la maestra degli
insegnamenti sublimi e così illumina la sua mente con la luce che brilla
dal roveto” (Ibidem, 308). Nelle opere del Nisseno trova una condizione
predominante l’apàtheia, intesa non come chiusura alle influenze
esterne, ma come superamento delle passioni e restaurazione dello stato
paradisiaco, sereno, pacifico. Come impassibilità raggiunta. L’apàtheia
è la vita soprannaturale dentro l’anima, secondo il Danielou (Platonisme, p.
84). La brama inesausta dell’anima di giungere sempre più in alto attraversa
l’intera scala dell’esperienza
spirituale e culmina nella mistica. “La vita mistica è il culmine della
conoscenza, un grado superione alla gnosi” (Claudio Moreschini, Opere di
Gregorio di Nissa, p. 35). In questa nuova situazione l’animo umano ritrova
la sua quiete.
3. Queste immagini spaziali presuppongono o
almeno esigono il cammino interiore, la nascita dell’uomo nuovo e la sua
crescita fino alla misura stessa di Cristo. Nel battesimo l’uomo rinasce ad una
vita nuova ed è chiamato ad essere
“conforme all’immagine” del Figlio di Dio, primogenito dell’umanità. Non si
tratta di una conformità esteriore, ma di una conformità che tocca l’essere
stesso. Ciò indica il termine sýmmorphos (conforme). Morphê
in S. Paolo significa il modo di essere; per il battezzato la nuova condizione
esistenziale, che si manifesta nella vocazione ad avere anche gli stessi
sentimenti di Gesù mantenendoli nel vincolo della pace. L’immagine che può
sintetizzare l’intero processo spirituale verso la hesychìa è la progressiva trasfigurazione (metamòrphôsis) in
cui i credenti (2 Cor 3,18) sono
trasformati “di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito” (Besa/Roma).
Roma, 8 ottobre 2006
+++
Circolare settembre 2006 186/2006
BELGRADO: Dialogo teologico fra le Chiese Cattolica e Ortodossa............................................ 2
LUNGRO: Comunità arbëreshe bizantina................................................................................... 2
ROMA: Oriente Cristiano in Italia.............................................................................................. 5
MEZZOIUSO: XXV anniversario della morte di mons. Giuseppe Perniciaro................................. 8
TIRANA: Nominato il vescovo ausiliare..................................................................................... 9
UCRAINA: Catechismo greco - cattolico................................................................................... 9
CASTROVILLARI: Una nuova parrocchia dell’eparchia di Lungro............................................. 9
CALABRIA: Le parole non costano niente................................................................................. 9
LUNGRO: XXV di Chirotonia episcopale di mons. Ercole Lupinacci.......................................... 10
ROMA: Autografo di Benedetto XVI....................................................................................... 10
ROMA: Hesychìa: L’Ascesi e la
tranquillità dell’anima e del corpo....................................... 11
Gesù sta insegnando ai suoi discepoli la vera pratica religiosa.
Dà un insieme di consigli che racchiude una sintesi del suo annuncio. Alcune
affermazioni di Gesù, nell’apparente semplicità, esprimono paradossi che per la
loro comprensione esigono un’attenta analisi avendo presente il complesso
generale del Vangelo. Altrimenti si rischia si vanificare o di alienare
l’insegnamento stesso di Gesù. Egli ha appena ordinato di non giudicare “per
non essere giudicati” (Mt 7,1) e immediatamente dà un consiglio che implica un
giudizio di discernimento. “Non date le cose sante ai cani e non gettate le
vostre perle ai porci perché non le calpestino con le loro zampe e poi si
voltino per sbranare” (Mt 7,6). Cosa sono le cose sante, cosa sono
le perle? E chi rappresentano i cani e chi i porci? Una facile identificazione
di categorie (stranieri, peccatori, eretici) contraddice alla missione
salvifica universale di Cristo e al seguente consiglio: “Quello che
ascoltate all’orecchio, predicatelo sui tetti”(Mt 10,27).
“Le cose sante” (tò
àghion), quest’espressione nell’A.T. e nel tempo di Gesù designa le vivande
offerte in sacrificio e pertanto: “Nessun estraneo ne deve mangiare perché sono
cose sante” (Es 29, 33). Si tratta
quindi di “cose” preziose.“Le perle” (margarìtas) sono cose di valore,
con percezione immediata. Gesù per entrambe richiede un rispetto intransigente.
Non devono essere calpestate – disprezzate, sporcate, manipolate – tanto da
escludere dal loro contatto cani e porci. Non bisogna confondere le perle con
le ghiande. Nella tradizione esegetica si trova l’identificazione di queste
“cose sante” e “perle” nel Vangelo, nella dottrina cristiana, nei sacramenti,
secondo i casi.
“I cani” e i porci” sono
certamente espressioni che per la mentalità giudaica del tempo – quella di
coloro che ascoltavano Gesù – significavano individui “che per loro
testimonianze hanno mostrato di essere pienamente induriti” (Calvino il
riformatore). L’espressione non limita la predicazione, ma sembra rilevare che
per alcuni è inutile, quando non è di peggiore esito perché, respinto l’annuncio,
essi possono rivoltarsi a sbranare gli annunciatori.
I precedenti documenti riguardanti il tema della comunione pubblicati dalla Commissione mista sono:
·
“Il mistero della Chiesa e
dell’Eucaristia, alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera 1982);
·
“Fede, sacramenti e unità
della Chiesa”
(Bari 1987);
·
“Il sacramento dell’Ordine
nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della
successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, 1988);
·
“L’uniatismo, metodo del passato e l’attuale ricerca dell’unità (Balamand, Libano, 1993).
Nel 2000
A Belgrado
Tale testo sarà studiato tenendo in considerazione
l’indicazione del Comitato Misto di Coordinamento (15 dicembre 2005) di
introdurre nello studio le due questioni connesse del cosiddetto “uniatismo” e
del primato del vescovo di Roma, questioni tra di esse connesse.
Riferendosi a questa nuova fase di dialogo Papa Benedetto
XVI ha affermato che è necessario avere il primordiale desiderio di fare tutto
il possibile per ristabilire la piena comunione. Essa “è comunione nella verità e nella carità. Non possiamo accontentarci di
fermarci lungo il cammino, ma con coraggio, chiarezza ed umiltà, dobbiamo
cercare senza sosta la volontà di Gesù Cristo, anche se essa non corrisponde ai
nostri semplici disegni umani”.
La piena unità e la riconciliazione richiedono “la sottomissione della
nostra volontà alla volontà di nostro Signore” (15 dicembre 2005).
In vista del prossimo incontro i co-presidenti hanno
riaffermato lo scopo del dialogo così come esso era stato
formulato al suo inizio nel
“Lo scopo del dialogo tra
Co-Presidenti sono il Cardinale Walter Kasper
(Presidente del Pontificio Consiglio per
Co-segretari: il Metropolita Gennadios di Sassima
(Patriarcato Ecumenico) e Mons. Eleuterio Fortino, Sotto-Segretario del
Pontificio Consiglio per
Abbiamo chiesto al prof. Giovan Battista Rennis, protopsalte della Cattedrale
di Lungro, una presentazione della comunità arbëreshe di Lungro nei suoi
lineamenti storici e religiosi, che riportiamo qui di seguito:
Le origini: il monastero italo-greco Sancta Maria
a Fontibus
Era il 1525. Dopo circa quattro secoli di attività,
i monaci italo-greci lasciavano il centro monastico di Sancta Maria a
Fontibus, che aveva reso il casale di Lungro uno dei luoghi più rinomati
del territorio. I primi segni della sua decadenza si erano già registrati nel
1457, allorché l’abate Elia di Carbone era andato a vivere nel convento
domenicano di Altomonte, a pochi chilometri da Lungro, propter eius
desolationem, a causa delle rovine dell’edificio monastico. Un secolo più
tardi il monastero fu trasformato in commenda, sotto la tutela dei
cardinali Giulio Roma e Niccolò Colonna, che tentarono di ristrutturarlo, ma
inutilmente. Ormai la civiltà italo-greca nel Meridione d’Italia era
definitivamente terminata. I monaci di Lungro, però lasciarono un casale
autonomo dalle ingerenze della contea di Altomonte e ricco di testimonianze
legate alla tradizione bizantina, quali biografie di Santi orientali e
italo-greci, codici melurgici, una chiesa bizantina in onore della Vergine
Assunta, del XII secolo, preesistente al monastero, della quale faceva parte un
affresco raffigurante
Gli insediamenti albanesi
Alla fine dello XV secolo, poco prima che i monaci lasciassero il monastero per essere ospitati in un altro ancor più famoso denominato di “San Sozonte” (odierna S. Sosti), nel casale di Lungro si insediarono i profughi albanesi (decennio 1480-1490), per i quali l’abate Paolo della Porta, originario di Sorrento, stipulò i capitoli. Gli albanesi di Lungro nonostante difficoltà di ordine economico, sociale e religioso, sorte ai primi tempi del loro insediamento, segnarono una svolta decisiva nel controllo del territorio. Se nel periodo medioevale, infatti, le attività sociali si svolgevano nella zona del borgo, a sud del casale, dov’era situata la chiesetta bizantina di S. Maria Assunta, a poca distanza dal monastero, dal XV secolo in poi la loro presenza determinò lo spostamento dell’asse di interesse sociale verso Nord, perché fosse più efficiente il sistema difensivo in caso di minacce esterne.
L’attività economica, basata principalmente
sull’agricoltura e sulla pastorizia, puntava sulla miniera di salgemma, un
riferimento lavorativo sicuro, sia per Lungro sia per i casali limitrofi,
nonostante l’estrazione del sale comportasse continui rischi per l’incolumità
degli operai a causa della mancanza di apparecchiature idonee. Era duro
lavorare sotto terra, a dorso nudo, dove la morte era sempre in agguato per le
improvvise cadute di pezzi di salgemma che si staccavano dalle pareti.
Dal punto di vista demografico l’arrivo degli
albanesi determinò un notevole incremento che andò via via crescendo. Se nel
1532, circa 60 anni dopo il loro insediamento, Lungro contava 67 fuochi
(famiglie) di origine albanese, tredici anni più tardi si arrivò a 149.
L’aspetto religioso presentava una realtà più
complessa. Il centro monastico di Sancta Maria a Fontibus, fino a quando
non si insediarono i frati domenicani, nel 1525, rappresentò l’unico punto di
riferimento per i fedeli arbëreshë immigrati. Gli ultimi monaci rimasti, come
un certo Fra’ Dionisio, che teni scola di litteri greci in dicto casale di
Lungaro, insegnavano lingua greca agli allievi, alcuni dei quali
intraprendevano la via del sacerdozio, così come testimonia l’arciprete della
chiesa di S. Niccolò di Mira in Lungro. Egli, nel 1575, essendo stato
incaricato dalla S. Sede, quale visitatore dei monasteri italo-greci del
territorio, annotava di essere stato ospite al monastero di Sancta Maria a
Fontibus, dove avevano dimorato monachi graeci e ricordava di essere
stato egli stesso illorum discipulus. Dato il notevole aumento
demografico, nacque l’esigenza di costruire una chiesa più vasta, probabilmente
sulle rovine di quella bizantina d’epoca medioevale, che sarà dedicata a S.
Niccolò di Mira. Fu aperta al culto nel 1547 e già 30 anni più tardi contava
dodici sacerdoti, tra i quali Pietro Matino, sei diaconi, tra questi Giorgio
Burrelee e l’arciprete che era stato discepolo dei monaci italo-greci.
E’ di questo periodo la costruzione di un’edicola,
alle porte del casale, raffigurante
La comunità socio ecclesiale dal XVII secolo in poi
Nel Seicento la comunità italo-albanese di Lungro,
che contava già 700 abitanti, era ben organizzata dal punto di vista
ecclesiale, grazie alla presenza di parecchi sacerdoti, diaconi e suddiaconi.
Due in particolare furono le famiglie albanesi di illustri origini, Cortese e
De Marchis, a dare alla comunità un consistente numero di presbiteri e vescovi.
Nella prima metà del secolo officiavano nella chiesa
di S. Nicola di Mira parecchi sacerdoti fra cui Giorgio Cortese, arciprete di
Lungro. Tra i suoi coadiutori vi fu Antonio Cortese, colui che concesse un
proprio terreno ai Padri carmelitani per la costruzione del convento (1608).
Del monastero di Sancta Maria a Fontibus,
ormai decadente, si prese cura il cardinale commendatario Giulio Roma, che fece
restaurare, a partire dal 1634, alcune stanze dell’edificio, rimaste poco
agibili e con muri diroccati, soprattutto dopo il terremoto del 1456.
Arciprete di Lungro fu anche Carlo di Marco (il
cognome sarà tramutato in De Marchis dal figlio mons. Gabriele de Marchis),
padre di numerosi figli, la maggior parte dei quali seguì la carriera
ecclesiastica. I primi due furono nominati vescovi: mons. Gabriele, nel 1717,
vescovo di Sora (Frosinone) e mons. Niccolò vescovo ordinante e presidente del
Collegio Corsini a S. Benedetto Ullano.
Il Seicento si caratterizzò a Lungro come un periodo
di assestamento e di sviluppo del rito bizantino, anche se non mancarono
sacerdoti che passarono al rito latino. Ma fu soprattutto il clero religioso
che in questo secolo ebbe una fioritura non indifferente, per la presenza dei
frati domenicani, che dimorarono nel monastero di Sancta Maria a Fontibus
fino al 1635, e dei frati carmelitani, attivi fin dal 1608.
L’attività monastica si sviluppò nell’arco di circa
due secoli (1608-1808), grazie ad una costante presenza di monaci, la quale
permetterà la sopravvivenza del convento anche dopo
La presenza dei frati domenicani e carmelitani
influì sulle pratiche religiose dei fedeli lungresi. Si sviluppò in particolare
il culto in onore della Vergine del Carmelo, che declassò l’antica tradizione
della devozione alla Vergine Assunta, protettrice del Casale, sin dal secolo
XII.
I fedeli di Lungro, nonostante il convento carmelitano fosse ubicato fuori paese, frequentavano le cerimonie religiose dei frati, soprattutto nel giorno della festa.
Per gli arbëreshë il Settecento rappresentò una
svolta spirituale e culturale, grazie all’apertura del pontificio Collegio
Corsini di S. Benedetto Ullano, che offrì al clero italo-albanese la
possibilità di studiare e di ordinarsi in Calabria. Nella comunità di Lungro,
che in questo secolo contava già 2000 abitanti, si ebbe anche un buon numero di
giovani che abbracciò la vita monastica dei Cappuccini o quella secolare di
tradizione latina, come fu per mons. Gabriele de Marchis, uno dei più illustri.
Anche il Settecento registrò una numerosa presenza di sacerdoti, tra cui spicca
la figura dell’arciprete Domenico Damis, che fece costruire l’attuale
cattedrale, aperta al culto nel 1822.
L’Ottocento fu caratterizzato da due fronti ben
collaudati: la fiorente vita ecclesiale per la presenza di sacerdoti attivi ed
intelligenti, quali Gabriele Isacco De Marchis, eletto poi vescovo ordinante e
presidente del Collegio di S. Adriano, Nicola Cucci, Filippo Antonio Samengo,
Giuseppe Scaglione, e la vita socio-politica, per cui Lungro divenne uno dei
centri più attivi anche dal punto di vista patriottico, grazie
all’intraprendenza di uomini illustri, quali Domenico Damis, che partecipò a
fianco di Garibaldi alla spedizione dei Mille, combattendo nella battaglia del
Volturno a capo di circa 500 volontari lungresi. Entrato poi nell’esercito vi
percorse tutti i gradi fino a quello di tenente generale. Insieme a lui vanno
ricordati altri coraggiosi patrioti, come suo fratello Angelo Damis, Vincenzo
Stratigò e Pasquale Trifilio.
La comunità lungrese nell’età moderna e
contemporanea
Il Novecento registrò - e non solo a Lungro - un
depauperamento di sacerdoti. La società era ormai cambiata e movimenti
anticlericali e massoni davano filo da torcere al clero. Ne sapeva qualcosa il
giovane arciprete Giovanni Mele, che nei suoi anni di arcipretura a Lungro dal
1913 al 1919, fu costretto a sopportare le loro angherie.
Ma il Novecento fu l’epoca della svolta per le
comunità italo-albanesi bizantine, grazie all’intervento mirato di Papa
Benedetto XV, il quale istituì una diocesi che raggruppasse appunto queste
comunità sotto la giurisdizione di un vescovo proprio. Lungro fu scelta
quale sede della novella eparchia e Giovanni Mele fu chiamato a governarla, in
tempi davvero difficili. Si doveva ri-creare una coscienza religiosa nei fedeli
e la consapevolezza di appartenere ad una diocesi con una fisionomia ecclesiale
particolare: vivere e testimoniare la tradizione bizantina. La realtà era
critica, se si pensa che mons. Mele si trovò da solo a provvedere ai bisogni
della diocesi, anche alle cose più comuni, come ad es. fare l’anagnostis
in chiesa, per mancanza di clero. Si prodigò per trovare una dimora per la
curia, per far fronte ai gruppi facinorosi, che nel 1921 deturparono la statua
del Cristo morto, per mantenere la tranquillità tra i fedeli, sempre sul piede
di guerra ai primi ritocchi della cattedrale, allorché si trattò di innalzare
l’iconostasi ed eliminare gli altari laterali, per incrementare le vocazioni,
attraverso le vie più opportune. Né mancò di operare per il clero anziano.
Ma il periodo storico non era meno critico, se si
pensa alla miseria sociale causata dal primo conflitto mondiale, alla
disoccupazione, all’ignoranza della gente, all’emigrazione. In pochi anni però
la comunità lungrese seppe trovare energie vitali, grazie a persone che
generosamente offrirono denaro per alleviare le condizioni di famiglie povere e
per abbellire la cattedrale, grazie ad una nuova generazione di sacerdoti
preparati al Pontificio Collegio Greco di Roma, che dette un forte impulso
all’incremento della tradizione bizantina.
Non solo. Lungro, uno dei pochi centri arbëresh a
conservare gelosamente il patrimonio musicale popolare, riprese le tradizioni
popolari e l’esecuzione dei canti, un vasto patrimonio musicale che spazia dal
genere epico a quello d’amore, dal genere familiare a quello processionale e
paraliturgico.
Lungro inoltre ha opportunamente sviluppato, sin
dall’indomani della erezione dell’eparchia, una realtà corale polifonica, vanto
della cattedrale e di tutte le comunità italo-albanesi bizantine, che ha
conservato e alimentato diverse fasi melurgiche, da quella tradizionale,
chiamata anche italo-greca, a quella neo-bizantina.
Dal punto di vista socio-ecclesiale, Lungro ha
vissuto un periodo di floridezza economica, grazie all’apertura di alcune
fabbriche, negli anni ’60 del secolo scorso, ma ha sofferto per la chiusura
della miniera di salgemma, che, seppur attanagliata per secoli da tanti
problemi interni, riusciva ad offrire alla comunità e ai paesi viciniori un
certo benessere economico. E’ stato un periodo attivo anche per
Con lui ha avuto inizio la fase di ristrutturazione
delle chiese della diocesi, in modo particolare della cattedrale, che vennero
adattate ai canoni dell’arte bizantina, e quella della formazione liturgica
delle giovani generazioni.
Un discorso innovativo ripreso dall’arciprete Mario
Pietro Tamburi, che sin dall’inizio si è impegnato anche per la
ristrutturazione delle chiesette del paese, alcune delle quali sono state
arricchite di icone ed affreschi bizantini.
Oggi la situazione religiosa è nel complesso
positiva, mentre dal punto di vista socio-economico si registra una condizione
allarmante a causa della chiusura delle fabbriche, del fenomeno della
denatalità e, soprattutto, per la fuga di massa da parte dei giovani, che
preferiscono trasferirsi al centro e nord d’Italia, dove possono trovare
lavoro.
Una situazione grave che mette in crisi la stessa sopravvivenza della cultura arbëreshe, minata dallo scarso interesse della gente sull’uso della lingua materna, specie tra le generazioni più giovani, e il patrimonio tradizionale.
La liturgia eucaristica nei pontificali viene
celebrata in greco, mentre la domenica e nelle grandi feste, oltre che in greco
anche in albanese e in italiano, per rispondere alle esigenze della difformità
linguistica presente nel popolo. Quotidianamente vi è una liturgia celebrata in
lingua albanese. I Vespri, le Ore,
Abbastanza bene regge all’urto dei difficili tempi
moderni la tradizione bizantina, cui la gente è molto legata, anche se dovrebbe
essere maggiormente formata e guidata a viverla più autenticamente nella fede,
con una comprensione più cosciente della propria identità ecclesiale (Besa/Roma).
Bibliografia
Giovan Battista Rennis, La tradizione popolare
della Comunità arbëreshe di Lungro, Ed. Il Coscile, Castrovillari 2000;
Domenico De Marchis, Cenno monografico-storico
del Comune di Lungro, Napoli 1858;
Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia,
libri tre, Roma 1758, 1760, 1763 (ristampa, Cosenza 1986);
Cirillo Korolevskij, Relazione sugli Albanesi di Calabria nel
Al Santuario del Divino Amore,
sabato 18 marzo 2006 mons. Eleuterio
F. Fortino, ha tenuto una conferenza sulla presenza storica ed
attuale in Italia di comunità orientali, cattoliche e ortodosse. Ne riportiamo
lo schema della prima parte della conversazione:
Il tema generale della conversazione (“Oriente Cristiano in Italia”) senza determinazioni storiche ed ecclesiali richiede un inquadramento che puntualizzi le varie epoche storiche, la presenza della “Chiesa Greca” in Italia tra il primo e il secondo millennio, le immigrazioni dopo la caduta di Costantinopoli (1453), la presenza di Chiese ortodosse, di Antiche Chiese orientali, di Chiese orientali cattoliche. Naturalmente penso che l’interesse principale sia la situazione odierna, incrementata da nuove immigrazioni, e, nell’attuale situazione ecumenica, la possibilità di convivenza fraterna come contributo alla piena unità fra cattolici e ortodossi.
I.
Parte: delineamenti della situazione
I.
La bizantinizzazione dell’Italia dal secolo VI (553) al secolo XVI – epoca di Giustiniano – ha avuto un’importante espressione politico-amministrativa con l’esarcato di Ravenna ed in seguito con i vari strateghi e catepani. Soprattutto nell’Italia Meridionale si è costituita un’attiva e fiorente presenza della Chiesa greca con metropolie, diocesi, monasteri, centri amministrativi e culturali. I monumenti lasciati (chiese, codici, vite di santi, icone, affreschi e miniature) lo testimoniano tuttora.
· Nella giurisdizione del primate d’Italia, il Papa di Roma, vivevano comunità di tradizione liturgica diversa nella piena comunione. In quell’epoca diversi Papi sono stati orientali.
· In questo periodo non si può parlare di ortodossi e di cattolici – nel significato odierno – ma piuttosto di greci e latini che vivevano nella piena comunione.
· Dal punto di vista politico l’Italia Meridionale faceva parte dell’impero bizantino, mentre dal punto di vista religioso era nella giurisdizione del Papa di Roma.
·
Ma non tutto è sempre stato pacifico. Nel 732/33
l’imperatore iconoclasta Leone l’Isaurico trasferì
·
I Normanni occupanti ristabilirono nel secolo XI
la giurisdizione del Papa. Per
· Anche qui a Roma vi furono monasteri e presenze culturali greche importanti.
· L’insieme ha costituito un patrimonio storico, culturale e spirituale importante, ma anche un testimonianza singolare della presenza di due tradizioni ecclesiali sotto l’unica giurisdizione del Primate d’Italia.
· Di quel florido monachesimo bizantino in Italia rimane unico testimone il Monastero esarchico di Grottaferrata.
Bibliografia:
Vera von Fallkenhausen, I bizantini in Italia, in Guglielmo Cavallo e VV. “I Bizantini in Italia”, Libri
Schveiwiller, Milano MCMLXXXII, pp. 3-136.
J. Gay, L’Italie
Méridionale e l’empire byzantin depuis l’avènement de Basile I jusq’à la prise
de Bari par les Normands (867-1071), Paris 1097.
M.V.Anastos,
The tranfert of Illyricum oriental,
Calabria and Sicily to the jurisdiction of the Patriarchate of Constantinople
in 732-
Vitalien Laurent, L’Eglise de l’Italie méridionale entre Rome e Bysanze à la veille de la
conquête normande, in “
Vittorio Peri,
Chiesa latina e Chiesa greca nell’Italia post-tridentina, Ibidem, pp. 271-
469.
Idem, Chiesa
romana e “rito”greco, Paideia Brescia, 1975.
AA.VV., San
Nilo (1004-2004), Il monastero italo-bizantino di Grottaferrata, De Luca
Editori d’Arte, Roma 2005.
Nel secolo XV due avvenimenti politici determinarono due diverse immigrazioni in Italia: l’occupazione dell’Albania da parte dei turchi e la caduta di Costantinopoli.
a.
Immigrazione albanese
L’occupazione dei turchi maomettani dell’Albania - Epiro causò la
venuta in Italia di un cospicuo numero di persone che parlavano l’albanese e
usavano la liturgia bizantina. A causa dei rapporti che l’eroe nazionale
Giorgio Castriota detto Skanderbeg aveva avuto con il Regno di Napoli, questo
flusso migratorio si orientò verso l’Italia Meridionale.
·
Questa immigrazione ha avuto luogo dopo il Concilio di Firenze (1439)
che aveva sancito l’unione fra greci e latini.
·
Le varie popolazioni sono state accolte generalmente nei luoghi
dell’antica bizantinizzazione e molti sono stati inseriti nelle amministrazioni
ecclesiastiche (chiese, monasteri, feudi tenuti da ecclesiastici).
·
Sono stati accolti come fratelli nella fede: non è stata chiesta loro
alcuna abiura o nuova professione di fede.
·
Lo storico Vittorio Peri (+2005) in uno degli ultimi studi è tornato a
documentare e precisare che l’arrivo degli Albanesi in Italia ha avuto luogo
nel periodo seguente al Concilio di Firenze (1439) in regime di unione fra
greci e latini. Egli scrive che gli Albanesi erano stati accolti “legalmente in Italia come membri cattolici
della Chiesa greca riunita alla Romana nel Concilio di Firenze” (cfr. Chiesa e Società nel Mezzogiorno. Studi in
onore di Maria Mariotti, Rubettino, 1998, vol. I. p. 204).
·
Queste comunità, pur mantenendo le proprie tradizioni liturgiche e
disciplinari sono state inserite inizialmente nelle diocesi latine. Nel secolo
XVIII sono stati istituiti due seminari propri, uno in Calabria (1732) ed uno
in Sicilia (1734), e creati due Vescovi
ordinanti per le ordinazioni e per salvaguardare la tradizione bizantina.
Iniziativa positiva ma insufficiente. Nel secolo XX prima Benedetto XIV creò la
diocesi di Lungro in Calabria (1919) e quindi Pio XI quella di Piana degli Albanesi
in Sicilia (1937). Nello stesso anno l’antico Cenobio di Grottaferrata è stato
elevato a Monastero esarchico.
·
Queste tre Circoscrizioni oggi continuano la tradizione bizantina in
Italia nella Chiesa cattolica. Di recente (2004-2005) esse hanno celebrato il
II Sinodo Intereparchiale. Il primo si era tenuto nel 1940 sempre a
Grottaferrata.
Bibliografia:
Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia,
libri tre, Roma 1758, 1760, 1763 (ristampa, Cosenza 1986).
Eleuterio F. Fortino, Chiesa bizantina albanese in Calabria, Tensioni e comunione,
Editoriale Bios, Cosenza 1994.
Anonimo (un italo-albanese di Sicilia), Notizia distinta degli italo-greci e degli
italo-albanesi, esposta da mons. Giuseppe Schirò, arcivescovo di Durazzo, già
vicario apostolico in Cimarra nell’Epiro. In occasione di dover rispondere ad
alcuni quesiti proposti da un personaggio, In Roma 1742.
A. Vaccaro,
Italo-Albanensia. Repertorio bibliografico sulla storia religiosa, sociale,
economica e culturale degli Arbëreshë dal secolo XV ai nostri giorni,
Editorale Bios, Cosenza 1994.
b.
Immigrazione greca
Con la caduta di
Costantinopoli sotto gli Ottomani (1453) si è avuta in Italia una consistente immigrazione
di greci da Costantinopoli e dalle zone occupate (uomini di cultura che hanno
contribuito all’umanesimo italiano e al rinascimento, semplici fedeli che si
spostavano per lavoro, in genere commercianti).
·
Nelle grandi città e in particolare nei porti (Trieste, Napoli, Genova,
Livorno, ecc.) si costituirono comunità stabili con propri sacerdoti;
·
Il rapporto con le Chiese madri di origine mantenne la loro
caratteristica di cristiani ortodossi. Queste comunità conobbero vicende
alterne ma nuove immissioni di nuovi membri provenienti dall’oriente le
mantennero vive, fino al momento in cui il Patriarcato ecumenico le affidò alla
metropoli di Austria quale esarcato per l’Italia (1963).
·
Nel 1991 è stata creata la metropoli d’Italia (“Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia”) con sede a Venezia e con un
proprio metropolita, riconosciuta anche dallo stato italiano. Negli ultimi anni
le comunità greche in Italia sono cresciute con presenza nella grandi città
italiane. Ne è responsabile il Metropolita Gennadios (Castello 3422, Campo dei
Greci 1, 30122 Venezia, www.ortodossia.it).
·
Le Comunità parrocchiali sono distribuite in tre vicariati:
1. Vicariato arcivescovile
dell’Italia settentrionale
2. Vicariato arcivescovile
dell’Italia Centrale
3. Vicariato arcivescovile
dell’Italia Meridionale e delle Isole.
Ciò mostra che la presenza greco-ortodossa è estesa
in tutta l’Italia e quindi è possibile avere
un contatto per ogni questione e per iniziative di collaborazione. E’
possibile discutere anche eventuali problemi che emergono nei rapporti.
Bibliografia:
Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, Calendario 2006;
Dìptyka
tis Ekklisias tis Hellados, 2006
1. Contemporaneamente si
costituivano in Italia comunità ortodosse
di altra nazionalità:
·
Comunità romene: Nella
seconda parte del secolo XX si sono costituite in diverse città italiane
comunità romene assistite da propri sacerdoti. Si sono incrementate con la
caduta del comunismo in quel paese e con l’iniziativa di ingresso nella
Comunità Europea. Da un anno è stato nominato anche un vescovo ausiliare per
l’Italia dalla metropoli di Francia. Ma questo convegno prevede una relazione
apposita.
·
Comunità russe:
alcune fanno
capo all’Esarcato delle Comunità ortodosse russe in Europa Occidentale del
Patriarcato ecumenico, altre si trovano nella giurisdizione del Patriarcato di
Mosca.
·
Comunità serba: a Trieste.
·
Comunità bulgara a
Roma.
2. In tempi più recenti si sono costituite
diverse comunità delle Antiche Chiese ortodosse
d’Oriente (Copta,
etiopica, eritrea, armena). A Roma risiede un vescovo copto ed uno etiope. Su
queste Chiese è prevista una relazione in questo convegno.
IV. Chiese e Collegi orientali cattolici a Roma
Roma è tradizionalmente una
città in cui sono presenti molte comunità orientali. Il primo Collegio
Pontificio Orientale a Roma è quello greco di S. Atanasio (Gregorio XIII, 1577)
con annessa omonima Chiesa.
Si riporta un elenco preso
da una pubblicazione della Congregazione per le Chiese Orientali (1999):
·
Rito alessandrino etiopico: Santo Stefano degli
Abissini (all’interno del Vaticano); e
·
S. Tommaso in Parione (via Parione 33);
·
Rito siro: Santa Maria in Campo Marzio
(Piazza Campo marzio 45);
·
Rito maronita: S.Giovanni Marone (V.
Aurora 6);
·
Rito siro-caldeo: S. Maria degli Angeli e dei
martiri (Via Cernaia 9);
·
Rito siro-malabarese: Santa Caterina dei Funari
(Via dei Funari);
·
Rito bizantino-greco: Sant’Atanasio (Via del
Babuino 149);
·
Rito bizantino-russo: Sant’Antonio Abate (Via
Carlo Alberto 2a);
·
Rito bizantino ucraino: Santa Sofia (Via di Boccea
478); e
·
Santi Sergio e Bacco (P.za Madonna dei Monti 3);
·
Rito bizantino-romeno: San Salvatore (Piazza delle
Coppelle 72b);
·
Rito greco-melchita: Santa Maria in Cosmedin
(Piazza Bocca della verità 18);
·
Rito Armeno: S. Biagio degli Armeni (Via
Giulia 64); e
·
S. Nicola da Tolentino (Salita S. Nicola da Tolentino 17).
A Roma vi sono anche diversi collegi cattolici orientali:
·
Pontificio Istituto Orientale
(Piazza S. Maria Maggiore 7);
·
Pontificio Collegio Armeno (Salita S. Tommaso da Tolentino 7);
·
Pontificio Collegio Etiopico (all’interno del vaticano);
·
Pontificio Collegio Greco (Via del Babuino 149),
·
Pontificio Collegio Maronita (Via di Porta Pinciana 14);
·
Pontificio Collegio Pio Romeno (Passeggiata del Gianicolo 5);
·
Pontificio Collegio Russo (Via Carlo Cattaneo 2);
·
Pontificio Collegio Ucraino (Passeggiata del Gianicolo 7);
· Istituto S.Giovanni
Damasceno (V C.Emmanuele 1);
·
Pontificio Istituto Ucraino (Via Boccea 480).
Vi sono a Roma anche le procure di diverse Chiese orientali e di Congregazioni ed Istituti.
Bibliografia:
Congregazione per le Chiese Orientali: Il Grande Giubileo del Duemila e le Chiese
Orientali cattoliche, Sussidio Pastorale, Libreria Editrice Vaticana, 1999.
V. Immigrazione nel periodo
post-comunista
dai paesi dell’Est europeo
Si riportano alcune informazioni riprese dal “Dossier Statistico Immigrazione
Caritas/Migrantes - Elaborazione su dati del Ministro degli Interni /Istat”
(2005).
“Dal 1970 ad oggi in Italia si è passati da meno di
100.000 immigrati a quasi tre milioni, con un aumento di ben 30 volte ed un
elevato ritmo di crescita negli ultimi cinque anni” (p. 69).
Alcuni dati: alla fine del 1970 gli stranieri sono
143.830; negli anni ’80 superano i 400.000; nel 1998 gli stranieri sono
645.423; nell’anno 2000 sono 1.380.000; nell’anno 2003 gli stranieri sono
2.193.999.
Nel 2004 dall’Europa dell’est sono stati dati
394.727 visti per ragioni di lavoro, di ricongiungimento di famiglie, per
studio. Tra i paesi di provenienza vi sono Romania, Albania, Jugoslavia,
Bulgaria, Macedonia, Ucraina, Bielorussia.
Nel 2004 per il Centro Italia sono stati dati
614.555 permessi di soggiorno di cui 330.695 nel Lazio (p..97).
Tra questi immigrati, per quanto riguarda il nostro
tema, va rilevato che un gran numero è cristiano, ortodosso per la maggioranza,
ma anche cattolico orientale (Romania, Ucraina, Bulgaria ecc.).
L’accoglienza degli immigrati cristiani, non si può
limitare ad una questione di integrazione nel lavoro e, in linee generali, nel
sociale. Occorre tenere presente le esigenze religiose. L’Istruzione (2004) del
Pont. Consiglio per i migranti afferma che “Nelle
Chiese particolari va dunque ripensata e programmata la pastorale per aiutare i fedeli a vivere una fede
autentica nel nuovo odierno contesto multiculturale”. Per esempio il Dossier Statistico 2005 della
Caritas/Migrantes dedica un capitolo a questo tema “Immigrazioni al femminile e Matrimoni Misti” (pp.131-158). Ma
sorgono tutte le problematiche segnalate dalla Istruzione del Consiglio
Pontificio per gli Immigrati e gli itineranti (luoghi di culto, matrimoni
misti, communicatio in sacris ecc.).
Bibliografia: Caritas/Migrantes, Immigrazione, Dossier Statistico 2005, XV
Rapporto. Aree di origine - Presenze-Inserimento - Territorio, Idos, Roma
2005.
VI. Presenza di gruppi che non appartengono a nessuna Chiesa con cui
è in dialogo
Questi gruppi e le persone
implicate vanno identificati e considerati sul luogo caso per caso.
·
possono sollevare intricati problemi,
·
ma nella chiarezza ecclesiologica, va sempre salvaguardata la carità
verso le persone.
·
Sarebbe utile che sul luogo (nelle varie diocesi e nell’insieme delle
diocesi) si facesse un rilevamento delle presenze che vi si trovano e si
informino gli agenti pastorali e i fedeli sull’atteggiamento da tenere nei loro
confronti.
NB. Si ricordano due gruppi presenti anche nel
Lazio:
Chiesa ortodossa in Italia (Antonio De Rosso
Metropolita di Ravenna e d’Italia).
In futuro presenteremo la seconda parte della conversazione (Besa/Roma).
Riportiamo da Eco della Brigna (n.51/2006),
pubblicazione periodica della parrocchia latina di Mezzoiuso, una nota
dell’arciprete papàs Francesco Masi sul vescovo di Piana degli Albanesi,
mons. Giuseppe Perniciaro, deceduto 25 anni fa:
L’eparchia di Piana degli Albanesi si appresta a ricordare mons. Giuseppe Perniciaro nel 25° anniversario della sua morte. Nacque a Mezzoiuso l’11 gennaio 1907. Compì i suoi studi nel Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio di Roma, conseguendo la laurea in Sacra Teologia nel 1928 presso l’Ateneo di Propaganda Fide e l’anno successivo conseguì la licenza in discipline orientali presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il 7 luglio 1929 era ordinato sacerdote con dispensa pontificia, essendo ancora molto giovane ed avendo ultimato gli studi con due anni di anticipo.
Rientrato da Roma, dal cardinale Luigi Lavitrano fu
mandato al seminario greco di Palermo a ricoprire la carica di ministro di
disciplina e successivamente fu nominato rettore del detto seminario.Ma si
dedicò anche ad altre attività: fu insegnante di discipline orientali presso il
seminario arcivescovile di Palermo. Fu uno dei grandi animatori delle settimane
di studi per l’Oriente Cristiano. Nel 1930 si tenne la prima settimana di studi
a Palermo, attorno al vescovo Paolo Schirò vi era un grande entusiasmo per
l’attività. Un gruppo di giovani sacerdoti: Gaetano Petrotta, Giovanni Lopes,
Nicola Scalora, Giuseppe Perniciaro lavorava intensamente per far conoscere in
occidente l’oriente cristiano. In questa prima settimana di preghiere papàs
Perniciaro partecipò attivamente con lezioni di liturgia e una comunicazione
sulla missione dei monaci basiliani di Mezzoiuso in Cimarra. Impegno che
profuse nelle successive settimane di preghiere. Nel 1934 fu l’organizzatore
della commemorazione del 2° centenario del seminario greco di Palermo.
Quest’avvenimento costituì il debutto della sua
vasta attività ecumenica: riuscì ad interessare numerose personalità e cultori
di tradizioni orientali italiani e stranieri.
Il 26 ottobre 1937 veniva eletto vescovo. Iniziò
subito a prodigarsi per la costruzione degli edifici vescovili e del seminario
di Piana. Nel contempo si dedicò con grande zelo alla realtà socio-religiosa
delle comunità albanesi di Sicilia, valorizzandone le caratteristiche bizantine
oltre che culturali.
Suo grande merito è di aver saputo fare
dell’eparchia di Piana una vera chiesa locale con piena giurisdizione,
qualificata per accogliere attorno ad un
altare ed una cattedra i cristiani albanesi di Sicilia (12 luglio 1967) così
come l’avevano sognata ma non vissuta tante passate generazioni.
L’ansia pastorale venne costantemente illuminata e
guidata dal suo grande ideale ecumenico, che nel primo periodo della sua vita
apostolica (1929-1961) si espresse con il promuovere settimane di studio per
l’oriente, mentre dopo, in modo particolare dal 1970 al 1981, aggiunse aspetti
qualificanti stabilendo delle relazioni con le Chiese di Costantinopoli, di
Grecia e di Creta. Ultimo atto della sua vita
fu la mostra delle icone dell’eparchia di Piana degli Albanesi che
l’arcivescovo di Palermo volle ospitare nel suo palazzo: manifestazione
riuscita, chiusasi il 10 maggio 1981, presente una delegazione sinodale della
Chiesa ortodossa di Creta. Non passò che un mese dalla chiusura della mostra
delle icone che si addormentò nel Signore, lasciando una grande eredità
spirituale, culturale ed ecumenica su cui dovrà camminare l’eparchia di Piana (Besa/Roma).
TIRANA
NOMINATO IL VESCOVO AUSILIARE
Il papa ha nominato vescovo ausiliare di
Tirana-Durrës p. Giorgio Frendo, o.p. Vicario generale della medesima diocesi,
assegnandogli la sede titolare di Butrinto (7.7.2006). Nato a Malta nel 1946,
ordinato nel 1969, laureato in diritto canonico, dal 1997 è a servizio
dell’Arcidiocesi di Tirana (Besa/Roma).
UCRAINA
Il 23 giugno 2006 una conferenza di rappresentanti delle varie
diocesi ha esaminato il progetto di catechismo della Chiesa cattolica bizantina
ucraina. Il titolo del catechismo è “Cristo è la nostra pasqua”.
Il progetto di stesura del catechismo ha già avuto l’accordo sulle basi concettuali, l’approvazione del Sinodo e sono stati già redatti i testi.
Con la conferenza di giugno si è inteso portare a conoscenza il testo integrale e ricevere eventuali reazioni per la redazione definitiva.
Il catechismo è strumento essenziale per la
formazione nella Chiesa sui iuris (Besa/Roma).
Gli spostamenti per ragioni di
lavoro e di studio portano nelle città limitrofe e lontane un numero sempre
maggiore di arbëreshë.
Così a Castrovillari sono
confluite migliaia di italo-albanesi per i quali, con l’accordo del vescovo di
Cassano, il vescovo di Lungro ha istituito una nuova parrocchia dopo un periodo
di 15 anni di servizio saltuario in due chiese messe generosamente a
disposizione dalla diocesi di Cassano. Ora il 28 luglio 2006 il sindaco di
Castrovillari ha comunicato al vescovo di Lungro che il Consiglio comunale
offre il terreno per la costruzione di una nuova chiesa, che, senza dubbio,
verrà progettata secondo i canoni dell’architettura ecclesiastica bizantina.
Ciò costituirà anche un elemento
caratteristico per la città di Castrovillari,
Un fatto importante per i tanti
arbëreshë che risiedono nel capoluogo
del Pollino, ma anche un gradito obiettivo per la nostra comunità, che, da
oltre 500 anni, condivide attese e speranze di un popolo e di una etnia, ormai
parti integranti di questo territorio” (Besa/Roma).
Nei “Racconti d’estate” il quotidiano
cattolico “Avvenire” (2 agosto 2006) ha presentato un testo di Carmine Abate
dal titolo amaro “Le parole non costano niente” sul tragico rapporto “promesse
e realizzazioni” non realizzate. Carmine Abate è un italo-albanese che scrive
in italiano su aspetti e problemi della vita degli albanesi di Calabria. Egli è
nato nel
LUNGRO
XXV DI CHIROTONIA
EPISCOPALE
DI MONS. ERCOLE LUPINACCI
Domenica 6 agosto, festa della
Trasfigurazione, l’eparchia di Lungro ha festeggiato il XXV anniversario di
chirotonia episcopale del vescovo mons. Ercole Lupinacci. Egli era stato
nominato nel 1981 vescovo di Piana degli Albanesi (Palermo) e poi nel 1987
trasferito nell'eparchia di Lungro (Cosenza).
Nella cattedrale di S. Nicola di
Mira egli ha presieduto
Il Santo Padre Benedetto XVI ha
inviato un messaggio gratulatorio (Besa/Roma).
Il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al vescovo di
Lungro, mons. Ercole Lupinacci, un messaggio augurale per il XXV di episcopato,
che riportiamo qui di seguito:
Al Venerabile Fratello
Ercole Lupinacci
Vescovo di Lungro degli Italo-Albanesi
dell’Italia Continentale
Con piacere
abbiamo ricevuto la notizia che, tu, Venerabile Fratello, il giorno 6 del
prossimo mese di agosto nella festa della Trasfigurazione del Signore, compirai
felicemente il 25° anniversario della consacrazione episcopale.
Desiderando di
essere in qualche modo partecipe di tale evento, ti mandiamo questa lettera,
per esprimerti i migliori auguri e manifestarti parimenti l’affetto che ci
unisce a te nell’Episcopato.
Nell’anno 1981
Giovanni Paolo II, Nostro Predecessore di piissima memoria, conoscendo i tuoi
meriti e la tua perizia nelle realtà ecclesiali, ti concesse la pienezza
dell’ordine e ti proclamò Vescovo dell’Eparchia di Piana degli Albanesi. In
seguito fosti trasferito nell’Eparchia di Lungro, che era stata sapientemente
fondata dal nostro predecessore Benedetto XV, di felice memoria, e la rese
immediatamente soggetta a questa Sede Apostolica.
Nello svolgimento
del gravissimo ufficio di Pastore, con prontezza ti sei adoperato per
governare, istruire e santificare i fedeli a te affidati e mostrar loro la
fulgidissima luce e la perenne e assoluta novità del Vangelo di Cristo (cfr. S. Basilio, Omelia sul battesimo 1, 2), sollecito inoltre di favorire i legami di
amicizia con i fedeli di rito bizantino dei Balcani e, principalmente,
dell’Albania.
Pertanto in
questo così fausto evento della tua vita, hai abbondantissimo motivo,
Venerabile Fratello, di godere dei fruttuosi lavori compiuti e innalzare al
Padre celeste, da Cui procedono i beni più grandi, di esaltare con inni
doverosi: “Ti loderò, Signore, con
tutto il cuore…Gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo”
(Ps 9, 2-3).
Gesù, Pastore
buono delle anime, auspice
In segno della
benevolenza e inclinazione del Nostro animo impartiamo affettuosamente, da
questa Sede del Beato Pietro, la nostra Apostolica Benedizione a te, Venerabile
Fratello, e per tuo tramite al Protosincello, al clero e ai fedeli di codesta
carissima comunità di Lungro.
Benedictus PP XVI
Dal Vaticano 4
luglio 2006
Secondo del Nostro Pontificato (Besa/Roma).
69
HESYCHIA (12): L’ASCESI
E
L’hesychìa, la serenità del cristiano maturo,
è la meta che si raggiunge dopo un lungo percorso, un cammino ascetico scosceso
che attraversa tre campi: il corpo, la mente e il cuore. Il quotidiano
esercizio (àschesis) della sobrietà, del
dominio dei sensi, del controllo del pensiero alla luce dell’insegnamento
evangelico, della stabilità del cuore, dà al credente quella condizione che S.
Paolo ha espresso con un interrogativo drammatico: Chi ci può separare
dall’amore di Dio? Non le avversità, non la stessa morte. S. Giovanni Climaco
nella “Scala del Paradiso”
afferma: “Le corone della pace e della quiete sono riservate a coloro che hanno
valorosamente lottato” (Discorso XXVII).
1. L’hesychìa
del corpo è la disciplina dei costumi e dei sensi e la loro condizione
pacificata” (Ibidem nella traduzione
di Luigi d’Ayala Valva, Qiqajon Bose, 2005, p. 410). L’ascetica cristiana di
ogni tempo ha insistito su questa disciplina personale e comunitaria. Il
comportamento cristiano esige il dominio sul corpo e il suo equilibrio con
l’uso moderato e sobrio del mangiare e del bere e del corretto uso della
sessualità, richiamato negli stessi comandamenti. Pietro Pompilio Rodotà lo
richiama per tutti i cristiani e non soltanto per i consacrati con voto religioso.
“Il dono della castità non è concesso a tutti i fedeli: ma la purità
deve essere indispensabilmente la virtù favorita di tutti i cristiani… Essa è
propria di tutti gli stati e di tutte le età” (Riflessioni Morali” sulla venuta della Madonna del Buon Consiglio,
Roma, 1770). La dimensione ecclesiale della sobrietà viene sottolineata dalla
disciplina del digiuno, che oltre ad essere un consiglio personale, è una norma
canonica e liturgica che prevede per il fedele bizantino quattro quaresime ogni
anno. Si tratta di indicazioni e strumenti per l’esercizio personale quotidiano
per raggiungere un equilibrio e una “condizione pacificata”. “La cella
dell’esicasta sono i limiti del corpo” (
2. L’hesychìa
dell’anima è la disciplina dei pensieri e una mente inviolabile” (Ibidem).
Un fonte vorticosa di turbamento della mente è il pensiero dell’uomo. Questa è
naturalmente avviata alla ricerca della verità, alla comprensione degli eventi,
ma è messa a dura prova dalla folla di opinioni mondane e dalla lotta
ideologica contro la fede cristiana. La mente del credente tende naturalmente
all’indagine della Rivelazione per coglierne il messaggio e trarne le
indicazioni etiche per un comportamento coerente con la volontà di Dio. La
storia della Chiesa mostra che questi due campi offrono possibilità immense di
deviazioni, che raggiungono l’eresia e lo scisma, e in ogni modo sono fonti di
dolorose sofferenze personali e di dissensi nel corpo della Chiesa. Una
inquietudine ininterrotta attraversa i secoli. L’uomo di Dio non si allontana
dalla ricerca di Dio, anzi l’affronta con amore, illuminato dalla grazia,
disposto all’obbedienza della fede e nella pazienza richiesta per la
comprensione delle cose incomprensibili. Il Climaco sintetizza: “L’abisso dei dogmi
è profondo, ma la mente dell’esicasta si tuffa senza pericolo”. Ricorda con una
efficace immagine le disposizioni richieste: “Non è sicuro nuotare vestiti, né
tanto meno accostarsi alla teologia quando si è ancora posseduti dalle
passioni” (Ibidem, 411).
3. “Amico dell’hesychìa è un pensiero forte e
risoluto che rimane sempre vigilante alla
porta del cuore” (Ibidem).“Cuore
matto”. Una ispirata canzonetta italiana ha segnato un’intera generazione.
Richiamava un’interna disposizione al vagare sentimentale, all’instabilità e
alle forti emozioni che generano turbamento. L’inquietudine provocata dal cuore
è stata fortemente sottolineata da S. Agostino nelle “Confessioni”.
Inquieto è il cuore fino a quando non riposa nel vero Bene. Il cuore vaga alla
ricerca di vari beni con “preoccupazione mondana” (Biotiken – biotica - vitale - corporale), segnala l’inno
cherubino della Divina Liturgia. Gesù ai suoi ha indicato: “Accumulatevi,
invece, tesori nel cielo…Perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”
(Mt 6,11). L’esicasta ha fatto questa scelta e vi è riuscito. Il Climaco
conclude: “Esicasta è colui che dichiarato apertamente:<Pronto è il mio
cuore, o Dio>, Sal
4. L’esicasmo è una corrente spirituale che,
sorta in ambito bizantino mediterraneo,
si è diffuso nel mondo slavo e in quello romeno, con influssi anche in
occidente. L’esicasmo risponde pure alle urgenze del turbolento e dispersivo
mondo contemporaneo. Lo pseudo-Basilio scrive, nelle Costituzioni Ascetiche
5, che l’esicasta “anche se si trova nella pubblica piazza, al mercato, in
montagna o nei campi, in mezzo ad una grande folla…unifica le profondità del
suo cuore e medita ciò che deve” (Besa/Roma).
Roma, 8 settembre 2006, Natività di Maria.
Circolare luglio2006 185/2006
I detti di Gesù (43): “Alzati e cammina”.................................................................................... 1
ROMA: La festa dei Santi Pietro e Paolo - Segno di pace fra Roma e
Costantinopoli.................... 2
ROMA: Don Lazër Shantoja-La pubblicistica e i nodi non risolti della
storiografia albanese 3
S. PAOLO ALBANESE: Quale didattica per l’arbëresh? ........................................................... 8
GENAZZANO: Pellegrinaggio di S. Atanasio............................................................................. 9
PIANA DEGLI ALBANESI: L’uomo icona di Dio................................................................... 10
MEZZOIUSO: Il clero uxorato - Una realtà della Chiesa cattolica.............................................. 10
LUNGRO: XXV di chirotonia episcopale di S.E. Mons. Ercole Lupinacci................................... 10
S. COSMO ALBANESE: Convegno annuale............................................................................ 10
ROMA: Radix et Imago - Scuola romana di iconografia............................................................. 10
ROMA: Scelta del battesimo per un adulto................................................................................ 10
ROMA: Hesychìa: La preghiera
continua e l’esicasmo.......................................................... 11
Ta lòghia - I detti di Gesù (43):
“Alzati e cammina”
La storia, la letteratura
mondiale, le scienze della psiche, ricordano che spesso l’uomo è prostrato, per
cause fisiche, psichiche, culturali ed etiche, consce ed inconsce. E’ a quest’
uomo concreto, incapace di salvarsi da solo e che gli altri non sono in grado
di guarire, che Cristo dice: “Alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua”
(Mt 9, 6). Perché sei guarito nel fisico e nell’anima.
E’ appunto nel corso di una
guarigione che Gesù dà un annuncio fondamentale che riguarda ogni uomo, la sua
redenzione e il rinnovamento di vita (Mt 9 1-7). Gesù arriva nella “sua città”,
a Cafarnao. Gli portano un paralitico steso su una barella. Non dicono nulla,
ma il loro gesto è esplicito. Gesù “vede” e apprezza la loro fede. E
diversamente dalle loro attese dice al paralitico: “Ti sono rimessi i peccati”
(Mt 9,.2). Alcuni dei giudei presenti pensarono tra sé e sé: “Costui
bestemmia”. Si arroga poteri divini. Solo Dio può rimettere i peccati. Ma non
dicono nulla. Gesù “conoscendo i loro pensieri”, usando un ragionamento per sé
improprio, ma adeguato al modo di pensare dei presenti - vale a dire, passando
da una premessa inferiore ad una conclusione superiore - dice al paralitico
“Alzati” . E spiega loro: cosa è più facile dire “alzati e cammina” (Mt 9, 5) oppure “ti sono rimessi i
peccati?”. Ma siccome voi pensate che io non possa rimettere i peccati, farò
quello che voi avreste desiderato, ma questo vi mostrerà che “il Figlio dell’uomo ha il potere in
terra di rimettere i peccati” (Mt 9, 6). Il paralitico è stato guarito e tornò
a casa portando con sé la sua barella.
Questa guarigione è
kerygmatica. Annuncia la buona novella per l’uomo, paralitico soprattutto
nell’anima, imprigionato nei suoi peccati. Gesù viene e sana e salva.
ROMA
SEGNO DI PACE
FRA ROMA E COSTANTINOPOLI
Sul numero di giugno del mensile di Roma in lingua inglese “The Roman Forum – Nerws and
Views about Rome” è stata pubblicata una nota di Eleuterio F. Fortino che
riportiamo qui di seguito in lingua italiana:
La festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, nella
seconda parte del secolo scorso, ha assunto una grande dimensione ecumenica,
dando origine ad una nuova testimonianza di fraternità ecclesiale fra Roma e
Costantinopoli. L’occasione è stata la celebrazione del XIX centenario del
martirio dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno 1967), dichiarato dalla Chiesa di
Roma come “anno della fede”.
Dopo la morte del cardinale Bea (1968), veniva elevato al cardinalato e nominato Presidente del Segretariato pe l’unione dei Cristiani, Giovanni Willebrands (aprile 1969). Questi prende l’iniziativa di fare visita al Patriarcato Ecumenico considerando la festa (30 novembre) di S. Andrea, fratello di S. Pietro, come l’occasione propizia.
Il Segretariato per l’Unione dei Cristiani informa il Patriarca che il cardinale Willebrands sarebbe stato accompagnato dal Segretario p. Jerôme Hamer, o.p., dal sottosegretario p. Pierre Duprey e da p. Eleuterio F. Fortino, officiale della sezione orientale.
Lo scopo di questa visita, oltre a partecipare alla celebrazione ortodossa della festa di S. Andrea, come scriveva il cardinale Willebrands al Patriarca Athenagoras, era quello di “fare il punto delle relazioni tra le nostre Chiese e di dare al nostro comune sforzo un nuovo impulso” (Tomos Agapis, 268).
Si delineava la prassi dello scambio regolare annuale di delegazioni per la partecipazione reciproca alle feste patronali. Una delegazione cattolica si reca al Patriarcato Ecumenico per la festa di S. Andrea e una ortodossa a Roma per la festa dei Santi Pietro e Paolo. Questa prassi si è consolidata diventando una “nuova tradizione”, come più volte è stata definita.
Questo scambio di visite (a giugno ed a novembre) è
progressivamente cresciuto di interesse e di utilità per la concertazione delle
iniziative fra Roma e Costantinopoli. In queste date hanno avuto luogo anche
visite degli stessi Capi di Chiesa. Il
Papa Giovanni Paolo II ha fatto il suo primo viaggio ecumenico proprio al
Patriarcato Ecumenico per la festa di S. Andrea (1979), annunciando assieme al
patriarca Dimitrios I la composizione della Commissione Mista Internazionale
per il dialogo teologico fra
La dimensione ecumenica veniva sottolineata da Papa
Giovanni Paolo II nel discorso rivolto al Patriarca durante l’udienza concessa
al patriarca e al suo seguito. Il Papa ha detto: “Nella vostra persona,
Santità, e in coloro che vi accompagnano,
intendo salutare il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico e tutti gli
ortodossi del mondo. Ai miei occhi, la vostra presenza manifesta il ricchissimo
patrimonio culturale e la varietà dei doni delle Chiese ortodosse. Oggi e dopo
i grandi cambiamenti di questi ultimi
anni, le Chiese ortodosse dedicano tutti i loro sforzi a riorganizzare la loro
vita pastorale e la loro azione evangelizzatrice. Esse possono essere sicure
della nostra simpatia e della nostra disponibilità per una collaborazione al
servizio dell’annuncio dell’unico Evangelo” (Ibidem 114)). Un simbolo di
un tale comune impegno è stato manifestato con la recita, durante
La presenza regolare a Roma di una delegazione
ortodossa per la festa dei Santi Pietro e Paolo sottolinea la comunione
esistente fra
I discorsi e i gesti che si compiono in questa
occasione manifestano la fede comune esistente fra
Il cammino verso l’unità, tra accelerazioni e
ritardi, tra nuove difficoltà e tentativi di superamento, continua il suo corso
sulla scia dei Santi fratelli Apostoli Pietro e Andrea, che hanno coronato la
loro vita con il martirio, assecondati dal magistero di S. Paolo che nelle sue
lettere ha profondamente esposto l’esigenza e la consistenza dell’unità della
Chiesa.
Anche per la festa dei Santi Pietro e Paolo (29
giugno) verrà a Roma una delegazione del Patriarcato Ecumenico e per la festa
di S.Andrea (30 novembre) è annunciata la visita dello stesso Santo Padre
Benedetto XVI al Patriarcato Ecumenico (Besa/Roma).
DON LAZЁR SHANTOJA
DELLA STORIOGRAFIA ALBANESE
Riportiamo il secondo intervento pronunciato
nel corso della presentazione dell’Opera Omnia di Don Lazër Shantoja avvenuta
al Circolo “Besa-Fede” il 29 aprile 2006. Lo scrittore Eugjen Merlika ha trattato il tema de “La
pubblicistica e i nodi irrisolti della storiografia albanese”:
Il 5 marzo 1945 venne fucilato il primo martire
della Chiesa cattolica albanese dell’era comunista, Don Lazër Shantoja. Era
stato arrestato dai “liberatori” dell’Albania poco più di due mesi prima.
Durante quei due mesi aveva subìto le torture più disumane che si potessero
immaginare. Il corpo mutilato, con le membra troncate, in quel giorno di marzo,
fu gettato in una fossa anonima insieme a quello di Sulçe Beg Bushati.
Cosi si chiuse il cerchio della vita di uno degli
studiosi più eminenti del mondo albanese, la cui personalità si distingueva in
diversi campi della letteratura, dando un contributo invero poderoso alla vita
culturale del suo Paese. Egli era figlio delle tradizioni cattoliche di
Scutari, la città più rappresentativa della cultura albanese. Crebbe e si
formò, nella vita civile e religiosa, nell’Istituto Pontificio della sua città
e nell’Università austriaca di Innsbruck. Mise radici e si sviluppò nella
tradizione del clero cattolico che aveva avuto il ruolo principale nella
custodia, nella crescita e nel consolidamento dell’identità nazionale e della
cultura albanese durante il dominio multisecolare ottomano.
Shantoja entrò come un uragano nella
confraternita dei chierici intellettuali
cattolici, i quali a partire da Buzuku, Bogdani, Bardhi ed altri e fino a
Fishta, Mjeda, Gjeçovi, Marlaskaj ed altri dominarono con la loro personalità e
la loro attività, nel corso dei secoli, nella sfera della resistenza albanese al pericolo disgregatore
dell’occupazione, rappresentando la spina dorsale della cultura e dell’idea
nazionale. Mentre le istituzioni religiose cristiane dell’Europa medievale
post-romana hanno avuto il merito riconosciuto di aver difeso i valori della
cultura classica del lascito greco-romano dal pericolo della loro distruzione
da parte dei barbari, bisogna dire che la chiesa cattolica albanese, durante il
nostro medioevo che si è protratto fino al ventesimo secolo, resse e costituì
l’elemento fondamentale per la rinascita della nazione albanese.
Don Lazër Shantoja, un giovanotto ventiquattrenne,
appena consacrato sacerdote, viene nominato segretario dell’arcivescovo
Monsignor Lazër Mjeda. Qui ha inizio la sua opera quasi trentennale al servizio
della chiesa, della cultura e della società albanese nel periodo pieno di
avvenimenti che diedero vita alla creazione ed al rafforzamento del primo Stato
albanese unito. L’attività di Shantoja, grazie alla sua ricca formazione
intellettuale, era molteplice. Poeta nato e prosatore maturo, oratore
inarrivabile ed autentico tribuno politico, traduttore fra i più dotati nella
letteratura albanese e profondo conoscitore delle lingue classiche ed europee
principali, studioso attento del pensiero letterario, sociale e filosofico
delle “elites” occidentali, Don Lazër Shantoja si distinse in particolare per
il contributo fornito nel campo della pubblicistica e del pensiero sociale nei
primi decenni del ventesimo secolo.
La pubblicistica di Shantoja possiede la bellezza
cristallina di un lago alpino, nel quale si versano i torrenti impetuosi quando
i temporali sferzano le montagne circostanti. Quei temporali sono gli
avvenimenti politici vissuti in prima persona e riflessi nei suoi articoli.
L’arco delle sue osservazioni è piuttosto ampio ed i suoi molteplici interessi
si aggirano tutti intorno ad un’idea centrale che è il suo “credo”:
Nell’insieme degli scritti pubblicati da “Shkolla e
re” (“La nuova scuola”) dell’anno 1921, si distingue il desiderio dell’autore
di seminare nei connazionali i principi della civiltà, di quella verità che
sorge dagli insegnamenti dei filosofi e dall’esperienza dell’incivilimento nei
secoli. In questi scritti vengono elencati i principi dell’educazione, della
morale, della società nelle sue diverse manifestazioni, quali scuola, lavoro,
carriera, arti, ecc. Vi si citano esempi di personaggi illustri, dei loro
difficili cammini, dei loro successi, della loro fama, con l’unico fine di
stimolare le ambizioni più nobili degli albanesi, che dovevano costruire ogni
cosa con le proprie mani. Con uno stile sobrio e convincente Shantoja vuol dire
ai suoi concittadini, e soprattutto ai giovani, che non c’è nessun ostacolo
insormontabile quando esiste la volontà e il desiderio di andare avanti. Si
tratta di insegnamenti preziosi che vengono diretti ad un popolo che ha appena
imboccato la via dello sviluppo dopo secoli di giogo straniero che certamente
non aveva favorito il detto sviluppo. L’autore fa parte di quella elite del suo
popolo che si adopera con ogni mezzo verso la curiosità, l’interesse, il
desiderio di progredire, per mettere alla prova l’intelligenza, la forza di
volontà, la pazienza, doti queste tanto necessarie a superare le difficoltà e
gli impedimenti che le circostanze storiche creavano agli albanesi con lo
scorrere del tempo. Tramite gli esempi di molti personaggi illustri, la cui
vita era iniziata fra grandi difficoltà ma che poi era sfociata in successi
impensabili in campi diversi delle scienze, delle arti o della politica dei
loro Paesi, Shantoja lancia il messaggio dell’ottimismo, della fede nella forza
e nella costanza del suo popolo. Allo stesso tempo egli dice agli albanesi che
nulla si vince facilmente, nulla viene regalato ma si conquista con sudore e sacrifici. In questa via della rinascita
della nazione e degli sforzi per camminare nelle orme dei popoli civili ognuno
deve fare la sua parte. Ciò vale sia per le generazioni che per gli individui,
per i leader che per i semplici cittadini.
Il Don Lazri cristiano e democratico si sforza
di cancellare i pregiudizi di casta,
della razza scelta, delle “famiglie bene”, specie nel sistema scolastico, nella
mentalità degli insegnanti che hanno un ruolo primario nella via allo sviluppo
del Paese. Dal loro impegno nasceranno coloro che faranno progredire l’Albania
in tutti i campi, gli amministratori e gli statisti, gli artisti ed i
professionisti, nonché quella elite intellettuale che diventerà la colonna
portante di una società che deve mirare a bruciare le tappe, a riguadagnare il
tempo perduto per poter entrare a pieno diritto nei ranghi dei popoli civili.
L’Albania ha bisogno di insegnanti che siano consapevoli della missione
cruciale che li attende, e che considerino il loro compito non come un guadagno
del momento, ma un utile per il futuro. Per l’autore “È chiaro che se gli insegnanti mirano solo a guadagnare il pane
quotidiano, non avranno altro guadagno se non quello di fermare il respiro e
far lavorare lo stomaco; i guadagni veri, spirituali e ideali, la soddisfazione
di essere considerati e di essere fra i portatori di progresso del Paese
spargendo un seme che un giorno darà frutti preziosi, per questi guadagni
l’insegnante deve avere un ideale” (p. 63).
Il pensiero di Shantoja anticipa il progetto della
società albanese, essendo egli stesso più evoluto rispetto alla mentalità
prevalente del tempo. Egli frusta il patriarcalismo tradizionale ed il
maschilismo caratteristico della concezione albanese del mondo e consiglia la
tolleranza ed il rispetto dell’opinione (altrui), benché la concezione circa la
donna non si salvi dalla mentalità del tempo e diventi inaccettabile al grado
di sviluppo dell’Albania odierna.
I problemi dell’economia sono visti nel prisma della
mentalità statalista. Il Governo e lo Stato devono essere i regolatori
dell’economia, alias dirigerne la rotta ed il modo del suo funzionamento. Ci
troviamo di fronte a concetti protezionistici che a prima vista favoriscono i
produttori ed i consumatori albanesi, ma danno luogo ad un’economia rigida e chiusa
che nel tempo non ha alcuna capacità di sviluppo.
La stampa, la sua forza, importanza, funzione ed
influenza sullo Stato e sulla società costituiscono un altro tema degli scritti
di Shantoja. Egli era piuttosto critico, specie verso la lingua scritta che,
riprendendo un’espressione del Budi, “si perde e si imbastardisce”. “Più di ogni altra cosa dobbiamo criticare
la fenomenale incapacità di molti scrittori che, senza alcuna preparazione
scolastica si mettono a scrivere a casaccio su argomenti di cui non hanno
alcuna competenza…. Al contrario, quando è necessario esaminare le questioni
più delicate di filosofia, morale, sociologia, tutti, perfino cuochi e
camerieri si dicono competenti…. Quale educazione può impartire al nostro
popolo una colonna tenuta in piedi da un pescivendolo, da una penna spesso
venduta e faziosa?.....” (p. 128) chiede con legittima rabbia sulle pagine
di “Ora e maleve” (La fata delle montagne) l’erudito che aveva il privilegio di
studiare nelle lingue originali i migliori risultati delle culture occidentali.
Shantoja era fautore della stampa libera e
indipendente, che ha per scopo principale la presentazione della verità
imparziale, una stampa che non sottostà alla forza del denaro o del potere,
poiché in quel caso essa ribalta la sua missione, che è quella di plasmare
l’opinione e la conoscenza del lettore con il corso degli avvenimenti di ogni
giorno. Il suo interesse abbraccia diverse sfere della vita albanese, e la
tematica degli scritti tocca, si può dire, l’intera gamma dei suoi fenomeni.
Gli scritti mostrano un quadro affatto ottimista
dell’andamento dello Stato albanese, dei suoi problemi economici, finanziari ed
amministrativi. In essi viene fatta un’analisi anatomica di questi aspetti e si
mette l’accento su di un apparato amministrativo stragonfio che pesa come un
macigno su di un’economia debole e sottosviluppata, per non dire inesistente. “È proprio necessario tutto questo
personale? Tutto questo personale viene impiegato perché l’Albania e la sua
ripresa ne ha bisogno, o perché
questi vogliono vivere a spese dell’Albania?” si chiede amaramente
l’autore. Si sente la preoccupazione del cittadino Shantoja che si spinge fin
dentro ai meandri più nascosti del suo Paese e fa da eco alla povertà della
maggior parte del popolo che certamente non potrà essere alleviata da questo
tipo di organismo e di funzionamento dello Stato. La preoccupazione è sincera e
combacia anche con la missione del parroco che ogni giorno tocca con mano le
ristrettezze dei semplici cittadini che riempiono la parrocchia ogni domenica e
che si ribella ed esplode quando vede “come
si spreca il denaro, si prevarica la fatica dei poveri, del popolo, del
contadino, del lavoratore. Per mantenere i parassiti…..che non sanno come
vivere, se non sulle spalle dello Stato, con un impiego rubato e protetto…”
(p. 131) Non abbiamo a che fare con una
strumentalizzazione di tipo marxista del fenomeno, ma con una grande sofferenza
di colui che ama profondamente la sua gente. Questo dolore arriva fino alla
rivolta ed alla disperazione quando vede che i criteri di assunzione della
folla di impiegati non sono il merito e la capacità, ma il clientelismo ed il
favoritismo politico. Sono piaghe aperte e mai chiuse fino ai giorni nostri,
quando abbiamo ancora a che fare con questi fenomeni, che compromettono lo
sviluppo.
Negli articoli pubblicati nell’ “Ora e maleve” si
sente forte il polso del patriota, ma c’è anche forte dose di realismo. I
problemi del Paese vengono affrontati con il cuore ma anche con la mente,
soprattutto in senso critico. Lo scrittore ha un obiettivo chiaro, intorno al
quale ruota tutto l’insieme delle sue preoccupazioni: l’Albania che si deve
muovere sulla via dello sviluppo, del progresso, della civilizzazione. I
fenomeni che impediscono questo cammino stanno sul filo del rasoio della
critica del pubblicista, sono materie dei suoi pamflet politici, oggetto di
frustate, a volte con toni molto aspri. Ma Shantoja non è un nichilista, non
guarda soltanto ai lati oscuri del momento e del futuro della sua Patria, ma ha
la capacità di vedere anche la luce nelle persone idealiste che si sforzano di
preparare la strada sulla quale le generazioni future costruiranno lo Stato
moderno. “L’Albania l’ha fatta
l’intelligenza e dovrà essere retta dall’intelligenza, altrimenti non avremo
un’Albania! IL serbatoio della forza più sana in Albania è il suo centro
intellettuale. Quando ascoltiamo le conversazioni piene di conoscenza e di
finezze di un Fan Noli, la dialettica rigorosa e misurata di un Luigj Gurakuqi,
la parola elettrizzante di un Ali Kelcyra, la lingua chirurgica di uno Stavri
Vinjau, le argomentazioni giuridiche di un Koço Tasi, noi dimentichiamo le
esplosioni attuali ed un’unica, dolcissima parola risuona al nostro orecchio:
Sì! L’Albania c’è!” (p. 143).
Shantoja è un idealista, ma nel suo idealismo c’è
anche un certo pragmatismo. La storia del mondo gli ha insegnato che i popoli,
nel cammino dello sviluppo, hanno raggiunto gli obiettivi che si prefiggevano
quando avevano dei leader capaci e dediti alla causa. La loro presenza serve a
dare tranquillità, speranza e certezza
per il futuro. Questa speranza viene alimentata dai giovani, dagli studenti
che, nelle diverse nazioni europee, si formano tramite la conoscenza, la
cultura e la professione, preparandosi a tradurle in fatti nel proprio Paese.
Cosi nacque nell’Albania degli anni trenta quella elite culturale che dopo il
1944 sarebbe stata spietatamente annientata in quanto “intelligenza borghese”,
avversaria del regime comunista.
In Albania sembra una fatalità storica il fatto che
occorra sempre sperare in una nuova generazione che debba tirarla fuori dalla
palude ed avviarla sulla strada del progresso. “ Le idee nascono, crescono e danno frutti solo in una terra vergine,
nelle menti e nel cuore dei giovani: da loro nascono poi per far pulizia del
marcio e di tutto ciò che impedisce il progresso o che si cristallizza in forme
di un’era che è tramontata” (p. 244). Così scriveva Don Lazri nel 1924. 18
anni dopo Mustafa Kruja, allora Primo Ministro dell’Albania unita all’Italia,
nell’intervista concessa al noto giornalista italiano Indro Montanelli, così si
esprime:
“….Noi abbiamo un’aristocrazia stanca, attardata su
principi che non si adattano più ai nostri tempi; una borghesia scarsa di
numero, di mezzi e di preparazione; una massa di cui il 70% è analfabeta. La
nostra speranza sono i giovani. I giovani hanno impeti che talvolta li
trascinano un po’ lontano, ma sono animati da uno schietto amore per la loro
patria, e sinceramente aspirano alla formazione di una coscienza nazionale e
individuale. Molti di essi vanno a studiare in Italia. Ne tornano impazienti di
portare il loro Paese al livello italiano. Spesso l’impazienza li spinge ad
errori, ma sia benedetto chi erra per generosità: Io non voglio dei giovani
pedissequamente obbedienti, ma coscienti e disciplinati. Naturalmente i primi
renderebbero più facile il mio compito di governante, ma non mi darebbero
nessuna garanzia per il futuro. E a noi quello che preme è solo il futuro”.
Dopo 60 anni, poggia nuovamente sui giovani la
speranza di rimuovere la politica albanese fuori dal pantano ed il Paese dalla
classifica di ultimo in Europa. Anche se in questo senso incorriamo spesso in
delusioni, perché non tutto ciò che luccica è oro, penso che sia necessario un
rinnovamento continuo della politica albanese. Purtroppo non la vede cosi la
maggior parte della classe dirigente che difende le posizioni acquisite, senza
contare che il tempo passa e non ci possono essere uomini per tutte le
stagioni. Ciò nonostante è incoraggiante constatare un certo attivismo nelle
amministrazioni pubbliche da parte di
parecchi giovani laureatosi all’estero.
Nella pubblicistica di Shantoja penso che un
posto di primo piano debba competere
agli articoli che trattano avvenimenti e personaggi della politica albanese in
un arco di tempo che copre circa un quarto di secolo. Lo scrittore era un
attento osservatore degli stessi e, più che prendervi parte a livello
importante, egli era una vittima responsabile di quei fatti. Subì carcere,
confino ed esilio anche se non ha mai avuto cariche di rilievo, ed in realtà
non è mai stato neanche deputato. Ma il prete poeta è in simbiosi con quegli
avvenimenti ed i loro protagonisti, e la sua penna insieme all’oratoria, hanno
avuto spesso un’influenza decisiva su di essi. Shantoja è sempre coerente con
sé stesso e i suoi principi. Le opinioni possono anche cambiare, ma le
valutazioni hanno un criterio determinante e fermo: l’interesse del Paese.
Questo è il vero ed unico metro che vale per tutti e per tutto.
Lui si situava nell’ala dell’opposizione
antizogista. Il suo idolo era Luigj Gurakuqi, leader dell’ opposizione negli
anni 1921-24, che, cito: “Con una
costanza esemplare, instancabile, spese la sua vita per un ideale ed un’Albania
libera, grande, felice”. I martiri della libertà e della democrazia erano
Avni Rustemi, lo stesso Gurakuqi, Bajram Curri, Hasan Prishtina, Elez Isufi,
Zija Dibra, Ramiz Daci, Zef Ndoci, Mark Raka. I combattenti con i quali divise
convinzioni ed ideali erano Mustafa Kruja, Stavo Vinjau, Qazim Koculi, Xhevat
Korça ed altri. Sull’altare della Patria c’erano i suoi colleghi ben noti,
quali Fishta, Gjeçovi, Mjeda, Harapi, Marlaskaj, ed altri. Nel campo avverso
c’era Ahmet Zogu, Primo ministro, Presidente e più tardi Re dell’Albania, per una
parte degli albanesi sinonimo del male al potere, circondato dagli
aristocratici che lo appoggiavano come Eshref Frasheri, Faik Konitza, Mehdi
Frasheri, ecc. o da killers e mandanti quali Baltjon Stambolla, Çatin Saraç, ed
altri.
Shantoja penetra in questo microcosmo di personaggi politici con la forza della sua
penna, lasciandoci come scolpite le sue convinzioni ed i suoi pensieri, che
sono frutto di punti di vista oggettivi e soggettivi dell’autore, e a volte anche
delle sue passioni politiche. Si tratta comunque di testimonianze importanti,
poiché nascono dalla penna di una persona senza pregiudizi, che valuta partendo
dai fatti. I periodi ai quali si riferiscono gli scritti sono quelli del
1920-24, dell’esilio 24-39 e gli anni 39-43, quando l’Albania era occupata
dagli italiani ma aveva uno status particolare in quanto si definiva unita al
Regno d’Italia.
Sugli avvenimenti di questi periodi storici l’autore
ha opinioni diverse. Imbevuto di convinzioni democratiche avanzate, egli
appoggia senza riserve
Ma questo avversario politico, questo “Presidente
sanguinario” quando lo vede ingiustamente discreditato da un giornale
austriaco, ha il coraggio di chiedere al Cancelliere austriaco, Dr. Seipel, il
suo intervento per ristabilire il prestigio dell’allora Primo ministro
albanese. È una delle perle di questo libro, un esempio ideale della morale
politica ad alto livello, una manifestazione fra la lotta politica, la sua
etica ed il rispetto delle istituzioni, una lezione di stile per la politica
odierna in Albania e altrove.
Dal canto suo Zogu era consapevole della forza
intellettuale dei suoi oppositori, ma sapeva anche che la loro mentalità europea
non trovava terreno favorevole negli albanesi che richiedevano tempo per
sbarazzarsi del loro modo di essere e di pensare orientale ereditato da cinque
secoli. Egli cercò in tutti i modi di rendere inoffensiva questa Opposizione
sparpagliata e frammentata in vari gruppi, Stati e convincimenti politici
diversi. Questa guerra da lontano continuò fra insulti, anatemi,
delegittimazioni e giuramenti reciproci fino al 7 aprile 1939, quando Mussolini
e Ciano decisero di aggiungere anche
Come tanti altri, anche il prete Shantoja lasciò la
parrocchia nel Giura Bernese e tornò in Albania “liberata” dalla “tirannia” di
Re Zog. Vide i cambiamenti intervenuti con speranza e fiducia nell’avvenire.
Non giudicò l’occupazione una tragedia, ma un mezzo per unirsi all’Italia e
tramite questa all’Europa civile, là dove egli sognava di vedere un giorno il
suo Paese con i relativi benefici. Probabilmente sono stati gli scritti di
questo periodo a costituire l’atto d’accusa più pesante che la giustizia
comunista mosse ad una delle prime vittime delle sue leggi. Egli difende
apertamente e con forza l’unione con l’Italia, non perché sia sensibile agli
interessi di essa, poiché in alcuni suoi scritti precedenti, specie in
riferimento all’uccisione di Gurakuqi, si esprime in modo piuttosto aspro nei
riguardi dell’Italia. In questa unione di corone egli vide la possibilità che
l’Albania si incammini sulla via del progresso. Se deve scegliere fra
l’indipendenza nella povertà e la dipendenza nel benessere e nello sviluppo,
egli sceglie quest’ultima. Egli fa parte di quella schiera di intellettuali e
politici albanesi che consideravano i legami con l’Italia strategici e
prioritari, l’amicizia con il popolo d’oltremare fondamentale per il futuro del
loro Paese, e l’occupazione come un fatto transitorio che non danneggiava
l’essenza interiore degli albanesi, di coloro che a volte con ironia, altre con
disprezzo venivano chiamati “italofili”. In quella cerchia la figura più
eminente era stato il leader Luigj Gurakuqi che, per Shantoja e per molti
altri era stato il modello di
patriottismo. Uscendo un momento dal
quadro della pubblicistica di Don Lazer Shantoja, vorrei entrare in un altro
argomento che mi sembra necessario e che nasce dalla lettura del libro. Come
sono state trattate dalla nostra storiografia, ufficiale e non, queste vicende
e persone che riempiono le pagine del libro di cui stiamo parlando, e c’è
spazio per cambiamenti in quel senso?
Analizzando i tre periodi principali di cui si
occupa Shantoja, ossia
Per la storiografia comunista, che purtroppo tramite
gli studiosi e la mentalità continua ancora a dettare in forme diverse la sua logica:
Oggi che ci siamo lasciati alle spalle il secolo
scorso con tutti i lutti e le crudeltà derivate dalle ideologie totalitarie con
conseguenze terribili per tutti, mi sembra che sia giunto il momento di fare un
bilancio obiettivo, preciso e veritiero, di tutti quegli avvenimenti, di tutte
le relative cause e conseguenze, ma anche delle vite dei loro protagonisti.
Deve essere un bilancio fatto senza passione politica, che si assoggetti ad una
analisi fredda di un ragionamento che deve avere come asse centrale soltanto
una idea, cioè il vero interesse dell’Albania lontano dagli schemi ideologici,
come materia per macinare nel suo mulino soltanto i fatti storici sgranati,
puliti e non distorti. Gli studiosi cui spetta scrivere una storia veritiera
del nostro Paese, devono essere come giudici imparziali che debbano analizzare
quei fatti per ricavare da essi la verità incontrastabile. La loro missione
dovrebbe essere lo scioglimento dei molti nodi irrisolti della nostra
storiografia e la valutazione, nelle loro giuste dimensioni, dei personaggi
politici implicati in essi. Penso che questo sia uno dei principali doveri
della nuova generazione di studiosi albanesi, purtroppo pochi e scarsi, specie
in questo campo.
È loro dovere ripulire la storiografia da termini
quali “traditore della Patria”, “nemico del popolo”, “venduto”, “criminali” ed
altra merce di questo genere, che un clima avvelenato dall’arbitrio comunista
ha impietosamente proiettato su di essa. Sono convinto che il quadro che ne
uscirebbe da un tale lavoro sarebbe la fotografia vera del nostro passato, con
riferimento ai periodi storici di cui scrive Don Lazër Shantoja, ed avrebbe un
aspetto ben diverso da quello che troviamo nei testi di storia e in parte anche
da ciò che vediamo nei suoi scritti. Forse vi vedremmo
Sono convinto che lo staccio della storia, presto o
tardi, compirà la sua funzione per dare ai giovani dell’Albania di oggi e di
domani la possibilità di conoscere con esattezza ciò che hanno compiuto i loro
progenitori, per scongiurare il grande inganno che noi e le generazioni
precedenti hanno subito, come conseguenza dell’avvento di un progetto politico
che è costato tanto alla nostra Patria. Noi dobbiamo stimolare questo processo
non perché siamo nostalgici del passato, ma perché siamo fautori della verità e
pensiamo che nei fondamenti dell’ avvenire della nostra società non debbano
esserci né inganni né distorsioni malvagie.
A tal fine è utile anche la pubblicazione di questo
libro, merito di un lavoro lungo, responsabile, pregevole e pieno di passione
dei fratelli Marku, ai quali va il mio sincero ringraziamento e le mie
congratulazioni più sentite, insieme all’augurio che questo lavoro possa
continuare a vantaggio della verità storica, della cultura e della messa in
luce dei valori nazionali, sepolti dalla polvere dell’oblio che per più di
mezzo secolo il comunismo ha deliberatamente gettato su di essi (Besa/Roma).
SAN PAOLO ALBANESE
QUALE DIDATTICA PER
L’ARBËRESH ?
Il 10 giugno 2006 si è tenuto a San Paolo Albanese
(Potenza) un Convegno regionale sulla didattica dell’arbëresh.
Promosso dal Comitato Nazionale per le Minoranze
etnico-linguistiche in Italia, è stato
organizzato dallo Sportello linguistico regionale dell’Università della
Basilicata.
L’occasione del Convegno regionale è stata data
dalla presentazione della Gramatikë arbëreshe di Emanuele Giordano (2006).
Il Presidente del Comitato Nazionale delle Minoranze
etnico-linguistiche in Italia, Dr. Pierfranco Bruni, ha ribadito l’importanza
del concetto di appartenenza quale punto forte per le minoranze linguistiche
storiche. L’autore della Gramatikë arbëreshe, papàs Emanuele Giordano, ha
ricordato che il suo lavoro di sistemazione della struttura linguistica
dell’arbëresh si inserisce nella tradizione di studi che dal XIX secolo è
giunta fino a noi, specificando che la sua Gramatikë arbëreshe rappresenta un
supporto per quanti vogliano scrivere in un arbëresh corretto e purificato da
infiltrazioni spurie. Tutti gli altri interventi (P. Abitante, A. Giordano, A.
Formica, P. Del Puente) hanno suggerito criteri e metodi utili a rivitalizzare
la lingua e la cultura arbëreshe, sulla base degli strumenti che offre la legge
di tutela delle minoranze linguistiche storiche in Italia (Legge 482 /1999).
Proponiamo la sintesi dell’intervento del Prof.
Italo Costante Fortino dell’Orientale di Napoli.
Çilja didatëkë për aljbërishtin?
Quale didattica per l’ arbëresh?
1. Precedenti
storici
Molti si pongono la domanda se esista una lingua arbëreshe
comune che possa essere compresa da tutti gli Arbëreshë, o almeno che
contenga un buon 80% di elementi comuni.
Uno sguardo alle grammatiche arbëreshe:
a) Girolamo De Rada nel
b) Nel 1871 suo figlio Giuseppe
De Rada aveva pubblicato a Firenze
c) In tempi più recenti
Vincenzo Baffa Golletti col suo sillabario del 1970, Libri
im i parë, ha voluto insegnare a scrivere l’arbëresh. Il metodo adottato si
basa su una equilibrata integrazione del lessico arbëresh con quello della
lingua letteraria d’Albania, con l’esito di una lingua sostanzialmente
comprensibile e di buon livello. La riuscita del progetto è dovuta al metodo
dell’impostazione: “dal più semplice al più complesso”.
d) Nel 2000 per iniziativa dell’A.I.A.D.I (Associazione Insegnanti Albanesi d’Italia)
hanno visto la luce i due volumi di Alfabetizzazione
arbëreshe (Torino, Il Capitello), a cura di vari studiosi.
I due volumi sono scritti
interamente in albanese, con traduzione italiana solo nella prima metà. Poiché
il testo si rivolge a tutti gli arbëreshë, è stata tentata una “discreta
standardizzazione linguistica” dell’arbëresh, coordinata anche col principio
della scelta di forme coincidenti con la
lingua standard d’Albania.
e) Sulle singole parlate
esistono tanto ricerche e studi (M. Camaj, La
parlata di Greci, 1971; P. Scutari, Uno studio fonologico e morfologico sulla
parlata arbëreshe di San Costantino, 1997), quanto manuali didattici. Di
questi ultimi vanno menzionati l’abbecedario Udhëtimi (2000) e il manuale di grammatica Udha e mbarë (2001) pubblicati a Piana degli Albanesi. I due testi,
senza traduzione italiana, presentano la parlata di Piana con terminologia
grammaticale e lessico vario tratto dalla lingua letteraria d’Albania. Inoltre,
sempre alla parlata di Piana è dedicata la grammatica Arbërishtja për të gjithë di Giuseppe Schirò di Modica del 2005,
con tutte le spiegazioni in italiano.
f) Di Luis De Rosa va
menzionato, per i paesi del Molise, Gjuha arbëreshe - Abetari im i parë,
spiegazione dell’alfabeto (2004), e la grammatica Elementi di grammatica albanese – Variante arbëreshe del Molise,
con spiegazione in italiano. Colmano i vuoti lessicali termini tratti dalla
lingua letteraria d’Albania.
2.
Nell’Introduzione alla Gramatikë arbëreshe si legge che la valorizzazione e diffusione di una cultura parte proprio dai codici
linguistici
Il metodo seguito è stato quello di scegliere con
intelligenza il meglio dalle parlate meno
corrotte e dai migliori scrittori arbëreshë.
Sono presenti le particolarità dell’arbëresh nei
tratti arcaici e in quelli più innovativi. Nei casi di molteplicità di forme
l’Autore ha privilegiato, come indicazione, quella in comune con la lingua
d’Albania. Chiara e sintetica è l’esposizione delle categorie grammaticali.
Questa grammatica risponde a due esigenze: a quella
di chi vuole apprendere la lingua arbëreshe e a quella di chi è impegnato a
insegnarla.
3. Ragioni di
una didattica dell’arbëresh
Tre le ragioni per cui vale la pena conoscere e
trasmettere la lingua parlata nelle comunità arbëreshe.
a)
Ragione culturale. In quanto la lingua è la
chiave di lettura della cultura, il veicolo che la trasmette, il segreto che
interpreta aspetti della cultura altrimenti incomprensibili o male
interpretabili.
b)
Ragione psicologica. In quanto l’arbëresh è la
lingua del cuore, quella che viene trasmessa con gli affetti più intimi, e che lega
l’individuo alla famiglia, alla comunità e quindi all’etnia. Sono le ragioni
del cuore che permettono all’individuo di svilupparsi in armonia con le proprie
radici, in continuità con l’ambiente affettivo della famiglia e del paese.
c)
Ragione etnica e umanitaria. L’UNESCO e l’Europa, contro
la crescente omologazione, favoriscono la tutela delle lingue minoritarie e
meno diffuse, perché con la morte di una lingua muore una parte dell’umanità.
4. Didattica della lingua
La lingua tutelata dalla Legge 482 è quella
rappresentata dal “modo di esprimersi dei
componenti della minoranza linguistica”, cioè, la lingua parlata in ogni
comunità arbëreshe, quella viva, parlata in famiglia e nel paese.
E. Giordano scrive: “per vivere bene, una lingua deve essere parlata, letta e scritta”.
Oggi possiamo imparare a scrivere la nostra lingua
parlata e a prenderne coscienza del suo funzionamento e della sua struttura, in
maniera graduale e sistematica.
I livello
E’ quello più delicato, perché finalizzato a porre
le basi linguistiche, e a consolidarle, con una didattica e una competenza
adeguate.
L’ambito è quello della scuola materna.
In altri termini l’insegnante parla nella lingua
della minoranza, la lingua parlata sul posto per svolgere le varie attività
educative dell’asilo.
II livello
Corrisponde, in linea di massima, alla scuola
elementare.
Anche in questa fase, la lingua è prevista come
“strumento di insegnamento”. In altri termini si può usare, nelle ore
stabilite, la lingua ammessa a tutela come mezzo per insegnare “la lingua e le tradizioni culturali”
della comunità locale.
In questa fase da un punto di vista didattico
rientra una forma di alfabetizzazione che prevede la lettura e la scrittura
della lingua arbëreshe.
III livello
Corrisponde alla scuola secondaria di primo grado.
Anche in questa fase
In questo terzo livello si consolida la lettura e la
scrittura, con la comprensione di testi popolari e di livello superiore tratti
dalla letteratura, oltre che orale, anche dalla letteratura colta.
Quindi possiamo dedurre che uno sguardo alle
varianti linguistiche delle varie parlate arbëreshe, a questo livello, si rende
necessaria. Così come si rende utile ampliare la conoscenza alla lingua
letteraria d’Albania, in quanto alcuni autori arbëreshë hanno usato tale forma
linguistica, o parzialmente o totalmente, nel comporre le loro opere (Besa/Roma).
PELEGRINAGGIO DI S. ATANASIO
Domenica 11 giugno 2005
A Genazzano si trova un santuario dedicato alla
Madonna di Scutari, che Leone III come Madonna del Buon Consiglio ha introdotto
nelle litanie lauretane. Essa è stata nominata protettrice dell’Albania da cui
l’immagine è pervenuta (1467). Il sacerdote Stefano Rodotà (sec. XVIII) ne ha
trasferito il culto in Calabria erigendo un santuario a S. Benedetto Ullano (Besa/Roma).
Quest’anno dal 28 giugno al 1 luglio è stato
organizzato a Piana degli Albanesi l’ XI convegno nazionale di formazione
ecumenica per seminaristi, promosso dal Seminario Pio XI di Molfetta e
dall’Istituto Ecumenico di Bari. Il Convegno comprendeva due relazioni:
I convegnisti hanno partecipato alla Divina Liturgia
presieduta dal Vescovo Mons. Sotir Ferrara ed hanno visitato il duomo di
Monreale e
MEZZOIUSO
IL CLERO UXORATO
UNA REALTA’ DELLA CHIESA
CATTOLICA
Il Consiglio Pastorale dell’eparchia di Piana degli
Albanesi ha organizzato (7-8 luglio 2006) l’annuale convegno diocesano sul tema
de “Il clero uxorato – una realtà della Chiesa cattolica”. Una realtà della
Chiesa cattolica orientale. Si terrà nel monastero basiliano di Mezzoiuso. Sono
previste tre relazioni:
Concluderà il convegno una tavola rotonda di “Testomianze del clero uxorato” con
interventi di sacerdoti e delle loro mogli.
Presenzierà l’incontro S.E. Mons. Sotir Ferrara,
vescovo di Piana degli Albanesi (Besa/Roma).
LUNGRO
XXV DI CHIROTONIA EPISCOPALE
DI S.E. MONS. ERCOLE
LUPINACCI
Domenica 6 agosto 2006 l’eparchia di Lungro festeggia
il 25 anniversario della chirotonia episcopale del suo vescovo Mons. Ercole
Lupinacci. Nella cattedrale di Lungro
alle ore 10,30 avrà luogo la celebrazione della Divina Liturgia presieduta dal
Vescovo.
Tutte le minoranze attraversano un periodo di crisi
per il rischio di omologazione alla cultura dominante. In questi 25 anni Mons.
Lupinacci per gli italo-albanesi ha promosso due iniziative di alto
significato. Egli ha convocato l’Assemblea eparchiale della diocesi di Lungro
(1996) e assieme agli altri due ordinari
il Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni Ecclesiastiche
Bizantine in Italia, celebrato negli anni 2004-2005. (Besa/Roma).
S. COSMO ALBANESE
CONVEGNO ANNUALE
Nei giorni 29-30-31 agosto si terrà nella “Casa del
Pellegrino” di S. Cosmo Albanese l’annuale Assemblea diocesana sul tema: “Testimoni
di Gesù Cristo risorto” in preparazione al Convegno della Chiesa italiana
che avrà luogo a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006 (Besa/Roma).
ROMA
RADIX ET IMAGO
SCUOLA ROMANA DI ICONOGRAFIA
Inizia le sue attività il 28 giugno 2006, presso la
chiesa di S. Carlo (Roma, via Augusto Imperatore 13) la “Scuola teorico-pratico
d’iconografia”, diretta da don Domenico Repice col maestro Ivan Polverari. Per
informazioni: mimmorepice@alice.it (Besa/Roma).
ROMA
SCELTA DEL BATTESIMO PER UN
ADULTO
Ci è stato chiesto in quale rito deve essere
battezzato un adulto. Riportiamo la norma del diritto:
CCEO, can. 30:
Qualsiasi battezzando, che abbia compiuto il
quattordicesimo anno di età, può scegliere liberamente qualunque chiesa sui
iuris, alla quale è ascritto mediante il battesimo, in essa ricevuto, salvo
il diritto particolare stabilito dalla Sede Apostolica.
CCEO, can, 29 §1:
Il figlio che non abbia compiuto il quattordicesimo
anno di età, mediante il battesimo è ascritto alla Chiesa sui iuris a
cui è ascritto il padre cattolico (Besa/Roma).
68
HESTCHIA (11):
1. La preghiera monologica di Gesù ha
nell’esicasmo un ruolo particolare di preghiera e di maturazione spirituale.
Viene proposta a tutti, per ogni tempo e per ogni luogo: in chiesa, a casa,
durante il lavoro, quando si è in viaggio. S. Nicodemo l’Aghiorita (1749-1809)
ne ha dato spiegazioni dettagliate nel suo Manuale di consigli (Symboulevtikòn
encheirìdion). Egli spiega come custodire la mente e il cuore
liberandoli da ogni preoccupazione e perfino da ogni immaginazione anche
religiosa. A questo punto il credente
“non deve dire altro che la preghiera monologica: Signore Gesù Cristo,
Figlio di Dio, abbi pietà di me”. L’Aghiorita afferma che occorre aggiungere
“la
potenza volitiva dell’anima”. Bisogna che tu dica questa preghiera
“con tutta la tua volontà, con tutte le tue forze e con tutto il tuo amore”.
Sii intensamente concentrato sulla preghiera stessa. “Quando preghi, non
raffigurarti il divino dentro di te e non permettere che qualche forma si
imprima nella tua mente; ma va’, immateriale, incontro all’Immateriale, e
comprenderai”. L’Aghiorita non limita la preghiera di Gesù ai monaci, “ma vuole
far dono di tali pratiche e insegnarle anche ai fratelli che vivono nel mondo,
perché anch’essi devono adorare Dio in spirito e verità” (cfr. Vasilij
Grolimund, in “Nicodemo l’Aghiorita e
2. Questa breve formula è radicata nel Vangelo e
nella liturgia con una solida base dottrinale e un corretto orientamento di
preghiera. Essa si rivolge a Gesù proclamandolo come il Cristo e Figlio di
Dio, ricalcando la proclamazione di fede di Simon Pietro: “Tu sei il
Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16). Gesù viene invocato come Signore
(Kyrios), facendo eco a Tommaso che riconosce Gesù risorto dopo aver toccato il suo costato ed esclama: “Mio
Signore e mio Dio” (Gv 20,28) e ricalca la professione di fede del simbolo
niceno-costantinopolitano: “Credo in Gesù Cristo unico Signore”. L’invocazione,
la preghiera vera e propria, “abbi pietà di me”, riprende la domanda di
tanti che nei Vangeli si rivolgono a Gesù Cristo, come fa il cieco (Mc 10, 47).
Essa riporta nella vita quotidiana il Kyrie elèison della Liturgia.
Questa invocazione richiama alla propria realtà il credente che prega. Gli
ricorda la sua condizione di peccatore bisognoso della misericordia di Dio.
Nell’Aghiorita, innografo lui stesso, la preghiera di Gesù non è isolata dalla
partecipazione alla liturgia della Chiesa e dalla pratica dei sacramenti.
3. I padri esicasti consigliano di ripetere incessantemente
questa preghiera che per l’invocazione del suo nome si chiama “preghiera di
Gesù”. L’invocazione del nome si riscontra nella tradizione religiosa giudaica,
come nei salmi, ma anche, in alcune forme, nella cultura greca. Per Plotino la
ripetizione del nome orienta la mente al divino, rende stabile la
contemplazione. La preghiera monologica attraverso una incessante ripetizione è
elemento distintivo dell’esicasmo. Ma è estesa più ampiamente. Lo
pseudo-Crisostomo raccomanda: “Persevera incessantemente nel nome del Signore
Gesù, affinché il cuore assorba il Signore e il Signore il cuore e i due
divengano uno” (PG 60,753). E’ nota l’altra formula di preghiera breve propria
di Giovanni Crisostomo: “Gloria a Dio per ogni cosa (dôxa tô Theô pàntôn èneken).
4. Questa incessante prassi giaculatoria
stabilisce una vivente comunione con Dio, creando un habitus spirituale
che fa sentire in modo concreto la presenza di Dio, condizione della vera
serenità (hesychìa) interiore (Besa/Roma).
Circolare
marzo 2006 182/2006
I detti di Gesù (40): “La messe è molta, gli
operai sono pochi”............................................... 1
ROMA: Significato della quaresima 2006................................................................................. 2
ROMA: Dialogo con le Chiese ortodosse................................................................................. 2
ROMA: Nuovi studi sul Crisostomo ........................................................................................ 5
ROMA: Presentato un postumo di Tommaso Federici............................................................... 7
ROMA: Sanzioni penali nella Chiesa......................................................................................... 8
MILANO: É deceduto Ibrahim Kodra..................................................................................... 8
ALBANIA: Collaborazione interconfessionale.......................................................................... 9
ROMA: Chiesa di S. Atanasio - Feste despotiche
o del Signore................................................ 9
PRISHTINA: Due opere postume dell’arbëresh
Giuseppe Del Gaudio ................................... 10
MOSCA: Premiato Anastas di Albania................................................................................... 10
CHIERI: Vatra arbëreshe ...................................................................................................... 10
ROMA: Hesychia: “Per la vostra vita non
affannatevi”............................................................ 11
Ta lòghia – I detti di Gesù (40): “La messe è molta, gli operai sono pochi”
Sproporzionati, in
negativo, sono gli operai nei confronti della messe. Insufficienti perché si
creino le condizioni affinché il campo sia ben preparato per una grande messe. Gesù lapidariamente lo
insegna ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt
9, 37).
Questa
constatazione proveniva a Gesù dalla sua personale esperienza umana assieme ai
discepoli che lo seguivano. Egli percorreva le città e i villaggi; conosceva
così i grandi agglomerati umani e le piccole comunità; conosceva i problemi e le
tendenze della società. In più, insegnava nelle sinagoghe, aveva un contatto
diretto con la comunità dei credenti, conosceva dunque la sua qualità
religiosa, le sue carenze e le sue attese. Riassume la situazione in termini
drastici affermando che le folle “erano stanche e sfinite, come pecore senza
pastore” (Mt 9,36). Le “folle”, il mondo, era stanco, prostrato,
senza fiducia, senza guida spirituale, “senza pastore”. La parabola della
pecorella smarrita, ricercata e trovata (Lc 15, 3-7) spiega di quale tipo
di pastore quelle folle avevano bisogno.
Perciò Gesù - il buon pastore - predicava il Vangelo del Regno.
L’accostamento tra la predicazione del Regno e la grande messe da raccogliere,
può far comprendere cosa sia la messe di cui parla Gesù. Di fatti nel Regno di
Dio verranno folle dall’oriente e dall’occidente. L’altro elemento dell’azione
di Gesù (“curava ogni malattia e infermità”) ricorda che in vista del Regno
quelle folle avevano bisogno di guarigione e di purificazione.
Di
fronte a questa situazione – che trova riscontro in ogni epoca – Gesù ne “sentì
compassione”(esplagniste). Ed è a questo punto che constata
la carenza di operai adeguati ed invia i discepoli – perciò poi chiamati
apostoli (Mt 10,2) –“alle pecore perdute di Israele…predicando che il
Regno dei cieli è vicino” (Mt 10, 6-7). Quello che Gesù fa, chiede che
lo continuino e lo divulghino tra tutte le genti i suoi discepoli. Ma
l’insegnamento spirituale, l’annuncio del Regno, l’opera di purificazione
dell’uomo richiede l’assistenza divina. Per questo Gesù consiglia ai discepoli
la preghiera. “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai
alla sua messe” (Mt 9,38). La messe è di Dio e gli operai
sono mandati da lui. L’uomo può solo cooperare. Per questo il reclutamento
degli “operai del Regno” è del tutto diverso – e deve usare mezzi diversi –
distinto da ogni altro reclutamento di membri di società e di organizzazioni
umane (Besa/Roma).
SIGNIFICATO
DELLA QUARESIMA 2006
La quaresima è un cammino, segnato dalla preghiera, dal
digiuno, e dall’esercizio della carità attiva e dalla solidarietà con i poveri
aldilà di ogni distinzione etnica o religiosa. La prima domenica del Triodion
detta del “Fariseo e del pubblicano” indica l’orientamento generale: “Due
uomini salirono al tempio per pregare” e la domenica seguente detta del “Figlio
prodigo” ricorda che è periodo particolare per un esame di coscienza per la
conversione. L’annuale messaggio del Papa Benedetto XVI per la quaresima ne ha
sottolineato alcuni orientamenti:
Per il pontefice “la quaresima è il tempo privilegiato del
pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia”; un pellegrinaggio “in cui Lui stesso ci
accompagna”, ci custodisce e ci sostiene” perché, afferma il papa, “anche oggi
il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di
amore”. Eppure, “anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della
violenza e della fame, prosegue Benedetto XVI citando le parole di Giovanni
Paolo II, “c’è un limite divino imposto al male, ed è la misericordia”,
prospettiva nella quale Benedetto XVI svolge la propria riflessione. “
“Uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni
uomo”; è l’appello lanciato da Benedetto XVI “a chi ha responsabilità politiche
ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario”. “Dinanzi alle terribili
sfide della povertà di tanta parte dell’umanità”, osserva il papa, “anche oggi,
nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto
economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale
si esprime la carità”. Per questo Benedetto XVI invita a guidare “il mondo
verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo”.
“Con la stessa compassione di Gesù per le folle – rimarca –
“In
questo sforzo - sottolinea ancora il papa - si iscrive pure l’effettiva
considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono
nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale
motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono
queste - avverte - i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare
anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa”.
Di fronte alla tentazione “di ridurre il cristianesimo ad
una sapienza meramente umana” che sostituisce “il credere con il fare” e ha
condotto ad “una graduale secolarizzazione della salvezza”, Benedetto XVI
sottolinea che “la salvezza” portata da Cristo “è integrale”, ed “è proprio a
questa salvezza integrale che la quaresima ci vuole condurre”. Rievocando gli
errori “compiuti nel corso della storia da molti che si professano discepoli di
Gesù e che, “non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, hanno
pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo”, il
papa osserva che ciò ha avuto “per alcuni come conseguenza la trasformazione
del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare”.
No,
dunque alla tentazione di “ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente
umana, quasi a una scienza del buon vivere”. Ricordando le parole di Giovanni
Paolo II, “in un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale
secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un
uomo dimezzato”, Benedetto XVI ribadisce il carattere “integrale” della
salvezza alla quale “la quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di
Cristo su ogni male che opprime l’uomo” (Besa/Roma).
ROMA
DIALOGO
CON LE CHIESE ORTODOSSE
Il 19 gennaio “L’Osservatore Romano” ha pubblicato
un articolo di mons. Eleuterio F. Fortino sul dialogo con le Chiese ortodosse
nell’ultimo anno. Lo riportiamo qui di seguito:
Nell’ultimo
anno si sono manifestate le condizioni positive per riavviare il dialogo
teologico fra
L’impasse di Baltimora
L’ultima
sessione plenaria della commissione si era avuta a Baltimora nel 2000 sul tema:
“Implicazioni ecclesiologiche e canoniche
dell’uniatismo”.
L’incontro era considerato come una
continuazione dello studio fatto a Balamand (Libano) nel 1993. Voleva essere un
approfondimento, passando da una considerazione di fatto - la realtà storica
della nascita e della vita delle Chiese orientali cattoliche e il dichiarato
riconoscimento del loro diritto di esistere e di operare - ad un’analisi di
carattere ecclesiologico e canonico. A Baltimora non si era raggiunto alcun
accordo. Si era pubblicato solamente un comunicato informativo. Quel comunicato
dato alla stampa era stato esplicito: “Le
discussioni in questa sessione plenaria sono state ampie, intense e
approfondite. Tuttavia, poiché nessun accordo è stato raggiunto sul concetto
teologico di base dell’uniatismo, è stato deciso di non avere, per ora, alcuna
dichiarazione comune”. Tuttavia era stata espressa la volontà di cercare
vie nuove per affrontare il problema: “La
commissione ha avvertito la necessità che si intraprenda uno studio ulteriore
delle questioni teologiche, pastorali, storiche e canoniche relative al tema”.
In
questo senso vi era un appello alle Chiese in dialogo, come si dichiarava nel
comunicato: “I membri informeranno le
proprie Chiese, le quali indicheranno come superare questo ostacolo affinché il
dialogo possa continuare serenamente”.Nonostante la difficoltà incontrata
la sessione di Baltimora non è stata
inutile. Ha individuato la vera natura del problema in discussione. La
nascita delle Chiese orientali cattoliche è strettamente connessa
all’affermazione del primato del vescovo di Roma nella Chiesa di Cristo.
Questa
presa di conoscenza porrà la problematica nella giusta luce. D’altra parte il
dialogo ecumenico non potrà evitare di affrontare direttamente questo storico
problema ecclesiologico. Negli anni seguenti, la questione di come riprendere e
continuare il dialogo è stata presente nelle preoccupazioni della Chiesa
cattolica, del Patriarcato Ecumenico e di molte altre Chiese ortodosse nei loro
regolari contatti.
L’accordo pan-ortodosso.
I
rappresentanti designati dalle Chiese ortodosse per il dialogo con
Per
la questione della tematica da affrontare nella nuova fase che si apre, i
partecipanti all’incontro hanno recepito l’orientamento che era emerso nei
contatti avuti negli ultimi anni. Il comunicato informa che “come è noto, tutte
le Chiese ortodosse hanno concordato che il tema dell’uniatismo, che ha
impegnato il dialogo negli ultimi dieci anni e oltre, bisogna
che sia continuato nell’ambito della ecclesiologia e con particolare
riferimento al problema del Primato nella Chiesa”. Per il dialogo – continua
il comunicato – “tutti i rappresentanti della Chiesa ortodossa hanno
concordato che la necessità di continuare il dialogo teologico sorge dal dovere
di tutti di ubbidire al comandamento del Signore di promuovere l’unità della
Chiesa”. I
partecipanti all’incontro pan-ortodosso “hanno eletto all’unanimità come
co-presidente della Commissione Mista del Dialogo, il rappresentante del
Patriarcato Ecumenico, il metropolita di Pergamo Giovanni (Zizioulas), docente
universitario e accademico”. Nell’incontro il rappresentante del Patriarcato di
Serbia ha informato che
Nei
giorni 13-15 dicembre 2005 si è incontrato a Roma il Comitato Misto di
Coordinamento per il dialogo teologico. Il comunicato concordato a
conclusione dell’incontro informa:
“Oltre
ai due Co-Presidenti della Commissione, Sua Eminenza il cardinale Walter Kasper
(Presidente del Pontificio Consiglio per
da parte della Chiesa ortodossa: il
metropolita Makarios del Kenya (Patriarcato di Alessandria), il metropolita
Pavlos di Aleppo (Patriarcato di Antiochia), il prof. George Galitis
(Patriarcato di Gerusalemme), il vescovo Hilarion di Vienna ed Austria
(Patriarcato di Mosca), il vescovo Ignatije di Branitsevo (Patriarcato di
Serbia), il vescovo Petroniu di Salaj (Patriarcato di Romania), il vescovo
Basilios di Trimithus (Chiesa di Cipro), il vescovo Athanasios di Achaia
(Chiesa di Grecia), il metropolita Ambrosius di Helsinki (Chiesa di Finlandia),
il metropolita Gennadios di Massima (Patriarcato Ecumenico – Co-Segretario
della Commissione);
da parte della Chiesa cattolica:
l’arcivescovo Ioannis Spiteris di Corfù, il vescovo Gérard Daoucourt di Nanterre,
il vescovo Brian Farrell (Segretario del Pontificio Consiglio per
In
apertura dell’incontro i co-presidenti hanno riaffermato lo scopo del dialogo
così come esso era stato
dichiarato al suo inizio nel
Il
Comitato misto di Coordinamento ha preso le seguenti decisioni:
La
prossima sessione plenaria della Commissione, su invito della Chiesa ortodossa
di Serbia, si terrà a Belgrado, dal 18 al 25 settembre 2006. Sarà la prima dopo
quella di Baltimora del 2000.
Durante
l’incontro è stato convenuto che, in continuità con i precedenti documenti
concordati dalla Commissione, il contesto generale del lavoro della Commissione
è la teologia della koinonia o
comunione, e che tale contesto necessita di essere rafforzato con un ulteriore
studio, in modo da permettere un dibattito più approfondito di due argomenti
tra loro correlati e centrali nel contesto delle relazioni tra le nostre
Chiese, cioè il primato del Vescovo di Roma e la questione de “l’uniatismo”,
oltre ad altre questioni in sospeso. Di conseguenza, è stato convenuto che la
prossima sessione plenaria a Belgrado studierà il progetto di testo preparato
nell’incontro del Comitato Misto di Coordinamento a Mosca, nel 1990, documento
che non è stato mai discusso dalla plenaria della Commissione: “Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche
della natura sacramentale della Chiesa: conciliarità ed autorità nella Chiesa.
Tale testo sarà studiato tenendo in considerazione i due argomenti
menzionati sopra”. I precedenti documenti riguardanti il tema della
comunione pubblicati dalla Commissione mista sono:
·
“Il
mistero della Chiesa e dell’Eucaristia, alla luce del mistero della Santa
Trinità” (Monaco di Baviera 1982);
·
“Fede,
sacramenti e unità della Chiesa” (Bari 1987);
·
“Il
sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in
particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e
l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, 1988).
Il
15 dicembre i membri del Comitato Misto di Coordinamento sono stati ricevuti in
udienza privata da Sua Santità Papa Benedetto XVI. Il metropolita Ioannis di
Pergamo si è rivolto a Sua Santità a nome del Comitato, ed ha riferito con
soddisfazione che “i preparativi della prossima riunione plenaria della
Commissione a Belgrado erano attualmente ben avviati”.
Rivolgendosi
al Comitato, Papa Benedetto XVI ha affermato che, in questa nuova fase di
dialogo, è necessario avere il primordiale desiderio di fare tutto il possibile
per ristabilire la piena comunione. Essa “è
comunione nella verità e nella carità. Non possiamo accontentarci di fermarci
lungo il cammino, ma con coraggio, chiarezza ed umiltà, dobbiamo cercare senza
sosta la volontà di Gesù Cristo, anche se essa non corrisponde ai nostri
semplici disegni umani”. La piena unità e la riconciliazione richiedono “la sottomissione della nostra volontà alla
volontà di nostro Signore”.
L’udienza
del Santo Padre ha sottolineato l’importanza di questo dialogo teologico ed ha
incoraggiato uno svolgimento sereno, profondo e leale verso la carità e la
verità. Il dialogo teologico è in sé difficile e spesso reso più complesso da
interferenze storiche e sociali.
Per
la maturazione dell’atteggiamento positivo espresso dal Comitato di
Coordinamento hanno contribuito molteplici contatti tra
Con
A
livello di contatti teologi va segnalato il IX simposio intercristiano tra
l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum e la facoltà teologica
ortodossa dell’Università Aristotile
di Tessalonica sul tema: “L’Eucaristia nella
tradizione orientale e occidentale con speciale riferimento al dialogo
ecumenico” (Assisi, 4 – 7
settembre 2005). Nel messaggio inviato al simposio il Santo Padre Benedetto XVI
ha sottolineato l’importanza dell’incontro e del tema affrontato il quale –
egli ha scritto – “è
molto significativo per la vita dei cristiani e per la ricomposizione della
comunione piena fra tutti i discepoli di Cristo”.
La
cooperazione culturale ha avuto un’altra manifestazione significativa.
Quest’anno
ROMA
NUOVI
STUDI SUL CRISOSTOMO
Nei
giorni 6-7 maggio 2004 si è tenuto a Roma presso l’Istituto Patristico
Augustinianum il “XXXIII Incontro di studiosi dell’Antichità cristiana” sul
tema “Giovanni Crisostomo – Oriente e Occidente tra IV e V secolo”. In due
poderosi volumi di 1450 pagine vengono ora pubblicati gli Atti dallo stesso
Institutum Patristicum Augustinianum (Roma 2005). Ne riportiamo l’indice:
I. STUDI E ASPETTI BIOGRAFICI
W.
Mayer, Progress in the field of Chrysostom Studies (1984-2004)
M. Wallraff, L'epitaffio di un
contemporaneo per Giovanni Crisostomo (“Ps.-Martirio”) Inquadramento di una
fonte biografica finora trascurata
R.
Willien, L'amicizia nelle opere di Giovanni Crisostomo
C. Nardi, il De pueris di Giovanni
Crisostomo passione educativa e gusto del racconto
I.M.
Bugàr, John Chrysostom and his contemporaries ~ the relative power of
words and images
S.J. Voicu, La volontà e il caso: la
tipologia dei primi spuri di Crisostomo
II. L'ESEGESI DEL CRISOSTOMO
I.
Ramelli, Giovanni Crisostomo e l'esegesi scritturale. Le scuole di
Alessandria e di Antiochia e le polemiche con gli allegoristi pagani
J.-N. Guinot, Les exempla
bibliques dans l’Ad Stagirium de Jean Chrysostome Proposition
d'une clef de lecture
D. Ciarlo, Terminologia esegetica in
Giovanni Crisostomo
H. Amirav, The
rhetorical expression of exegesis: the case of John Chrysostom
II.1. L'OMILETICA
P. Augustin, Pour une histoire du texte de
l'homélie chrysostomienne In kalendas (CPG 4328). Réflexion en
marge d'une nouvelle édition
F.P. Barone, Per un’'edizione critica delle Omelie
De Davide et Saule di Giovanni Crisostomo
R.
Romano, Il ritmo prosastico nelle Omelie per Eutropio di Giovanni
Crisostomo
A. Bastit-Kalinowska, Chrysostome et l'exégèse
des Homélies sur Matthieu: l'exemple de la péricope des mages (M. 2,
1-12)
A. Soler M. -J. Cebrián C. -J. Gil L. -R. Panach
R., La figura de la mujer en las Homiliás sobre San Mateo deJuan
Cris6stomo
E.
dal Covolo, L'omelia 50 del Crisostomo Sul vangelo di Matteo. Un "caso”
di sproporzione esegetica
S. Müller-Abels, Zurück
zu den Anfängen? Die Apostelgeschichtshomilien des Johannes
Chrysostomus.
C. Spuntarelli,
Μεσιτεία della preghiera e di Gesù
celeste in due omelie pseudo-crisostomiche di ambiente anomeo
A.
Piras, Influssi crisostomiani sull'omiletica di Antipatro di Bostra
II.2.
I COMMENTI
A.
Bottino, Il commento di Giovanni Crisostomo al cantico della vigna (Is
5, 1-7)
M. Cimosa, Il testo biblico usato nel Commento
a Giobbe di Giovanni Crisostomo
M. Signifredi, L'esegesi di Giovanni
Crisostomo sulla Parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31)
J.
Krò1ikowski, La precedenza ontologico-soteriologica di Gesù Cristo
nel commento all'inno di Col (1, 15-20) di Giovanni Crisostomo
J.-M.
Nieto Ibáňez, Mántica pagana y profecia cristiana en Juan Cris6stomo (In
Epistulam I ad Corinthios XXIX, l)
G. Bady, Questions sur l'authenticité du Commentaire
Pseudo-Chrysostomienne sur l'Ecclesiaste
III. ASCETISMO
G.
Piccaluga, Teatro, tempio, chiesa. La spazialità dello spettacolo in
Giovanni Crisostomo
A. Miranda, Lessico della santità e
lessico dello "spirituale” nelle opere di Giovanni
A.
Cioffi, Giovanni Crisostomo e il "vero” filosofo
C. Straw, Chrysostom 's martyrs: zealous
athletes and the dangers of sloth
L. Brottier, La pernanence d'un unique idéal de
perfection chez Jean Chrysostome
L. Neureiter, Die beiden Traktate des Johannes
Chrysostomus gegen das asketische Zusammenleben von Männern undFrauen: Adversus
eos qui apud se subintro-ductas virgines und Quod regulares feminae
viris coabitare non debeant
A. Orosz, La différence fondamentale entre
l'ascèse monastique et les taches des prêtres. (De sacerdotio VI, 5-8)
W.
Turek, Il sacerdote Eli nell'esegesi di Giovanni Crisostomo (Adversus
oppugnatores 3, 3
R.
Teja -M. Marcos, Modelos de ascetismo femenino aristocratico en la época de
Juan Crisostomo: Constantinopla y Palestina
C. Badilita, Figures
et biographies de femmes aux IV e V siècle
H. Scerri, The
social morality of John Chrysostom: the contribution of Adalbert Hamman
(1910-2000)
IV. RAPPORTI TRA LE CHIESE NEI SECOLI IV-V
S. Schima, Innozenz I..- Ein Zeitgenosse des Johannes
Chrysostomus und sein Kirchenbild
G.D. Dunn, Roman Primacy in the
correspondence between Innocent I and John Crysostom
M. A. Schatkin, John
Chrysostom and the Archives of Rome
S.
Acerbi, "Accusatore, testimone e giudice” Il ruolo del vescovo di
Alessandria nella Sinodo della Quercia e in altri concili posteriori
J. Torres, Ambiciones episcopales en época
de Juan Crisostomo: Geroncio de Nicomedia entre Oriente y Occidente
P.
Bruns, Johannes Chrysostomus und die Kirchedes Perserreiches
V. RAPPORTI TRA CHIESA E IMPERO
A. M. Ritter, Johannes Chrysostomus und das
Römische Reich im Gespräch mit neuerer Literatur
S. Zincone, Identità cristiana e
appartenenza alle strutture sociali nel pensiero di Giovanni Crisostomo
O. Pasquato, Giovanni Crisostomo e
l'impero romano
A. Saggioro, Il vescovo, l'imperatore e le
contese super religione (Codice Teodosiano XIV; 4)
S.C. Kessler, Kirche
und Staat in den Säulenhomilien des Johannes Chrysostomus: Mönche werden
Philosophen
A. Capone, L'imperatore Giuliano negli
scritti di Giovanni Crisostomo
F. Corsaro, Clero, popolo e potere
imperiale nella Costantinopoli del Crisostomo. Dal Sinodo della Quercia
all'esilio
K. Ilski ,Johannes Chrysostomus und Kaiser
Theodosius II
J. Rist, Chrysostomus,
Libanius und Kaiser Julian: Überlegungen zu Inhalt und Umfeld der Schrift De
Sancto Babyla contra Iulianum et gentiles (CPG 4348)
VI. GIOVANNI CRISOSTOMO E AGOSTlNO
D'IPPONA
R.
Brändle, La ricezione di Giovanni Crisostomo nell'opera di Agostino
F.
Trisoglio, Giovanni Crisostomo e Agostino dinanzi al Salmo 109 (Dixit
Dominus Domino meo)
S.
Jaskiewicz, Sulla retta fede intorno all'unigenito Figlio di Dio nei Commenti
al prologo di Giovanni (Gv 1, 1-18) di Giovanni Crisostomo ed
Agostino
M. Zelzer, Giovanni Crisostomo nella
controversia tra Giuliano d’Eclano e Agostino
S. Dagemark, John Chrysostom the
Monk-Bishop: a comparison between Palladios' and Possidisu' pictures of a
Bishop (Besa/Roma).
ROMA
PRESENTATO UN POSTUMO
DI TOMMASO FEDERICI
Alla
Libera Università Maria Assunta è stata presentata il 26 gennaio 2005 una nuova
opera lasciata inedita da Tommaso Federici (1927-2002), il secondo volume della
Collana “Cristo Signore Risorto amato e celebrato” su “La scuola di preghiera
cuore della Chiesa locale” (EDB, 2005 pp. 622, E 45). Il volume è introdotto da
un inquadramento sull’autore e sull’intento dell’opera da parte di mons.
Vincenzo Apicella.
L’iniziativa
della pubblicazione è stata presa dalla “Fondazione Tommaso Federici”
costituitasi con lo scopo, tra l’altro, di curare “la conservazione, la
sistemazione e la prosecuzione dell’opera culturale e teologica del suo
titolare”. Per presentare l’opera hanno preso la parola, oltre al vescovo mons.
Apicella, il cardinale T. Špidlik, autore di molte opere sulla storia della
preghiera e il rev. prof. Lamberto Crociani della Facoltà Teologica dell’Italia
Centrale.
All’occasione è stata data
lettura di una lettera del card. Carlo Maria Martini, già rettore dell’Istituto
Biblico dove il Federici aveva compiuto gli studi per la licenza. Ne riportiamo
integralmente il testo:
Eccellenza
Reverendissima,
Apprendo
con viva soddisfazione che si sta preparando una edizione di tutte le opere
edite e inedite del professor Tommaso Federici. Ho conosciuto personalmente
questo illustre studioso quando insegnavo a Roma al Pontifico Istituto Biblico
e l'ho sempre apprezzato molto. Era un uomo di grande cultura, buon conoscitore
della teologia, della liturgia, soprattutto delle tradizioni dell'Oriente, e
della Scrittura.
Era
inoltre dotato di un grande entusiasmo e di accesa passione per la verità.
Aveva anche un certo gusto polemico, ma sempre nel più grande rispetto per le
persone. Tra i suoi libri editi, avevo già avuto modo di apprezzare il primo
volume della serie Cristo Signore Risorto Amato e Celebrato, col commento al
lezionario domenicale e festivo dei tre cicli liturgici latini, preceduto da un
denso studio generale sul tema e il metodo delle omelie. Nel libro appena
uscito che ieri mi ha fatto avere "Cristo Signore Risorto amato e
celebrato: la scuola di preghiera cuore della Chiesa locale", ritrovo le
stesse caratteristiche che già conoscevo di lui. Egli intende in queste pagine
mettere a fuoco il progetto di una "scuola" che vuole inserita rigorosamente
nella Chiesa locale, diocesi e parrocchia. Il libro assume dunque l'andatura di
un trattato teologico ampio, dove si coniugano teologia, ecclesiologia e
spiritualità. L'autore sottolinea la funzione di maestro e di attore principale
che compete a Cristo nella preghiera e di conseguenza la centralità della
Chiesa, corpo di Cristo. Descrive poi gli elementi costitutivi della preghiera
e le caratteristiche che deve assumere una "scuola" che voglia
insegnare veramente a pregare.
Egli
intende con ciò fornire le basi per fondare quella che egli chiama anche
"scuola dell'amore di Dio", tenendo conto delle condizioni spirituali
della Chiesa e della pastorale nella storia e nell'oggi. Il suo punto di
partenza è uno sguardo disincantato sul presente. Egli sente che c'è un malessere
diffuso, magari nascosto da un consumismo soddisfatto di sé. Anche i
responsabili nei vari campi sembrano vivere come "sopra e fuori dei
fenomeni formidabili di una drammatica svolta epocale" (p. 39). Eppure è
fiducioso che anche in una situazione negativa come la presente sia possibile
riprendersi, ricominciare da capo, avviando il popolo di Dio sulla via del
conseguimento di quei grandi doni che il Signore riserva a quanti lo amano.
L'autore
auspica dunque che si costituisca finalmente con decisione in ogni diocesi e in
ogni parrocchia la scuola dell'amore di Dio o scuola di preghiera. Essa deve
partire nella diocesi dalla forte coscienza di essere Chiesa viva nella sua
completezza. Naturalmente egli suppone che sia la diocesi che la parrocchia possiedano
l'integrità delle strutture canoniche e siano in grado di farle funzionare. E
nota con qualche pessimismo come si sia tanto parlato di parrocchia missionaria
“ma con programmi privi di ricca dottrina nelle loro enunciazioni” (p. 48).
Anche nel descrivere l'attività del vescovo egli appare assai rigido. Secondo
lui il vescovo "deve limitare al massimo di perdere tanto tempo prezioso a
ricevere persone non immediatamente interessate alla pastorale del suo popolo
santo. Egli deve consacrare la sua azione immediata è diretta alla
pastorale" (p. 55).
Per
quanto riguarda la formazione dei clero, egli vorrebbe che si insistesse molto
di più sulla "necessaria formazione alla Santa liturgia" con
"l'esito naturale che porta a celebrare Cristo Signore nei suoi Divini
Misteri alla Mensa unica dell'Evangelo e del Pane e della Coppa" (p. 71).
Occorre per questo rinunciare "a programmi pastorali altisonanti ai quali
si è stancamente abituati, che sono in proporzione diretta vuoti di contenuti
dottrinali e velleitari, destinati a inevitabili e constatabili
fallimenti". Invece "con l'avvio alla preghiera che non si stanca
mai" e "con l'ordinata formazione alla vita missionaria, alla carità
del regno" i ministri opereranno per edificare la comunità di fede che è
il corpo della Chiesa (p. 71).
Dopo tali premesse egli passa a descrivere
gradualmente la fisionomia di questa scuola di preghiera e in essa il posto
della lectio divina. In essa “non si legge propriamente
L'autore non mostra molta simpatia per il
proliferare di tanti metodi di lettura e di concentrazione: “Nella preghiera il
Signore per così dire esce incontro agli uomini, e gli uomini escono incontro a
Lui.
Escono
quindi anche da qualsiasi metodo di preghiera. Poiché qui qualsiasi metodo
umano di preghiera costringerebbe gli uomini a stare attenti ad esso, e li
distrarrebbe dall'assoluto divino che nella libertà viene ad essi” (p. 398).
Egli passa in rassegna i momenti classici della lectio, cioè il leggere, il
meditare, il pregare e il contemplare, collocando ciascuno di essi nell'ambito
della Scrittura e della Tradizione. Non posso qui riassumere quanto è detto
ampiamente a questo proposito, perché si tratta di una esposizione assai
analitica e ragionata. Voglio solo notare che si sente in ogni pagina tanta
passione apostolica e pastorale e tanto desiderio di far comunicare al mistero
grande che l’autore contemplava e di cui viveva intensamente.
Non
tutti si troveranno d'accordo con
tutte le affermazioni dell'autore, in particolare; con i giudizi di carattere
storico o riguardanti l'attualità pastorale. Tuttavia si ascolta volentieri il
frutto dei suoi studi e della sua esperienza, soprattutto quando sono
comunicati con tanta sincerità. Sta poi a ciascun pastore accogliere ciò che
gli appare utile per il suo gregge e trovare la formula giusta per i suoi
fedeli. Per quanto riguarda la descrizione concreta della lectio divina, mi
ritrovo in molto di ciò che egli dice e penso che questa è sostanzialmente la
via per la quale occorre procedere per mettere in pratica il concilio Vaticano
II.
Si compiono in questi giorni
quarant'anni dalla conclusione di questo Concilio, che nel capitolo sesto della
Dei Verbum ha esposto un vero e proprio programma pastorale per le diocesi a
riguardo del rapporto dei singoli fedeli con
Non c'è che da augurarsi che questo libro infonda coraggio ed
entusiasmo per camminare sulla stessa via, così da portare tutti i fedeli a
contatto con quella Parola che "interpella, orienta e plasma
l'esistenza" (cfr Giovanni Paolo II, Novo Millennio ineunte, n. 39), e ciò
con l'aiuto di quella lectio divina che, come ha detto recentemente Papa
Benedetto XVI, va ritenuta "quale punto fermo della pastorale
biblica" e "va perciò ulteriormente incoraggiata, anche mediante
l'utilizzo di metodi nuovi, attentamente ponderati, al passo dei tempi"
(Discorso ai partecipanti al congresso mondiale sulla "Sacra Scrittura
nella vita della Chiesa", 14-18 settembre 2005).
Carlo Maria card. Martini (Besa/Roma).
SANZIONI
PENALI NELLA CHIESA
Ci
è stata fatta la domanda su cosa prevede la disciplina in vigore su casi di abbandono
della fede cattolica (apostasia, eresia, scisma). Riportiano tre canoni del
CCEO, ricordando che il can.1436 §2 è stato riformulato in seguito al MP “Ad
tuendam fidem del 18 maggio 1998:
Can.
1436 §1: Colui che nega qualche verità da credere per fede divina e
cattolica o la mette in dubbio oppure ripudia totalmente la fede cristiana e
legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito come eretico o apostata con
la scomunica maggiore, il chierico può essere inoltre punito con altre pene,
non esclusa la deposizione;
§2:
“All’infuori
di questi casi, colui che respinge pertinacemente una dottrina proposta da
tenersi definitivamente, o sostiene una dottrina condannata come erronea dal
Romano Pontefice o dal Collegio dei vescovi nell’esercizio del magistero
autentico e, legittimamente ammonito, non si ravvede, sia punito con una pene
adeguata.
Can.
1437: “Chi rifiuta la sottomissione alla suprema autorità della Chiesa
oppure la comunione con i fedeli ad essa soggetti, e, legittimamente ammonito
non presta obbedienza, sia punito come scismatico con la scomunica maggiore.
Can.
1438: “Chi omette appositamente la commemorazione del gerarca nella Divina
Liturgia e nelle lodi divine prescritta dal diritto, se legittimamente ammonito
non si ravvede, sia punito con una congrua pena, non esclusa la scomunica
maggiore” (Besa/Roma).
MILANO
Ishni
(Albania) 1918 – Milano 2006
Il
7 febbraio 2006 è deceduto nella sua abitazione milanese il pittore Ibrahim
Kodra (Ishni/Albania 22 aprile 1918 - Milano 2006). Di famiglia musulmana, il
padre era capitano di marina e il giovane Ibrahim fu educato nella corte del re
Zogu, distinguendosi nello sport. Nel 1938 venne in Italia con una borsa di
studio per l’Accademia di Brera seguendo
corsi con Aldo Carpi, Carlo Carrà, Francesco Messina. Nel dopoguerra
partecipò ai movimenti artistici di
Guernica (1945),
di Lima (1947); a Roma nel 1948 conobbe Picasso al quale in
seguito ispirò la sua arte. Le sue opere sono sparse in tutti i musei del
mondo, dai Musei vaticani all’Australia. L’ultima sua esposizione nel 2003 è
stata realizzata a Tirana.
E’
stato più volte al Circolo italo-albanese di Cultura di Roma “Besa-Fede” e ha
visitato gli Albanesi d’Italia.
Il
quotidiano “L’Avvenire” (7.2.2006) ha scritto: “Confessando il suo sogno
più segreto di uomo e di pittore in una poesia ha scritto questi versi: Un
mondo senza tragedie. Chiaro. Pulito. Bello. Io cerco”.
Da
parte sua il “Corriere della Sera”, lo stesso giorno, concludeva così il
suo necrologio: “Nella trattoria delle mitiche sorelle Pirovini di Brera, aveva
barattato il suo lunghissimo conto con la promessa di convertirsi, lui
musulmano, al cattolicesimo: cosa che sarebbe effettivamente successa negli ultimi
anni della sua vita” (Besa/Roma).
COLLABORAZIONE
INTERCONFESSIONALE
PER
La
costituita Società Biblica Albanese – che comprende rappresentanti ortodossi,
cattolici ed evangelici – sta preparando la traduzione interconfessionale in
lingua corrente di tutto il Nuovo Testamento.
Ai
primi di gennaio 2006 è stata messa in circolazione la traduzione del Vangelo
di Giovanni (“Ungjilli sipas Gjonit”). La traduzione che ha avuto per testo
base “The Greek New Testamente” (Stuttgard, 2000), si presenta in una
lingua standard, pulita, sciolta e accurata. Faciliterà la lettura e la
comprensione alle nuove generazioni albanesi.
L’edizione
del Vangelo di S. Giovanni è stata proposta dalla Società Biblica in Italia ed
è stata finanziata dalla Caritas taliana per la distribuzione alle comunità
albanesi latine in Italia costituitesi dopo l’emigrazione degli anni 1990 e
seguenti.
Si
è così realizzata una positiva collaborazione ecumenica in Albania e in Italia
a servizio della Parola di Dio (Besa/Roma).
ROMA
CHIESA
DI S. ATANASIO
FESTE DESPOSTICHE O DEL SIGNORE
Nel
ciclo di mistagogia dell’anno liturgico bizantino, il 18 febbraio 2006, nella
sala di Circolo italo-albanese di cultura “Besa-Fede”, l’archimandrita p.
Giorgio Gharib del Patriarcato greco-melkita cattolico di Antiochia, ha tenuto
una lezione su “Le feste despositiche o feste del Signore”. Sulla base
dei testi liturgici (tropari, kontakia, canoni) ha presentato il significato teologico e l’ordo celebrativo
delle feste di:
Alla
luce della storia della salvezza - “l’anno liturgico nella tradizione bizantina
viene detto Anno di Grazia - per ciascuna festa ha riportato il senso
specifico e la sua relazione alle altre feste; ne ha sottolineato i giorni di
proeorzia (pre-festivi e di preparazione) e quelli di meteorzia
(post-festivi). La presentazione analitica dei testi liturgici, che esprimevano
il senso teologico della festa, veniva “illustrata e commentata” dalla
proiezione di un’ampia collezione di icone.
Ha
quindi presentato alcune feste “minori” come:
· La
traslazione del Mandilion da Edessa a Costantinopoli, 16 agosto;
·
· L’indizione,
1° settembre, con l’aggiunta recente della festa dedicata alla salvaguardia
dell’ambiente indetta dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I;
· Due
feste particolari nella Chiesa russa:
· La
tunica di Cristo, 11 luglio;
· La
festa del Cristo misericordioso, 1° agosto.
Una
chiesa bizantina colpisce fin dall’ingresso per la sua iconografia, che assume il
significato dell’accoglienza in un mondo trasfigurato e si trasforma in
immediata catechesi. L’icona nella Chiesa bizantina non è un oggetto di
ornamento ma fa parte della stessa celebrazione liturgica.
Il
relatore, dottore in Scienze Ecclesiastiche Orientali, con specializzazione in
liturgia, è stato docente di “Mariologia nelle Chiese orientali” alla
Pontificia Facoltà teologica “Marianum”
e di Liturgia orientale e sacramentaria presso
Ha
curato: L’edizione italiana degli “Inni di Romano il Melode” (Paoline,
Milano 1981);
I
testi mariani del primo millennio, Città Nuova, Roma, 4 volumi 1988-1991
(in collaborazione);
Testi
mariani del secondo millennio, Città Nuova, in corso, previsti 8 volumi.
Sulle
icone ha pubblicato le seguenti opere:
· Le
icone festive della Chiesa ortodossa, Ancora, Milano 1985;
· Le
icone mariane. Storia e culto, Città Nuova, Roma,1987;
· Icone
di santi. Storia e culto, Città Nuova 1990;
· Icone
di Cristo. Storia e culto, Città Nuova, Roma, 1993;
· Icone
di Natale. Storia e culto, Città Nuova, Roma 1995.
Negli
anni 1963-
Nell’introdurre
la serata il prof. Domenico Morelli ha espresso la necessità della
valorizzazione di persone provenienti dalle Chiese cattoliche orientali e
l’utilità dello scambio di esperienze.
Mons. Eleuterio F. Fortino
ha sottolineato il metodo usato per la conferenza: la parola e l’immagine, un metodo da valorizzare nella catechesi.
Il
diacono prof. Luigi Fioriti al termine ha messo in evidenza le linee portanti
della lezione e ricordato lo scopo mistagogico e liturgico di questo
ciclo di lezioni sulle feste dell’anno liturgico.
La
seconda lezione sulle “feste theomitoriche o della Madre di Dio” sarà tenuta dallo stesso relatore il 18 marzo
2006, sabato della III di quaresima in cui si fa l’Adorazione della preziosa e
vivificante Croce (Besa/Roma).
PRISHTINA
DUE
OPERE POSTUME
L’editrice
“Shpresa” di Prishtina ha pubblicato due opere postume dello scrittore arbëresh
Giuseppe del Gaudio in lingua albanese con traduzione italiana:
·
Trilogji
e Skanderbeut, 2005;
· Martirët
shqiptarë (1848-1864), 2006.
L’autore
è ben noto tra gli arbëreshë, ma anche nel mondo albanese in generale. E’
autore di pubblicazioni in italiano e in arbëresh. In arbëresh ricodiamo:
Dasma e Jaxerisë, Kroi i vjetër, 1972; Bisedin me Odihijitrjen, 1983;
Një kurorë vjershash për Kosovën, 1980; Vjershe malli,
Era nato a S. Nicola dell’Alto nel 1921, è deceduto
nel 2005. Aveva affidato i manoscritti delle due opere pubblicate postume al
sacerdote cossovaro Don Gergj Gjergji il quale ha svolto per alcuni anni il
servizio pastorale per gli emigrati albanesi a Crotone.
“Giuriamo,
giuriamo, giuriamo,
giuriamo
noi tutti compatti.
Chiamando
testimone questa notte,
che
si stende dovunque lentamente,
che
fin quando ci resta la forza,
contro
il nemico noi combatteremo come quest’oggi tutti quanti uniti, insieme con il
popolo albanese,
perché
libero torni il nostro suolo.
“I
martiri albanesi, 1848-1864 (Martirët shqiptarë) è una trilogia su un
episodio storico: la rappresaglia degli ottomani su un gruppo di cristiani
albanesi, torturati, mandati in esilio con una lunga sequenza di morti. Alla
fine alcuni ritornano in patria e ricordano l’evento.
Nella
forma del coro tutti quasi all’inizio della trilogia fanno una professione di
fede:
Siamo
cristiani con le mogli e i figli.
Viviamo
giornalmente da cristiani
E,
come i primi cristiani , non temiamo la morte”.
Il
curatore nella premessa dà l’informazione linguistica: “Del Gaudio ha scritto
nell’albanese standardizzato, conservando parole ed espressioni della parlata
arbëreshe. La traduzione italiana è dell’autore stesso” (Besa/Roma).
MOSCA
PREMIATO ANASTAS DI ALBANIA
Il
primate della Chiesa ortodossa di Albania, S.B. Anastas, ha ricevuto il premio
“per l’eccezionale contributo al rafforzamento dell’unità delle nazioni
ortodosse”. Il premio è stato conferito dalla “Fondazione internazionale per
l’unità delle nazioni ortodosse”. La cerimonia ha avuto luogo nella grande sala
della Cattedrale di Mosca dedicata a “Cristo Salvatore” (Besa/Roma).
CHIERI
VATRA
ARBËRESHE
A
Chieri (Torino) è stata fondata nel maggio 2000 una “Associazione Arbëreshe” in
cui si ritrovano gli italiani di origine albanese storicamente presenti in
Italia:
(C.P.
182-10023 Chieri; vicucci@tin.it; www.vatrarberesh.it).
Ne
è presidente il prof. V. Cucci.
L’associazione
promuove l’incontro sociale e culturale degli arbëreshë. Organizza un concorso
nazionale di poesia (Besa/Roma).
65
HESYCHIA
(8): “PER
L’uomo contemporaneo è con il fiato alla gola. La sua agenda è piena,
il tempo è contato, non riesce a realizzare gli impegni presi e gli imprevisti.
E’ affannato. Le preoccupazioni vere e artificiali sono grandi. La sua giornata
è inquieta e il suo animo spesso sconvolto. Un giorno ho citato ad un amico la
parola di Gesù “non affanarti”. Reagì con parole come queste: “Gesù! Gesù aveva
ragione, ma non viveva in questo nostro tempo”. Gli replicai: “E se Gesù stesse
parlando proprio del nostro tempo? E se avesse parlato proprio per te?”. Cambiò
discorso il mio amico. Eppure questo discorso non si può sviare a causa
dell’affanno dell’uomo. Esso fa perdere, il giusto orientamento, l’equilibrio,
la pace interiore.
1. L’insegnamento del Signore ai suoi discepoli e ai suoi seguaci
di ogni tempo è esplicito ed argomentato. Usa anche una terminologia popolare
indicando con il termine “anima” (psyche)
la vita - così come è tradotto nelle versioni moderne - e citando esempi
dell’esperienza quotidiana che toccano la ragione e il sentimento. “Per la
vostra vita (psyche) non affannatevi di quello che mangerete o
berrete, e neanche per il vostro corpo (soma) di quello che indosserete”
(Mt 6,25). In realtà sono tre esigenze reali per vivere (mangiare, bere,
vestirsi) che si sollevano quotidianamente all’uomo di ogni epoca. “Si tratta
infatti di bisogni elementari e legittimi: il difetto dell’uomo o del credente
non è quello di avvertirli, ma di avvertirli senza fiducia” (Pierre Bonnard). Gesù
usa spesso la ragione per proporre argomenti che tutti possono capire. A questo
punto presenta l’esperienza comune e chiede: “Chi di voi, per quanto si dia da
fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Mt 6, 27). La
preoccupazione per la vita si estende al futuro: casa sarà di noi, cosa mangeremo,
come ci vestiremo. Il domani è sempre incerto e causa di apprensioni, di
inquietudini, di angoscia. Gesù libera i suoi da questo stato d’animo, anche
comprensibile. “Non affanatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già
le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6, 34). I
problemi seguono quotidianamente l’uomo. L’inquietudine è forse naturale
nell’uomo, ma il credente dovrebbe superarla con la fiducia in Dio.
2 Per aprire l’orizzonte mentale dei suoi discepoli Gesù
attira la loro attenzione su quanto accade intorno ad essi. Con due brevi
immagini che costituiscono una delle pagine più poetiche del Nuovo Testamento.
Invita a guardare gli uccelli del cielo: “Non seminano, né mietono, né
ammassano nei granai. Eppure il Padre vostro li nutre” (Mt 6, 26). La
seconda è di analoga finezza: “Osservate come crescono i gigli del campo:
non lavorano e non filano. Eppure vi dico che neanche Salomone, con tutta la
sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt 6, 28). E direttamente a chi lo
ascoltava Gesù dice: “Se Dio veste così l’erba del campo, non farà di più a
voi, gente di poca fede?” (Mt 6,30). Questo stesso interrogativo dà la
risposta più profonda: l’inquietudine degli uomini e le preoccupazioni per scopi effimeri o quelle eccessive per obiettivi necessari è
causata dalla “poca fede”, non osservando né gli uccelli del cielo, né i gigli
del campo, non osservando né quanto avviene in cielo, né quello che
avviene in terra. S. Giovanni Crisostomo commenta mirabilmente questo
passo di Matteo e risponde ad una obiezione latente. “Allora, non si deve
seminare? Gesù non ha detto che non si deve seminare, né che non si deve
lavorare, ma che non si deve essere pusillanimi e lasciarsi tormentare dalle
preoccupazioni. Ha ordinato di nutrirsi, ma senza angustiarsi” (Omelie sul
Vangelo di Matteo 21, 3). Egli riporta un versetto del salmista: “Apri
la tua mano e sazi la fame di ogni vivente” (Sal 144 (145), 16). E
conclude: “E’ evidente che non il nostro
sforzo, ma la provvidenza di Dio, compie tutto anche in ciò che ci sembra di
operare noi” (Ibidem).
3. L’uomo ha bisogno di mangiare per vivere, di bere, di
vestirsi. Così per attenerci ai tre bisogni segnalati da Matteo. La
preoccupazione angosciosa per essi è propria dei pagani (ethne),
cioè dei non credenti. Gesù dice ai suoi: “Il Padre vostro celeste
infatti sa che ne avete bisogno” (Mt 6,32). Non solo, ma aggiunge
un’affermazione che rasserena l’animo umano: “Tutte queste cose vi saranno
date” (Mt 6,33). La fiducia in Dio guarisce dall’inquietudine
esistenziale.
Osservazione
conclusiva
La
ricerca dell’essenziale e il giusto ordine nelle cose creano le condizioni per
la creazione di uno stato d’animo ordinato e sereno. A questo si aggiunge la
fiducia in Dio, nella sua provvidenza. Se Dio nutre gli uccelli dell’aria, se
dà bellezza ai gigli del campo, tanto più avrà cura dei suoi figli che egli
stesso ha creato. Questa sicurezza interiore sorregge il credente anche per
superare le difficoltà che sconvolgono l’anima e il corpo (dubbi, malattie, avversità
economiche). La serenità nell’anima è una conquista di una grande ascesi nella
fede (Besa/Roma).
Roma,
5 marzo 2006, Domenica dell’Ortodossia.
Circolare
febbraio 2006 181/2006
I detti di Gesù (39): “Perché avete paura, uomini
di poca fede”?........................................... 1
NAPOLI: Convegno Internazionale su Giorgio
Castriota Scanderbeg........................................ 2
ROMA: Deceduto Vittorio Peri................................................................................................ 8
LUNGRO: Imerologhion 2006................................................................................................. 9
ROMA: Nuovi vescovi in Albania............................................................................................. 9
KOSSOVA: Deceduto il vescovo Mark Sopi........................................................................... 9
KOSSOVA: Deceduto Ibrahim Rugova................................................................................. 10
VACCARIZZO ALBANESE: Deceduto papàs Selvaggi........................................................ 10
ROMA: Mostra sugli arbëreshë.............................................................................................. 10
LUNGRO: Nuove ordinazioni................................................................................................ 10
ROMA: Significato del II sinodo intereparchiale
..................................................................... 10
ROMA: Hesychia: Là dov’è il tuo tesoro,
sarà anche il tuo cuore............................................ 11
Tà lòghia – I detti di Gesù (39): “Perché
avete paura, uomini di poca fede”?
L’uomo di fronte al pericolo teme. I
discepoli si trovano in mare su una barca sballottata dai flutti. E’ presente
Gesù, ma dorme. E i flutti sono alti e minacciosi. Matteo usa una terminologia
apocalittica, tanto per sottolineare il grande rischio che correva la barca con
i discepoli, quanto per dare al racconto miracoloso una visione più ampia, con
risonanze bibliche. “Si scatenò nel mare una tempesta grande” (seismòs mègas
eghèneto). Il mare in tempesta nella tradizione biblica rappresenta le
forze contrarie a Dio, ma che Dio vince. La “creazione è la vittoria di Dio sul
caos, sullo Yam, sul mare” (Ortensio
da Spinetoli). Dio fece passare il popolo eletto attraverso il mare;
Cristo cammina sulle acque del mare, calma la tempesta.
Gli apostoli si sentono perduti. Nel
pericolo si ricordano che Gesù è con loro. Ma dorme. Lo svegliano e chiedono
aiuto: “Siamo perduti! Salvaci, Signore” (Mt 8,25). La domanda sembra ripetere
una formula liturgica della comunità primitiva (Kyrie sōson imàs),
posteriore all’evento, ma del tempo in cui il Vangelo di Matteo è stato
scritto. Il titolo di “Signore” (Kyrios), che per sé è un titolo dato a
Gesù solo dopo la resurrezione, lo mostra chiaramente. Quella formula di
preghiera esprime la domanda fondamentale che l’uomo d’ogni tempo rivolge al
Signore. Ed è innanzitutto una professione di fede in Gesù Cristo.
I discepoli sono angosciati, si
sentono perduti, sommersi dalle onde del mare e del male. La loro fede in Gesù
è debole. E Gesù svegliato li rimprovera proprio per questo, li chiama “uomini
di poca fede” (oligopistoi). Spesso Gesù rileva nei suoi discepoli la
“poca fede” (oligopistìa) come quando li richiama ad avere fiducia in
Dio (Mt 6,30). L’assenza della fede, ma anche la fede immatura, “piccola”,
“poca”, rende l’uomo pauroso (deilòs, timido, vigliacco, vile, pauroso).
Questa domanda pone Gesù ai suoi: “Perché avete paura”? (Mt 8,26). Così traduce
L’immagine della barca sul mare sin
dai tempi antichi è stata vista come una delle rappresentazioni della Chiesa. “
napoli
Giorgio Castriota Scanderbeg
nella storia e nella letteratura
In
occasione del VI centenario della nascita del Principe Giorgio Castriota Scanderbeg,
presso il Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale dell’Università degli
Studi di Napoli “L’Orientale”, il 1-2 dicembre 2005 si è tenuto un Convegno
Internazionale su “Giorgio Castriota Scanderbeg nella storia e nella
letteratura”, organizzato dalla Cattedra di Lingua e Letteratura Albanese e dal
Comitato Nazionale per le Minoranze Etnico-Linguistiche in Italia del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali.
Vi
hanno partecipato studiosi italiani, specialisti di Storia dell’Europa Orientale
e di Storia medievale, oltre che di Lingua e Letteratura Albanese, e studiosi
dei paesi dell’Est europeo.
Il
Convegno non voleva essere solo un momento celebrativo, ma mirava soprattutto a
fare il punto sugli studi sul periodo storico (sec. XV) e sulla figura del
Principe albanese sotto il profilo storico e letterario.
Dalle
25 relazioni che sono state lette durante il Convegno è venuto fuori un quadro
ampio e approfondito che ha soddisfatto tutti i partecipanti. Numeroso e
selezionato è stato l’uditorio che ha seguito i lavori con assiduità e
attenzione.
A
conclusione dei lavori è stato possibile sintetizzare le tendenze che si sono
profilate durante tutti gli interventi.
Due
tendenze sono emerse con una certa insistenza: da un lato la corrente filo-cristiana,
che vedeva nel Principe un difensore del blocco cristiano con spirito da
crociato; dall’altro un Principe più laico che, pur utilizzando con
intelligenza la diplomazia delle alleanze, mirava a difendere l’identità del
suo popolo che stentava ad amalgamarsi per dare vita alla nascente Albania.
Le
due tendenze si sono integrate perfettamente, in una dialettica estremamente
costruttiva, tendenti a mettere in luce l’obiettività storica, senza la
consueta retorica agiografica, che ha per lo più inficiato le riflessioni dei
convegni passati.
Più
che fermarsi al mito che ha circondato la figura del Principe, soprattutto nei
riflessi letterari, i relatori hanno analizzato le ragioni perché un
personaggio storico, che si è confrontato con successo con strateghi quali i
sultani Murad II e Mehmet II, il Conquistatore di Costantinopoli, sia assurto a
mito non solo nell’immaginario popolare albanese, ma di tanti altri popoli che
lo hanno immortalato nelle pagine letterarie.
Altra
novità di rilievo che ha caratterizzato il Convegno riguarda gli aspetti
inediti che molti relatori hanno portato a conoscenza con i loro interventi,
sia di carattere documentario storico, sia di carattere letterario.
Si
è ribadito che la pubblicazione dell’inedito porta luce nuova e mette in
evidenza lo spessore del personaggio, inquadrato nel contesto storico e
culturale degli avvenimenti del XV secolo.
Sono
queste alcune delle novità metodologiche che hanno contraddistinto i lavori del
convegno.
A
conclusione del Convegno, tuttavia, è stata evidenziata la necessità di
continuare negli studi sulla figura del Principe albanese nel confronto anche
con il versante ottomano. Ciò ha suggerito un aggiornamento dei lavori in un
secondo Convegno Internazionale da tenersi fra due anni, sempre a Napoli presso
l’Università “L’Orientale. Durante la fase preparatoria dei due anni che
intercorrono si creeranno le condizioni per un confronto con studiosi
dell’impero ottomano e con turcologi di varie università europee ed orientali.
Il
tema, che si prevede già da ora di grande attualità, anche per gli eventi che
interesseranno
I
relatori, già un mese prima dell’inizio del Convegno appena concluso, avevano
fatto pervenire alla Segreteria
organizzativa i riassunti delle proprie relazioni, che stampati in una elegante
brochure hanno permesso a tutti i partecipanti di seguire con proficuità i
singoli interventi.
Li
proponiamo qui di seguito ai nostri lettori.
Sergio Bertolissi
(Università
di Napoli L’Orientale)
giorgio castriota scanderbeg: una strategia per l’unificazione
dell’Albania
Giorgio
Castriota Skanderbeg (1405-1468) è generalmente noto come il grande condottiero
che sconfisse più volte gli eserciti ottomani di Murad II e del successore
Mehmet II e come unificatore, anche se temporaneo, dell'Albania.
Un
altro aspetto che mi sembra rilevante nella sua vicenda è proprio la difficoltà
di unificare i clan sparsi del suo Paese e renderli effettivamente consapevoli
della necessità dell'unità, come rilevò nel suo discorso sull'unità nazionale
all'incontro di Lezhë (Alessio) nel 1444.
D’altronde
la necessità dell’unificazione delle forze non interessava solo la compagine
interna albanese, ma tutte quelle forze che si opponevano all’espansione
ottomana verso occidente, tra le quali spesso gli interessi particolari avevano
il sopravvento su quelli generali.
Giovanna Motta
(Università
di Roma
i turchi, il mediterraneo e l’europa
La
relazione traccia le coordinate generali degli equilibri economici e politici
dell’area mediterranea in età moderna, con riferimenti all’economia “aperta”
del ‘500 e agli scambi interculturali fra sud e nord d’Europa, territori extra
europei e area adriatica con il Levante ottomano.
Adriano Papo
(Università
di Udine)
giovanni hunyadi e giorgio castriota
scanderbeg. da avversari ad alleati nella lotta
antiottomana
Nel
novembre del 1443 Giovanni Hunyadi e Giorgio Castriota Scanderbeg si trovano di
fronte, come avversari, sulle rive della Morava; da quel momento diventano
invece, senza sottoscrivere accordi reciproci, avversari d’un comune nemico. Il
lavoro ripercorre la lunga campagna del 1443 di Giovanni Hunyadi culminata
appunto nella battaglia della Morava, allorché Giorgio Castriota abbandonò
l’esercito ottomano e, tornato in patria, raccolse tutte le forze del suo
popolo per una rivolta generale contro il dominio osmanico. Viene quindi
discussa l’autenticità di una lettera con cui il re d’Ungheria, Vladislao I
Jagellone, sollecitò l’alleanza di Scanderbeg nella campagna antiturca del
1444, che si concluse con la famosa battaglia di Varna, e quella della
successiva risposta del Castriota. Si fa quindi cenno all’alleanza tra Hunyadi
e Scanderbeg siglata in occasione della campagna antiottomana del 1448, che
ebbe un epilogo infausto nella seconda battaglia del Cossovo.
Gaetano Platania
(Università
di Viterbo)
unione delle chiese, lotta anti-turca e idea
di crociata in età moderna. il greco
bessarione, detto il cardinale niceno,
un quasi contemporaneo di gjergj kastriot skënderbeg
In un convegno dedicato alla personalità del principe
albanese Gjergj Kastriot detto Skënderbeg, figlio di Giovanni e di Voissava
Tripalda, nato a Kruja oggi nell’Albania centrale, è assai difficile, almeno
per me, studioso del Seicento e particolarmente attento ai temi dedicati ai
rapporti romano-polacchi, poter aggiungere qualcosa di serio o innovativo a ciò
che già si è detto o si dirà nell’occasione dell’incontro di Napoli. Tutti ben
sappiamo che Skënderbeg è stato l’eroe che seppe riunire principi e capitani
albanesi in una lega capace di resistere, tra il 1443 al 1468, ai continui
attacchi dell’esercito turco capeggiato dal sultano Murad II in persona.
Attacchi che avevano il preciso scopo di annientare una resistenza che metteva
in discussione la supremazia dei nuovi conquistatori che, dopo la caduta di
Bisanzio, non ancora soddisfatti di essersi fatti padroni dell’area del sud-est
europeo, puntavano ad allargare le loro conquiste.
Proprio perché la figura di Gjergj Kastriot detto
Skënderbeg è così nota al grande pubblico, il mio intento è, al contrario,
quello di soffermare l’attenzione sulla figura del Bessarione, il cardinale
Niceno, un quasi contemporaneo dell’eroe
albanese, noto per aver perseguito durante tutta la sua vita due grandi ideali:
1) organizzare una crociata con lo scopo di salvare Costantinopoli dalla
conquista turca; 2) difendere, per quanto possibile, i tesori della cultura
greca caduta nelle mani degli infedeli. Due progetti politici e morali che non
ebbero, però, l’esito sperato. Bessarione seppe tuttavia conquistarsi il rispetto
e la considerazione di “uomo grande e degno d’immortale memoria”, nelle parole
di Enea Piccolomini, di uomo “di lettere e di santità”, come diceva lo storico
gesuita Famiano Strada [1572-1649], e ancora di “uomo molto esemplare” secondo
Girolamo Garimberti [1506-1575] vescovo di Gallese, amico di Bernardo Tasso e
dell’Aretino. Inoltre, la sua figura è legata al Concilio di Ferrara-Firenze,
in quanto la sua opera fu di strenuo sostenitore delle decisioni conciliari, ma
è anche legata alla promozione e all’incontro fra l’Umanesimo italiano e la
cultura greco-bizantina, un aspetto profondamente sentito dal nostro teologo e
dal bibliofilo.
(Università
di Lecce)
scanderbeg nei libri di storia del xvi e xvii
sec.
Anche
prima della caduta di Costantinopoli (29 maggio 1453) era chiaro che le
conquiste dei sultani non si sarebbero limitate all’Impero Bizantino. Perciò
Giorgio
Castriota Scanderbeg
(Discendente del Principe albanese)
castriota skanderbeg
C’è
chi vuole attribuirsene una discendenza diretta e legittima a dispetto di quanto
sostengono i maggiori storici e chi, come il dott. Giorgio Castriota
Scanderbeg, ritiene più realisticamente di aderire alle prevalenti tesi ed
indagini genealogiche che negano quella possibilità, ma che naturalmente non
smentiscono che gli attuali Castriota Scanderbeg portino a pieno diritto quel
cognome pur se derivato da linee parallele o naturali. La questione è tuttora
aperta e per chi volesse ricavarne un personale ed originale convincimento sono
disponibili gli archivi dello Stato e quelli della Chiesa ancora non
completamente esplorati.
Il
Principe Giorgio Castriota ha parlato brevemente della sua ascendenza
raccontandoci alcuni particolari a lui noti per conoscenza personale o
riportata negli ultimi due secoli.
Turcuş Şerban
(Università di Cluj)
La
cosiddetta tarda crociata è un tema ricorrente nella medioevalistica romena con
riferimento soprattutto al XV secolo, contraddistinto da grandi principi romeni
come Iancu de Hunedoara, Stefano il Grande o Vlad Tepeş. Al sud del
Danubio confine naturale tra i Balcani e le terre romene, l’unico partner nella
lotta antiottomana è stato, a meta del XV secolo, il grande eroe albanese
Giorgio Castriota Skanderbeg. In questa prospettiva di congiunzione di
interessi e di collaborazione è impostato il riflesso storiografico dei
rapporti romeno-albanesi nel Quattrocento. Tra gli studiosi che hanno
consacrato pagine di storia a Skanderbeg
annoveriamo Costantino Marinescu, Francisc Pall, Camil Mureşanu.
Fra tanti storici, tuttavia, si distingue Francisc Pall che non si è soffermato
sulla figura di Skanderbeg per evidenziarne soprattutto la prevalenza romena
nella lotta antiottomana, ma ha studiato il ruolo balcanico ed europeo del
Principe albanese.
Shaban Sinani
(Istituto
di Linguistica e Letteratura di Tirana)
giorgio castriota scanderbeg: una figura del
rinascimento europeo
Il
Principe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg è stato definito “campione della
cristianità”, “difensore della civiltà europea” e ancor meglio “protagonista
del Rinascimento europeo”.
Il
biografo Marino Barlezio è tra i primi a considerarlo figura tipica
dell’umanesimo albanese, con una statura balcanica ed europea, oltre che
fondatore dell’Albania moderna, realizzata attraverso l’unificazione dei
Principati albanesi. E’ interessante leggere alcuni documenti di prima mano che
legano la figura di Scanderbeg alla S. Sede, alla Repubblica di Venezia, ai Re
di Napoli Alfonso e Ferrante D’Aragona.
Il
concetto di Rinascimento europeo non è una nozione geografica, ma un movimento
che accomuna molti popoli che hanno saputo dare vari contributi alla
costruzione dell’era nuova.
L’Italia
ha dato grandi pittori (Michelangelo, Raffaello, Leonardo Da Vinci);
Pietro De Leo
(Università
della Calabria)
scanderbeg nella stroriografia
“contra
turcos”
La
produzione storiografica occidentale, dagli inizi della stampa alla Rivoluzione
Francese, è stata particolarmente attenta nel porre in risalto la figura e
l’opera di Giorgio Castriota Scanderbeg, come dimostra l’ampia serie di saggi,
oltre 300, pubblicati in tale periodo. Di essi ben 53 furono stampati a Venezia
sui 92 editi nel territorio italiano. La chiave di lettura della biografia
dello Scanderbeg è la dichiarata guerra “contra Turcos” e lo spirito di
crociata. Saranno esaminate le opere stampate in Italia, anche in relazione con
le fonti da esse adoperate.
Willy Gjon Kamsi
(Ambasciatore – Scutari)
vocazione cristiana ed europea
di giorgio castriota scanderbeg
Le mire dei turchi avevano come obiettivo la loro
espansione non solo nei Balcani, particolarmente in Albania, ma verso tutta
l’Europa. L’opposizione più decisa fu quella di un Grande del XV secolo,
Giorgio Castriota Scanderbeg e del suo Popolo.
La formazione cristiana del nostro Eroe è la premessa a
tutto lo svolgimento degli avvenimenti che seguirono al suo ritorno in Patria
ed essa si riflette poi nei diversi importanti personaggi che lo attorniavano,
appartenenti alla Chiesa Albanese.
Il suo orientamento europeo si realizza nelle alleanze
con le potenze cristiane dell’epoca, rappresentate anche da Raguza e Janos
Hunyadi, le quali, sebbene non rappresentino l’Europa Occidentale, sono
comunque una espressione dei medesimi ideali nella difesa dall’invasore
ottomano.
Ivan Biliarsky
(Università
di Sofia)
la “terra albanese” nel sistema amministrativo
del secondo impero bulgaro
La
comunicazione tratta di uno studio su una delle circoscrizioni amministrative
del Secondo Impero Bulgaro, detta “Terra Albanese”. La fonte di informazione è
data dal testo “Privilegium per i Ragusani” dello Zar Giovanni II Asen (1230).
Si analizza il tipo di unità amministrativa, chiamata “terra”, rispetto ad
altre circoscrizioni (“chora”, “regione”, “confine”, “paese”, “kleisura”),
oltre alla definizione dei limiti territoriali della “Terra Albanese”. Va
sottolineato che la “Terra Albanese” è l’unica regione denominata “Terra” e
l’unica ad avere un appellativo etnico.
Tutto
ciò ci offre l’opportunità di inquadrare la questione all’interno dello sviluppo
storico del popolo albanese.
Antonello Biagini
(Università
di Roma
le “diaspore albanesi” nel corso dei secoli
La
relazione esamina le “diaspore” albanesi a partire dalle più lontane – in particolare
dopo l’epopea di Scanderbeg - che hanno portato gli abitanti di quelle terre a
diffondersi nei Balcani, in Adriatico, verso l’Italia e il contributo dato alle
vicende italiane, fino agli avvenimenti recenti degli anni Novanta con la
descrizione correlata dei vari momenti politici (la dominazione ottomana, lo
Stato nazionale, il regime comunista, le difficoltà del nuovo sistema
politico).
(Università
di Zagabria)
Nella
prima parte del presente lavoro l’Autore esamina la situazione dei territori
albanesi dal 1272, anno dello sbarco in Albania di Carlo I d’Angiò, e fino al
1443, anno del ritorno di Giorgio Castriota Skanderbeg a Kruja. Un’analisi
particolare e documentata viene fatta alla situazione sulla costa albanese ed
ai rapporti dei principi albanesi tra loro e con i loro vicini balcanici. Sono
importanti le valutazioni sulla religione: lo scontro e la convivenza
dell’ortodossia bizantino-greca e del cattolicesimo romano nei territori
albanesi. Poi si arriva alla famiglia del padre di Skanderbeg e alle notizie ed
ai documenti sulla sua vita.
Il
ritorno a Kruja di Skanderbeg il 27 novembre 1443 e la convocazione del
Convegno di Lezha, nella Chiesa di San Nicola, il 2 marzo 1444, sono momenti di
grande importanza storica nell’opera di Scanderbeg e nella vita dell’Albania.
Si
tratta della prima alleanza politico-militare organizzata dai principi albanesi
contro i turchi che durò per 25 anni sotto la guida di Skanderbeg.
Ignazio Parrino
(Università
di Palermo)
scanderbeg e bessarione nella tradizione
socio-politica e culturale dei greco-albanesi d’italia
Il
ricordo di Scanderbeg e di Bessarione è stato sempre vivo presso i
Greco-albanesi d’Italia, sia a livello colto che popolare.
Nel
Seminario greco-albanese di Palermo nella lunetta del portone d’ingresso e in
alcuni manoscritti in esso conservati si vedono due braccia reggenti la croce:
lo stemma di Giovanni di Trebisonda, del Cardinal Bessarione.
Il
ricordo di questi due personaggi ha guidato per cinque secoli, fino ad oggi, la
vita sociale e culturale dei Greco-albanesi di Sicilia ed in parte anche
d’Italia nel suo svolgimento e nel suo influsso sulla società italiana ed
oltre.
Il
Bessarione per rispetto dei militari albanesi mandati da Scanderbeg in Italia
nel 1448 e attestatisi a Bisir, fatto vescovo di Mazara in Sicilia, avviò i
loro rapporti col monastero di S. Salvatore di Messina di cui era
commendatario.
Sotto
la sua guida, di Costantino Lascaris e di tanti altri, si consolidò l’impegno
per la conservazione e la cura scientifica del rito bizantino e della cultura
classica, assieme alla costante aspirazione all’unione delle chiese greca e
latina.
Attilio Vaccaro
(Università
della Calabria)
lo sviluppo degli studi su giorgio castriota
scanderbeg
L’ampiezza
degli studi relativi a Giorgio Castriota Scanderbeg è derivata dall’interesse
che questa figura storica, eroe della resistenza cristiana contro l’avanzata
ottomana, ha suscitato in quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della storia
dei Balcani nel secolo XV. Tale sensazione di ampiezza d’intenti e di risultati
si fa certo più concreta se passiamo a considerare lo sviluppo della
storiografia castriotiana, dalle opere più antiche considerate fino a qualche
decennio addietro fonti di assoluta veridicità ed imparzialità (m. barletius, Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis, Roma
s.d.; g. m. biemmi, Historia di Giorgio Castriotto detto
Scander-Begh, Brescia 1742), ai contributi più recenti (y. jaka, Skënderbeu në historiografinë frënge, Prishtinë 2001; k. frashëri, Gjergj Kastrioti Skënderbeu. Jeta dhe vepra, 1405-1468, Tiranë
2002).
Attraverso
una mirata ricognizione storiografica (secc. XVI-XXI) si indicherà, quindi, a
grandi linee il progresso degli studi dedicati a Scanderbeg, menzionando solo
le opere più significative nonché gli studiosi più importanti.
Imri Badallaj
(Università
di Prishtina – Kosova)
nella
rivista “ekskluzive”
Scanderbeg
è un personaggio di capacità straordinarie, rivelatesi nell’azione militare
contro l’invasione turca e nell’unificazione dei Principati albanesi.
In
un quarto di secolo la sua strategia militare risultò vincente nei confronti di
eserciti molto più numerosi del suo. Egli ha incarnato l’ideale della libertà e
del benessere di tutti i popoli, e pertanto anche di quello albanese. Le sue
gesta, la capacità strategica nell’arte militare hanno ispirato centinaia di
opere in tutti i campi: nella letteratura, nella scultura, nella musica, nel
folklore, nella pubblicistica, nella storia. A questo coro si è unita anche la
rivista mensile Ekskusive.
Questa
rivista ha pubblicato molti documenti e resoconti che il mondo della cultura
non conosceva prima. Studiosi attenti di questo personaggio considerato eroe
nazionale, quali Aleks Buda, Musa Ahmeti, Skënder Blakaj, Luan Malltezi, Jahja
Drançolli, Ibrahim Berisha, Kasem Biçoku, Sabri Hamiti, Valter Shtylla, Shaban
Sinani, Mustafa Ferizi ed altri, hanno pubblicato su questa rivista studi di
particolare interesse scientifico.
Amedeo Di Francesco
(Università
di Napoli L’Orientale)
un canto storico del cinquecento ungherese su
giorgio castriota scanderbeg
Giorgio
Castriota Scanderbeg è il protagonista di un canto storico in versi composto in
Transilvania da Miklós Bogáti
Fazakas nel 1579 e pubblicato la prima volta a Debrecen nel 1587. Il tema è la
lotta di Scanderbeg contro i turchi e la fonte utilizzata è la biografia
di Scanderbeg scritta in latino dall’umanista albanese Marinus Barletius
Scodrensis (Argentorati 1537). Il testo ungherese, pertanto, appare
interessante perché offre la possibilità di essere analizzato da tre punti di
vista: 1) il messaggio storico e l’ideologia professata; 2) la tecnica
compositiva collocata fra oralità e scrittura e che utilizza ampiamente lo
stile formulare della tradizione narrativa ungherese; 3) il livello comparativo
derivante dal confronto della riscrittura ungherese della vicenda storica ed
esistenziale di Scanderbeg con il testo-fonte.
Pierfranco
Bruni
(Ministero Beni e Attività Culturali)
immagini di
scanderbeg in uno scrittore
Sono due i temi di riferimento che hanno
permesso un approccio più immediato con il personaggio – simbolo di
Scanderbeg. 1. La sua particolare importanza come personaggio e come modello da
romanzare all’interno di un confronto tra storia, destino e avventura. Una
linea che supera la visione realista e fa emergere una figura tutta leggendaria
pur uscendo dal filone storico. Una rappresentazione tra l’onirico e il
metaforico. Un Alessandro Magno con tutto il suo alone di mistero e di fascino.
2. Per uno scrittore mediterraneo che è ben contestualizzato in una letteratura
profondamente mediterranea il confronto con Scanderbeg lo porta a rivisitare
quell’idea di Occidente ed Oriente che resta cara sia ad Omero che a Virgilio.
Letterariamente (in termini di una allegoria visiva) Scanderbeg potrebbe essere
considerato proprio come un personaggio dentro una griglia simbolica che
manifesta la difesa di una appartenenza per affermare una identità che è quella
cristiana tra le due culture: Occidente ed Oriente. Proprio per questo per uno
scrittore come me Scanderbeg è piuttosto un archetipo che trasmette valori
identitari e proprio per questo si presta ad una interpretazione fortemente
letteraria i cui codici esistenziali e storici diventano teatralizzabili nella
recita che occupa lo scenario dei nostri giorni.
Jorgo Bulo
(Istituto
di Linguistica e Letteratura di Tirana)
per una tipologia dell’epos su scanderbeg nella
letteratura albanese del romanticismo
Il
ricordo della resistenza albanese del sec. XV è diventata non solo parte della
loro coscienza storica, ma anche un fattore dello sviluppo della loro cultura.
Nelle ricerche per la creazione dell’epos nazionale incentrato su Scanderbeg si
sono delineate due tendenze tipologiche: il poema di contenuto romanzesco (G.
De Rada) e il poema di contenuto storico-nazionale (N. Frashëri).
Per
il primo tipo i fatti rappresentano lo sfondo storico dei drammi spirituali
dell’individuo e del suo conflitto con le istituzioni del tempo, per il secondo
tipo essi rappresentano la materia dell’intreccio del soggetto epico. De Rada
ha creato il romanzo della tragicità della storia albanese del XV secolo,
mentre Frashëri ha creato l’epos narrativo sul conflitto collettivo con i
dominatori.
Ymer Jaka
(Università
di Prishtina – Kosova)
scanderbeg nella letteratura francese
Questa comunicazione tratta del posto che Giorgio Castriota Scanderbeg
occupa nella letteratura francese, entro un periodo di quasi quattro secoli, in
una serie di opere di vario genere, pubblicate dal 1576 al 1950.
La
trattazione di questo tema parte dallo studio delle poesie di tre poeti
francesi, pubblicate come parti preliminari nella traduzione francese della Storia di Scanderbeg di Marin Barlezio nel
1576, di una delle quali è autore il noto poeta Pierre de Ronsard.
Quindi
si passa a trattare della collocazione di Scanderbeg nel poema Les Tragiques di Agrippa d’Aubigné. In
questo periodo, inoltre, incontriamo Scanderbeg anche nella prosa francese, nell’opera
Les Essais dello scrittore Michel de
Montaigne.
Oggetto
di studio sono anche cinque romanzi con Scanderbeg come protagonista, come pure
tre novelle e alcune opere drammatiche, tragedie, drammi e libretti d’opera, di
cui alcune sono state messe in scena.
Zeqirja Neziri
(Università
di Skopje)
scanderbeg nella letteratura croata
Scanderbeg,
accanto alle figure storiche balcaniche e mondiali del passato, occupa un posto
importante nella letteratura croata di tutti i periodi. Egli è presente sia
come figura storica del popolo albanese, sia come simbolo di libertà dei popoli
balcanici. Su di lui sono state scritte
opere di vario genere: lunghi canti epici (Grabovači e
Mioshiči, sec. XVII), tragedie (Shporeri, Zoričiči, Sakcinski,
sec. XIX), scritti storici e giornalistici (L. Gaji, F. Rački, Sh.
Lubiči, Gj. Dezheliči, Gj. Galaci, L. Mihačeviči, M.
Pavlinoviči). Nella rivista di Ludev Gaj Danica ilirska (1835-1849) Scanderbeg occupa il posto 42, accanto a
Napoleone (69), Marco Kral (46), Cola di Rienzo (28), al croato N. Sh. Zrinski
(24), o al russo Pietro I (38) e Alessandro I (28).
(Università
di Napoli L’Orientale)
scanderbeg
in “histori e skënderbeut”
di
naim frashëri
L’autore esamina l’opera Histori e Skënderbeut del poeta albanese della Rilindja (Rinascita) Naim Frashëri (1846-1900). Inizialmente viene
presentato l’autore e la sua opera in generale per arrivare poi all’opera
dedicata all’eroe nazionale albanese.
Tenendo presente il contributo della critica su quest’opera,
viene fatta una analisi della struttura del poema Historì e Skënderbeut ed in modo particolare della ridondanza, del
seriale, della ripetizione nella forma letteraria.
Historì e
Skënderbeut (Bucarest, 1898) è un poema con una struttura perfetta e
precisa in cui la ripetizione creativa è la parte essenziale della sua unità
strutturale e formale.
Costantino Nikas
(Università
di Napoli L’Orientale)
Giorgio Castriota Scanderbeg nell’opera di
Michele Critobulos
Michele
Critobulos (inizio XV sec. – Monte Athos 1470) dell’isola di Imbro, nella sua
opera Istorie descrive, in cinque
libri, i fatti e le vicende del Sultano Maometto II il Conquistatore, dalla sua
ascesa al trono nel 1450 fino alla morte 1467.
L’Autore
premette un’epistola dedicatoria al Sultano in stile solenne e adulatorio.
Nel
suo testo, anche se non parla dei momenti sfavorevoli e avversi di Maometto II,
non tradisce la sua gente e non falsifica la storia; anzi sottolinea le ragioni
e le lotte del popolo greco e degli altri popoli, Albanesi ecc., contro i
Turchi.
Il
V libro contiene, tra l’altro, le spedizioni di Maometto II, la prima e la
seconda, contro l’Albania e il popolo illirico, l’assedio di Cruja e le gesta
eroiche di Scanderbeg e della sua gente. Descrive il territorio, la topografia
dell’Albania e la disubbidienza del popolo. Sottolinea la resistenza del popolo
sotto la guida del suo comandante Scanderbeg e le difficoltà di espugnare
Cruja.
Agostino Giordano
(Direttore “Jeta arbëreshe”)
varianti in “shpata e skanderbekut ndë dibrët
poshtë” di b. bilotta
Bernardo
Bilotta, poeta e scrittore arbëresh di Frascineto (Cs), dedicò a Giorgio
Castriota Scanderbeg diverse poesie di argomento patriottico. Ma fin dagli
esordi poetici, scrisse sull’eroe albanese un intero poema: Shpata Skanderbekut ndë Dibret Poshtë.
Opera a cui dedicò ben quattro redazioni: le prime tre, incomplete, degli anni
1874, 1878 e 1888; e l’ultima, completa, del 1890: 12 canti con più di 10.000 versi,
senari e settenari, distribuiti in sestine. Dal numero delle redazioni si
capisce il valore che l’autore dava all’opera. Vi si racconta - in forma
naturalmente anche un po’ romanzata - la prima battaglia che Skanderbeg
combatte e vince contro i Turchi, invasori dell’Albania. Un argomento che nella
seconda metà del XIX secolo interessava non poco gli Albanesi che, da 400 anni
sotto il giogo turco, non vedevano l’ora di liberarsene. Quindi il poema
bilottiano mirava a infiammare gli animi albanesi e invogliarli alla lotta. La
redazione del 1890 è stata pubblicata – ma non in forma integrale – a Tirana
nel
In
questo studio vengono confrontate le varie redazioni - dal punto di vista
alfabetico, linguistico e lessicale, incentrando soprattutto l’attenzione sul
personaggio di Skanderbeg.
Italo Costante Fortino
(Università
di Napoli L’Orientale)
un poema inedito di g. a. nociti su giorgio
castriota scanderbeg
Opere
inedite della letteratura albanese della Diaspora albanese in Italia sono
custodite in varie biblioteche nazionali ed estere. Dopo la pubblicazione delle
Rëmenxa t’arbresha (Rime albanesi) di
Giuseppe Angelo Nociti (1832-1899), ora dello stesso autore disponiamo del
manoscritto di un poema dal titolo Ndihmja
e Krojës (La difesa di Cruja). Il poema, scritto nel 1857 e composto di tre
cantiche in versi endecasillabi, tratta dei preparativi per la difesa di Cruja,
capitale del Principato dei Castriota, contro l’armata di Murad II nel 1450,
dove spicca la figura di Scanderbeg che per più di un ventennio (1443-1468)
capeggiò la resistenza albanese contro l’invasione turca. L’Autore con il
ritorno alle origini della diaspora albanese pone a fondamento della Rilindja (Rinascita) la storia, la
letteratura e la lingua. Di notevole interesse, al di là del valore estetico, è
la lingua del Nociti che, nel mentre riflette gli arcaismi del XV secolo, si
presenta peculiare nella Wortbildung (Besa/Roma).
roma
e’ deceduto vittorio peri
Riportiamo
il ricordo dello storico Vittorio Peri, grande amico degli Arbëreshë, firmato
da Mons. Eleuterio F. Fortino per
L’Avvenire di Calabria:
Domenica
1° gennaio 2006 è deceduto dopo alcuni mesi di malattia il prof. Vittorio Peri,
noto ed esimio studioso dei problemi storici, in particolare di alcuni dei più
intricati nodi di Storia della Chiesa che hanno intralciato le relazioni fra
oriente e occidente. In questa prospettiva non ha dimenticato quelli che
riguardavano più da vicino l’Italia meridionale e le Comunità italo-albanesi di
Calabria e di Sicilia .
La
sua ricerca operata con rigoroso metodo
scientifico aveva in prospettiva la ricomposizione della piena comunione fra
cattolici e ortodossi. Questi impegni ricevevano il riconoscimento della
Comunità scientifica e della Chiesa come dimostra il fatto della sua assunzione
quale membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e di membro della
Commissione Mista Internazionale del dialogo teologico fra
Da
parte loro anche le tre Circoscrizioni Bizantine Cattoliche in Italia lo hanno
profondamente apprezzato chiamandolo a svolgere la funzione di esperto nel loro
secondo Sinodo Intereparchiale (2004-2005).
Il
Prof. Vittorio Peri era nato a Gorizia nel 1932. Si è laureato all’Università
cattolica di Milano con una tesi in patristica greca con il prof. Lazzati.
Ha
iniziato la su attività di ricercatore del Centro di Documentazione creato da
Dossetti a Bologna.
Subito
dopo è stato scriptor graecus della Biblioteca Vaticana fin dal 1961,
identico ruolo avuto da Pietro Pompilio
Rodotà, il padre della “Storia del Rito greco in Italia”. A questo ruolo egli
era professionalmente impegnato e si sentiva personalmente legato e onorato.
Le
sue ricerche, di carattere filologico e storico, sono in prevalenza dedicate ai
rapporti tra l’oriente e l’occidente. In particolare ha indagato: le cause
storiche della mancata celebrazione comune della Pasqua nella stessa data tra
cattolici e ortodossi, l’evoluzione dei criteri per l’identificazione ed il
riconoscimento dei Concili Ecumenici; le circostanze in cui la formula
teologica del Filioque fu assunta come espressione di opposizione
dogmatica; le forme canoniche della secolare presenza della Chiesa greca in
Italia; l’introduzione della moderna nozione occidentale di “rito”
nell’ecclesiologia cattolica; la genesi della struttura del titolo patriarcale
nelle Chiese; l’ingresso della lingua slava nella liturgia ad opera dei santi
Cirillo e Metodio; il Primato del Vescovo di Roma nella Chiesa secondo i
concili ecumenici.
Tra
i suoi scritti segnaliamo i più significativi: I Concili e le Chiese,
Roma 1965; Due date un’unica Pasqua, Milano 1967; Chiesa di Roma e
“rito”greco, Brescia 1975; Ricerche sull’<Editio Princeps> degli
atti greci del Concilio di Firenze, Città del Vaticano 1975; Omelie
origeniane sui salmi, Città del Vaticano 1980; La <Grande Chiesa
bizantina>. L’ambito ecclesiale dell’Ortodossia, Brescia 1981; Cirillo
e Metodio. Le biografie paleoslave, Milano 1981;
P.
Emmanuele Lanne ha detto di lui: “Egli è stato un promotore convinto del
dialogo con gli ortodossi e dell’unità dei cristiani”.
Alla
Chiesa greca in Italia e alle sue vicende storico-disciplinari il Peri ha
dedicato una speciale ed acuta attenzione. Il suo ruolo nella Biblioteca
Vaticana gli ha offerto la materia e gli strumenti per apportare un contributo
innovatore che andava aldilà della ripetizione di stereotipi sentimentalistici
o polemici pigramente ripetuti.
Anche
per questa tematica segnalo solo qualche titolo:
Sugli
Italo-Albanesi è intervenuto diverse volte con scritti e con conferenze. Ha
curato lo studio introduttivo (pp. 5-75) alla riedizione della “Storia del rito
greco in Italia” della Collana “Biblioteca degli Albanesi d’Italia” diretta da
Italo C. Fortino (Pietro Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato
presente del Rito Greco in Italia, Edizioni Brenner, Cosenza 1986). In
questo studio ha presentato criticamente l’apporto nuovo al tema della ricerca
storica, dalla pubblicazione originale dei tre volumi (1758.1760,1763) al 1985.
Nel
Egli ha lasciato nel dolore, ma
nella fede nella resurrezione, la moglie, Prof.ssa Franca Minuto Peri, e cinque
figlie. I funerali hanno avuto luogo martedì 3 gennaio nella Parrocchia di N.S.
di Coromoto (Colli Portuensi), presieduti dal Nunzio Apostolico S.E.Mons.
Coppa. Ha concelebrato il vescovo Brian Farrell, segretario del Pontificio
Consiglio per
imerologhion 2006
Puntuale,
come di solito, è stato pubblicato l’Imerologhion dell’anno 2006 dall’Eparchia
di Lungro. Questo Ordo rende un servizio prezioso per le corrette
celebrazioni liturgiche festive e quotidiane (vespro, mattutino, ore, Divina
Liturgia). E’ anche uno strumento didattico essenziale per chi intende studiare
l’anno liturgico bizantino.
In
appendice vengono opportunamente riportati i “Salmi dei typikà” in tre
lingue (greco, albanese, italiano) e lo schema abbreviato del mattutino
per le domeniche e per le feste, allo scopo di facilitarne la celebrazione
nelle singole parrocchie. Ciò è indice del tentativo del necessario passaggio dall’Ordo
monastico a quello, nel passato, detto cattedrale e cioè ordinato
per la partecipazione dei fedeli nelle parrocchie (Besa/Roma).
roma
nuovi vescovi in albania
Al
fine di completare la riorganizzazione della gerarchia ecclesiastica in
Albania, il Santo Padre ha nominato:
Viene
così completata la gerarchia cattolica delle due Metropolie albanesi di Scutari
e di Tirana-Durazzo. Con S.E. Mons. Massafra sono tre i vescovi albanesi di
origine italiana (Besa/Roma).
kossova
deceduto il vescovo mark sopi
1938-2006
L’11
gennaio è morto mentre si trovava a Prishtina dopo un secondo infarto il vescovo
S.E. Mons. Mark Sopi. Era nato a Binçë il 26 febbraio 1938. Aveva studiato la
teologia a Roma. Ordinato sacerdote nel
kossova
e’ deceduto ibrahim rugova
1944-2006
Il
20 gennaio è deceduto il Presidente della Kossova il Dr. Ibrahim Rugova, già
presidente della Lega degli Scrittori della Kossova, militante politico “non
violento” per l’indipendenza. Musulmano, laureato alla Sorbona con Roland
Barthes con una tesi su uno scrittore cattolico. Aperto alla comunità
cattolica, ha posto la prima pietra per l’edificazione della nuova chiesa
dedicata a Madre Teresa a Prishtina. Nella difficile situazione kossovara si
spera che venga raccolta la sua eredità, culturale, morale e politica (Besa/Roma).
vaccarizzo albanese
e’ deceduto papàs selvaggi
1932
- 2006
Il
9 gennaio 2006 è deceduto Papàs Vincenzo Selvaggi. I funerali sono stati
presieduti dal Vescovo di Lungro, concelebrati da moltissimi sacerdoti. E’
stato sepolto a Vaccarizzo Albanese.
Papàs
Selvaggi, nato a Ejanina il 5 febbraio 1952, aveva compiuto gli studi, prima
nel pre-Seminario di S. Basile, poi nel Seminario Benedetto XV di Grottaferrata
(1943-1950) e quindi al Pontificio Collegio Greco di Roma (1951-1957)
frequentando l’Università Gregoriana. Ordinato il 13 gennaio 1957 presbitero
nella Chiesa di S. Atanasio in Roma, nei primi tempi ha aiutato l’arciprete
della cattedrale di Lungro. Nel 1965 è stato nominato parroco della parrocchia
di S. Maria di Costantinopoli in Vaccarizzo Albanese, ministero che ha svolto
con perseveranza e zelo fino alla sua morte. Il vescovo di Lungro ha scritto di
lui che “si è sempre preso cura dei bisognosi e degli immigrati”. Ha svolto
anche un’apprezzata attività per la cultura, il folklore e la lingua arbëreshe.
Ha pubblicato raccolte di folclore come Fjalë t’urta nga Arbëreshëtë e
Kalavrisë (Corigliano Calabro 1961); Raccolta del folclore
italo-albanese (Corigliano calabro 1969) e composizioni religiose da lui
stesso create: “Lutje” (Corigliano Calabro 1968) e vari contributi su
riviste (Besa/Roma).
roma
mostra sugli arbëreshë
18
gennaio 4 febbraio 2006
Il
18 gennaio 2005, nella Biblioteca Casanatense (Via S. Ignazio) si è aperta una mostra sugli Albanesi d’Italia dal
titolo: “Arbrëreshë. La memoria-I luoghi-I segni-Le voci”. La mostra è
nata sulla base dello studio “Arbrëreshë. Cultura e Civiltà di un popolo”
di Pierfranco Bruni (Besa/Roma).
L’Eparchia
di Lungro dall’8.1.
Si
preparano alle ordinazioni maggiori due altri candidati: Marcel Iancu,
insegnante all’Istituto di Scienze Religiose “Mons. Giovanni Stamati” e Ivan
Pitra. Tutti e quattro erano stati membri del Sinodo. (Besa/Roma).
roma
intereparchiale
Il
programma Albanese della Radio Vaticana l’11 gennaio, anniversario dell’udienza
concessa da Giovanni Paolo II ai membri sinodali per l’ultima sessione del II
Sinodo Intereparchiale, ha intervistato l’Archimandrita Eleuterio F. Fortino,
Presidente della Commissione Centrale di Coordinamento sul significato del
Sinodo.
Riportiamo la sua prima risposta:
“Il
Sinodo ha avuto la funzione di una consultazione delle tre Circoscrizioni
Bizantine in Italia su problemi vitali per la loro sopravvivenza su tre punti
principali:
64
HESYCHIA
(7): LÁ DOVE È IL TUO TESORO, SARÁ ANCHE IL TUO CUORE
La
serenità dell’uomo trova la sua ragione profonda nella tranquillità del cuore,
il centro vitale, affettivo e morale dell’uomo. Il cuore è anche la causa
unificante di tutti i desideri e le aspirazioni dell’uomo. La vita spesso si
disperde in mille rivoli, in mille attività, in iniziative molteplici e non
raramente contraddittorie. Ma il vero tesoro dell’uomo è uno; è la sua
intenzione ultima. E là dove si situa questa intenzione, il “tesoro” dell’uomo,
là sarà anche il cuore, tutta la persona e il suo destino.
1. Nel suo discorso
sulla vera pratica della vita religiosa, Gesù spiega ai suoi discepoli dove
porre il centro della vita e l’opzione fondamentale (Mt 6, 19- 20). Lo
fa secondo il metodo tradizionale del parallelismo inverso. Prima indica cosa
non si deve fare, quindi cosa si deve fare e in fine espone la ragione che
illumina e determina la scelta morale e operativa. “Non accumulatevi tesori (thēsavròus) sulla terra,
dove tignola e ruggine consumano e dove
ladri scassinano e rubano” (Mt
6,19). Il timore di perdere i beni raccolti causa l’inquietudine dell’uomo.
I “tesori” accumulati “sulla terra” rischiano l’usura naturale (la “ruggine”) e
quella esterna, “la tignola” e “i
ladri”. Sono tesori labili, caduchi, incerti. S. Giovanni Crisostomo
osserva: “Benché questa rovina sembri evitabile assai facilmente, tuttavia è
insuperabile e irrefrenabile; non sarai capace di impedire questa rovina” (Omelie sul Vangelo di Matteo 20,3).
I beni materiali sono quindi fonte di timore, di preoccupazione e di amarezze.
Il cuore di chi li possiede, nella paura di perderli, rimane inquieto. Anche
conservando i beni perde la pace interiore la sua tranquillità.
In
positivo Gesù consiglia: “Accumulatevi invece (dè) tesori (thēsavròus)
nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano e dove ladri non
scassinano e non rubano” (Mt 6,20). La contrapposizione è tra terra (epì
tēs ghēs) e cielo (èn ouranō). Il termine
terra esprime quanto l’esperienza umana conosce attraverso la cronaca e la
storia, la letteratura e le vertenze giudiziarie. Il termine cielo
indica convenzionalmente il luogo dove Dio abita. Il consiglio è di accumulare
tesori “davanti a Dio” dove tutto è riconosciuto, apprezzato e conservato in
eterno.
Il
tema del “tesoro in cielo” è conosciuto anche nell’AT applicato anche ai beni
terreni usati per fare l’elemosina. Se fai elemosina – se usi i tuoi beni per
soccorrere il prossimo - “ti preparerai un bel tesoro per il giorno del
bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare nelle
tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso
davanti all’Altissimo” (Tb 4, 9-10). Davanti a Dio il “tesoro”
accumulato dal credente rimane incorruttibile e testimone della fede, della speranza
e dell’opera dell’uomo. Sarà un tesoro nel giorno del bisogno. Nel giorno del
giudizio.
2. Al terzo momento
Gesù spiega la ragione profonda del suo consiglio, L’intelligenza dell’uomo da
lui creato ha bisogno di comprendere il significato delle cose. Gesù spiega:
“Perché (gàr) dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).
La spiegazione (perché - gar, infatti) è di fondamentale importanza. Non
è soltanto la spiegazione logica di cui l’uomo ha bisogno, ma è “una
dichiarazione generale e fondamentale di antropologia biblica” (Pierre Bonnard). Il cuore
esprime il centro e l’unità dell’uomo. Il termine esprime l’interiorità
dell’uomo e in un senso molto ampio. Non si limita all’aspetto affettivo,
prevalente nella cultura occidentale. “Oltre ai sentimenti il cuore contiene
anche i ricordi, le idee, i progetti e le decisioni” (Xavier Léon-Dufour). In questa visione
antropologica il cuore è la fonte della personalità cosciente, intelligente e
libera dell’uomo. Ed è lì che Dio ha iscritto la sua legge fondamentale che
regge ogni uomo. La lettera ai Romani ci insegna che gli stessi pagani
“dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta
dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti” (Rm 2,15).
All’inizio
Gesù, nel testo di Matteo, parlava di “tesori” al plurale, quando poi dà la
spiegazione definitiva parla al singolare (thēsavròs): là dov’è “il tuo tesoro”, il tesoro
“tuo” (sou), là sarà il tuo cuore. Davanti a Dio si presenta l’uomo
integro con la sua intenzione fondamentale. A questo solo “tesoro” si orienta
tutto l’uomo con il suo “cuore”, con tutto il suo cuore. A questo livello egli
non può disperdersi a desiderare e costruire molteplici tesori. La persona è
unificata sull’essenziale e nella sicurezza che nulla sarà perduto e corrotto.
3. La trasparenza
davanti a Dio, l’unificazione della persona, la sicurezza che la sua speranza
riposa in Dio, in un “tesoro” che non sarà tolto, né corroso, né corrotto,
costituisce un elemento basilare della condizione di serenità dell’uomo, la sua
hesychia fondamentale (Besa/Roma).
S. A T A N A S I O
Comunità Cattolica Bizantina, Via dei Greci 46, 00187 Roma
L’ANTICA
MELURGIA BIZANTINA
Il 12 novembre 2005 è stata
presentata a Grottaferrata la ristampa fotostatica dell’opera di P. Lorenzo
Tardo: “L’Antica Melurgia Bizantina
nell’interpretazione della Scuola Monastica di Grottaferrata”, Grottaferrata
1938. La relatrice, prof. Sandra Martani
della Facoltà di Musicologia di Cremona, ha messo in rilievo che l’Opera
di p. Tardo rimane “dopo oltre 70 anni “l’unico manuale sulla musica bizantina
in lingua italiana”. Per ricordarlo, riportiamo alcuni brani del primo
capitolo:
Nel principio era ben naturale
che
Le Costituzioni
pseudo-apostoliche così ci descrivono la forma con cui quei canti venivano
eseguiti: “Sopra un posto elevato l’ Anaghnosta legga la pericope – già stabilita – di
Mosè, di Gesù di Navì, dei Giudici, dei Re, dei Paralipomeni e quelli del
Ritorno (dalla cattività di Babilonia), oltre a queste, anche quelle di Giobbe
e di Salomone e dei profeti; al termine di ogni due letture, un altro Anaghnosta canti gli inni di Davide e il
popolo subentri a cantare l’ultima parte dello sticho”. Questa forma col tempo diventa generale
nelle riunioni ecclesiastiche. S. Atanasio scrive che, mentre sedeva al trono,
il suo diacono cantava il salmo
Il Crisostomo col suo linguaggio, che non conosce ambiguità o mezzi
termini, ordina di far tacere le voci incomposte e i movimenti disordinati
delle mani, le quali invece si devono sollevare a Dio supplichevoli e congiunte
in atto di preghiera. Pastore vigilante, non lascia occasione per mostrare il
suo zelo per la restaurazione della musica sacra, che deve piegarsi alle
esigenze della religione. Inveisce contro quei maestruccoli, che compongono
senza ispirazione, infarcendo le loro musiche con reminiscenze profane e
lasciano il cuore arido e freddo. “Si trovano qui alcuni, dice il Dottore, i quali
con disprezzo di Dio, ritengono le parole dello Spirito Santo (cioè i Salmi)
come una cosa qualunque; li accompagnano con voci scomposte e in nulla si
differenziano (nella esecuzione) dagli energumeni: si agitano, si esaltano in
guisa da mostrare modi affatto indegni delle sacre adunanze…Tu, ripieno di ciò
che vedi e ascolti nei teatri, (nei
quali allora prevaleva il mimo e il pantomimo) ne trasporti le forme in chiesa,
e perciò con voci inarticolate manifesti il disordine dell’anima tua”. I
lamenti dei santi Dottori erano logici; non solo i ritmi, ma anche i canti,
come si è visto, erano modellati sulle forme e sui tipi pagani. La musica sacra
dietro le direttive dei Concili e dei Padri si andò spogliando delle forme
profane, rivestendo uno stile, un’arte nuova, un tipo speciale più grave, più
nobile, più elevato, quale appunto si conviene alla casa di Dio.
S. Atanasio nella lettera a Marcellino insegna sapientemente con quale
spirito bisogna cantare gl’inni e i salmi, affinché questi siano accetti a Dio,
di giovamento allo spirito e di edificazione ai fedeli.
Il Sinodo Intereparchiale
Durante l’estate
In tal modo i testi stabiliti come risultato della Consultazione sinodale, sono stati presentati agli Ordinari per la loro valutazione.
Il sommario del volume risulta così strutturato:
1. Prologo: Sinodo, Evento di Grazia – Opera di Dio per la santificazione dell’uomo;
2.
3. Catechesi e Mistagogia;
4. Liturgia;
5. Formazione del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata;
6. Diritto Canonico Particolare;
7. Rapporti Interrituali;
8. Ecumenismo – Dialogo Interreligioso – Sette – Nuovi Movimenti;
9. Rievangelizzazione;
10. Missione;
11. Epilogo: “Chiamati ad essere santi” (Rom 1,7).
Dopo la loro valutazione gli Ordinari presenteranno il risultato alla Santa Sede per l’approvazione canonica.
Il Sinodo Intereparchiale per le
tre Circoscrizioni Bizantine in Italia, come recita il titolo del prologo,
votato nell’Assemblea sinodale, è “Evento di Grazia – Opera di Dio per la
santificazione dell’uomo (Inter -
Sinodo).
“Il 25 di questo mese di dicembre, Natività secondo la carne del
Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo”.
Così recita il Synaxàrion, il libro dell’assemblea, della Chiesa
bizantina.
Nell’Orthros, nell’ufficio dell’Aurora del giorno si canta il
canone di Cosma che nel suo irmòs – il primo tropario che determina il ritmo poetico e musicale delle
otto odi – invita all’incontro con il Signore che viene ed esorta alla sua
glorificazione:
“ Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli
incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la
terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché è glorificato”.
Il canone espone in poesia il mistero del Natale, nelle sue maggiori
dimensioni: l’incarnazione del Verbo di Dio, l’effetto nell’uomo col
restaurarlo ad immagine e somiglianza di Dio, l’invito alla glorificazione
nella liturgia e nella propria esistenza.
Dio immutabile
L’acrostico del canone – frase che si ottiene mettendo
insieme le prime lettere di ciascun tropario dell’intero canone – costituisce
una espressione (Christòs
brotōtheìs ēn hòper Theòs menē) che tradotta in italiano manifesta il significato profondo
dell’incarnazione del Verbo di Dio che si fa uomo senza mutare (atreptōs enanthrōpēsas) la sua natura divina: “Cristo
fatto mortale rimane Dio qual era”.
Questo elemento della fede cristiana viene ribadito diverse volte,
nell’esplicitazione dell’essere theàntropos, vero Dio e vero uomo, ribadendo le
dichiarazioni del Simbolo niceno-costantinopolitano delle due nature di Gesù
Cristo.
Da una parte si proclama che Gesù Cristo unico Signore è “Dio vero da
Dio vero, generato non creato della stessa natura del Padre (homooùsion tō Patrì)”.
L’irmòs giambico dell’ode prima afferma che “Lui,
per essenza è uguale al Padre ed ai mortali” (ison Patrì kai brotòis).
Si incarnò e si
fece uomo
Dall’altra parte, infatti la nostra professione di fede afferma che
“per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si
è fatto uomo (sarkōthènta kai
enanthrōpēsanta). E ciò
nella prospettiva dell’economia della salvezza perché “per noi uomini e per la
nostra salvezza discese dai cieli”.
L’irmòs della terza ode, riassume cantando: “Il
Figlio che prima dei secoli, immutabilmente dal Padre è stato generato e negli
ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato”, “prendendo veramente
carne” (terzo tropario della prima ode).
Gli ultimi tempi vengono precisati storicamente, ricordando l’editto di
Cesare Augusto in un artificio poetico di contrapposizione tra la registrazione
segno di sudditanza e la liberazione apportata da Cristo.
Il secondo tropario della quinta ode canta: “Per ubbidire al decreto di
Cesare, sei stato registrato tra gli schiavi, e hai liberato noi, schiavi del
nemico e del peccato, o Cristo, divenendo del tutto povero come noi e
divinizzando ciò che era di terra, con questa stessa unione e comunione” (ex autēs henōseōs kai
koinōnìas hetheoùrgēsas).
Della circostanza storica del periodo in cui è nato Gesù – la pax
romana - il doxastikòn del vespro, inno di Kasia, si serve per
aprire la visione del cristiano alla dimensione universale degli effetti della
Nascita di Cristo.
Rialza la decaduta
immagine dell’uomo
Il tropario della pre - vigilia svolge il tema della divinizzazione
dell’uomo. I Padri da S. Atanasio in poi hanno espresso l’evento con la formula
“Dio si è fatto uomo perché l’uomo divenga Dio”:
“Sì, Cristo nasce per rialzare (anastēsōn)
l’icona decaduta”, l’umanità che era stata creata ad immagine di Dio e caduta
nel peccato era decaduta dalla sua elevata situazione.
Il secondo tropario della prima ode mette a fuoco il tema: “Colui che
fatto ad immagine di Dio era perito per la trasgressione, divenendo del tutto
preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente
Artefice di nuovo lo plasma”.
Si fa riferimento alla creazione di Adamo, al peccato, alla donna Eva e
di converso a Maria. Adamo che aveva partecipato a “quel soffio superiore”, era
caduto nella corruzione “sedotto dalla donna”, ora egli vedendo il Cristo “nato
da donna”, divenendo uomo e rimanendo Dio”, egli ha “sollevato la nostra
fronte”. L’uomo nuovo può stare dritto senza vergogna davanti a Dio. Infatti
“partecipando della realtà inferiore della carne, ci è dato di comunicare alla
natura divina” (Ode terza).
L’irmòs giambico dell’ode quarta ricorda il profeta Abacuc che “prediceva la
riplasmazione, la nuova creazione, della stirpe umana”.
All’idea radicale di nuova creatura, vari tropari aggiungono aspetti
complementari come quello della redenzione, del riscatto.
“Il Cristo Dio, fatto uomo, ci ha riacquistati” (prima ode, quarto
tropario).
La
luce della conoscenza
Il Dio della pace ci ha inviato l’angelo del
suo gran Consiglio. Siamo in tal modo, secondo l’irmòs
della quinta
ode che si ispira al Cantico di Isaia, “guidati alla luce della conoscenza di
Dio” (theognōsìas pros phōs). L’apolytìkion del giorno è incentrato proprio sul tema della luce. Del resto
“Gloria
alla tua potenza, Signore”
Questo è il ritornello dell’ode quarta sul
Cantico di Abacuc. “I potenti di tutta la terra, si sono prostrati davanti a
te, o Salvatore” e danno gloria alla potenza di Dio.
Gli inni menzionano e rielaborano il tema
dell’attesa, la veglia dei pastori, la venerazione dei magi venuti da lontano
guidati dalla luce della stella, il canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più
alto dei cieli”.
Già dal vespro la liturgia invita
all’esultanza e alla celebrazione del mistero che rivela il Natale: “Venite,
esultiamo per il Signore, esponendo questo mistero. Il muro di separazione che
era frammezzo è abbattuto”.
E’ stata ristabilita la comunione tra Dio e
l’uomo. A questo evento di grazia partecipano i popoli, la natura, gli astri.
L’Oìkos invita: “Affrettiamoci
verso il luogo dove è stato partorito il piccolo bimbo, il Dio che è prima dei
secoli”. E attraverso espressioni simboliche e poetiche suggerisce le ragioni
dell’invito che si fondano sul significato dell’Evento: “Betlemme ha aperto
l’Eden …Venite riceviamo nella grotta le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice che ha germogliato il
perdono. Là si è trovato il pozzo da nessuno scavato, a cui Davide un tempo
aveva desiderato bere”.
Cosa
offrire al Signore - Dio tra noi?
“Che ti offriremo, o Cristo”?, chiede il
quarto idiòmelon del vespro di Natale.
L’inno di Germano risponde: “Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il
rendimento di grazie: gli angeli l’inno, i cieli la stella, i magi i doni, i
pastori lo stupore, la terra la grotta, il deserto la mangiatoia. Ma noi ti
offriamo
Exapostilàrion
–Inno di congedo
L’inno di congedo riassume un aspetto
essenziale del significato del Natale e accompagna il fedele al di fuori del
luogo di culto per le vie del mondo con il viatico della verità e della
salvezza.
L’exapostilàrion canta:
“Ci ha visitati dall’alto il nostro
Salvatore, Oriente degli orienti, e noi che eravamo nelle tenebre e nell’ombra,
abbiamo trovato la verità, perché dalla Vergine è nato il Signore”.
Eleuterio F. Fortino
Natale 2005
CELEBRATA
La comunità arbëreshe di Roma ha celebrato la festa nazionale di Albania, nel suo modo tradizionale, con una manifestazione culturale e la celebrazione della Divina Liturgia in lingua albanese.
Sabato 26 novembre nella sede del Circolo Besa ha avuto luogo una conferenza-dibattito sul tema “L’Albania sulla via della democrazia” con due esperti: il Dr. Rando Devole, sociologo albanese-operatore CISL e il Dr. Roland Seiko, direttore del quindicinale “Bota Shqiptare - Il mondo albanese - Il giornale degli Albanesi in Italia”. Due giovani albanesi, viventi in Italia, impegnati professionalmente nel campo culturale e sociale. I due principali argomenti sono stati: La nuova situazione sociale e le istituzioni democratiche nell’Albania di oggi.
L’incontro
è stato articolato come uno scambio di vedute tra i due relatori su ciascun
argomento a cui erano invitati ad intervenire anche i presenti, nel corso della
conversazione stessa, con interrogazioni o con osservazioni critiche, emergendo
così una riflessione più completa, vivace e partecipata.
La situazione politica è strutturata sul pluralismo democratico, con una moltiplicazione di partiti (nelle ultime elezioni se ne sono presentati 72), ma raggruppati in due poli. Nel governo si è cercato di applicare il criterio rappresentativo delle forze in campo. Il criterio del clan risulta ormai sbiadito e in regressione pratica. Le istituzioni sono state costituite secondo principi moderni sperimentati negli altri paesi europei, per sé in ottime prospettive. Esse però sono in rodaggio e spesso lo scarto fra l’impostazione teorica e l’applicazione pratica è notevole. La situazione sociale è certamente migliorata, ma si constata ancora una forte disuguaglianza dei beni e dei servizi sociali. La coscienza civile si è risvegliata e diventa lentamente più attiva. La letteratura esiste e si esprime in una grande massa di pubblicazioni con due problemi: non tutta è di qualità e vi è assenza di esercizio adeguato della critica per orientare i lettori, i quali di fatti leggono poco. Ci sono però gruppi di nuovi poeti e scrittori emergenti che danno speranza per l’avvenire.
L’impressione che si traeva dall’insieme era abbastanza positiva e fiduciosa per il futuro dell’Albania.
La manifestazione è stata coordinata dal prof. Domenico Morelli del Circolo Besa. Mons. Eleuterio F. Fortino, ringraziando i due specialisti, ha sottolineato proprio la prospettiva positiva del dibattito e la fiducia espressa verso l’avvenire, auspicio degno della celebrazione della festa nazionale.
Domenica 27 novembre, nella
Chiesa di S. Atanasio (Via del Babuino 149) è stata celebrata
Nell’omelia Mons. Eleuterio F.
Fortino, commentando la pericope evangelica del giorno, ha sottolineato la
risposta che Gesù ha dato alla domanda postagli da un uomo socialmente
distinto: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna”? La risposta era stata:
“Osserva i comandamenti”. E i comandamenti ricordati sono tra quelli dati a
Mosé sul Sinai, ma si riferiscono anche a quelli della legge naturale: non
uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non fare falsa testimonianza,
onorare il padre e la madre. I principi
etici sono alla base del comportamento personale, ma anche di ogni
società che vuole essere sorretta dalla giustizia per tutti, dal rispetto
reciproco, dalla equità per una convivenza armoniosa e dinamica.
La
celebrazione liturgica quest’anno è stata presieduta dal Rev. Papàs Ignazio
Ceffalia dell’Eparchia di Piana degli Albanesi coadiuvato dal Rev. Paolo
Gionfriddo, diacono della Martorana di Palerno, concattedrale dell’Eparchia di
Piana degli Albanesi.
Ha cantato la liturgia il coro della Comunità arbëreshe di Roma, diretto dal Prof. Nicolino Corduano, dell’Eparchia di Lungro per gli Albanesi di Calabria e dell’Italia Continentale, sul testo musicale composto da p. Nilo Somma, italo-alnaese, ieromanaco di Grottaferrata (Besa/Roma).
3. Albania,
un mosaico di religioni
P. Costantin Simon s.j. ha
pubblicato su “
Circolare
novembre 2005 179/2005
I detti di Gesù (37): “Coraggio, ti siano
rimessi i tuoi peccati”.............................................. 1
ROMA: L’ecumenismo nel Compendio del Catechismo
della Chiesa Cattolica.......................... 2
CHEVETOGNE: Riforma della liturgia bizantina....................................................................... 5
ROMA: Sinodo dei Vescovi - Eucaristia .................................................................................. 6
ROMA: Sinodo dei Vescovi - Proposte................................................................................... 8
ROMA: S. Atanasio: Liturgia di S. Giacomo............................................................................. 9
ROMA: Sali Berisha e S. Egidio............................................................................................... 9
S. BENEDETTO ULLANO: VI centenario della
nascita di Skanderbek................................... 9
LUNGRO: Mediterraneo e migrazioni – Nuove
ricerche storiche............................................ 10
EJANINA: 60° di ordinazione presbiterale di
papàs E. Giordano............................................ 10
ROMA: S. Atanasio: Festa nazionale d’Albania...................................................................... 10
ROMA: Hesychia: Ama il prossimo tuo come
te stesso.......................................................... 11
Ta lòghia – I detti di Gesù (37):
“Coraggio, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt 9,2)
La remissione dei peccati è la maggiore liberazione dell’uomo dai
legacci interiori. Da essa dipende la tranquillità della coscienza e il
rapporto sereno con Dio e con il prossimo. Gesù risorto, appare ai suoi
discepoli e comunica la sua pace e il potere di rimettere i peccati: “A chi
rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv
20,23). Il verbo “saranno rimessi (aphèōntai) è al futuro. Si
indica il potere di rappacificare gli uomini lungo i secoli.
Gesù giunge a Cafarnao, nella sua città. Gli presentano un paralitico,
steso su una barella. Il racconto parla al plurale, saranno state quattro le
persone che lo trasportano, come si trasportano i morti. L’ammalato è
paralizzato, non è autonomo, dipende dagli altri e forse pensa che non valga la
pena vivere. Nessuno parla. Presentano in silenzio l’ammalato. Ma la situazione
parla da sé. Gesù capisce, anzi vede e vede nel profondo. Vede “la loro fede”.
E si rivolge al paralitico: “Coraggio (thàrsei), figlio, ti sono rimessi
(aphìentai) i tuoi peccati” (Mt 9,2). Il verbo (aphìentai) è al presente. Qui
il perdono è “attualizzato e personalmente comunicato” (Bonnard).
“Costui bestemmia”, commentano alcuni scribi, scrivani, uomini di cultura, che non
intuiscono il mistero e la novità dell’evento a cui pure sono presenti. Nella
loro concezione pensano, e correttamente, che solo Dio può rimettere i peccati.
Ma non riescono a percepire che Dio si può manifestare e che può agire con
mezzi diversi da quelli conosciuti.
Ma Gesù vuole liberare anche gli scribi dalla loro paralisi
intellettuale. Entra nel loro ragionamento. Essi pensano che un taumaturgo può
guarire il corpo. Anzi credono che guarire il corpo sia il massimo del potere
divino nell’uomo. Gesù ha annunciato qualcosa di molto superiore. Per essi però
il massimo è la salvezza corporale, visibile. Usando un’argomentazione inversa
della logica razionale, ma coerente con la logica degli scribi, lo guarisce
anche fisicamente. Pone loro una domanda che contiene in se stessa la risposta:
“Cosa è più facile, dire < Ti sono rimessi i peccati> o dire <Alzati e
cammina> ?”. E qui congiunge miracolo fisico e guarigione interiore,
affinchè “Ciò che è sublime e invisibile sia dimostrato per mezzo di ciò che è
visibile”, (G. Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 29,2). “Perché
sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati,
<Alzati> disse al paralitico…Ed egli si alzò” (Mt 9, 7). Si alzò
guarito nel corpo e risorto nell’anima.
“Ti sono rimessi i peccati”, è questo l’annuncio straordinario portato da Cristo
e realizzato sulla Croce per tutta l’umanità, annuncio che i credenti
confessano proclamando nel Credo che “per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dai cieli” si incarnò e si fece uomo (Besa/Roma).
ROMA
Riportiamo
una nota di Mons. Eleuterio F. Fortino, apparsa sull’opuscolo per la
settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, curato dalla Cittadella
Ecumenica Taddeide di Riano:
Uno
dei primi atti del nuovo papa Benedetto XVI è stata la promulgazione (28 giugno
2005) del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).
Auspicato dal Congresso Catechistico Internazionale del 2002, deciso da Papa
Giovanni Paolo II nel febbraio 2003, è stato preparato da una ristretta
commissione di cardinali e di collaboratori presieduto dall’allora cardinale
Ratzinger. Nel Motu Proprio di
promulgazione Papa Benedetto XVI scrive: “Il Compendio, che ora presento
alla Chiesa universale, è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). Esso contiene, in modo
conciso, tutti gli elementi essenziali e
fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato
auspicato dal mio predecessore una sorta di vademecum,
che consenta alle persone, credenti e non,
di abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’intero panorama della fede
cristiana”.
Tra
gli “elementi essenziali e fondamentali” il Compendio riporta i più
importanti principi cattolici dell’ecumenismo e diverse norme per il suo corretto esercizio.
In
questa breve nota si segnaleranno alcuni degli elementi ecumenici più
importanti della dimensione ecumenica del Compendio.
L’ecumenismo,
la ricerca della piena unità, si fonda sulla fede comune fra i cristiani e
tende alla piena comunione per mezzo della preghiera, del contatto, del dialogo
e della cooperazione pratica. Questa prospettiva è presente nel Compendio
disseminata in diversi luoghi, secondo le materie trattate.
Elemento
primario su cui si fonda la comunione è la professione di fede. Alla domanda
circa i più importanti simboli di fede il Compendio dà questa risposta:
“Essi sono il Simbolo degli Apostoli, che è l’antico Simbolo Battesimale della Chiesa di Roma, e il Simbolo niceno-costantinopolitano, frutto dei primi due Concili Ecumenici di Nicea (325) e di
Costantinopoli (381), ancora
oggi comune a tutte le grandi Chiese d’Oriente e d’Occidente” (35).
Ciò
vuol ricordare che le grandi Chiese di Oriente e di Occidente, nonostante la
divisione, “ancora oggi” mantengono “in comune” quel simbolo di fede. Il
contenuto di quel simbolo fa parte essenziale di quanto i cristiani abbiamo in
comune. Spesso si ripete che “ciò che unisce” i cristiani, nonostante la
divisione, “è molto di più di quello che divide”. La professione di fede è
quindi fondamentale. Eventuali interpretazioni differenziate si pongono a un
livello più superficiale. Inoltre le dispute
circa le conseguenze dei Concili di Efeso (431) e di Costantinopoli (481) - che
avevano provocato le prime divisioni (nestorianesimo e monofisitismo) - sono
state chiarite. Nell’enciclica Ut Unum
Sint, per
Per
questa ragione nei sussidi per la preghiera per l’unità dei cristiani,
preparati insieme annualmente da delegati della Chiesa cattolica e del
Consiglio Ecumenico della Chiese, per la professione di fede si propone la
proclamazione del “Simbolo niceno-costantinopolitano o del Simbolo degli
Apostoli”. In quel simbolo si trova espressa la fede nella Trinità; si afferma
l’incarnazione, la redenzione, un solo battesimo per la remissione dei peccati,
la concezione della Chiesa una santa cattolica e apostolica, l’attesa della
resurrezione e la vita eterna.
Tutto
ciò contribuisce a formare il fondamento sostanziale che sorregge la comunione
tra i cristiani e su cui si sostiene l’azione ecumenica. E’ conseguente la
delimitazione del Decreto Unitatis
Redintegratio circa i partecipanti a quel movimento: “A questo movimento
per l’unità, chiamato ecumenico,
partecipano quelli che invocano
La
professione di fede niceno – costantinopolitana distingue sostanzialmente il
movimento ecumenico da ogni altro rapporto fra religioni o culture.
Un
altro elemento essenziale per la comunione tra i cristiani è il battesimo. Il
Compendio indica anche una conseguenza della professione di fede in un solo
battesimo.
Alla
domanda quali sono gli effetti del battesimo, si risponde:
“Il Battesimo rimette il
peccato originale, tutti i peccati personali e le pene dovute al peccato; fa
partecipare alla vita divina trinitaria mediante la grazia santificante, la
grazia della giustificazione che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa; fa
partecipare al sacerdozio di Cristo e costituisce il fondamento della comunione
con tutti i cristiani; elargisce le virtù
teologali e i doni dello Spirito Santo. Il battezzato appartiene per sempre a
Cristo: è segnato infatti con il sigillo indelebile di Cristo (carattere) (n. 263).
Il
Battesimo è il fondamento sacramentale radicale della comunione tra i
cristiani.
Il
Compendio a questo punto rinvia al Catechismo della Chiesa cattolica,
che più estesamente svolge lo stesso tema e utilizza l’insegnamento del decreto Unitatis redintegratio. Il Catechismo
della Chiesa Cattolica afferma: “Il Battesimo costituisce il fondamento della
comunione fra tutti i cristiani, anche con quelli non ancora nella piena
comunione con
Il
Compendio non prende in considerazione tutte le possibilità permesse dai
due Codici di diritto canonico (CJC e CCEO), ma soltanto le maggiori. Inoltre
il Compendio prende in considerazione soltanto i casi in cui un ministro cattolico può
ammettere altri cristiani all’eucaristia
e, non viceversa, i casi in cui, anche previsti dal diritto, un cattolico può
chiederla a ministri di altre Chiese (CJC can 844, §2). Tutto questo
rimane precisato nel Direttorio per
l’applicazione dei principi e delle norme dell’ecumenismo (92-160).
La
questione della partecipazione all’Eucaristia è la più sentita nei rapporti tra
i cristiani.
Nella
prospettiva generale, nello stato attuale, rimane esclusa la concelebrazione
dell’Eucaristia che sugnifica la piena comunione. Ma, sulla base della parziale
comunione esistente, è possibile l’ammissione di fedeli, in determinate
circostanze e con specifiche condizioni, al alcuni sacramenti. Nei Codici di
diritto canonico e nel Direttorio si prevede, oltre all’eucaristia, anche la
possibilità di ammissione ai sacramenti della penitenza e dell’unzione degli
infermi. Si danno norme pure su aspetti particolari del battesimo (circa i
padrini), del Matrimonio (testimoni), oltre che l’intero dispositivo sulla
preghiera comune.
Il
Compendio, in prospettiva dottrinale
e pastorale adeguata, riporta le norme circa l’ammissione all’Eucaristia.
Alla
domanda, “quando è possibile amministrare la santa Comunione agli altri cristiani”, il Compendio dà una risposta distinta
quando si tratta per gli ortodossi oppure
per i protestanti:
·
“I
ministri cattolici amministrano lecitamente la santa Comunione a membri delle
Chiese Orientali che non hanno comunione piena con
·
“Per i membri delle altre Comunità ecclesiali, i
ministri cattolici amministrano lecitamente la santa Comunione ai fedeli, che
per gravi motivi lo chiedano spontaneamente, siano bene disposti e manifestino la fede cattolica circa il
Sacramento" (293).
·
Il Compendio indica a lato di questa
risposta un rinvio al Catechismo della
Chiesa Cattolica (1398 - 1401) che in modo più esplicito e dettagliato presenta
lo stesso orientamento. Il Direttorio ecumenico ha una esposizione organica
dell’intera problematica (92-160). Il Compendio per sua natura
non prevede una trattazione estesa e dettagliata, ma indica l’orientamento
generale della Chiesa in materia.
“La
diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo
insormontabile per il matrimonio” (CCC can. 1634). Questa diversità
presenterà tuttavia difficoltà disciplinari e di convivenza familiare per
l’aspetto religioso. Nello stesso tempo le famiglie miste hanno la convinzione
di poter costituire un laboratorio di crescita della comunione di fede.
Il
Compendio risponde a una domanda che include i matrimoni fra una parte
cattolica e una battezzata e quelli fra una parte cattolica e una parte non
battezzata.
Alla
domanda “cosa si richiede quando uno degli sposi non è cattolico” il Compendio, distinguendo fra matrimoni misti e matrimoni di disparità di culto, risponde:
·
“Per
essere leciti, i matrimoni misti (fra cattolico e
battezzato non cattolico) richiedono una licenza dell’autorità
ecclesiastica”.
·
“Quelli
con disparità di culto (fra cattolico e non battezzato) per essere
validi hanno bisogno di una dispensa”.
·
“In ogni
caso, è essenziale che i coniugi non escludano l’accettazione dei fini e delle
proprietà essenziali del Matrimonio, e che il coniuge cattolico confermi gli
impegni, conosciuti anche dall'altro coniuge, di conservare la fede e di
assicurare il Battesimo e l'educazione
cattolica dei figli”.
Il
Compendio fa riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica (1633-1637)
che in modo più ampio presenta la questione dei matrimoni misti. Il Direttorio
Ecumenico ha una sezione a sé (143-160).
La
piattaforma teologica della visione ecumenica presente nel Compendio è quella delineata dal Concilio Vaticano II (Lumen Gentium, 15 e Unitatis redintegratio, 3). Fra i
cristiani, a causa della divisione, la comunione è intaccata, vi sono
divergenze. La comunione esistente è parziale. Il movimento ecumenico tende a
ristabilire la piena comunione.
Alla
questione sulla Chiesa una il
Compendio descrive la visione della piena unità a cui tende l’azione
ecemenica, da parte della Chiesa cattolica.
Ma
i cristiani ancora oggi sono divisi. Avendo presente questa anomala situazione,
il Compendio risponde alla domanda “come considerare i cristiani non
cattolici”, e risponde:
“Nelle Chiese e Comunità ecclesiali, che si
sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, si trovano molti
elementi di santificazione e di verità. Tutti questi beni provengono da Cristo
e spingono verso l’unità cattolica. I membri di queste Chiese e Comunità sono
incorporati a Cristo nel Battesimo: noi li riconosciamo perciò come fratelli” (163).
A
questo punto il Compendio rinvia al Catechismo della Chiesa Cattolica (817-819).
Qui si trovano tre asserzioni che chiarificano la forma compendiosa.
·
La
prima afferma che: “ Coloro che
oggi nascono in comunità da tali
scissioni e sono istruiti nella fede di Cristo… non possono essere accusati del
peccato di separazione e
·
La
seconda specifica il loro ruolo nell’opera di Dio: “Lo Spirito di Cristo si serve di queste Chiese e Comunità ecclesiali come strumenti di salvezza” (819). Gli elementi di
santificazione e di verità che si trovano al di fuori dell’organismo visibile
della Chiesa cattolica non sono elementi dispersi, ma vissuti in Chiese e
Comunità giudicate capaci di essere usate dallo Spirito come strumenti di
salvezza. Per quanto riguarda le Chiese ortodosse il Concilio ha asserito che “per mezzo della celebrazione
dell’Eucaristia del Signore, in queste singole Chiese
·
La
terza dice: “Tutti questi beni
provengono da Cristo e a Lui conducono e – citando UR, 3 - spingono verso
l’unità cattolica” (819).
Il
movimento ecumenico si fonda sulla comunione esistente, parziale e imperfetta,
ma vera e solida, e orienta verso la piena unità e ne promuove la progressiva
realizzazione.
Il
Compendio intende evitare l’impressione che attualmente
L’unità
è un dono di Dio, ma la sua accettazione esige la cooperazione dei cristiani,
tanto nella fase di eliminazione degli ostacoli umani, quando nella
preparazione intellettuale e spirituale.
Per
l’esercizio dell’ecumenismo il Compendio afferma:
“Il desiderio di ristabilire l’unione di
tutti i cristiani è un dono di Cristo e un appello dello Spirito: esso riguarda
tutta
Il
Compendio propone una prospettiva di azione positiva, ricalcando e
riassumendo le indicazioni conciliari sull’argomento (UR 5-12) ed anche
le esperienze fatte negli ultimi 40 anni di iniziative ecumeniche. Il Compendio
rinvia al Catechismo della Chiesa Cattolica (820-822, 866).
Questo
è naturalmente più dettagliato. Il Compendio rinvia al CCC il quale
afferma che per rispondere adeguatamente all’appello dello Spirito per l’impegno
ecumenico “sono necessari”:
·
Un
rinnovamento permanente della Chiesa in
una accresciuta fedeltà alla sua vocazione. Tale rinnovamento è la forza del
movimento verso l’unità”;
·
La
preghiera comune; infatti la
“conversione del cuore” e “la santità della vita, insieme con le preghiere
private e pubbliche per l’unità dei
cristiani , si devono ritenere come l’anima
di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare
ecumenismo spirituale”;
·
La
reciproca conoscenza fraterna;
·
La
formazione ecumenica dei fedeli e specialmente dei preti;
·
Il dialogo
tra i teologi e gli incontri tra i cristiani delle differenti Chiese e
Comunità;
·
La
cooperazione tra i cristiani nei diversi ambiti
del servizio agli uomini (821).
Queste
disposizioni intellettuali e spirituali e le varie iniziative qui proposte,
negli ultimi anni sono riemerse nel mondo ecumenico con pressante urgenza come
espressioni di una rinnovata spiritualità ecumenica per l’intensificazione
delle relazioni fra le Chiese.
Il
Compendio mantiene il metodo usato nel Catechismo della Chiesa
Cattolica. Non tratta della questione ecumenica in una sezione a parte, ma
inserisce l’insegnamento cattolico sull’ecumenismo nella stessa presentazione
della fede cattolica. E’ questo un elemento veramente importante non soltanto
metodologico e pedagogico, ma anche teologico. La questione ecumenica è anche
una questione di fede e quindi insita nella trasmissione della fede (Besa/Roma).
CHEVETOGNE
RIFORMA DELLA LITURGIA BIZANTINA
Tra
le Chiese bizantine, ortodosse e cattoliche, si parla sempre più spesso di
riforma liturgica (necessità, utilità, difficoltà, opposizioni). Dal punto di
vista generale (liturgico, teologico, storico) è stato pubblicato un interessante
studio (Thomas Pott, La réforme
liturgique byzantine – Étude du phénomène non-spontanée de la liturgie
byzantine, Edizioni Liturgiche, Roma 2000, pp.240, €.18,08).
Il
termine riforma si riferisce a un
fenomeno con diversi aspetti identificabili con: rinnovamento, sviluppo,
rinascita, animazione liturgica e non si limita ad “abbreviazione o semplice
cambiamento”(p. 52). Nello studio di un tale complesso fenomeno va tenuto
presente che “la formazione di un rito, che si realizza per la sinergia della
fede e dell’identità di un popolo, avviene soprattutto per mezzo della
trasmissione della fede di generazione in generazione. La fede si trasmette
essenzialmente nella sua espressione vissuta e celebrata nel contatto vivo del
mistero di Cristo nella liturgia” (p.70).
L’autore,
monaco di Chevetogne, docente di liturgia, segnala i due momenti del processo
evolutivo della liturgia: quello spontaneo e “l’intervento attivo e riflesso
dell’uomo” prendendo in considerazione, in special modo, il secondo. Egli
descrive così i due momenti:
a) “L’evoluzione
spontanea è il fenomeno della crescita o del cambiamento impercettibili della
liturgia che ha luogo per il fatto stesso che l’uomo fa liturgia”.
b) “L’intervento
attivo e riflesso dell’uomo nella formazione della liturgia può presentarsi
come risposta o correzione in rapporto all’evoluzione spontanea, ma può
ugualmente introdurre degli elementi nuovi” (p.70).
Il
processo di evoluzione o di riforma implica necessariamente la distinzione tra
ciò che è teologicamente e liturgicamente ideale e gli eventi storici e
culturali, nella duplice dimensione del processo di adattamento dell’uomo alle
esigenze di conversione alla liturgia e nell’adattamento delle forme liturgiche
alle esigenze teologiche e storiche.
La
riforma liturgica può assumere diverse forme e momenti:
a) L’abolizione
di un rito;
b) La
reintroduzione di un rito caduto in disuso;
c) La
modifica completa o parziale di un rito;
d) L’introduzione
di elementi nuovi;
e) La
ricezione di uno stato di fatto introdotto nella prassi;
f)
Il coordinamento di elementi concorrenti (più
feste in uno stesso giorno);
g) L’adattamento
di qualcuno degli elementi esterni (come l’uso di una lingua o l’altra).
Pertanto
una trasformazione può essere più o meno radicale:
a) Può
comprendere cambiamenti all’interno della struttura esistente;
b) Può
comprendere l’introduzione di elementi nuovi (p.e. l’introduzione del Credo nel secolo VI).
Lo
scopo della ricerca di p. Pott è di “studiare le tracce che testimoniano
l’intervento attivo dell’uomo nell’evoluzione della liturgia bizantina e
scoprire qual è la loro natura… le motivazioni e le vere intenzioni” (p. 96).
Lo
studio è strutturato in due parti: a)
·
L’idea di riforma, orientamenti concettuali
riflessioni di alcuni autori moderni ortodossi, greco-cattolici e ortodossi;
taxinomia della riforma liturgica;
·
Riforma monastica ed evoluzione liturgica; la
riforma studita; rapporto tra evoluzione spontanea e non-spontanea nella
formazione del triduo pasquale; evoluzione del rito della protesi; riforme del
secolo XVII nella periferia slava, presso i ruteni cattolici, il metropolita
Moghila e il patriarca Tikon.
Nel
capitolo delle conclusioni l’autore si pone alcune domande a cui egli stesso
sulla base dello studio fatto risponde:
·
L’idea di riforma liturgica è esistita nella
storia della liturgia bizantina, ed essa è ancora applicabile? P. Pott afferma:
“Noi non vediamo alcuna ragione per negarlo”;
·
La tradizione diventa un limite al cambiamento e
alla creatività? Fondandosi sull’excursus storico e sui presupposti teorici
l’autore asserisce: “Noi abbiamo osservato che l’idea e la pratica della
fedeltà alla tradizione, lungi dall’escludere una creatività umana, al
contrario può supporla e provocarla” .
Lo
studio di P. Pott offre un solido supporto alla riflessione non soltanto sulla
spontanea e vitale evoluzione liturgica, ma anche sulla necessaria riforma
liturgica per una pastorale post-moderna (Besa/Roma).
ROMA:
SINODO DEI VESCOVI
EUCARISTIA
Dal
2 al 23 ottobre 2005 si è tenuto a Roma
Cardinale
Segretario di Stato
Eucaristia e unità ecclesiale
Nel
suo imprevisto intervento al Sinodo il Cardinale Sodano, Segretario di Stato,
ha detto:
“Tutta
la liturgia eucaristica ci porta a rinsaldare fra noi i vincoli di unità.
Importante è, per questo, la preghiera per il Papa, che è presente in ogni
Santa Messa. Importante è la preghiera per il vescovo, pastore della Chiesa
particolare ove si celebra l’Eucaristia. Importante è l’abbraccio di pace fra i
presenti, per curare tutte le eventuali ferite all’unità che possono esistere
nelle comunità locali. E vi sono spesso tante divisioni anche fra di noi,
ministri del Signore, negli stessi istituti religiosi, nelle diocesi con
diversi gruppi etnici.
L’Eucaristia
è sempre un invito all’unità di tutti i discepoli di Cristo, anzi è sempre un
agente di unità a motivo della grazia unificante che ci comunica.
Problema
delicato è invece l’atteggiamento che dobbiamo tenere verso i nostri fratelli
separati, che desiderano partecipare all’Eucaristia celebrata nella nostra
Santa Chiesa.
Ho
sentito qui considerazioni diverse al riguardo. Da parte mia, però, vorrei
ricordare che, per favorire l’unità con i fratelli separati, non dobbiamo
dividerci fra noi. E la via sicura per non dividerci è la fedeltà alla
disciplina vigente della Chiesa.
A
tale proposito la disciplina è chiara: basta leggere l’ultima Enciclica del
compianto Papa Giovanni Paolo II “Ecclesia de Eucharistia”. Lì vi è
tutto un capitolo sull’Eucaristia e la comunione ecclesiale. Al n. 44, ad
esempio si legge: “Proprio perché l’unità della Chiesa, che l’Eucaristia
realizza mediante il sacrificio e la comunione al corpo e sangue del Signore,
ha l’inderogabile esigenza della completa comunione nei vincoli della
professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico, non è
possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che non sia
ristabilita l’integrità dei vincoli. Siffatta concelebrazione non sarebbe un
mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo
al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o
avallando ambiguità sull’una o sull’altra verità di fede. Il cammino verso la
piena unità non può farsi se non nella verità. In questo tema, il divieto della
legge della Chiesa non lascia spazio ad incertezze, in ossequio alla norma del
Concilio Vaticano II.
Vorrei comunque ribadire quello che nella
Lettera enciclica “Ut unum sint” soggiungevo, dopo aver preso
atto dell’impossibilità della condivisione eucaristica: “Eppure noi abbiamo il
desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo
desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci
rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più con un cuore solo.
Al
n. 45, poi, la medesima Enciclica ricorda: “Se in nessun caso è legittima la
concelebrazione in mancanza di piena comunione, non accade lo stesso rispetto
all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole
persone, appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione
con
In
questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale
per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione,
impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della
comunione ecclesiale.
In
questo passo dell’Enciclica, il Magistero pontificio usa il termine intercomunione,
che certo va spiegato, ma che, se ben inteso, può far comprendere il carattere
straordinario della comunione data a chi non è cattolico. Il nostro “Instrumentum
laboris” ha risolto il caso ponendo fra virgolette il termine
“intercomunione” alla fine del n. 86!
In
conclusione vorrei dire che la fedeltà alla disciplina della Chiesa anche su
tale punto delicato è una garanzia di unità fra di noi, in attesa che si avveri
la preghiera di Cristo: “Ut unum sint” (Besa/Roma).
S.B.
Gregorio III Patriarca dei Melkiti
Il sacramento dei sacramenti
Riportiamo
alcuni stralci dall’intervento del Patriarca di Antiochia dei Greco – Melkiti al Sinodo:
“I
Sacramenti – chiamati Misteri nella tradizione orientale – sono aspetti
differenti del grande Sacramento del Mistero di Dio, che ha voluto prendere
forma di uomo ed elevare gli uomini a
sua icona divina.
Così
l’Eucaristia è il Sacramento dei sacramenti e il Mistero dei Misteri. Per mezzo
di essa ogni cristiano diventa uomo pasquale.
A
questo proposito, vorrei insistere sul significato non solamente teologico…Ma c’è anche una
relazione biblica che ha il suo punto di
partenza nel concetto di economia della salvezza: il Padre ha creato, il Figlio
ha salvato e ha donato il Sacramento della Eucaristia, (Lc 22,19: “Fate
questo in memoria di me”) e lo Spirito vivifica.
La
mistagogia eucaristica è quella
dell’anno liturgico che si esplica in tre aspetti:
1.
2.
3.
I
differenti aspetti dell’economia della salvezza sono le dimensioni fondamentali
che viviamo nell’Eucaristia, che divengono gli elementi della vita del
cristiano nel mondo.
S.
Giovanni Crisostomo, nella sua cinquantesima omelia su Matteo dice:
“Il
Mistero dell’Eucaristia è il Mistero del fratello e il giudizio sarà sul modo
in cui colleghiamo il mistero di Cristo
presente nella Santa Eucaristia ed il suo sacramento presente nei fratelli” (cfr. Mt 25,31-46)”.
Nel
IV secolo Narsete di Siria ci dice: “La santità senza l’uomo tuo fratello non è
affatto santità, perché non puoi entrare da solo nel Regno” (Besa/Roma).
Delegato del Patriarcato di Costantinopoli
Grande importanza ecumenica
Il
Metropolita di Pergamo Johannis Zizioulas, membro dell’Accademia di Atene,
delegato del Patriarca Ecumenico al Sinodo, nel suo intervento, tra l’altro, ha
detto:
“Noi
ortodossi ci sentiamo profondamente gratificati che anche il vostro Sinodo considera l’Eucaristia la fonte ed il
culmine della vita e della missione
della Chiesa. E’ molto importante che i cattolici romani e gli ortodossi
possano dirlo con una sola voce. Forse ci sono ancora alcune cose che dividono
le nostre Chiese, ma entrambe crediamo che l’Eucaristia è il centro della
Chiesa. E’ su questa base che possiamo proseguire il dialogo ufficiale tra le
nostre due Chiese, che sta entrando in una nuova fase.
L’ecclesiologia
eucaristica può guidarci nei nostri sforzi per superare mille anni di
separazione. Infatti, è un peccato avere le stesse convinzioni riguardo
all’importanza dell’Eucaristia senza essere capaci di condividerla sulla stessa
Mensa.
L’ecclesiologia
di comunione promossa dal Concilio Vaticano II ed ulteriormente approfondita da
eminenti teologi cattolici romani può avere un senso solo se deriva dalla vita
eucaristica della Chiesa. L’Eucaristia non appartiene solo al benessere ma
all’essere della Chiesa. L’intera vita, parola e struttura della Chiesa,
è eucaristica nella sua essenza” (Besa/Roma).
L’esperienza eucaristica ortodossa
Lo
ieromonaco Filippo Vasviltsey “onorato di rappresentare
“La
rinascita della Chiesa nella Russia moderna
è ben nota a tutti. Ciò riguarda tutti gli aspetti della vita della
Chiesa. Ma l’evento che dà più gioia è
rappresentato dalla rinascita della coscienza eucaristica, che ha subìto dei
seri cambiamenti negli ultimi anni.
Nella
metà del XIX secolo il Santo Metroplita Filarete di Mosca scrisse nel suo breve
catechismo: “Chi vuole la vita cristiana devota
deve fare la comunione quattro volte l’anno”. (In base ai digiuni
principali:
Con
questo non bisogna dimenticare che nella Chiesa ortodossa russa la preparazione
alla comunione include, oltre alla preparazione interiore, anche
Indubbiamente
questo approccio generale verso le
regole esteriori non può e non deve essere inteso in senso assoluto. I confessori influiscono
molto sulla vita eucaristica della Chiesa, perché hanno la possibilità di
indicare la direzione basandosi sulla situazione concreta di ogni persona,
prendendo in considerazione la tradizione moderna della Chiesa.
Possiamo
quindi dire che la coscienza ecclesiale percorre la strada della ricerca delle
norme, basandosi sulle antiche tradizioni. La regola n. 80 del Sesto (di
Trullo) Concilio ecumenico dice: “Se la persona non fa la comunione tre
domeniche di seguito, con questo si separa dalla Chiesa” (Besa/Roma).
Rappresentante della Chiesa di Grecia
La
responsabilità di ogni cristiano
L’Archimandrita
p. Ignatios Sotiriadis, rappresentante della Chiesa ortodossa di Grecia, nel
suo intervento, tra l’altro, ha detto:
Questo
servizio è una responsabilità per ogni cristiano a contribuire, secondo il
ruolo assegnatogli dalla benevolenza divina, affinchè esso venga realizzato nel
modo più completo possibile. La nostra preghiera in questo momento è che
possiamo arrivare tutti alla comprensione di questa responsabilità con la
pienezza che assicura la grazia dello Spirito Santo. Questo spirito di verità
diriga i lavori di questo importante Sinodo, affinchè la vita di ogni fedele
nella Chiesa sia con la grazia del nostro Signore Gesù Cristo una potenza
indefettibile (Eb 7,16), schietta
nella fede (2 Tim 1,5), non deludente nella speranza (Rm 5,5) e
perfetta nell’amore (Besa/Roma).
L’epiclesi ponte nel dialogo cattolico–ortodosso
Il
Rev.mo Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù, in un
solido intervento, tra l’altro, ha considerato la questione dell’epiclesi nel
contesto delle attuali relazioni fra cattolici e ortodossi:
“Il
limite che ha contrapposto la teologia cattolica del II millennio a quella
ortodossa è stato quello di analizzare la trasformazione eucaristica in base
alla nozione del tempo fisico, facendola dipendere esclusivamente o dal momento
in cui vengono pronunciate le parole della consacrazione o dal momento in
cui si pronuncia l’epiclesi
consacratoria
Da
una parte come dall’altra si è dimenticato
che l’istante in cui avviene la
transustanziazione (o metabolé)
non è quello del nostro cronometro, bensì è l’istante di Dio, che è tempo
sacramentale.
Il
magistero della lex orandi, che insegna per natura sua “al dilà delle cose
fisiche”, ammette due momenti forti, entrambi provvisti di forza
consacratoria assoluta: il racconto
istituzionale e l’epiclesi.
Riferita
alle parole della consacrazione e
all’epiclesi consacratoria assoluta non comporta né conflittualità né esclusivismi.
Lungi
dal presentarsi come ostacolo, la questione dell’epiclesi si rivela un vero
ponte ecumenico nel dialogo tra cattolici e ortodossi” (Besa/Roma).
ROMA:
SINODO DEI VESCOVI
PROPOSTE
A
conclusione del Sinodo dei Vescovi ( Roma, 2-23 ottobre 2005) sono state votate 50 proposizioni affidate al
Papa per l’elaborazione di una eventuale “Esortazione” post-sinodale. La proposizione
n.41 tratta dell’ammissione dei fedeli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali
all’Eucaristia nella Chiesa cattolica. La riportiamo qui di seguito:
41.
Ammissione dei fedeli non cattolici alla Comunione.
“Sulla
base della comunione di tutti i cristiani, che l’unico battesimo già rende
operante, anche se non ancora in maniera completa, la separazione alla mensa
del Signore è sperimentata giustamente come dolorosa. Sia dentro
Si
deve chiarire che l’Eucaristia non designa e opera solo la nostra personale
comunione con Gesù Cristo, ma soprattutto la piena communio della
Chiesa. Perciò chiediamo che i cristiani non cattolici comprendano e rispettino
il fatto che per noi, secondo l’intera tradizione biblicamente fondata, la
comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengano intimamente e
quindi la comunione eucaristica con i cristiani non cattolici non è
generalmente possibile.
Ancor
più è esclusa una concelebrazione ecumenica. Parimenti dovrebbe essere chiarito
che in vista della salvezza personale l’ammissione di cristiani non cattolici
all’Eucaristia, al sacramento della Penitenza e all’unzione dei malati, in
determinate situazioni individuali sotto precise condizioni è possibile e
perfino raccomandata (UR 8.15; Direttorio Ecumenico 129-131; CIC 844, § 3 e
4; CCEO 671 § 4; Lettera enciclica Ut unum sint 46; Lettera
enciclica Ecclesia de Eucharistia 46). Il Sinodo insiste perché le condizioni espresse nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1398-1401) e nel suo Compendio (293), siano osservate (Besa/Roma).
ROMA:
S. ATANASIO
LITURGIA
DI S. GIACOMO
Domenica 23 ottobre, festa di S. Giacomo, nella
chiesa di S. Atanasio è stata celebrata, com’è ormai tradizione,
http://xoomer.virgilio.it/giovanni.fabriani.
Sullo stesso sito è possibile ascoltare una registrazione in formato mp3
dell’intera Liturgia celebrata nella nostra chiesa nel 1988 (Besa/Roma).
ROMA
SALI
BERISHA E S. EGIDIO
Il
primo ministro di Albania Sali Berisha ha fatto visita il 14 ottobre 2005 alla
Comunità di S. Egidio, accolto dagli operatori di questa Comunitrà in servizio
umanitario in Albania. Questi hanno esposto il lavoro svolto in Albania dal
S.
BENEDETTO ULLANO
VI
CENTENARIO DELLA NASCITA
DI
SKANDEBEK (1405-2005)
Sabato
29 ottobre
La
prima relazione è stata tenuta dal prof. Agostino Giordano, direttore del
mensile “Jeta Arbëreshe”, sul tema : “Skanderbek, personaggio storico del
secolo XV”.
Egli
ha presentato, con precisione di dettagli, la vicenda storica di Giorgio
Castriota e la sua resistenza armata agli occupanti turchi oltre che la sua
azione politica nelle relazioni con
La
seconda relazione è stata tenuta dal prof. Italo Costante Fortino, dell’università
“Orientale” di Napoli. Egli ha presentato: “Immagini di Skanderbek nella letteratura”, attraversando
la letteratura popolare e quella colta. Ha presentato due rapsodie sull’
<ultima> sua battaglia: Skanderbek
e la morte, e la morte di Skanderbek.
Della letteratura colta, dopo aver
ricordato le opere classiche ben note, ha presentato due composizioni
inedite arbëreshe: opere di Giuseppe Angelo Nociti di Spezzano Albanese e di
Demetrio Chidichimo di Plataci, entrambi del secolo scorso, mostrando la
permanente fecondità di ispirazione del ricordo di Giorgio Castriota
Skanderbek. A sostegno sono state declamate in lingua originale arbëreshe le
due rapsodie tradizionali, secondo il testo raccolto e fissato da Girolamo De
Rada, mentre la traduzione italiana era quella del poeta Ernest Koliqi.
Ha
moderato l’incontro, con arguzia e intelligenza, Alfio Moccia, ispirato
cantautore arbëresh, il quale ha anche eseguito alla chitarra una sua recente
composizione melodica in arbëresh.
La
conferenza si è tenuta in lingua albanese ed è stata seguita. con positiva
sorpresa, da un attento pubblico, composto anche da diversi rappresentanti di
altre comunità albanesi. (“Skanderbek ha unificato le diverse stirpi
illiriche”). Dopo le due relazioni vi sono stati alcuni interventi
che hanno sottolineato “l’attualità dello spirito castriotiano per la comunione
dell’Arbëria e per l’amicizia dei popoli circostanti”. A conclusione ha avuto
luogo un piccolo concerto con l’esecuzione di canti arbëreshë di nuova
composizione e vjershë tradizionali (“Nova et Vetera manifestano la
continuità della vita”).
L’immagine
di Skanderbek proiettata sul fondo della sala ha sottolineato la presenza dello
spirito di unità creato dall’eroe nazionale. Il ricordo della sua nascita è
foriero di rinascita arbëreshe (Besa/Roma).
LUNGRO:
MEDITERRANEO E MIGRAZIONI
NUOVE
RICERCHE STORICHE
Nel
contesto delle numerose migrazioni che hanno caratterizzato la storia del
Mediterraneo, si pone anche l’esodo delle popolazioni albanesi, approdate in Italia
per sfuggire alla dominazione turca (XV-XVI sec.).
Tra
le varie comunità albanofone, stanziatesi in Calabria, Lungro fu uno dei centri
più fiorenti.
L’avv.
Francesco Damis, lungrese, che da tempo si occupa di vicende storiche, ha di
recente pubblicato uno studio sugli Albanesi di Lungro (F. Damis, Mediterraneo
e migrazioni: gli Albanesi di Lungro – Vicende e ricerche storiche dal sec. XV
al sec. XIX, ed. Prometeo, Castrovillari 2005, pp. 146, E. 10).
Il
volume si compone di due parti: nella prima si descrive il territorio di Lungro
e il successivo insediamento degli esuli albanesi, con particolari
approfondimenti sull’onomastica e toponomastica del luogo; nella seconda si
tratta delle Istituzioni (gli Abati, il feudalesimo laico), della comunità (i Lungresi)
e del periodo contemporaneo (la presenza francese e la fine della feudalità).
Il tutto corredato da alcuni interessanti documenti e cartografie inediti, con
relativa analisi all’interno della trattazione, e didascalia, reperiti
specialmente nell’Archivio di Stato di Napoli, nel Catasto generale di Lungro e
in Archivi privati.
L’intento
dell’autore è soprattutto quello di rivitalizzare un passato storico, le cui
conoscenze vanno scomparendo, “contribuendo a depauperare ancor più i deboli
ambienti delle fragili comunità albanofone”. E dal passato trarre sprone per
l’avvenire.
La
presente pubblicazione apre nuovi orizzonti per una più autentica ricostruzione
della storia di Lungro (Besa/Roma).
EJANINA
60°
DI ORDINAZIONE PRESBITERALE
DI
PAPAS EMMANUELE GIORDANO
Il
prossimo 18 novembre ricorre il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale
del protopresbitero p. Emmanuele Giordano, parroco di Ejanina. Figura esemplare
di uomo e di sacerdote. L’intera sua vita è stata dedicata con zelo al servizio
del popolo a lui affidato con serenità e carità evangelica.
Oltre
al servizio pastorale nella linea della tradizione bizantina, egli ha dedicato
grande attenzione alla cultura arbëreshe, pubblicando opere di folkore, di
letteratura. Ha curato il Dizionario arbëresh-italiano e viceversa. Ultimo suo
lavoro:la traduzione in arbëresh degli Evangeli (Besa/Roma).
ROMA:
S. ATANASIO
FESTA
NAZIONALE D’ALBANIA
Sabato
26 novembre avrà luogo una conferenza (Via dei Greci 46, ore 17,30) su “L’Albania
sulla via della democrazia”, con due interventi:
a)
Nuova situazione sociale in Albania (Dr.
Rando Devole),
c) Istituzioni
democratiche (Dr. Roland Seiko).
Domenica
27 novembre: celebrazione della Divina Liturgia (chiesa di S. Atanasio, ore
10,30) in lingua albanese (Besa/Roma).
Teologia
quotidiana
62
HESYCHIA
(5): AMA IL
PROSSIMO TUO COME TE STESSO
La vera “tranquillità dell’anima e del corpo” proviene
all’uomo dalla fede in Dio. Il credente sa di essere sotto la continua
provvidenza del Padre, è solidale-incorporato nel Figlio, è
inabitato-trasfigurato dallo Spirito Santo. Una fonte di inquietudine, di
tensioni e spesso di contraddizioni è il rapporto quotidiano con il prossimo.
La semplice, ma realistica, ascetica popolare richiede di “sopportare
pazientemente le persone moleste”. La differenza di opinione, la diversa
identità del prossimo, talvolta le sue stesse virtù possono essere causa di
molestia, di gelosia, di inquietudine. Questo scoglio di rapporto malato può
essere in qualche modo affrontato con l’uso della ragione e con l’etica
naturale. Lo ha fatto Seneca (“De tranquillitate animi”) e diversi altri
filosofi e saggi in varie epoche. Il rimedio definitivo e creativo però è
l’amore. L’amore a imitazione di Dio stesso che fa piovere su buoni e cattivi
ed è misericordioso con tutti.
1. “Dio ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Gesù Cristo sta
spiegando il mistero della nuova alleanza che trova il suo sigillo nel
sacrificio della croce. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia
la vita eterna” (Gv 3,14-15). Dalla croce di Cristo è disceso sugli
uomini, su tutta l’umanità, il perdono. E si è stabilita la riconciliazione tra
l’uomo e Dio. Questo evento di grazia e di misericordia ha avuto luogo per puro
amore di Dio, amore grande e inatteso,
paradossale, perchè si realizza nel sacrificio del suo stesso Figlio che è
“consustanziale”al Padre. Inoltre è sacrificio del Figlio unigenito. Ciò
significa: evento unico e irripetibile. L’economia salvifica di Dio è originata
dall’amore che rimane esemplare per ogni credente chiamato a diventare ad
immagine e somiglianza di Dio.
2. “Amatevi gli uni
gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12). Il discorso dell’amore è
continuato da Gesù in modo diretto con i discepoli. “Come il Padre ha amato me,
così io ho amato voi” (Gv 15,9). Si tratta di un amore esemplare e
impegnativo per i discepoli. Anzi di un comandamento. Gesù dà un “comandamento
nuovo”, che ci si ami reciprocamente. Da questo – dice Gesù ai suoi – “se
avrete amore gli uni per gli altri
…tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13, 14). L’amore è
un sentimento radicato nel cuore dell’uomo, per sé identificabile con la
persona stessa e capace di manifestazioni eroiche, ma può anche diluirsi in
sentimentalismo, in atteggiamento verbale e superficiale. Gesù sta parlando
alla vigilia della sua passione e morte. Richiama ad un realismo radicale. Si
riferisce a se stesso che sta affrontando il martirio per la vita del mondo:
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv
15,13). L’amico è colui che si ama.
3.“Amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori” (Mt 5,44). L’amore offerto da Gesù per i suoi e richiesto ai
suoi va aldilà della cerchia degli amici, dei membri della stessa famiglia,
della stessa comunità, della stessa etnia, della stessa razza, della stessa
religione. Si estende anche a quella categoria di persone che individuiamo come
“nemici”, cioè avversari, coloro che non ci vogliono bene, che ci contestano e
ci contrastano, che perfino ci “perseguitano”. Per essi bisogna esprimere
l’amore anche nella preghiera. Nell’anafora di S.Basilio preghiamo: “Ricordati,
Signore, di quelli che ci amano e di quelli che ci odiano”. In ogni altra
liturgia per loro chiediamo “ogni bene utile all’anima e al corpo”. L’amore
reciproco è comandato, ma non può essere ridotto ad una contrattazione. Al vero
suo discepolo Gesù chiede di più. “Se amate quelli che vi amano, quale merito
ne avete”? (Mt 5, 46). Il discepolo è chiamato a seguire il maestro che
ha dato la vita per tutti, ad imitazione di Dio che fa sorgere il suo sole
sopra i malvagi e sopra i buoni” e fa
piovere sopra i giusti e gli ingiusti” (Mt 5, 45). E’ una vocazione
ardua, ma Gesù indica che per questa via si arriva ad essere “figli del Padre
celeste”, esigendo che i suoi discepoli siano “perfetti come è perfetto il
Padre celeste” (Mt 5, 48).
L’amore, atteggiamento positivo verso il prossimo di
qualsiasi natura questi sia, determina una condizione unica di serenità. Spesso
di sofferta serenità, raggiunta al prezzo di praticata ascesi intellettuale e
psicologica. L’uomo si pone di fronte agli altri, accanto agli altri, con gli
altri in situazione di comunione e di comune dipendenza dall’unico Padre, in
rapporto di fratellanza con essi. Questo atteggiamento di fede, innazitutto
esprime la comunione creata tra i credenti dalla comune partecipazione alla
vita divina, dall’altra promuove la rimozione degli ostacoli - con il previo perdono
delle offese - dei contrasti, delle opposizioni, fonte di tristezza e di
inquietudine. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori”. L’amore di Dio che ci rinconcilia con Lui è anche la vera fonte di
riconciliazione con il prossimo, è fonte di serenità interiore e di acquistata
stabile tranquillità di animo. (Besa/Roma).
Roma, 5 novembre 2005
Circolare
settembre 2005 177/2005
I detti di Gesù (35): “Sia fatto secondo la
tua fede”............................................................... 1
ROMA: Natura e struttura delle Circoscrizioni
Bizantine in Italia................................................ 2
ALBANIA: Dizionario di Teologia Biblica in
albanese .............................................................. 5
ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano.................................................................................. 6
MEZZOIUSO: XIV Convegno Ecclesiale................................................................................ 7
LUNGRO: L’ideale monastico di S. Nilo.................................................................................. 8
CALABRIA: Festa dei Santi Nilo e Bartolomeo....................................................................... 8
S. DEMETRIO CORONE: XXIV Festival della Canzone
Arbëreshe....................................... 8
BOSE: L’Eucaristia Sacramento del Regno............................................................................... 8
LUNGRO: XVIII Assemblea Diocesana.................................................................................. 9
GROTTAFERRATA: Monachesimo Ortodosso nei Paesi
baltici............................................. 10
ROMA: Hesychia: Incorporati nel Figlio
di Dio ..................................................................... 11
Ta lòghia – I detti di Gesù (35): “Sia fatto secondo la tua fede”
Un centurione romano, pagano, aveva chiesto a Gesù, con convinta fede e
assoluta fiducia, di guarire un suo servo ammalato. Gesù ha ammirato proprio la
qualità della fede manifestata, la elogia e perfino la mette in relazione
all’ingresso nel Regno dei cieli. Al centurione Gesù ha detto: “Va’, e sia
fatto secondo la tua fede” (Mt 8,13), in greco: “ôs epìstevsas”.
Questa espressione di Gesù interessa ogni lettore del Vangelo. E’
chiaro che la guarigione avvenuta (“In
quell’istante il servo guari”)
è in diretta relazione con la fede dichiarata. “Questo episodio rende noto a
tutti che la salvezza viene dalla fede” (G. Crisostomo, Omelie sul
Vangelo di Matteo, Om. 26,4). Le traduzioni delle parole del Signore (“ôs
epìstevsas”) hanno sfumature diverse l’una dall’altra. Quella sopracitata è
della CEI. Un’altra recita: “Va’, sia fatto come tu hai creduto”
(Lancellotti); un’altra dice: “Va’ e ti sia fatto secondo la tua
fede” (Zincone) aggiungendo il pronome “ti”(letteralmente dal testo
greco “soi”), come per dire: “sia fatto per te” quello che hai
chiesto in favore del tuo servo, la tua intercessione è esaudita; l’esegeta
protestante traduce: “Va, qu’il t’advienne comme tu as cru”, cioè, “Va’,
che ti avvenga come hai creduto” (Bonnard);
Questa grande varietà interne
interpretare l’espressione greca “ôs epìstevsas”. Certamente la si può
tradurre letteralmente (ôs =come) ma bisogna intenderla rettamente (ôs=perché).
Qui la congiunzione ôs non è comparativa ma causale. Pierre Bonnard
interpreta in questo modo: ti sia fatto quanto hai chiesto “perché hai
creduto, per il fatto che tu hai creduto”. Dio non condiziona il suo dono al
grado di fede. La sensazione della fede può essere più o meno grande; le
motivazioni della fede possono essere più o meno esplicite. Ma la fede vera in
Dio è sempre totale. Anche una fede “piccola”, quanto un granello di
senape, può spostare le “montagne”.
Nulla è impossibile a chi crede in Dio, perché Dio è onnipotente (Besa/Roma).
ROMA
NATURA E
STRUTTURA
DELLE
CIRCOSCRIZIONI BIZANTINE
IN ITALIA
Papàs Ignazio Ceffalia, sacerdote dell’eparchia di Piana degli
Albanesi, si è brillantemente laureato in Diritto Canonico presso
Riportiamo qui la presentazione che egli ha svolto di fronte alla
Commissione d’esame:
Nell’intraprendere lo studio sulle
Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia, quali l’Eparchia di Lungro in
Calabria, di Piana degli Albanesi in Sicilia e del Monastero-Esarchico di Grottaferrata,
fin dall’inizio della nostra ricerca, si è ritenuto necessario comprendere a
fondo quale fosse la loro natura e la loro struttura giuridica. Per una tale
comprensione non ci si poteva esimere dal trattare l’origine e l’iter storico degli eventi
caratterizzanti la vita ecclesiale di queste Chiese particolari, dalla
fondazione fino alla considerazione del loro stato giuridico attuale e delle
loro prospettive future.
Il lavoro è stato articolato in tre
parti corrispondenti all’iter sistematico
che si è seguito e che ha compreso, un’analisi storica nella I parte, una
storico-giuridica nella II, ed infine una più specificamente giuridica.
Presentazione storica
In particolare nella I parte, grazie all’analisi
storica, si è giunti ad una chiarificazione terminologica che ha posto in
evidenza come con il nome di “Greci” o “Italo-greci” fin dal XVI secolo, nel
linguaggio ecclesiastico della Curia Romana e nei documenti pontifici, venivano
identificati indistintamente tre diversi gruppi etnici residenti in Italia
aventi in comune
Un primo gruppo è rappresentato dai fedeli di nazionalità greca ed appartenenti,
fino ad oggi, alla Chiesa greca ortodossa.
Un altro gruppo invece era
composto dai fedeli ellenofoni del Meridione d’Italia, discendenti dei
Bizantini, e dai numerosi Monasteri basiliani fondati in questa parte della
Penisola. L’unica testimonianza di questa categoria di fedeli oggi è
rappresentata dal Monastero-Esarchico di Grottaferrata.
Infine, il terzo gruppo
etnico è quello degli Italo-albanesi, sovente chiamati con la denominazione
“Greco-albanesi” o anche semplicemente “Greci” e spesso confusi con i primi. A
questo gruppo appartengono i discendenti dei profughi, provenienti sia
dall’Albania che dalla Grecia, arrivati nel Regno di Napoli a partire dalla
fine del XV fino al XVIII secolo in seguito alla caduta di Costantinopoli e
all’estensione dell’Impero ottomano su tutta
Le fondazioni di queste colonie avvennero in un
periodo immediatamente seguente al Concilio di Firenze, per cui gli stessi
esuli non erano considerati “scismatici” ma membri di una Chiesa in comunione
con
Situazione giuridica
Le categorie che
definiscono tali comunità come “cattoliche” oppure “ortodosse”, “fedeli
cattolici di rito greco” o “uniati” sono risultate dallo studio della nostra
ricerca come termini del tutto avulsi al contesto storico dell’epoca. Infatti
non esistevano “uniati” o “uniti” nelle loro file, non solo perché tutti
provenivano da un territorio canonico la cui giurisdizione apparteneva al
Patriarca di Costantinopoli, ma anche perché il fenomeno dell’uniatismo allora
semplicemente non esisteva. Questa mentalità è venuta delineandosi dopo il Concilio di Trento a
causa della Riforma, portando come conseguenza un mutamento nell’atteggiamento
della S. Sede nei confronti dei fedeli greci ed albanesi d’Italia. Invece prima
della Controriforma, e più precisamente nel periodo successivo all’unione di
Firenze, i due termini, cattolico e ortodosso, erano considerati sinonimi
perché Chiesa latina e Chiesa greca si riconoscevano reciprocamente come tali.
Finché perdurò questo status, fedeli
e gerarchia ecclesiastica che riconoscevano l’unione fiorentina venivano
considerati contemporaneamente, anche nei documenti pontifici, come “ortodossi
e cattolici”, pur rimanendo ciascuno nella propria obbedienza romana o
costantinopolitana.
Infatti, l’effettiva ricezione dei decreti sanciti
dal Concilio di Firenze ha portato da parte della Chiesa cattolica ad
accettare, dal 1536 al 1562, che i fedeli Greci ed Albanesi residenti nel
territorio italiano rimanessero in continuità di dipendenza ed in comunione con
la gerarchia del loro paese di provenienza, pertanto si ammetteva la
legittimità della presenza di una gerarchia orientale, autonoma nella sua
struttura ecclesiale ed in comunione con Costantinopoli, che esercitasse un
tipo di giurisdizione “personale” sui fedeli residenti in territori la cui
giurisdizione apparteneva al Romano Pontefice ed ai vescovi della Chiesa
d’occidente. A ciò si aggiunge la vasta produzione di documenti pontifici che a
partire da Papa Leone X fino a Pio IV furono emanati in favore di questi fedeli
perché potessero liberamente professare la loro fede e la spiritualità della
Chiesa d’oriente e vivere secondo il proprio regime canonico, esonerandoli in
tal modo dalla dipendenza giuridica degli Ordinari del luogo latini.
L’applicazione dei decreti del Concilio di Trento
segnò un cambiamento radicale dal momento che lo sforzo di ristabilire una
piena e completa giurisdizione episcopale dei vescovi latini nell’ambito delle
loro diocesi, portò a dei risultati trasversali imprevedibili dovuti
all’impatto con la realtà delle comunità orientali presenti in Italia,
strutturate con una loro gerarchia giuridicamente dipendenti da Costantinopoli.
Pertanto, la forma più immediata per porre rimedio alla contraddittoria
posizione giuridica era di assoggettare questi fedeli orientali agli Ordinari
latini per dare successivamente avvio ad un processo di assimilazione al rito
latino, che avrebbe permesso di arrivare all’uniformità dogmatica, liturgica e
disciplinare, come prevista dal Concilio di Trento. Questa trasformazione ha
portato a considerare
Ma la vera novità di questo periodo storico,
destinata a segnare la storia della Chiesa cattolica moderna ed il rapporto con
le altre Chiese non in comunione con essa, fu l’istituzione del vescovo
ordinante (1595) di rito e per il rito greco. Con questa innovazione, infatti,
si veniva a creare una situazione che non conosceva precedenti nella storia
della Chiesa, la quale fu la base giuridica per giustificare il fenomeno
cosiddetto dell’«uniatismo» [che da lì a poco avrebbe preso piede con l’unione
di Brest (1596)].
Questa linea di condotta assunse a partire dalla
seconda metà del XVIII secolo tratti più severi e restrittivi con l’emanazione,
da parte di papa Benedetto XIV, della Costituzione Apostolica Etsi Pastoralis nel 1742.
Tale documento era stato emanato con lo scopo di
eliminare i contrasti e le tensioni esistenti tra le comunità latine e quelle
greche, per rendere più pacifico il comune vivere quotidiano, nonché
assicurarsi della vera cattolicità di questi fedeli orientali. Proprio in
questo periodo s’inizia impropriamente a considerare gli Italo-albanesi come
“uniti” anche se essi mai hanno firmato alcun atto di unione con
Tuttavia, il carattere restrittivo delle norme, che
si basavano sul principio della praestantia
latini ritus ha posto il rito greco in condizioni di inferiorità e pertanto
suscettibile di corruzioni di ogni sorta che arrecavano grave danno alla
conservazione della Tradizione orientale nel suo stato puro. Per fermare questo
processo di corruzione
Le tre Circoscrizioni Bizantine
L’analisi giuridica, che ha caratterizzato l’ultima
parte della nostra dissertazione ha esaminato in modo particolareggiato lo
stato giuridico attuale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine
d’Italia, a partire dall’analisi dei loro statuti fondazionali. In particolare,
per le comunità Italo-albanesi della Calabria e della Sicilia solo all’inizio
del XX secolo sono state istituite due eparchie proprie ed autonome,
organicamente costituite e gerarchicamente organizzate, indipendenti l’una
dall’altra, governate da due vescovi eparchiali ed immediatamente soggette alla
S. Sede.
Allo stato attuale le Eparchie di Lungro e di Piana
degli Albanesi, sono dotate di tutte quelle strutture giuridiche essenziali che
compongono qualsiasi eparchia, ed attualmente sono rette da tutte quelle norme
sancite dal diritto comune che riguardano i vescovi e le Eparchie carenti di
una struttura gerarchica a loro superiore (Chiese Patriarcali, Arcivescovili
Maggiori o Metropolitane).
Nell’analisi della fisionomia giuridica delle
Circoscrizioni ecclesiastiche italo-albanesi una particolare trattazione è
stata riservata alla peculiare situazione dell’Eparchia di Piana degli
Albanesi, in cui per volontà del Supremo Legislatore sono presenti due riti,
cui appartengono gruppi interi di fedeli di tradizione latina e greca, sottoposti
alla giurisdizione del medesimo vescovo eparchiale appartenente alla tradizione
orientale. A partire da questa situazione presente nel contesto di un’unica e
sola eparchia si verificano e si manifestano diverse problematiche
interrituali, per le quali nel nostro studio abbiamo condotto una disamina e
cercato di proporre delle soluzioni che potrebbero garantire una convivenza
sinfonica ed armonica tra i fedeli appartenenti alle due diverse tradizioni
presenti nell’eparchia.
Dopo lo studio delle Eparchie italo-albanesi la
nostra ricerca si è orientata ad analizzare la fisionomia giuridica del
Monastero di Grottaferrata. Da ciò si è potuto concludere che questa
circoscrizione ecclesiastica è dotata di una configurazione alquanto singolare
dal momento che incorpora in sé due realtà giuridiche. Da una parte si ha,
infatti, il Monastero sui iuris, come
entità autonomica costituita dalla comunità monastica, con una propria vita
interna disciplinata dal proprio Typikòn.
D’altra parte abbiamo l’Esarcato, coincidente con i confini territoriali del
Monastero stesso ed avente come gerarca del luogo l’archimandrita (egumeno) del
Monastero in qualità di esarca. Per questa entità giuridica si rende necessario
un diritto particolare stabilito dal Romano Pontefice per tutti quei sudditi,
che non siano i monaci, la cui cura pastorale è affidata all’esarca stesso.
Inoltre, come Monastero-Esarchico, in quanto Esarcato potrebbe far parte di una
Chiesa sui iuris ben definita, quale
potrebbe essere una Chiesa Metropolitana sui
iuris, o costituire essa stessa
autonomamente una Chiesa sui iuris.
Allo stato attuale le tre circoscrizioni
ecclesiastiche bizantine d’Italia possono essere sicuramente considerate come
forme minori di Chiese sui iuris,
dotate di tutti gli elementi essenziali sanciti dal Diritto comune per essere
riconosciute dal Supremo Legislatore come Chiesa di diritto proprio. Per la
qual cosa si rende necessario quam primum
determinare il loro status giuridico
entro le quattro tipologie di Chiese sui
iuris previste dal CCEO e di
provvedere al più presto ad avere una propria normativa canonica.
In particolare, considerando le quattro tipologie
codiciali di Chiese sui iuris abbiamo
escluso per le tre circoscrizioni in esame la possibilità di costituire una
Chiesa patriarcale o una Chiesa arcivescovile maggiore, ma certamente si è
considerato il fatto che esse potrebbero essere organizzate in Chiesa
metropolitana sui iuris o al limite
entrare a far parte dell’ultima categoria prevista dal CCEO cioè delle ceterae
Ecclesiae sui iuris (cann. 174-176).
Ipotesi per l’avvenire
Avendo presente tali presupposti la nostra
trattazione ha cercato di individuare delle ipotesi di soluzioni con le
relative argomentazioni giuridiche.
In primo luogo abbiamo focalizzato come punto
centrale delle problematiche il fatto che le tre circoscrizioni in esame, pur
riconoscendosi nella comune tradizione bizantina, tuttavia differiscono tra
loro, a motivo del patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare
di cui sono depositarie.
Come conseguenza di ciò si è rilevato che solo le
due Eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi costituiscono effettivamente
Tra le ipotesi di soluzione per la determinazione
giuridica delle realtà ecclesiali in esame, come prima proposta abbiamo
avanzato l’idea che le tre Circoscrizioni potrebbero essere considerate come
un’unica Ecclesia sui iuris
“Italo-albanese” elevata al rango di Chiesa metropolitana sui iuris, dal
momento che il ritus, come inteso nel
can. 28, non costituisce uno degli elementi essenziali perché una Chiesa possa
essere definita come sui iuris ex
can. 27. Tuttavia, si è visto che il Monastero criptense decisamente protende
per una propria autonomia giuridica, per la qual cosa ci è sembrato di
sostenere come ipotesi più verosimile il riconoscimento dello stato di Chiesa sui iuris all’Esarcato di Grottaferrata,
dal momento che esso dimostra la ricchezza e la variabilità della figura di Ecclesia sui iuris con un typos particolare.
Come seconda proposta abbiamo ipotizzato il
riconoscimento delle Eparchie italo-albanesi, da parte dell’Autorità Suprema,
come Chiesa sui iuris, entrando in questo modo a far parte della quarta
tipologia codiciale di “altre Chiese sui iuris” regolate dai cann. 174-176 del CCEO.
Altra possibilità presa in esame potrebbe prevedere
il riconoscimento di una Chiesa sui iuris
di tipo metropolitano che includa le tre circoscrizioni in esame, sotto la
denominazione di “Chiesa Cattolica Bizantina in Italia”, individuando nella
comune tradizione bizantina l’elemento di unificazione che consenta di
realizzare un’unica entità ecclesiastica. Si è visto nel nostro studio come
tale ipotesi potrebbe essere una soluzione assai vantaggiosa, dal momento che
permetterebbe a questi gerarchi anche l’affidamento della cura pastorale dei
fedeli orientali emigrati in territorio italiano appartenenti ad altre Chiese sui iuris, in quanto la denominazione
generica che dovrebbe assumere questa erigenda Chiesa sui iuris non metterebbe in risalto elementi nazionalistici ed
avrebbe nella Tradizione Costantinopolitana (CCEO can. 28 §2) il punto di convergenza di tutti i fedeli ascritti
o affidati a tale Chiesa. Tale ipotesi, ha portato come ulteriore
considerazione l’espansione dell’Esarcato di Grottaferrata, per l’affidamento
delle parrocchie e delle comunità italo-albanesi dell’ Italia
centro-settentrionale, compresa la cura pastorale dei fedeli residenti nel
circondario del Monastero-Esarchico, estendendo così i confini territoriali
oltre a quelli coincidenti con i confini attuali del Monastero sui iuris stesso. In conseguenza a tale
soluzione di determinazione l’esarca di Grottaferrata, potrebbe essere elevato
alla dignità episcopale, venendo così a completare la terna necessaria per
costituire il Consiglio dei Gerarchi.
L’ultima ipotesi di soluzione che abbiamo avanzato
per
In definitiva, da quanto è stato
trattato è emerso che il Monastero di Grottaferrata in quanto Esarcato ritiene
di dover essere riconosciuto dalla Suprema Autorità della Chiesa come un’unica
Chiesa sui iuris in virtù del
patrimonio teologico, liturgico, spirituale e disciplinare che lo
contraddistingue dalle Eparchie italo-albanesi.
Siamo arrivati alla conclusione di dover
considerare come ipotesi di soluzione migliore il riconoscimento dello stato sui iuris delle Eparchie italo-albanesi,
da costituirsi in tal modo come Chiesa sui
iuris appartenente alla quarta tipologia di Chiese di diritto proprio
previste dal CCEO (cann. 174-176), e
similmente dall’altra parte il riconoscimento dell’Esarcato di Grottaferrata
come Chiesa sui iuris italo-greca,
con la prospettiva che nel futuro
Inoltre, una simile soluzione, è stato
considerata al momento come la più vantaggiosa, poiché dalla valutazione dello
stato delle energie e delle strutture delle suddette Chiese particolari non
sono emersi elementi sufficienti da poter permettere la creazione di una nuova
Circoscrizione ecclesiastica per i fedeli italo-albanesi della diaspora, che in
tal modo permetterebbe insieme alle due Eparchie italo-albanesi la creazione di
una Chiesa metropolitana sui iuris Italo-albanese.
Si potrebbe a questo
punto sostenere che il riconoscimento della Chiesa Italo-albanese e del
Monastero-Esarchico criptense come Chiese di diritto proprio da parte della
Suprema Autorità della Chiesa, segnerebbe il riconoscimento della vera
ecclesialità di queste circoscrizioni ecclesiastiche orientali che vantano una
plurisecolare presenza in territorio italiano nonché una indefettibile
comunione con
Alla fine della nostra ricerca il voto augurale è
che l’opera intrapresa da Papa Benedetto XV, con l’istituzione della prima
Eparchia per i fedeli Italo-albanesi della Calabria, possa essere completata
dall’attuale Pontefice Benedetto XVI, con il riconoscimento dello status sui iuris di queste realtà
ecclesiali bizantine d’Italia, portando in questo modo a compimento il loro
sviluppo giuridico.
Con la nostra
ricerca abbiamo voluto, finalmente, mettere in risalto anche il contributo che
le tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d’Italia hanno dato e continuano
ad offrire nella comunione della Chiesa universale. Infatti, nonostante le loro
dimensioni assai ridotte, queste Chiese particolari, «vivendo nella piena
comunione, ma nel contesto di una maggioranza di altra Tradizione, nel
testimoniare la loro appartenenza orientale, hanno avuto sempre vivo il
problema della ricomposizione della piena comunione e unità tra cattolici e
ortodossi. Queste realtà ecclesiali ne provavano e ne provano esistenzialmente
l’esigenza. E a loro modo hanno contribuito al farlo presente nel centro stesso
della Chiesa cattolica. In particolare con i problemi liturgici e disciplinari
che la propria tradizione, per la loro diversità, poneva agli organismi
centrali, hanno mantenuto presente che nella Chiesa vi è sempre stata
un’alterità (varietas) che deve avere
il proprio posto nella comunione, che l’unità non si deve intendere come una
mortificante uniformità, che è possibile ricomporre unità e diversità. Queste
piccole comunità ecclesiali hanno svolto, con zelo religioso ed orgoglio della
propria identità, questo ruolo, che in qualche modo è provvidenziale» (E.
F. Fortino,
Il 22 luglio 2005 L’Osservatore Romano ha pubblicato una nota di Eleuterio
F. Fortino sulla
traduzione in albanese del “Vocabulaire Théologique Biblique” di Xavier Léon –
Dufour. La riportiamo qui di seguito:
In
appoggio alle attività di insegnamento nel seminario, alla predicazione e alla
catechesi, quest’anno, è stato pubblicato in lingua albanese il “Vocabulaire
Théologique Biblique” di Xavier Léon – Dufour, uno straordinario sussidio
per una nuova pastorale fondata sulla Parola di Dio (Xavier Léon –Dufour, Fjalor
i Teologisë Biblike, Chirico, 2005, col. 1628).
L’arvivescovo
metropolita di Tiranë - Durrës, mons. Rrok Mirdita nella prefazione scrive:
“Questo Dizionario è uno strumento di
singolare valore per tutti coloro che sono impegnati nella vita della Chiesa …
Il Dizionario che il lettore albanese avrà tra le mani ha una grande importanza per
Quest’anno
ricorre il XL anniversario della promulgazione (18 novembre 1965-2005) della
Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II
Dei Verbum. La pubblicazione del Dizionario Biblico in albanese è un
modo eccellente per commemorarlo, in Albania, in modo attivo e aperto al futuro
(Besa/Roma).
L’Evangeliario Liturgico della Chiesa bizantina è stato pubblicato
per la prima volta in lingua italiana e in accurata edizione per l’Altare
(Divino e Sacro Evangelo, Roma 2005). Martedì 28 giugno 2005, nella chiesa di
S. Atanasio dei Greci a Roma, è stata presentata questa edizione curata dal
diacono prof. Luigi Fioriti per l’eparchia bizantina di Lungro. Il rito di
intronizzazione del Vangelo è stato presieduto dal vescovo di Lungro S.E. mons.
Lupinacci, durante una breve akolouthia vespertina.
S.B.
Ignazio Moussa I Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali,
ha sottolineato l’importanza spirituale e culturale dell’iniziativa. Ha messo
in relazione questa opportuna pubblicazione con la celebrazione del II Sinodo
Intereparchiale delle eparchie di Lungro
in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia e del Monastero
esarchico di Grottaferrata. Egli ha detto: “L'iniziativa è in piena sintonia
con le prospettive del II Sinodo Intereparchiale, il cui tema, non senza giusta
motivazione, era stato: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”. Certamente
si ricorderà l’esortazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale,
nell'udienza concessa ai membri sinodali l’11 gennaio
Sono
seguiti tre interventi sull’Evangeliario nel culto da parte del prof. p. Robert Taft s.j del Pontificio Istituto
Orientale, del prof. p. Silvano
Maggiani della Pontificia Facoltà
Teologica Marianum e di S.E. mons. Domenico Sorrentino, Segretario della
Congregazione per il Culto e
Nelle eparchie bizantine
cattoliche in Italia è in uso di avere sempre sull’altare il grande
Evangeliario greco di Roma del 1880, mentre fino ad oggi per la lettura in
italiano si adoperava una edizione con pericopi fotocopiate. Ciò lasciava molto
a desiderare circa la dignità che questo Libro Sacro ha sempre avuto nella
considerazione bizantina, che gli attribuisce l’onore e il posto di Cristo
nell’Asemblea celebrante.
La nuova pubblicazione (Roma
2005) ha come titolo Divino e Sacro Evangelo. La sua struttura ricalca
l’edizione dell’Evangeliario di Roma del 1880. Per farne uno strumento agevole
all’uso, si sono tolte alcune parti che appartenevano alla tradizione storica del testo più che
alla pratica liturgica.
Il volume è composto da 248
pagine in pregevole carta avorio, con all’interno sei tavole bicolore del
Maestro Roberto Roberti che dividono le parti tradizionali del Vangelo.
Esso comprende le pericopi del
ciclo delle domeniche e dei sabati e la lectio continua dei giorni feriali,
pericopi che vengono proclamate nella liturgia eucaristica, ma anche in altre
akolouthie nel corso dell’anno liturgico, nel seguente ordine tradizionale:
1.
Evangelo secondo Giovanni
con inizio dalla Domenica di Pasqua.
2.
Evangelo secondo Matteo
con inizio dalla prima settimana dopo Pentecoste.
3.
Evangelo secondo Luca con
inizio dal lunedì dopo la prima domenica dell’Esaltazione della Croce.
4.
Evangelo secondo Marco.
5.
Evangeli della Santa e
Grande Settimana.
6.
Evangeli della Resurrezione
per il Mattutino.
7.
Evangeli delle Feste
fisse, despotiche e teomitoriche, dell’anno e di quelle dei Santi celebrati
durante i mesi dell’anno (Mēnaia).
8.
Evangeli per diverse
circostanze.
9.
L’indice dei Santi
Evangeli da leggere nel corso dell’anno.
Nei Mēnaia (libri liturgici
dei Mesi) sono stati aggiunti i due grandi santi italo -greci calabresi: S.
Nilo e S. Bartolomeo di Rossano,
presenti nell’Imerologhion dell’eparchia di Lungro.
Nella presentazione il vescovo di
Lungro ha scritto: “Nella liturgia bizantina l'Evangeliario si è sempre
mantenuto vivo: ogni benedizione, processione, celebrazione; ogni annuncio
solenne di salvezza non può avvenire senza di esso. Ogni Sinodo, ogni Concilio,
deve avere al centro il libro della Divina Parola. È acclamato con il canto,
incensato, portato in processione”.
L’Evangeliario è venerato come le
icone. All’ingresso per
MEZZOIUSO
XIV CONVEGNO ECCLESIALE
Si
è tenuto a Mezzoiuso presso l’Istituto A. Reres il XIV Convegno Ecclesiale
dell’eparchia di Piana degli Albanesi (8-9 Luglio 2005) sul tema: “La
famiglia cristiana: Prospettive per il III Millennio”.
Ha
relazionato la prof. Gabriella Paravisi della LUMSA e psicologa presso
·
“Conflitto e crescita nella coppia”.
Dal
punto di vista teologico ha relazionato Don Giovanni Cerreti con due interventi
su:
·
“L’annuncio evangelico della monogamia”;
·
“L’esercizio della misericordia di fronte alle difficoltà familiari”.
Dopo
il rapporto dei coordinatori dei gruppi di studio ha concluso l’incontro con un
elogio commento S.E. mons. Sotir Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi (Besa/Roma).
LUNGRO
L’IDEALE MONASTICO
DI S. NILO
Per
iniziativa del Comitato per il millenario di S. Nilo - Azione Cattolica
dell’eparchia di Lungro - il 18 agosto ha avuto luogo a Lungro nel salone delle
Piccole Operaie dei Sacri Cuori, una conferenza su “L’ideale monastico di S. Nilo”. Sulla traccia dell’itinerario
della vita di S. Nilo (Rossano, Mercurion, S.Adriano/S.Demetrio Corone,
Vallelucio, Serperi, Tuscolo/Grottaferrata), l’oratore ha presentato
l’esperienza monastica di S. Nilo (quella dell’eremo, della laura, del cenobio)
con propensione alla vita eremitica, lasciando però la sua eredità spirituale
nel monastero-cenobio di Grottaferrata.
Relatore
è stato mons. Luigi Renzo, vicario generale dell’archidiocesi di Rossano,
patria di S. Nilo. Egli è autore di molte pubblicazioni di carattere storico e
religioso. Lo scorso anno ha pubblicato “I
fioretti di S. Nilo”, una presentazione fondata e attraente della vita di
S. Nilo per una solida divulgazione. Quest’anno ha pubblicato già una analoga
su S. Bartolomeo nel 950° anniversario (1055-2005) della morte (Luigi Renzo, S. Bartolomeo di Rossano e i suoi fioretti,
Grafosud, 2005).
E’
intervenuto S.E. mons. Ercole Lupinacci, vescovo di Lungro; tra l’altro egli ha
ricordato il progetto dell’AC di una visita a tutte le parrocchie dell’eparchia
con l’icona di S. Nilo per spiegare la vita e il suo ideale monastico e la
tradizione bizantina in Calabria. Per la circostanza, egli ha costatato che
nelle parrocchie non si trova una icona di S. Nilo. Di conseguenza ha espresso
il proposito di farne dipingere una nuova a questo scopo.
A
proposito della divulgazione della festa di S. Nilo nell’eparchia, mons.
Eleuterio F. Fortino, presente alla conferenza, ha ricordato che nella lettera
con cui mons. Lupinacci ha presentato il nuovo Evangeliario Bizantino (Roma, 2005), egli ha messo in rilievo che
nella parte riguardante le feste dei santi in questa nuova pubblicazione per
l’uso liturgico, sono state riportate le letture, che si proclamano nelle feste
di S. Nilo e S. Bartolomeo, feste presenti del resto nell’Imerologhion di Lungro.
S.
Nilo ha trascorso più di 25 anni a S. Adriano, oggi territorio dell’eparchia di
Lungro.
Ha
moderato l’incontro il presidente dell’Azione Cattolica Diocesana, l’insegnante
Luigi Vitteritti, il quale ha organizzato l’indovinata iniziativa con
intelligenza e con entusiasmo.
Egli
ha informato che nel prossimo mese di settembre avrà luogo un pellegrinaggio
nei luoghi niliani, da S. Demetrio a Rossano e via - via salendo l’Italia fino
a Montecassino e a Grottaferrata; inoltre il Comitato organizzerà altri due
incontri come quello odierno in due altri centri dell’eparchia. Egli infine ha
ricordato che nel 1958 il Papa Giovanni XXIII dichiarava S. Nilo e S.
Bartolomeo, co-patroni della Calabria, assieme a S. Francesco di Paola.
Ciò
è in piena coerenza storica per la presenza, anche attuale, delle due
tradizioni, o dei “due polmoni”, latina e orientale in Calabria (Besa/Roma).
CALABRIA
FESTA DEI SANTI NILO E BARTOLOMEO
Nel
mese di ottobre del 1958 tutti i vescovi di Calabria hanno presentato al Papa
Giovanni XXIII una petizione secondo cui:
·
“I santi Nilo e Bartolomeo di Rossano siano dichiarati compatroni aeque
principaliter con S. Francesco di Paola”;
·
“sia concesso di poter celebrare in Calabria, come nell’archidiocesi di
Rossano, la festa dei detti santi rispettivamente nel giorno del 26 settembre e
dell’11 novembre di ogni anno”.
Per
l’eparchia di Lungro ha firmato il vescovo S.E. mons. Giovanni Mele.
Il
Santo Padre rispondeva affermativamente. Per mezzo di un decreto a firma del
Segretario di Stato Domenico Tardini, in data del 20 novembre dello stesso
anno, si autorizza la celebrazione delle due feste: “Festum Sancti Nili,
Abbatis, die XXVI septembris, et Sancti Bartholomaei, Abbatis, die XI
novembris….in totius Bruttiorum regionis dioecesibus quotanis celebretur” (Besa/Roma)
SAN DEMETRIO CORONE: XXIV FESTIVAL DELLA CANZONE ARBËRESHE
Il
XXIV Festival della canzone arbëreshe (21 agosto 2005) è stato vinto dalla
cantante di Spezzano Albanese, Emiliana Morrone, con la canzone “Dua të rronj” (“Voglio vivere”), scritta e musicata da Agostino Sofis.
Il
premio della critica è stato attribuito alla canzone “Rrimi bashkë, oj Arbëri” (“Stiamo insieme, o Arbëria”), scritta da Pino Cacozza (Besa/Roma).
BOSE
L’EUCARISTIA
SACRAMENTO DEL REGNO
All
fine della sua vita, il presbitero russo-ortodosso, Alexander Schmemann,
professore di liturgia al Saint Vladimir Seminary (New York), stava terminando
la redazione di un volume sull’Eucaristia. Aveva appena redatto l’introduzione
che apre questo volume, datato “novembre
Queste
modifiche di percezione o di ignoranza dell’essenziale cerca di correggere
l’autore con una presentazione degli elementi strutturali essenziali
dell’Eucaristia, sulla base del formulario di S. Giovanni Crisostomo e di S.
Basilio, e della interpretazione della tradizione bizantina con una proiezione
dell’attualità della problematica dell’uomo contemporaneo. E’ uno studio utile
anche per i lettori latini, ma ha particolare valore per i bizantini, per i
quali l’abitudine – o anche la non comprensione dei testi a causa dell’uso di
lingue non più conosciute al popolo – seppellisce il senso dei riti, dei gesti
e delle parole. Il volume è una sorta di manifestazione del significato di
tutto questo. ”Noi ortodossi – scrive l’autore – dobbiamo trovare in noi stessi
la forza di dedicarci, anima e corpo, a questa rinascita eucaristica…Si tratta
di ritornare alla visione, all’esperienza di cui
L’autore
imposta il suo studio partendo dalla Comunità che si riunisce per celebrare
l’Eucaristia, evitando anzi sottoponendo a dura critica le interpretazioni
individualiste dell’Eucaristia, e pervenendo a parlare del sacramento
dell’Assemblea. Non sarebbe esagerato affermare che l’insegnamento di scuola -
egli scrive - “semplicemente ignora il significato ecclesiologico
dell’Eucaristia, così come semplicemente dimentica la dimensione eucaristica
dell’ecclesiologia” (p. 10). La visione dell’intera comunità che celebra
l’Eucaristia evita il clericalismo esclusivo rendendo i fedeli laici a elemento
passivo e solo recettivo, contraddicendo l’intera struttura della celebrazione
in cui il proestòs è il capo del
corpo dell’assemblea.
Il
volume prende in considerazione, per esposizione e interpretazione, le varie
unità liturgiche, offrendo una visione coerente. L’indice in dodici capitoli è
così strutturato:
1. Il sacramento
dell’Assemblea: Assemblea, Eucaristia, Chiesa;
2. Il sacramento del Regno:
l’orizzonte dell’Eucaristia;
3. Il sacramento dell’ingresso:
il “piccolo ingresso”, vero inizio dell’Eucaristia;
4. Il sacramento della Parola:
l’unione invisibile di Parola e sacramento;
5. Il sacramento dei fedeli: il
sacerdozio universale della chiesa;
6. Il sacramento dell’offerta:
il sacrificio di Cristo e l’offerta di noi stessi a Dio;
7. Il sacramento dell’unità:
“Amiamoci gli uni gli altri”: il bacio di pace;
8. Il sacramento
dell’elevazione: “In alto i nostri cuori”;
9. Il sacramento dell’azione di
grazia: riscoprire la profonda unitarietà
della preghiera eucaristica;
10. Il sacramento della memoria:
memoria dell’ultima cena;
11. Il sacramento dello Spirito
Santo: l’epiclesi e la formula
consacratoria;
12. Il sacramento della comunione:
una progressiva clericalizzazione della Chiesa e comunione nell’unico Spirito.
Il
prof. Kostantin Andronikov, collega dell’autore, in una breve quanto essenziale
postfazione, presenta alcuni dati della vita e dell’attività di p. Schmemann.
Tra l’altro per la presente opera egli scrive: “Quest’opera guida il lettore (si potrebbe dire l’ascoltatore, perché sembra di sentir
parlare p. Schmemann) a una riscoperta dell’Eucaristia come “sacramento del
Regno”, aspetto notevolmente messo in ombra dalla secolare deriva della pietà e
della teologia cristiane” (Besa/Roma).
LUNGRO:
XVIII ASSEMBLEA DIOCESANA
“L’Eucaristia
fonte e culmine della vita della Chiesa”, questo il tema della XVIII assemblea
diocesana e corso di aggiornamento teologico, svoltosi a Lungro nella chiesa
del “SS. Salvatore”, nei giorni 29 - 30 - 31 agosto 2005.
Dopo
il saluto del vescovo eparchiale mons. Lupinacci, il convegno si è aperto con
la relazione di mons. Domenico Tarcisio Cortese, vescovo di
Mileto-Nicotera-Tropea, su “L’Eucaristia è carità”. Egli, partendo dal mistero
cristiano, ha sottolineato come Dio è amore, e per amore crede nell’uomo,
creandolo a sua immagine e somiglianza. Anche se col peccato l’uomo si è
staccato da Dio, l’incarnazione restaura e riafferma questo amore. In
Gesù Cristo, che per la salvezza di tutti ha immolato se stesso sulla croce,
come dono supremo d’amore, l’uomo è divenuto nuova creatura, mediante il
soffio rigeneratore dello Spirito. L’ Eucaristia è il “sacramento del Cristo
morto e risorto”, è “sacramento del dono e della memoria”, è “sacramento della
vita eterna”. L’Eucaristia fa
“Partecipando
al banchetto del corpo e sangue del Signore, il cristiano diventa prolungamento
e dilatazione dell’amore di Dio nel mondo”. La risposta dell’uomo al Signore
che lo invita a cibarsi del pane eucaristico non è soltanto la partecipazione
ad un rito sacro, ma deve concretizzarsi nella fede, nella preghiera e
nella santità di vita, intesa anche come diaconia e testimonianza.
La
seconda relazione su “Eucaristia e divinizzazione” è stata svolta da
papàs Vittorio Scirchio, parroco di S. Giorgio Albanese. Egli, attraverso
numerosi riferimenti biblici, liturgici, patristici, ed anche ad opere di
teologi ortodossi ed ai più recenti documenti del Magistero della Chiesa, ha
sviluppato due aspetti fondamentali: concetto di divinizzazione secondo la
tradizione dei Padri; Eucaristia culmine della deificazione.
Con
un’analisi delle icone dell’Annunciazione e dell’Ascensione, mettendo in
relazione l’incarnazione (sarkosis) e la divinizzazione (theosis),
in un duplice movimento di discesa di Dio verso l’uomo e di ascesa dell’uomo
verso Dio, egli ha posto in evidenza la comunicazione delle energie divine
attraverso l’azione dinamica e vivificante dello Spirito, in una Pentecoste
continua. Viene così recuperata nella natura umana la somiglianza divina,
deformata dal peccato di Adamo. L’uomo, così rinnovato, in comunione viva con
Dio uno e trino, inizia il suo cammino di deificazione, attraverso i
sacramenti, inserito nel Corpo mistico di Cristo:
La
terza relazione, che ha concluso il convegno, è stata tenuta dal protopresbitero
Nik Pace, parroco di “S. Nicola di Mira” di Lecce, sul tema: Eucaristia ed
ecumenismo. Egli ha sottolineato alcuni importanti aspetti:
Dio
ha fondato
“l’Eucaristia
manifesta, esprime, realizza, attua e conserva l’unità della Chiesa” nella fede
e nella comunione ecclesiale;
la
divisione dei cristiani, frutto del peccato, ha compromesso l’unità e
l’annuncio del Vangelo, impedendo di sedersi tutti insieme attorno alla comune
mensa eucaristica;
l’impellente
necessità di ricomporre l’unità è cresciuta specialmente dopo il Concilio
Vaticano II;
il
dialogo ecumenico avviato, partendo da ciò che unisce, ha aperto nuove
prospettive, particolarmente per ciò che concerne la conoscenza reciproca ed il
reciproco rispetto;
il
fenomeno dell’ecumenismo spirituale e culturale, nuova realtà ecumenica
emergente, tramite la creazione di nuove reti di amicizia tra gruppi e
movimenti appartenenti a Chiese e Comunità ecclesiali di diverse confessioni
cristiane, ha favorito una maggiore fraternità e comunione, realizzata nella
preghiera comune, l’ascolto e la lettura della S. Scrittura.
Il
relatore ha poi precisato, riferendosi ai testi conciliari, i vari gradi di
comunione teologica ed ecclesiale che contraddistinguono ortodossi, protestanti
ed anglicani in relazione alla Chiesa cattolica. Infine egli ha preso in esame
alcuni documenti delle Chiese in dialogo.
A
tutte e tre le relazioni è seguito un vivace dibattito. Due gruppi di studio
hanno poi approfondito i temi delle tre relazioni, portando in assemblea le
loro considerazioni.
In
particolare i due gruppi hanno espresso l’urgenza di un cammino
mistagogico e di formazione ecumenica,
che coinvolga maggiormente i giovani.
Il
convegno si è concluso con l’elaborazione di un documento finale, letto
discusso ed approvato dall’assemblea (Besa/Roma).
GROTTAFERRATA
MONACHESIMO ORTODOSSO
MEI PAESI BALTICI
Dal
22 al 26 settembre 2005 avrà luogo nel monastero di Grottaferra ta un congresso internazionale sul
“Monachesimo ortodosso in Finlandia e nei Paesi Baltici”. Il congresso, che si
inserisce nelle celebrazioni del millenario di S. Nilo (1004-2004), è organizzato
dal monastero in cooperazione con il Patriarcato Ecumenico (Besa/Roma).
60
HESYCHIA
(3): INCORPORATI NEL FIGLIO DI DIO
La
tranquillità dell’animo non si raggiunge con una ginnastica psico-fisica - che
pure può essere utile - ma dalla fede in Dio che ci è sempre e dappertutto
“prossimo”, dal giorno del battesimo quando lo abbiamo accettato come unico
Signore e siamo stati vitalmente immersi nel nome della Trinità. La provvidenza
del Padre, l’incorporazione in Cristo, l’inabitazione dello Spirito, che dà la
vita e tutto riempie, sono la sorgente vera e la causa reale della serenità del
credente. Anche se noi non sentiamo di amarlo, egli ci è vicino. E chi ci può
allontanare dall’amore di Dio? Neanche la morte, ci assicura San Paolo. Se il
Signore è il mio pastore di chi avrò paura? Canta il salmista. Il battesimo
assicura molto di più. Il fedele viene incorporato in Cristo, fa con Lui un
solo corpo. Cristo-capo è quindi misteriosamente sempre solidale con i fedeli-membra
del corpo. Alcuni episodi evangelici manifestano che il Signore non abbandona
mai i credenti in lui:
1. “Non temete sono io” (Mt 14, 28), dice Gesù ai
suoi discepoli, che lo vedono camminare sulle acque del lago in tempesta e, turbati,
credono che sia un fantasma. Il buio, l’agitarsi delle onde, un’ombra vagante
bene esprimono la realtà che spesso l’uomo – il credente come gli altri –
affronta nella vita. In altro linguaggio si parla di incertezza, di angoscia,
di dubbio esistenziale e di paura mortale. E la vita quotidiana, anche se
apparentemente “ordinata”, spesso nasconde i turbamenti della tempesta
interiore. Straordinario quell’evento di Gesù che cammina sulle onde del mare
per andare verso i suoi discepoli impauriti, e per tranquillizzare il loro
animo. Il “coraggioso” Pietro chiede di camminare anch’egli sulle acque per
verificare se è veramente Gesù o un fantasma e Gesù glielo permette. Ma per timore del “vento contrario” comincia ad
affondare. Gesù “stesa la mano lo afferra” (Mt 14,31) e lo riporta salvo in
barca. Pietro affonda perché ha “dubitato” e ha dubitato perché non ha avuto
fede. Il credente sa che il Signore non lo abbandona.
2. “Pace a voi” (Gv 20,19), disse il Signore ai
discepoli la sera del giorno della risurrezione. Essi erano insieme, non per
gioire. Erano ancora nella tristezza. Il loro Maestro era stato crocifisso, le
loro speranze erano seopolte. Qualcuno diceva di aver visto il Signore vivo. Ma
era vero? Era possibile? Era una allucinazione prodotta dall’amore o dalla
paura? Era un desiderio? I discepoli erano insieme “essendo serrate le porte
per timore dei giudei” (dià tòn phòvon). Coloro che avevano ucciso il
Maestro, non potrebbero fare lo stesso con i discepoli? Gesù risorto si
presenta loro in modo incomprensibile “a porte chiuse” con un annuncio
fondamentale per il cristiano: “Pace a voi”. I vostri cuori sono turbati, le
vostre menti sono confuse? Il timore vi imprigiona? Si calmino i vostri cuori,
si acquietino le vostre menti, siate liberati dal timore. Non temete, sono io.
Eccomi qui. A Tommaso che dubitava, che chiedeva la prova, dice: “Metti la tua
mano nel mio costato”(Gv 20,27). Ai discepoli di ogni tempo Gesù risorto dice:
pace a voi, non sia turbato il vostro cuore. Non vi è stato detto che sono l’Emmanuele,
“Dio - con - voi”? E le Scritture non dicono che tutto ciò doveva avvenire? Ai
suoi discepoli Gesù ha detto e dice: “Vi lascio la mia pace”. La pace che
proviene da Gesù Cristo è la condizione che genera il perdono ottenuto sulla
Croce, è la riconciliazione con Dio e con il prossimo. Alla fine della
celebrazione eucaristica noi fedeli veniamo inviati nel mondo con il congedo:
andiamo in pace.
3. “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo” (Mt 28, 20). E’ l’assicurazione finale di Gesù risorto ai suoi
discepoli, prima della sua ascensione ai cieli alla destra del Padre. Questa
garanzia viene data da Gesù dopo aver affidato loro il mandato di fare
discepole tutte le genti, di battezzarle nel nome della Trinità e di insegnare
loro a conservare e mettere in pratica tutto il suo insegnamento. E’ la stessa
assicurazione che si annuncia ad ogni cristiano nel giorno del battesimo.La
presenza misteriosa di Cristo accompagna la vita dei cristiani: E’ presente
nella proclamazione della Parola di Dio, nella celebrazione dei sacramenti, in
particolare dell’eucaristia, pane e vino per la vita del mondo, è presente nel
prossimo che si trova nel bisogno, con cui si identifica. E’ presente
nell’ultimo giorno quando inviterà: venite benedetti dal Padre mio, nel regno
preparato per voi. A coloro che Gli hanno resto testimonianza, Egli renderà
testimonianza davanti al Padre.
4. Questa vitale solidarietà del cristiano con Cristo, che
ha vinto il mondo – con le sue tentazioni, le sue avversità e la stessa morte – dà al fedele la
possibilità di raggiungere e mantenere la tranquillità dello spirito in mezzo
alle tensioni quotidiane (Besa/Roma).
Circolare Luglio 2005 176/2005
I detti di Gesù (34): “Io verrò e lo guarirò”............................................................................ 1
ROSSANO: Millenario della morte di S. Nilo (1004 –2004).................................................... 2
ROSSANO: I fioretti di S. Nilo................................................................................................ 9
ROSSANO: “Arbëreshë a Rossano” ....................................................................................... 9
PLATACI: Festival “Piccoli cantori arbëreshë” ........................................................................ 9
ROSANO: Catalogo bibliografico su S. NiloKOSOVA: La libertà religiosa............................ 10
ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano................................................................................ 10
ROMA: Hesychia: Sotto la provvidenza di Dio Padre............................................................. 11
Tà
lòghia – I detti di Gesù (34): “Io verrò e lo guarirò”
L’evangeista Matteo ci presenta Gesù in cammino: passava da una città
all’altra e attraversava i villaggi. Percorreva tutta
Un giorno a Cafarnao gli venne incontro un centurione, un militare romano. Questi lo pregava scongiurandolo (parakalōn) in favore di un suo servo che soffriva terribilmente. Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò - therapèvso aftòn” (Mt 8,7). Il centurione pagano “sa che Gesù (giudeo) non può mettere piede nella sua casa” (Pierre Bonnard). E con la sua mentalità di militare – abituato al comando e all’immedita obbedienza - chiede che Gesù dica “una sola parola” (mònon eipè lògō) e il suo servo sarà guarito. San Giovanni Crisostomo parafrasa in questo modo la parola del centurione: “Se tu ordini alla morte di non venire sul mio servo, essa non verrà” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 26,4). Gesù elogia questa fede e fiducia incondizionata con ammirazione. E conclude: “Va’ e ti sia fatto secondo la tua fede” (Mt 8, 13). In quell’istante il suo servo guarì.
E’ un epirodio dell’opera di Gesù che è riportato anche da Luca
(7,1-10) e da Giovanni (4, 46-53).
L’episodio manifesta la missione salvifica di Gesù che viene per guarire, per
redimere, per salvare. Nel simbolo niceno – costantinopolitano i cristiani
professano che il Figlio di Dio “per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dai cieli”. A centurione Gesù disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ad ogni
uomo egli continua dire: “vengo e ti guarisco” (Besa/Roma).
ROSSANO
NEL
MILLENARIO DELLA MORTE DI S.NILO
(1004-2004)
Riportiamo qui di seguito il testo leggermente
abbreviato.
“Io credo che non vi sia qualcuno tra noi che non conosca Rossano, non solo come quella città che presiede ai confini della Calabria, assai grande e inespugnabile ad un tempo, ma anche come la sola città, nella quale, nella quasi generale devastazione di tutta la regione calabra e nella conseguente caduta di tutte le altre città nel dominio dei saraceni, non soggiacque alla legge della comune rovina”[45]. Quest’affermazione si trova in apertura del Bios, della Vita, di S. Nilo, scritta da un anonimo, ma che gli studi filologici e agiografici ormai attribuiscono con certezza morale a S. Bartolomeo, anch’egli di Rossano. La redazione del Bios è della prima parte del secolo XI, mentre i fatti ivi descritti si riferiscono alla seconda parte del secolo X. Il Bios di S. Nilo “per l’abbondanza dei particolari e per il talento dell’autore costituisce il capolavoro dell’agiografia calabrese”[46]. Si tratta, è noto, di un panegirico del santo, e, come in genere fanno i testi di agiografia, tende all’edificazione. Non è un libro di pura storia, ma nell’insieme, offre una descrizione storica, sostanzialmente precisa della Calabria, parte integrante dell’impero bizantino, attaccata dai saraceni; territorio di cultura e presenza religiosa bizantina aggredita da eserciti stranieri di appartenenza religiosa islamica.
S. Nilo ha vissuto in questo
tempo (910-1004). Per quanto riguarda le relazioni fra Bisanzio e Roma egli,
nato in una città definita “la più bizantina della Calabria”[47], ha
vissuto nel tempo della piena comunione, anche se dal 732 l’imperatore
iconoclasta Leone III Isaurico aveva strappato dalla giurisdizione del Papa di
Roma
Avendo S. Nilo vissuto nel tempo
della piena comunione, parlando di lui non si può fare un discorso propriamente
ecumenico perché, per sé, l’ecumenismo ha per scopo la ricomposizione
dell’unità fra Chiese divise. Tuttavia dal Bios ci provengono indicazioni utili
anche per l’attuale ricerca dell’unità fra oriente e occidente. Emergono
indicazioni feconde per la fraterna e reciproca complementarietà fra tradizioni
ecclesiali diverse da vivere nell’unità della fede. E ciò ha ricadute anche in
campo ecumenico. Il Concilio Vaticano II
ha rimandato al primo millennio come a un luogo ecumenico privilegiato, da
studiare in vista di una riarticolazione dell’unità. Il decreto sull’ecumenismo
ha affermato: “Le Chiese di oriente e di occidente hanno seguito per molti
secoli una propria via, unite però dalla
fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune
consenso
E’ nell’ultimo secolo del primo millennio che ha vissuto S. Nilo fondando il monastero di Grottaferrata all’alba del secondo millennio (1004), unico monastero italo-greco sopravvissuto fino ad oggi e di cui stiamo commemorando appunto il millenario.
Può, un santo vissuto mille anni fa, dire qualcosa agli uomini
del terzo millennio? Può un personaggio vissuto nella piena comunione tra le
Chiese offrire qualche indicazione alla Chiesa locale, ed anche alla Chiesa universale, per
raddrizzare i viottoli della storia e ritrovare la via evangelica della piena
unità?
1. Vita secondo il Vangelo
Una Chiesa cattolica locale è ugualmente chiamata all’impegno ecumenico, anche se nel suo territorio vi sono poche occasioni di incontro o di scontro con fedeli di altre Chiese e Comunità ecclesiali. All’impegno ecumenico, con modalità diverse, è chiamato chiunque professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Il decreto sull’ecumenismo del
Concilio Vaticano II è stato esplicito asserendo che “la cura di
ristabilire l’unione riguarda tutta
Nelle prime pagine del Bios di S. Nilo troviamo delle
indicazioni essenziali per la vita cristiana personale, per la vita della
Chiesa e per la stessa ricerca dell’unità.
Leggiamo appunto in queste prime pagine del Bios:
“ Il giovanetto - Nicola , questo è il nome di battesimo di San Nilo - aveva sortito dalla natura un’indole felice, perspicacia d’intelletto e amabilità di modi e superava tutti i coetanei nell’apprendere, nel rispondere e nel leggere assiduamente le Sacre Scritture”… “Fin dalla più giovane età amava la lettura assidua della vita dei Santi Padri, di Antonio, Saba, Ilarione e degli altri, le cui immagini erano dipinte nella cattedrale e le leggeva con grande piacere e penetrazione” (Bios, 2)[49].
Emergono tre riferimenti essenziali: le Sacre Scritture, i
Padri, le icone. Sono tre fonti determinanti per la formazione del cristiano in
modo generale e, per la pedagogia bizantina, punti di riferimento imprescindibili.
Si possono riassumere con un’altra formulazione, con quella di “Scrittura e
Tradizione”, intendendo con tradizione il patrimonio apostolico trasmesso e
continuamente interpretato e attualizzato dalla Chiesa .
Se possiamo considerare scontato il riferimento alla Scrittura, va segnalato come particolarmente importante quello ai Padri, che hanno di fatto formato il pensiero teologico e spirituale della Chiesa in Oriente e in Occidente. Il termine stesso di Padri ci rimanda alla generazione e formazione di nuove generazioni di credenti. Ci richiama anche al mantenimento vivo del principio dell’inculturazione del messaggio cristiano nella concretezza della storia per trasformarla in riflesso del Regno di Dio.
Il riferimento poi alle immagini dipinte nella cattedrale - che Nicola ammirava leggendo le vite dei santi - ci ricordano un luogo particolarmente sottolineato dalla visione spirituale delle Chiese d’Oriente anche oggi: l’iconografia. L’icona racchiude ed esprime la concezione bizantina della Chiesa come Regno realizzato e dell’uomo come persona trasfigurata, resa dalla grazia ad immagine di Dio, e fissata nella eternità della luce di gloria nel Regno.
Tutto questo era vissuto anche nella comunità ecclesiale. Il Bios ci racconta che Nicola “cantava le divine salmodie… con soavissima voce”, tanto da “ferire il cuore di nobili donzelle” (Bios, 3).
Tutti
questi riferimenti, compreso il canto - l’innografia è una delle ricchezze
proprie della tradizione bizantina - ci aiutano a comprendere una situazione
ecclesiale viva, sorretta da una tradizione solida.
Per sé questi riferimenti: Scrittura, Padri, icone,
canto, se li consideriamo bene, sono validi ed efficaci anche oggi per la
formazione delle nuove generazioni. L’introduzione alla fede non è puramente teorica,
ma comprende l’inserimento nella tradizione ecclesiale vivente che si è
tramandata nel tempo; comprende pure la partecipazione all’assemblea dei fedeli
dove si celebrano i sacramenti e in particolare l’Eucaristia.
Questo criterio è valido anche per
l’ecumenismo. Il decreto sull’ecumenismo richiede che “bisogna conoscere
l’animo dei fratelli separati…..I cattolici debitamente preparati devono
acquistare una migliore conoscenza della
dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia
religiosa e della cultura propria dei fratelli” (UR, 9). I riferimenti
ritrovati nel Bios -
Se di fatti osserviamo il dialogo
teologico fra
1. “Il mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità” (Monaco di Baviera, giugno 1982);
2. “Fede, Sacramenti e unità della Chiesa” (Bari,
giugno 1987);
3. “Il sacramento dell’ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità del popolo di Dio” (Valamo, Finlandia, giugno 1988);
4. “L’uniatismo, metodo di unione del passato e l’attuale ricerca per la piena unità” (Balamand, Libano, 1993).
Esaminando questi documenti si riscontra che gli argomenti usati per far
riemergere la fede comune sono proprio il ricorso alla Scrittura,
l’interpretazione dei Padri di oriente e di occidente,
Le indicazioni metodologiche del
Bios, in questo punto, dopo un millennio mantengono la loro sostanziale
validità anche per la conduzione del dialogo ecumenico, che non può usare la
tecnica del compromesso, ma il criterio dell’unità nella verità. Se
E tutto questo ha una incidenza decisiva nella ricerca della piena unità e della comunione della fede nella varietà delle tradizioni ecclesiali.
2. Varietà di tradizioni
San
Nilo è un monaco bizantino, parla il greco e il latino, ha vissuto in
solitudine come eremita e in vita cenobitica nei monasteri. Non soltanto in
zone bizantine (Mercurion, 940-953 c.; S. Adriano, 953-978), ma a causa delle
incursioni saracene emigrò nei principati dei Longobardi (Capua e Vallelucio,
979-994, Serperi, 994-1004), e quindi nei pressi di Roma, morendo nel monastero
di S. Agata alle falde del Tuscolo il 26 settembre 1004[53].
Egli attraversa tutta l’Italia meridionale passando dalle zone bizantine a
quelle latine. Siamo pertanto non soltanto di fronte, ma nel seno di due tradizioni ecclesiali,
bizantina e latina, che vivono l’una accanto all’altra nella piena comunione.
Questa realtà e il sentimento di
comunione che ne consegue è presente il
tutto il Bios.
S.
Nilo è apprezzato dalle autorità bizantine come dal metropolita di Reggio Teofilatto
che gli fa visita (971) o dallo stratega di Calabria Basilio che gli vuole
offrire una grande somma, che Nilo però devolve alla cattedrale di Rossano. E’
noto ed apprezzato persino nella corte
di Costantinopoli.
Lo
stesso si constata tra i Longobardi. Il
principe Pandolfo di Capua vuole elevarlo alla sede arcivescovile. Viene
ricevuto a Roma dal Papa Gregorio V e dall’imperatore Ottone III che lo
conducono al Patriarchio lateranense. Ad essi egli chiede indulgenza per
l’antipapa Giovanni XVI. Lo stesso imperatore fa visita a Nilo a Capua
nell’anno 1000. Nel 1004, venuto a conoscenza che il duca di Gaeta aveva in
animo di costruirgli un glorioso monumento sepolcrale, Nilo con Bartolomeo, con
l’egumeno Paolo ed altri parte verso Roma.
In tutto questo peregrinare egli viene a contatto con uomini di governo, (con l’imperatore stesso, con principi, con duchi), con ecclesiastici (dal Papa ai monaci, ai laici, tutti latini). E’ impressionante la serenità di questi rapporti per quanto riguarda la fede. Essi si svolgono in una situazione di comunione vissuta, data per scontata, mai messa in discussione.
Con i monaci di Montecassino si ha una illustrazione illuminante, che vale la pena ricordare. Neanche questa è una conversazione propriamente ecumenica, ma afferma un principio valido per l’ecumenismo odierno e futuro.
S. Nilo si era rifugiato (980) nel monastero di Vallelucio donatogli dal Principe di Capua Pandolfo. Invitato dall’Abate di Montecassino S. Nilo con i suoi 60 monaci vi si reca in visita accolto con grande fraternità. I monaci di Montecassino erano “vestiti tutti, sacerdoti e diaconi, degli abiti sacri, come nei giorni festivi con ceri ed incensieri….quasi fosse il grande Antonio venuto da Alessandria o il grande Benedetto, il Santo loro legislatore e maestro, quasi risorto dai morti” (Bios,73).
Alla fine l’Abate e i monaci latini pregarono Nilo e i suoi monaci bizantini a ritornare “per compiervi una sacra funzione in lingua greca (tē helladi fōnē)[54] nella loro chiesa, affinché - dicevano - “Dio sia tutto in tutte le cose” (Bios, 73).
All’inizio Nilo fu titubante e restio. Il Bios gli mette in bocca questo pensiero, che è una citazione del salmo 137(136): “Come cantare i canti del Signore in un paese straniero”? Ciò indica che egli ha chiaramente presente di vivere ed esprimere un’altra tradizione, che la tradizione dei cassinesi è diversa, che essi sono nel proprio paese e lui è in un altro paese. Ma il Bios continua: “Nondimeno, a fin di consolarsi a vicenda nella comune fede e per glorificare il santissimo nome di Cristo, acconsentì a farlo. E come frutto delle sue labbra compose un canone in onore del nostro santo Padre Benedetto”. Pienamente cosciente di esprimere un’altra tradizione, afferma con chiarezza e vigore l’appartenenza alla “comune fede” (en tē allēlōn pistei) e lui, monaco bizantino, chiama Benedetto “nostro santo padre” (ton hòsion patèra ēmōn). Questa era la coscienza ecclesiale del tempo della piena comunione: unità nella fede, riconoscimento di padri comuni, varietà di tradizioni.
S.
Nilo e la sua comunità risalirono a Montecassino (984). “Quivi per tutta la
notte cantò l’ufficiatura con bellissima armonia nella Chiesa”.
Ne seguì una conversazione tra S. Nilo e “tutti quanti i monaci” cassinesi. Questi gli chiesero innanzitutto “qual è l’opera propria del monaco”. Nilo diede la risposta spesso commentata quando si vuole presentare il suo ideale monastico. “Il monaco è un angelo e l’opra sua propria è misericordia, pace e sacrificio di lode”. Egli stesso fa una esegesi esplicativa della definizione con concreti riferimenti, che vale la pena rileggere: “Come i santi angeli, infatti, offrono incessantemente a Dio un sacrificio di lode, e fra loro, per vicendevole amore, si mantengono in pace, ed hanno misericordia ed aiutano gli uomini quali fratelli minori, così del pari, il vero monaco deve usare misericordia verso i fratelli a lui inferiori o ospiti, amare con spirito di pace i confratelli del suo stesso grado e non nutrire invidia verso coloro che gli sono preposti. Egli deve avere una fede sincera e speranza verso Dio e verso il suo padre spirituale” (Bios, 74). Poco più avanti egli precisa che il monaco “o sarà un angelo o un demonio” (Bios, 75).
La conversazione tocca vari argomenti biblici e ascetici. Alla fine gli pongono una
questione che riguarda direttamente il nostro assunto: la diversa prassi del
digiuno osservata dai “greci” e dai “latini”. I greci non digiunano di sabato.
San Nilo indica la soluzione: nell’unità
della fede la varietà di disciplina può essere legittima. Ricalcando il
pensiero di San Paolo (Rom 14, 3-6) egli
dà una “compendiosa risposta”: “Colui che mangia non disprezzi colui che non
mangia e colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio ha accolto
l’uno e l’altro… Adunque, sia che noi mangiamo, sia che voi digiunate, tutto
facciamo a gloria di Dio” (Bios, 76).
Nella domanda dei cassinesi c’era forse una punta di critica verso la prassi “greca”. San Nilo risponde direttamente: “Se voi – dice – ci rimproverate perché mangiamo il sabato, badate bene a non trovarvi in opposizione con i Santi Padri, e cioè con le colonne della Chiesa, Atanasio, Basilio, Gregorio, Giovanni Crisostomo e altri innumerevoli e con si Sacri Concili, i quali ciò che non praticavano neppure prescrissero”.
Emerge la distinzione tra “voi” e “noi” con diverse prassi ascetiche. San Nilo accetta questa diversità “a gloria di Dio”. Ma, come si vede, giustifica con il ricorso ai Padri e agli stessi Concili, la legittimità della prassi della propria tradizione e lo fa anche ad personam citando un Padre occidentale aggiungendo: “Senza parlare poi di Ambrogio, vostro Dottore, di cui fu scritto che digiunava tutta la settimana, eccettuati il sabato e la domenica” (Bios, 77).
Il pensiero che soggiace all’intera risposta di S. Nilo è che “quanto si fa per Dio è buono” . Non vi è un solo modo per esprimere l’amore verso Dio. La varietà delle tradizioni manifestano i vari modi di glorificare il Signore.
Questa prospettiva esistenziale di conoscenza e accettazione delle varie tradizioni di oriente ed occidente rimane valida per l’orientamento ecumenico e per una visione di piena unità nell’unica Chiesa di Cristo. In questo senso la vita ecclesiale vissuta nel primo millennio può ispirare la ricerca ecumenica.
3. Incontri interreligiosi.
Nel
Bios troviamo degli elementi che riguardano un altro tema, chiaramente distinto
dall’ecumenismo, ma che interessa anche oggi la vita della Chiesa: i rapporti
con gli ebrei e gli islamici. Questi rapporti Nilo li ha avuti nelle vicende
quotidiane, senza cercarle di proposito per ragioni religiose o intellettuali.
Incontrando i saraceni ha conversato su Dio e lo stesso ha fatto con il medico
ebreo. Ne emergono tuttavia aspetti importanti e attuali, soprattutto nei
nostri tempi in cui la mobilità umana
facilita il pluralismo culturale e religioso.
Per
il rapporto con gli islamici riporto due episodi. Nicola-Nilo è in viaggio
verso il monastero di S. Nazario che si trovava “in un principato straniero”,
cioè non sottoposto al governo bizantino, perché il governatore bizantino aveva
disposto che “quel chierico” non dovesse essere ammesso in alcun monastero.
Lungo la via, in un bosco incontra un manipolo di saraceni “dalle facce nere,
dagli occhi torbidi, dagli sguardi truci, rassomigliavano a tanti demoni”,
racconta l’agiografo (Bios, 6). Uno di essi lo afferra e lo tiene fermo. Nilo
non si scompone, “tranquillo…rispondeva” alle domande: chi egli fosse, donde
venisse, dove andava. Conosciuto lo scopo dove Nilo andava, il saraceno lo
vuole distogliere facendogli presente che non è bene, in così giovane età, andare a “consumarsi nelle fatiche e nei
travagli della vita monastica”. E’ un
fatto realmente accaduto? E’ una tentazione diabolica? In ogni modo Nilo
conferma la sua intenzione e vocazione: “Io voglio servire Dio nella mia
giovinezza, per essere da lui glorificato nella mia vecchiaia”. Il saraceno,
“preso quasi da venerazione”, lo lasciò libero. Nilo riprese il viaggio.
Allontanatosi un poco si rese conto del pericolo incorso. “Lo sorprese un gran timore
e tremore”. Ad un certo punto si sentì inseguito e poi un grido “Fratello,
fratello”. Era di fatti il saraceno che accortosi che il giovane non aveva
bisaccia, gli portava “alcuni pani raffermi, ma assai mondi”. Nilo che non
aveva capito, pensando di “essere afferrato quale preda….raccomandava l’anima
sua a Dio”. Raggiuntolo il saraceno gli
disse, quasi per rimproverarlo: “Noi ci dispiacciamo per te perché non abbiamo
nulla di meglio da offrire alla tua onorata persona, e tu, pensi di noi ciò che
non conviene”. Gli offrì i pani: “Prendi - disse - questo piccolo soccorso, che
Dio ti ha mandato e prosegui in pace il tuo cammino”. Nilo rimase stupefatto e
lodò Iddio.
Si
è in un periodo di incursioni. I saraceni sono invasori, i bizantini sono gli
aggrediti, gli animi violenti e inquieti. Anche in questa anomala situazione
avviene un contatto che va al di là di ogni calcolo. E’ un incontro profondo
con un crescendo impressionante: violenza e paura iniziale, dialogo successivo,
nascita di rispetto e, alla fine, di venerazione verso la vocazione religiosa
di quel cristiano impaurito, insorgenza dello spirito religioso di solidarietà
tanto da offrirgli il pane - la elemosina è uno degli obblighi di ogni
musulmano - e questo chiaramente in nome
di Dio. Il saraceno è un credente in Dio. “Prendi questo piccolo soccorso che
Dio ti ha mandato”, dice a Nilo. Infine emerge anche il rispetto della identità
del cristiano. Il saraceno gli dice: “Prosegui in pace il tuo cammino”. E il
suo cammino è verso il monastero cristiano.
Questo
piccolo episodio è significativo. Contiene molti elementi validi per l’incontro
interreligioso, che, superata la paura, nella reciproca lealtà e rispetto, non
solo permette una umana convivenza pacifica, ma fa anche sorgere il riferimento
a Dio.
Nel
Bios troviamo un altro episodio di rapporti con gli islamici. Siamo sempre nel
tempo in cui “gli empi (athéōn)
saraceni facevano scorrerie nel tema di Calabria e depredavano ogni cosa”,
scrive l’agiografo (Bios, 70). “Tre monaci che menavano vita idioritmica”
(idhiorytmōs) furono presi e portati
schiavi in Sicilia.
Il
Bios fa una descrizione che sembra presa dai giornali di questi giorni: “Il
beato Padre (Nilo) ebbe subito il pensiero del loro riscatto e si affrettò a
farne ricerca come membra sue proprie e riportarli al loro posto”. Vendette
frumento, vino e altri generi e ne ricavò “cento monete d’oro”. Vi aggiunse un
giumento offertogli per il caso dallo stratega bizantino di Calabria. Con una
lettera di suo pugno, mandò un suo monaco dall’Emiro di Palermo che aveva come
segretario “un ottimo e piissimo cristiano”. Questi presentò all’Emiro i doni e
la lettera di S. Nilo. L’agiografo scrive: “Egli restò preso dalla sapienza e
dalla prudenza del Beato, riconoscendolo per un grande amico di Dio” (epignous afton philon tou Theou onta) (Bios,
71). Liberò i tre monaci, restituì il denaro, offrì in più delle pelli, si
tenne soltanto il giumento.
Anche
da questo episodio emerge che la ragione ultima che cambia le relazioni è il
riferimento a Dio. Anche nelle relazioni attuali possono contribuire fattori
diversi di incontro (guerre, emigrazione, cooperazione sociale, rapimenti,
ecc.), l’elemento determinante per il loro miglioramento è quello religioso. Se
il rapporto religioso non funziona, ed è manipolato, si cade nel conflitto e
nelle guerre di religione, o nei confitti di civiltà, come si dice talvolta.
Anche
per il rapporto con gli ebrei abbiamo nel Bios un episodio significativo: un
dialogo fra S. Nilo e il medico ebreo Domnolo “che egli conosceva sin dalla sua
giovinezza” (Bios, 50). Questi ha fatto visita a Nilo e si è offerto di
curarlo con una medicina adatta ai suoi
problemi di salute. “Così non avrai più a temere alcuna infermità”, gli disse.
I due si conoscevano dalla loro infanzia ed erano in contatto. L’aiuto era
naturale. Tuttavia Nilo teme che il medico, tra l’altro, abbia l’intenzione di
usare il caso come promozione dei suoi farmaci, ai quali Nilo forse non credeva
troppo.
Egli
trasferisce la conversazione in un piano diverso. Risponde così all’ebreo: “Uno
dei vostri ebrei ci dice: Meglio è confidare nel Signore che nell’uomo. Noi
confidando nel nostro medico Dio e Signore nostro Gesù Cristo, non abbiamo
bisogno alcuno dei tuoi farmaci” (Bios, 50).
E’
utile mettere in rilievo qualche elemento di questa risposta: San Nilo si
riferisce alla Bibbia, il libro degli ebrei, che i cristiani hanno accolto come
parola di Dio; nel caso presente si riferisce al Salmo 118(117) vv. 8-9. San
Nilo ribadisce: “Uno dei vostri ebrei
ci dice”. Instaura il dialogo partendo da uno dei vostri. Come per dire: quello che vi sto
dicendo lo dite voi stessi. Inoltre questo vostro ebreo “ci dice” si rivolge a noi: a voi e a noi, a voi ebrei e a noi
cristiani. Abbiamo quindi
Riferendo
il versetto del salmo in cui si proclama che è meglio confidare nel Signore che
nell’uomo, Nilo aggiunge una dichiarazione che esprime l’identità cristiana:
noi confidiamo nel nostro medico Gesù Cristo, che è Dio e Signore.
Di
fronte all’ebreo che non vede in Gesù Cristo il Figlio di Dio fatto uomo, Nilo
lo confessa come Signore e Dio. Tommaso davanti al Risorto confessò: “Mio
Signore e mio Dio” (Gv 20, 28).
Anche
in questo episodio abbiamo delle indicazioni dialogiche interessanti.
Si
parte da un argomento contingente, si arriva a parlare di Dio, di ciò che
abbiamo in comune, e infine di ciò che non solo distingue, ma separa. Il
dialogo deve prendere conoscenza delle divergenze e discuterle.
A
questo episodio è collegato immediatamente un secondo. Con il medico ebreo vi
era un altro correligionario. Questi chiese a Nilo: “Parlaci un poco di Dio,
perché siamo assai desiderosi di udire le tue parole” (Bios, 51).
Parlare di Dio. Questo in fondo è il tema maggiore del dialogo fra cristiani ed
ebrei. Ma è un tema difficile. S. Nilo
usa un paradosso: parlare di Dio è come ordinare “ad un fanciullo …di piegare
fino a terra” un albero altissimo. Tuttavia - aggiunse Nilo - “se vuoi
ascoltare qualche cosa di Dio prendi in mano i tuoi profeti assieme alla Legge,
vieni con me all’eremo”. Dopo lunghi giorni di lettura, “allora
interrogami ed io ti risponderò”. “Che
se ora ti parlassi di Dio io non farei che scrivere sull’acqua”. Parlare di Dio
è arduo. Occorre precisione nel dire, concentrazione nell’ascoltare,
intelligenza nel capire. Di fronte alla proposta di entrare nell’eremo di un
monaco cristiano, all’ebreo sorgono tutti gli impedimenti della sua prassi
religiosa. Precisa con chiarezza: “Non possiamo fare questo, perché noi saremmo
scacciati dalla Sinagoga e saremmo lapidati dai nostri stessi”.
Questa
risposta realistica è significativa per comprendere le difficoltà oggettive e i
limiti entro cui si svolge il dialogo con gli ebrei.
Osservazioni conclusive
“Prospettive
e contributo al dialogo ecumenico per
a.
Formazione ecumenica.
Qualsiasi
impegno ecumenico, come richiesto per
Dal
Bios, come abbiamo visto, ci proviene una indicazione essenziale. Per la
formazione cristiana ed ecumenica è indispensabile fare riferimento
fondamentale alla Sacra Scrittura. San Nilo, da giovane, usava fare la lectio divina con perseveranza. Qui a
Rossano il Codex Purpureus dev’essere
considerato un riferimento non soltanto storico, ma un appello spirituale
permanente di tutti alla lettura della parola di Dio. In connessione viene in
soccorso la grande tradizione: i Padri, tanto di oriente quanto di occidente,
che hanno letto
b. La tradizione bizantina
Rossano
è stato grande centro politico e religioso bizantino. I suoi monumenti lo ricordano. E quello del Patirion evidenzia che la tradizione
bizantina qui si è prolungata oltre il periodo di giurisdizione bizantina. Da
Giovanni Paolo II in poi si usa parlare dei due polmoni della Chiesa: oriente
ed occidente. In realtà si tratta di due interpretazioni del Vangelo e della
tradizione della Chiesa, reciprocamente necessarie e complementari. Necessarie
per una visione più adeguata del messaggio cristiano. Il mistero di Dio è
inesprimibile nella sua pienezza. Le varie espressioni concorrono a farlo
comprendere. E’ per questo che il decreto sull’ecumenismo ha sottolineato la
complementarietà delle tradizioni: “Nell’indagare la verità rivelata, in
oriente in occidente furono usati metodi
e cammini diversi per giungere alla
conoscenza e alla confessione delle cose
divine. Non fa quindi meraviglia che
alcuni aspetti del mistero rivelato
siano talvolta percepiti in modo più adatto
e posti in miglior luce dall’uno
che non dall’altro, così si può dire allora,
che quelle varie formule
teologiche, non di rado si completino, piuttosto che opporsi” (UR, 17).
Più avanti il decreto riconosce che le autentiche tradizioni orientali sono “radicate nella Sacra Scrittura, sono
coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione
apostolica e dagli scritti dei Padri e
dagli scrittori ascetici e tendono a una
retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità
cristiana” (UR, 17).
Questa
Chiesa locale, ricca della memoria storica della tradizione bizantina, oltre
che averla presente nella sua azione pastorale, può offrire alla Chiesa
italiana questa dimensione.
Il
contatto vitale sprigiona possibilità concrete di conoscenza, di reciproca
osmosi e di cooperazione. L’incontro di
S. Nilo e dei suoi monaci con i benedettiti di Montecassino ha messo in rilievo
la varietà e la complementarietà delle due tradizioni. D’altra parte il vostro
“convegno niliano distribuito nel corso di un anno” opportunamente ha messo in
rilievo l’arte e la spiritualità bizantina, il monachesimo e le liturgie italo-bizantine.
c.
Anamnesi del tempo della
piena unità
Il
millenario di S. Nilo costituisce l’anamnesi del tempo della piena comunione
tra oriente e occidente. San Nilo è vissuto nel tempo della piena comunione tra
oriente e occidente. Un episodio editoriale mette in rilievo le implicazioni
ecumeniche. Il Bios di San Nilo di recente è stato tradotto in neogreco da una
comunità monastica ortodossa di Grecia. Dal prologo alla nuova edizione
apprendiamo che il Bios viene letto nelle riunioni del monastero di Simons
Petras sull’Athos. Il testo è di edificazione per cattolici e ortodossi[56].
Per la ricerca della piena unità, il tempo
vissuto insieme dai cristiani di oriente e di occidente, è un tempo di grazia. Non solo mostra che la
piena unità è storicamente possibile, ma offre anche l’opportunità di indagare
le modalità in cui la piena unità è stata vissuta. Certamente la piena unità da
ristabilire non potrà ripetere gli
stessi modelli, ma sicuramente lo studio dell’articolazione dell’unità vissuta
può offrire un proprio contributo creativo.
L’enciclica
di Giovanni Paolo II sull’impegno ecumenico lo ha esplicitamente affermato: “Le
strutture della Chiesa in oriente e in occidente si formavano in riferimento al
patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si
mantenevano in quelle stesse strutture, mediante i vescovi, successori degli
Apostoli, in comunione con il vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo…di
ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo
riferirci” (UUS, 55).
d.
Santità di vita ed
ecumenismo
L’ultima
riflessione. Non dobbiamo dimenticarci che l’occasione è appunto la figura di
S. Nilo. Si parla spesso dei contorni storici e culturali dimenticando che la
vera eredità niliana di queste riflessioni
è la sua santità. Dimensione veramente essenziale tanto a livello
culturale quanto ecumenico. Si osserva spesso – e correttamente – che la
divisione è causata dal peccato presente tra i cristiani, più che da singoli
errori storici. La sua continuazione è mantenuta dal peccato. Il Concilio
Vaticano II è stato categorico. Nel proemio stesso afferma: “La divisione non
solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al
mondo e danneggia la santissima causa
della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (UR, 1).
Di
converso il decreto parlando della conversione del cuore come dimensione
essenziale per la ricerca ecumenica ha asserito (UR, 8): “La santità di
vita insieme per le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si
devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico”.
Il
millenario di S. Nilo mostra come l’aderenza al Vangelo, tanto nelle forme
ecclesiali orientali quanto in quelle
occidentali, è la vera via all’unità.
L’iniziativa
dell’arcidiocesi di Rossano di commemorare lungo un intero anno il millenario
di S. Nilo è stata più che opportuna. Un modo storico-teologico di individuare
la propia via che porta al Regno di Dio. Vi ringrazio ancora una volta per
avermi dato la possibilità di prendere parte anch’io (Besa/Roma).
ROSSANO
I FIORETTI DI S.NILO
Per
l’anno giubilare di S. Nilo (1004-2004) Mons. Luigi Renzo, Vicario generale
dell’Arcidiocesi di Rossano, ha curato, con gusto per la scelta e con
accuratezza redazionale, 55 episodi della vita di S. Nilo, presentati come “I
Fioretti di S. Nilo di Rossano, con altri scritti sul Santo, Grafosud,
2004, pp.197, E.12).
Così
l’autore presenta l’intento: dagli episodi significativi scelti il santo “esce umanamente più accostabile e
in un certo senso più amabile anche nei passi difficili e nei momenti
apparentemente duri ed intrattabili del
suo comportamento” (p. 13).
Con
questo metodo l’autore ha presentato la vita di S. Nilo, in modo da farla
conoscere più facilmente, a causa della difficoltà di trovare in diffusione
popolare il Bios-Vita, che pure è un capolavoto dell’agiografia italo-greca.
In
una seconda parte (pp. 83-104) vengono presentati degli inni di S.Bartolomeo,
di Paolo monaco e di Giovanni Rossanese.
Nella
terza parte (pp.105-161) i seguenti studi dell’autore:
·
L’ideale monastico di S. Nilo nel contesto della regione del Mercurion;
·
Nilo di Rossano scrittore e poeta;
·
La prima traduzione in latino del “Bios” di S. Nilo curata dal
cardinale Guglielmo Sirleto nel secolo XVI.
·
Si include anche un “Poemetto a S. Nilo nel millennio della morte” .
Un’ampia
bibliografia ragionata su S. Nilo, assieme a diversi indici, completano la
pubblicazione (Besa/Roma).
ROSSANO
“ARBËRESHË A ROSSANO”
Il
18 giugno è stata ufficialmente inaugurata l’Associazione degli Arbëreshë di
Rossano e dintorni con sede in via Amerigo Vespucci 27-87068 Rossano Scalo.
L’Associazione si propone di “promuovere e favorire gli studi di storia degli
Albanesi d’Italia, di valorizzare la lingua, il patrimonio artistico e
letterario, il rito religioso, le tradizioni e il costume popolare”. Ne è
presidente il Dr. Giulio Bruno Baffa e segretario il prof. Valerio Capparelli.
Per
l’occasione il vescovo di Lungro S.E. Mons. Ercole Lupinacci ha celebrato alle
ore
PLATACI : FESTIVAL
PICCOLI CANTORI ARBËRESHË
E’
stato indetto il Primo Festival per piccoli cantori arbëreshë (bambini fino a
12 anni).
Le
iscrizioni vanno presentate entro il 5 luglio al Comune di Plataci. Il festival
si terrà nei giorni 18-19 agosto a Plataci.
Il primo premio sarà di 500 euro.
Le
canzoni devono essere inedite e in lingua albanese.
E’
una iniziativa intelligente per promuovere la creatività in lingua albanese (Besa/Roma).
ROSSANO
CATALOGO BIBLIOGRAFICO SU S.
NILO
A
cura di Salvatore Bugliaro per il Club
del Libro della Sibaritide e per il
Comitato “Rossano per S. Nilo” è stato pubblicato un nutrito catalogo
bibliografico (Per conoscere San Nilo, Grafosud, 2005). Il catalogo
riporta 800 titoli “alcuni dei quali
rari e preziosi” editi entro il 2004. Comprende le seguenti sezioni sezioni:
·
Monografie su S. Nilo;
·
Relazioni, articoli, discorsi;
·
Studi intorno a S. Nilo e citazioni;
Uno
strumento utile per avviarsi a studiare il tempo di S. Nilo, il contesto
storico-geografico, la sua vicenda storica e il suo Bios (Besa/Roma).
ROMA
EVANGELIARIO BIZANTINO IN
ITALIANO
Martedì
28 giugno2005, nella chiesa di S. Atanasio a Roma, è stata presentata
l’edizione italiana dell’Evangeliario Bizantino, curata dal diacono Prof. Luigi
Fioriti per l’eparchia di Lungro. Dopo un saluto di accoglienza dell’Archim.
Eleuterio F. Fortino, ha avuto luogo il rito di intronizzazione del Vangelo da
parte del vescovo di Lungro S.E. Mons. Lupinacci, durante una breve akolouthia,
presieduta dal rettore del Collegio Greco. Sono seguiti tre interventi
sull’Evangeliario nel culto (p. Robert Taft, p. Silvano Maggiani e S.E. Mons.
Domenico Sorrentino). Il Presidente della Regione Calabria on. Agazio
Loiero ha salutato l’assemblea. S.B.
Ignazio Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali,
da cui dipende
Grazia e pace dal
Signore a tutti! Vi saluto con profonda gioia e sono veramente lieto di essere
qui per la felice circostanza della intronizzazione
del nuovo Evangeliario Bizantino.
La storica chiesa che
ci accoglie è dedicata a S. Atanasio il Grande ed è stata fondata da Papa
Gregorio XIII nel 1583. E’ unita all’omonimo Collegio Greco, l’istituzione
benemerita per la formazione culturale e spirituale dei candidati agli ordini
sacri provenienti da varie Chiese di tradizione bizantina. Questa Chiesa è
frequentata dagli italo-albanesi di rito greco residenti a Roma e provenienti
dalla Calabria e dalla Sicilia. Qui si celebra
Da tempo nelle tre
Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine d'Italia la proclamazione della Parola
di Dio avviene in italiano o in albanese. Ciò corrisponde agli intenti di
coinvolgimento attivo e fruttuoso dell’assemblea liturgica prospettato dal
Concilio Vaticano II, di cui ricordiamo nel corrente anno il quarantesimo della
conclusione.
L’eparchia di Lungro,
grazie alla sollecitudine del suo vescovo e alla dedizione del diacono Luigi
Fioriti, ha voluto pubblicare l'Evangeliario in lingua italiana, prendendo come
base il testo autorizzato dalla Santa Sede fin dal 1880. La traduzione usata è
quella della Conferenza Episcopale Italiana. E in ciò vedo la lodevole volontà
di camminare in comunione ecclesiale con i fratelli di tradizione latina di
questa Nazione.
L'iniziativa è in
piena sintonia con le prospettive del II Sinodo Intereparchiale, il cui tema,
non senza giusta motivazione, era stato: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”.
Certamente si ricorderà l’esortazione del Santo Padre Giovanni Paolo II, il
Quale, nell'udienza concessa ai membri sinodali l’11 gennaio
Fu l'ultima udienza
con gli Orientali Cattolici; e questa sera parteciperò con orante gratitudine,
anche a nome di tutti gli orientali, all’inizio dell'inchiesta diocesana in
vista della Sua beatificazione e canonizzazione, che avrà luogo a San Giovanni
in Laterano.
Mi felicito con gli
ideatori e i sostenitori di questa eccellente pubblicazione e li ringrazio di
tutto cuore. Ringrazio in modo speciale il Presidente della Regione Calabria,
che ha assicurato l’indispensabile apporto economico, mostrando di volere
coltivare in quella illustre Regione, che ho avuto l'onore di visitare due
volte, una antica e nobile prerogativa, quella della rispettosa convivenza di
varie tradizioni religiose e culturali. Di questa sensibilità ha sommamente
bisogno il tempo presente!
Cari amici, avete
voluto presentare a Roma il nuovo Evangeliario. E nella vigilia dei Santi
Apostoli Pietro e Paolo. Il legame con
Ai Santi Apostoli
presentiamo la nostra invocazione per il Papa Benedetto XVI. Egli come
successore di Pietro è il primo responsabile nella Chiesa della comunione e
dell’annuncio dell'Evangelo, e il primo garante della salvaguardia e del
progresso delle tradizioni ecclesiali che arricchiscono l'unità e la
cattolicità della Chiesa.
A tutti assicuro il
mio riconoscente ricordo, anche nella preghiera al Signore. Grazie” (Besa/Roma).
59
HESYCHIA (2) –
SOTTO
I giorni dell’uomo sono attraversati da corrodenti problemi esistenziali, economici, sociali, morali. L’inquietudine caratterizza la vicenda umana e non senza ragioni oggettive esterne e interne. Non di rado il rimorso per azioni compiute imprigiona l’anima nella tristezza o nella disperazione. L’uomo sperimenta la sua inadeguatezza a raggiungere le sue aspirazioni e tanto più le esigenze evangeliche, che pure spesso accetta intellettualmente. E se cade nell’abulia il suo stato peggiora. L’hesychìa, la tranquillità dell’anima e del corpo, non ha nulla a che fare con questi stati d’animo. E’ l’esatto contrario. Ma è attraversando proprio queste situazioni e superandole che l’uomo può raggiungerela. La serenità è il frutto di una lotta vinta e si sorregge, comunque, su un radicale rapporto fiduciale con Dio. “L’anima soltanto dopo che ha ucciso le fiere sospira il suo Signore come la cerva che ha ingoiato il serpente” (Giovanni Climaco, La scala del paradiso, PG 88, 1156B- 1157B).
Nell’insegnamento del Vangelo la fiducia nell’amore permanente di Dio Padre domina la visione religiosa. L’amore di Dio Padre si estende sull’umanità intera e sul singolo credente. Egli attende e accoglie il figlio prodigo al suo ritorno. Lo abbraccia e fa festa. Probabilmente è proprio per la certezza di questo amore che il figlio della parabola trova la forza di “rientrare in se stesso” e dire “mi leverò e tornerò dal padre mio” (Lc 15,18), pacificandosi così con il padre e con se stesso. Solo così ritrova la tranquillità dell’anima. La fede in Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), è la sorgente del perdono e della pacificazione del cuore. Si trovano qui le radici dell’hesychia del credente.
Ai suoi discepoli insegnando la vera pratica religiosa egli indica loro un rapporto interiore senza esibizionismi. “Non siate simili agli ipocriti che amano stare ritti nelle sinagoghe ….per essere visti dagli uomini”. “Prega il Padre tuo nel segreto e, il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 6).
Nella preghiera insegnata ai discepoi Gesù stesso, dopo le azioni di lode a Dio (“Sia santificato il tuo nome”), propone domande di soccoro materiale (“Dacci il nostro pane quotidiano”) e spirituale (“Rimetti a noi i nostri debiti”) e di garanzia nei confronti del male (“Non farci cadere nella tentazione, ma liberaci dal Maligno”), fa esprimere la radicale fiducia che determina il più profondo stato di animo del vero credente: “Sia fatta la tua volontà “, “Venga il tuo Regno” (Mt 6, 9 -13). La preghiera del “Padre nostro” stende sulla comunità credente il manto di Dio, la sua protezione, la sua provvidenza, che si accorge dei bisogni prima che glieli si facciano presente. L’uomo è protetto nella tenda di Dio. Ma le due domande, prese insieme, vogliono dire che la realizzazione della volontà di Dio avviene con il suo regno. E hanno un significato universale. Si chiede che si realizzi il piano di Dio quando Dio sarà tutto in tutti. Si domanda che tutti finalmente accolgano il suo Vangelo e pongano la propria fiducia in Dio. E ciò non nei tempi escatologici, ma già da oggi e dapertutto “come in cielo così in terra”. S. Giovanni Crisostomo interpreta e commenta: “Niente impedisce, per il fatto di abitare la terra, di raggiungere la perfezione delle potenze celesti. E’ possibile, pur vivendo qui, fare tutto come se si fosse già lassù” (Omelie sul Vangelo di Matteo 19, 5).
Ci sono avversità? Malattie, sofferenze, dolori? C’è la morte? Il credente china il capo e nel suo cuore, facendosi violenza, ripete: “Padre, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volonta” (Mt 27, 42). E’ nella prova che si rafforza la direzione giusta della mente e la resitenza del cuore. Mantenere solida l’hesychia in queste circostanze è la prova della sua verità, è un atto di fede pieno.
S. Massimo Confessore commentando lo stesso versetto nell’opera “Sul Padre Nostro” cita questo detto di Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e trovere riposo per le vostre anime” (Mt 11,29). Egli spiega: “definisce il termine “riposo” la forza del regno divino che procura a chi ne è degno una sovranità libera da ogni schiavitù”.
E’ nella linea di questo “riposo”, “ristoro”, che si situa nella raggiunta serenità di spirito, la tranquillità dell’animo.
L’hesychia significa innazitutto la pace con Dio, frutto della riconciliazione realizzata con la conversione del cuore, con l’abbandono in Dio, avendo fiducia filiale sicuri della provvidenza previggente del Padre che ama i suoi figli. L’hesychia si esprime anche nel rapporto con gli altri, caratterizzato da mitezza, da umiltà e da benevolenza, sicuri che su tutti si estende il perdono e l’assistenza del Padre comune il quale invita ad avere e praticare gli stessi atteggiamenti (Besa/Roma)
del circolo di cultura italo-albanese di roma
Circolare giugno 2005 175/2005
I detti di Gesù (33): “Ogni albero buono produce frutti buoni”............................................. 1
ROMA: Evangeliario Bizantino in italiano.................................................................................. 2
LUNGRO: Presentazione di S.E. Mons. Ercole Lupinacci......................................................... 2
CATANZARO: Presentazione del Presidente della Regione ..................................................... 3
LONDRA: Istruzioni per gli ortodossi....................................................................................... 4
ROMA: Matrimoni misti........................................................................................................... 6
GROTTAFERRATA: Nuova serie del Bollettino...................................................................... 8
ROSSANO: III Incontro ecumenico calabrese......................................................................... 9
PLATACI: E’ morto papàs Chidichimo protopresbitero............................................................ 9
MEZZOIUSO: Madre Macrina fondatrice delle Suore Basiliane............................................... 9
EJANINA: Musica bizantina per l’intero anno liturgico.............................................................. 9
ROMA: Questa è la nostra fede ............................................................................................ 10
ROMA: Hesychia - Tranquillità dell’anima e del corpo: nella “Scala”....................................... 11
Tà lòghia - I detti di Gesù (33): “Ogni albero buono produce frutti buoni”
Gesù per formare i suoi discepoli usa esempi della vita
quotidiana e tratti dall’esperienza comune. Un giorno disse: “Levate i vostri
occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35).
Si percepisce la gioia per il positivo esito del lavoro
dell’agricoltore. E’ il tempo della raccolta. Chi non ha visto i contadini dei
nostri paesi felici nel mietere il grano tra canti di gioia? Il grano a suo
tempo era stato seminato. Le piantine appena cresciute erano state liberate
dalle erbacce. Il grano, la pianta buona, ha prodotto il grano per il pane.
Più generalmente Gesù insegna: “Ogni albero buono (agathòn) produce buoni (kaloùs) frutti” (Mt 7,17) . Di converso: “Ogni albero cattivo (sapròn) produce frutti cattivi (poniroùs)”. Per convincerli li interpella nella loro esperienza: “Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi?” (Mt 7,16).
Non solo è così, ma deve essere così, secondo natura. E se così non
avviene quella pianta sarà distrutta. “Ogni albero che non porta frutti buoni
viene tagliato e gettato al fuoco” (Mt 7, 19).
Fin qui i discepoli possono facilmente capire che essi stessi devono
portare frutti buoni. Ad un certo punto
però Gesù fa e dice qualcosa di
paradossale, che va al di là del loro
ragionamento. Egli esige, per sé, frutti
in ogni tempo ed anche contro tempo. Un giorno ebbe fame, vide un fico, vi si
accostò, ma non trovò che foglie. D’improvviso disse: “Non nasca più frutto da
te” (Mt 21,19). E subito quel fico seccò. Cosa ciò può significare per i
suoi discepoli? Ne chiedono spiegazione.
“Se avrete fede e non dubiterete - risponde loro Gesù - non solo potete
fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte:
levati di lì e gettati in mare, ciò avverrà” (Mt 21,21). A chi crede
nulla è impossibile.
Il cristiano è diventato albero buono, per essere stato innestato (symphitos) in Gesù Cristo (Rom 6,5). Dovrà produrre buoni frutti. San Paolo (Gal 5,22) ne enumera alcuni: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. E sintetizza (Gal 5, 22): “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri”. Hanno liberato il proprio “campo” dalle erbacce e producono frutti di santità ad immagine di Cristo stesso (Besa/Roma)
.
ROMA
EVANGELIARIO
BIZANTINO
IN ITALIANO
L’Evangeliario liturgico della Chiesa bizantina è stato
pubblicato in lingua italiana, in accurata edizione per l’Altare.
L’uso delle Eparchie bizantine cattoliche in Italia aveva
fino ad oggi sull’altare il grande Evangeliario greco di Roma del 1880, mentre
per la lettura in italiano si adoperava una edizione con pericopi fotocopiate.
Ciò lasciava molto a desiderare circa la dignità che questo Libro Sacro ha
sempre avuto nella considerazione bizantina, che gli attribuisce l’onore e il
posto di Cristo nell’Assemblea celebrante.
L’Eparchia di Lungro, nella persona del suo vescovo, ha
preso l’iniziativa di chiedere alla regione Calabria, la sponsorizzazione della
pubblicazione delle Evangeliario in italiano. Il presidente Giuseppe
Chiaravallotti ha aderito positivamente.
La nuova pubblicazione (Roma 2005) ha come titolo Divino e
Sacro Evangelo. La sua struttura segue l’edizione dell’Evangeliario di Roma del
1880. Per farne uno strumento agevole all’uso, si sono tolte alcune parti che
appartenevano più alla tradizione storica del testo che a quella pratica legata
alla pastorale.
E’ costituito da 248 pagine in pregevole carta avorio, con
all’interno sei tavole bicolore che dividono le parti tradizionali del Vangelo.
Il volume comprende le pericopi che si leggono nel corso
dell’anno liturgico nell’ordine tradizionale seguente:
10. Evangelo
secondo Giovanni con inizio dalla Domenica di Pasqua.
11. Evangelo
secondo Matteo con inizio dalla prima settimana dopo Pentecoste.
12. Evangelo
secondo Luca con inizio dal lunedì dopo la prima domenica dell’Esaltazione
della Croce.
13. Evangelo
secondo Marco.
14. Evangeli
della Santa e Grande Settimana.
15. Evangeli
della Resurrezione per il Mattutino.
16. Evangeli
delle Feste fisse dell’anno e di quelle dei Santi di ogni giorno, durante i
mesi dell’anno (Minea).
17. Evangeli
per diverse circostanze.
18. L’indice
dei Santi Evangeli da leggere nel corso dell’anno.
Nei Minea sono stati
aggiunti i due grandi santi italo -greci calabresi: S. Nilo e S. Bartolomeo di
Rossano, presenti nell’Imerologhion di
Lungro.
Alla pagina 231 si
mette in rilievo una parte aggiunta all’edizione di Roma che, per
facilitarne l’uso nella liturgia, riporta le pericopi evangeliche specifiche
per alcune circostanze (benedizione dell’acqua, funerale di un bambino, inno
akathistos ecc.).
In alto a destra di ciascuna pericope si trova un numero in
rosso che serve ad identificare e ricostruire i testi evangelici nel loro
aspetto storico tradizionale.
Si è particolarmente curata la grafica per renderla agevole
alla lettura e, per comodità, si è riportata per intero l’intestazione in ogni
singola pericope.
La lettera iniziale e le rubriche sono state scritte in
colore rosso.
L’edizione
è stata curata lodevolmente dal diacono prof. Luigi Fioriti (Besa/Roma).
LUNGRO:
PRESENTAZIONE
DI S.E. MONS.
ERCOLE LUPINACCI
Il vescovo di Lungro S.E.
Mons. Lupinacci ha redatto la seguente
presentazione della traduzione dell’Evangeliario bizantino curata dal
diacono Luigi Fioriti:
"Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola di verità, l'evangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria" (Ef. 1,1.13-14).
Con questi stessi sentimenti di benedizione e grande gioia mi rivolgo a voi, per presentare un'opera che non è frutto delle mani dell'uomo ma viene direttamente dalla divina rivelazione dello Spirito che fa risuonare nelle Chiese la parola del Verbo incarnato per radunare, istruire, nutrire e dare pienezza ad ogni aspirazione alla salvezza.
"L'Evangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo" (Gal. 1,11).
Ecco
dunque che vengo a presentare una edizione del Divino e Sacro Evangelo che la
nostra Eparchia ha curato, usufruendo della sensibilità storico-culturale della
Giunta della Regione Calabria, presieduta dall'on. Giuseppe Chiaravalloti, che
ha messo a disposizione i fondi per realizzarlo.
La nostra terra, così ricca di testimonianze di cultura e di valori, di varie minoranze linguistiche che ancora la popolano, non lascia nulla di intentato per salvaguardare ed incrementare ciò che è suo specifico patrimonio e che oggi assume valore europeo, per la comune identità spirituale e liturgica con l'oriente cristiano.
Le dichiarazioni e decisioni della Assemblea Eparchiale di Lungro, al numero 9, forniscono indicazioni in proposito stabilendo di prendere, "dove non differisce dall'uso liturgico", la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana.
L'edizione che pertanto si propone, è del tutto conforme a quella del Divino e Sacro Evangelo di Roma 1880, sia nella successione delle pericopi che nei criteri generali.
Trattandosi di un libro usuale, si
è preferito il criterio dell'essenzialità e della praticità. In appendice sono
stati aggiunti alcuni brani evangelici presi dal grande eucologio.
Nella liturgia bizantina l'Evangeliario si è sempre mantenuto vivo: ogni benedizione, processione, celebrazione; ogni annuncio solenne di salvezza non può avvenire senza di lui. Ogni Sinodo, Concilio, deve avere al centro il libro della Divina Parola.
È acclamato con il canto, incensato, portato in processione; con il libro dell'Evangelo si dà la benedizione ai fedeli. Molti si pongono alla sua ombra perché su di loro venga proclamata la guarigione, la remissione dei peccati e la grazia richiesta.
Nel suo significato simbolico è segno di una presenza: l'Evangelo è Cristo, che è vero nella sua Parola di salvezza annunciata e vero nell' icone della Parola scritta.
È il simbolo del Signore risorto che parla ancora oggi alla sua Chiesa.
Guardare all'Evangeliario mentre procede nella santa assemblea, è seguire il Signore della gloria, è contemplare la sua Parola prima ancora che risuoni nelle orecchie.
Presentando questa edizione dell'Evangelo credo di dare conformità al mandato che il Signore mi ha affidato come pastore e annunciatore della buona novella e di fornire un'opera che è destinata ad incidere profondamente nel tessuto stesso della Chiesa che ha, in questo libro, l'elemento più prezioso e normante.
Il
Signore, amico degli uomini, faccia risplendere nei
cuori la pura luce della sua divina conoscenza e apra gli occhi della mente
all' intelligenza dei suoi insegnamenti evangelici (Div. Lit. Giov. Cris.)
conceda agli annunciatori grande efficacia di predicazione, a tutti la
rivelazione dell'Evangelo di giustizia perché sia da tutti glorificato
l'onorabilissimo e magnifico nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
+Ercole Lupinacci
Lungro 27 febbraio 2005
Domenica III di Quaresima: Adorazione della
preziosa e vivificante Croce (Besa/Roma).
CATANZARO:
PRESENTAZIONE
DEL
PRESIDENTE DELLA REGIONE
L’on Giuseppe Chiaravallotti, Presidente della
Regione Calabria che ha finanziato la
pubblicazione della traduzione dell’Evangeliario bizantino ha così indicato le
ragioni culturali che hanno giustificato l’intervento della Regione:
Ho definito spesso
L'estremo lembo d'Italia e d'Europa è stato
punto di contaminazione e di fusione secolare tra genti appartenenti a popoli
diversi che hanno trovato accoglienza e stabile dimora senza dover dimenticare
le proprie origini.
La complessità della cultura calabrese è più di un coacervo. Dallo
stupefacente mosaico di tessere colorate ed intrise di storia, dall'età antica
alla contemporanea, sono nate le "Calabrie", una denominazione
rimasta in auge fino all'Unità d'Italia per la presenza di più dialetti,
deformazione ed adattamento di più idiomi.
Il tempo e gli eventi non hanno sradicato né linguaggi, né tradizioni,
quelle che, oggi, un "rinascimento" della Calabria - nella sua totalità
- impone di approfondire intendendo l' antiquitas anche renovatio dello spirito
delle genti calabre.
In tale contesto si colloca
l'invito di Mons. Ercole Lupinacci, Vescovo dell'Eparchia di Lungro, a
"leggere" uno dei tasselli centrali del nostro mosaico religioso e
culturale, l'Evangeliario Bizantino.
Con la sensibilità che connota i grandi uomini, dediti alla cura dello
spirito anche attraverso l'approfondimento culturale e la conoscenza quali
mezzi per l' elevazione delle anime, Mons. Lupinacci ha inteso offrire, con il
sostegno della Regione Calabria, ad un vasto pubblico un'opera che contribuisce
a recuperare un aspetto delle identità culturali proprie delle
"Calabrie".
L'invito, tra l'altro, è strettamente connesso a "riscoprire"
una città che merita di essere fruita, per le innumerevoli stratificazioni
storico-sociali, da studiosi e amanti della cultura e dell'arte: Lungro.
Sul sentiero che dalla Dalmazia conduce in Calabria, in territorio -
allora di Altomonte - da un nucleo ungherese Ungarum, poi Ungrum, è nata
Lungro, sede dell'Eparchia bizantina per gli italo-albanesi.
Le comunità albanesi insediatesi in Calabria nel XV secolo, benché
sottoposte alla giurisdizione dei vescovi latini, avevano mantenuto - pur tra
mille difficoltà - la propria spiritualità, la liturgia e gli ordinamenti della
Chiesa di provenienza, fino all'istituzione da parte di Papa Benedetto XIV, nel
1919, dell'Eparchia di Lungro necessaria ad assicurare continuità rituale e
cura pastorale ai bizantini d'Italia.
E da Lungro parte oggi l'esigenza di riannodare il filo storico di una
religiosità "altra" legata a forme di "altra" arte.
Ogni confessione religiosa ha un suo modus particolare per manifestare
e manifestarsi. Epifanie che dai padri passano ai figli e concentrano, spesso
in un solo testo, poesia, musica, costumi.
Epifanie che il presente vuole rinnovare per rinnovarsi secondo i
modelli che nella circolarità temporale implicano un tempo liturgico. Nel caso
specifico quello della Chiesa Ortodossa.
L'edizione dell'Evangeliario - testo sacro della liturgia greco
ortodossa - che, nel quadro delle iniziative legate alla rilettura ed alla
valorizzazione del passato,
Libro di significati simbolici, aperto da mani velate ad ogni
celebrazione, processione, benedizione. Libro della Salvezza e della Sapienza,
del divino evocato dal canto, di Cristo che parla attraverso il Diacono.
Un testo alla cui importanza e bellezza liturgica fa eco la preziosità
di una fattura straordinaria, manifestazione anch'essa di una bellezza
trascendentale che ha al suo centro il Verbo Divino.
Nell'Evangeliario è il Cristo risorto, in gloria, che si rivolge alla
Sua Chiesa; è la celebrazione solenne del tempo divino secondo il succedersi
del tempo umano che, riconducendo l'uno all'altro, avvia il processo salvifico
insito nella parola di Cristo.
Non abbiamo esitato ad accogliere la proposta di Mons. Lupinacci che
ringraziamo nella duplice veste di Pastore d'anime e fine cultore del
"Bello", sinonimo - nel caso specifico - del "Buono"
manifestazione del Divino.
La pubblicazione dell'Evangeliario significa per
Catanzaro, 18 febbraio 2005
(Besa/Roma).
LONDRA
Istruzioni PER
GLI ORTODOSSI
Ogni anno le varie diocesi ortodosse ricordano ai fedeli alcune delle
istruzioni più elementari della vita della loro Chiesa. Riportiamo
“dall’Imerologhion
Per i battesimi
1) I battesimi possono aver luogo tutto l’anno,
ad eccezione della Settimana Santa e del Natale (tranne i casi in cui viene
concesso un permesso speciale);
2) il certificato di nascita del bambino deve
essere presentato il giorno del battesimo;
3) il padrino dovrà essere un membro della
Chiesa ortodossa, avere una buona reputazione ed essere consapevole degli
obblighi e delle responsabilità del proprio ruolo.
Per i matrimoni
I matrimoni non sono permessi in chiesa:
a) dal 12 dicembre a Natale;
b) durante
c) dal 1 al 15 agosto;
d) il 5 e il 6 gennaio, salvo con licenza
speciale;
e) nella festa della Santa Croce (14
settembre);
f)
tra un
membro della Chiesa ortodossa e un non cristiano, o con un membro di una
confessione che non battezza nel nome della Santa Trinità.
Il testimone/ la testimone (koumbaros/a) deve essere membro della
Chiesa ortodossa e avere una buona reputazione, poiché, secondo la tradizione,
egli/ella sarà padrino/madrina del primo bambino della coppia.
Una persona non-ortodossa può fungere da testimone, ma non può partecipare
attivamente alla cerimonia.
Conformemente alle leggi dell’Inghilterra e del
Galles, la cerimonia di matrimonio civile dovrebbe aver luogo prima di quella
religiosa.
1) La coppia dovrà notificare all’ufficio
locale di Stato Civile/Anagrafe la data in cui desidera contrarre matrimonio;
2) dopo aver fissato una data per il matrimonio
in chiesa, la coppia dovrà prendere appuntamento con il parroco. Durante tale
incontro, i futuri sposi, in presenza di due testimoni, dovranno firmare una
richiesta di licenza da parte dell’Arcivescovo, in cui dichiarino di non aver
tra loro legami di parentela entro i gradi proibiti. Ognuno dovrà presentare un
certificato rilasciato dalla Chiesa in cui è stato battezzato, in cui si dica
che non ha contratto matrimonio.
·
Nel caso di un matrimonio misto, il membro
non-ortodosso dovrà:
a) presentare il suo certificato di battesimo;
b) firmare una dichiarazione in cui afferma che
i bambini nati dal matrimonio saranno battezzati ed educati nella fede
ortodossa e secondo la tradizione ortodossa.
·
Nel caso di un secondo matrimonio, la
persona dovrà:
·
presentare un atto di divorzio rilasciato dal
tribunale civile se il matrimonio precedente è avvenuto soltanto presso
l’ufficio di Stato Civile/Anagrafe e un certificato di divorzio rilasciato dal
tribunale ecclesiastico se il matrimonio precedente è stato celebrato anche in
una chiesa ortodossa.
·
Se il
coniuge precedente è defunto, sarà sufficiente presentare un certificato di
decesso.
Per i divorzi
Può essere concesso un divorzio ecclesiastico dopo che è stato
rilasciato un decreto civile. Comunque, il parroco dovrà fare il possibile per
riconciliare la coppia ed evitare un divorzio.
Nel caso in cui il parroco non riuscisse a riconciliare gli sposi, la
parte che chiede il divorzio ecclesiastico dovrà inviare una petizione al
tribunale ecclesiastico dell’ Arcidiocesi, in cui esporrà i motivi di tale
azione. La petizione dovrà essere accompagnata da:
a) l’atto di divorzio del divorzio civile;
b) la copia/certificato del matrimonio
ecclesiastico che deve essere sciolto;
c) la tassa prestabilita dal tribunale
ecclesiastico (Sterline, 150.00).
·
Nota
statistica: negli anni 1989-2003 e fino all’ottobre 2004 ci sono state 1378
richieste di divorzio. La maggior parte dei richiedenti aveva meno di
trentacinque anni. Le ragioni addotte erano mancanza di collaborazione e storie
extra-coniugali.
Per i funerali
I parenti della persona defunta dovranno contattare il parroco locale
ed accordarsi con lui sulla data e sugli altri dettagli del funerale.
Animata dall’affetto per i suoi figli scomparsi,
Nel caso in cui i familiari non possano andare contro gli ultimi
desideri espressi dal defunto, il funerale potrà essere celebrato in chiesa; al
termine della funzione i resti verranno consegnati ai parenti.
Queste sono preghiere speciali offerte dalla chiesa per il riposo dei
defunti. Tali celebrazioni (mnimossina) hanno luogo il terzo, il nono e il
quattordicesimo giorno dopo il decesso, così come per il terzo, il sesto ed il
nono mese.
Dopodiché, viene osservata una celebrazione commemorativa ogni anno e
quattro sabati sono dedicati alla commemorazione del defunto durante l’anno
liturgico.
Le celebrazioni commemorative non possono aver luogo dal sabato di
Lazzaro alla domenica dell’incredulità di Tommaso (inclusa); né possono tenersi
nei santi giorni tra il Natale e l’Epifania, il giorno di Pentecoste, nei Santi
Giorni del nostro Signore (Despotikai eortai) e nel giorno della Dormizione
della Madre di Dio (15 agosto).
Oltre a ciò, si raccomanda di evitarle nella festa titolare della
chiesa e nelle principali feste del Nostro Signore e di Sua Madre.
Se fosse comunque necessario tenere una celebrazione commemorativa,
essa dovrà aver luogo dopo il congedo dei fedeli nella Liturgia Divina e la
distribuzione dell’Antidoron.
1. La vigilia dell’Epifania, il 5 gennaio, è
giorno di digiuno.
2. Non è prescritto nessun digiuno per la prima
settimana del Triodion.
3. Il digiuno è prescritto per il secondo
mercoledì ed il secondo venerdì del Triodion.
4. Pesce e prodotti caseari sono permessi
durante l’ultima settimana prima della Grande Quaresima.
5. Durante
6. Non è prescritto nessun digiuno per la
settimana di Pasqua (Diakainisimos o Settimana Luminosa).
7. Non è prescritto nessun digiuno per la
settimana successiva alla Domenica di Pentecoste.
8. Il digiuno è prescritto durante
9. Il digiuno è prescritto durante
10.
11. L’Esaltazione della Santa Croce (14
settembre) è giorno di digiuno.
12. Il digiuno è prescritto durante
13. Nessun digiuno è prescritto per il periodo
dal 25 dicembre al 6 gennaio, tranne che per il 5 gennaio (vedi n. 1).
14. I mercoledì ed i venerdì (tranne quelli
menzionati più sopra) sono giorni di digiuno. Olio e vino sono permessi tutti i
sabati e le domeniche (tranne che il Grande Sabato, che è la vigilia di
Pasqua). Se le feste della Natività della Madre di Dio (8 settembre), S.
Filippo (14 novembre),
È dovere di ogni cristiano
partecipare alla Santa Comunione, poiché è tramite questo Sacramento che
diventiamo una cosa sola con Cristo e gli uni con gli altri. Dovremmo
partecipare regolarmente, se possibile ogni volta che è celebrata
Per partecipare degnamente al Sacramento dovremmo:
1. avere una fede incrollabile in Cristo nostro
Salvatore e nell’insegnamento della Chiesa ortodossa;
2. andare in chiesa regolarmente e pregare
regolarmente;
3. purificare la coscienza da cattive azioni,
dall’odio e dall’ingiustizia, perdonando dal profondo del cuore tutti coloro
che ci hanno ferito; avere un atteggiamento pacifico e caritatevole anche verso
coloro che ci sono nemici;
4. fare una sincera confessione dei nostri
peccati e delle nostre cattive azioni in presenza di un padre spirituale (un
gerarca o presbitero nominato apposta per tale incarico).
È vietato ricevere
Naturalmente,
Matrimoni
Misti
Tanto il Codice di Diritto Canonico latino (CJC,
cann. 1124 -1128) quanto il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO,
cann. 813 – 816) danno le norme delle Chiese Cattoliche circa i matrimoni misti. Qui di seguito
riportiamo i canoni del CCEO relativi al tema e le “Istruzioni per il dialogo
pastorale con le coppie” date di recente
dalla Conferenza dei vescovi cattolici della Svizzera, Paese in cui si celebra un gran numero di matrimoni
misti.
1. Codice dei Canoni delle Chiese Orientali
Can. 813 – Il matrimonio tra due persone battezzate,
delle quali una è cattolica e l’altra invece acattolica, senza la previa
licenza dell’autorità competente, è proibito.
Can. 814 – Può concedere la licenza per giusta causa
il Gerarca del luogo; ma non la conceda se non sono adempiute le condizioni
seguenti:
1° la parte cattolica dichiari di essere
pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e assicuri con una
sincera promessa di fare quanto è in suo potere affinché tutti i figli siano
battezzati ed educati nella Chiesa cattolica;
2° di queste promesse che devono
essere fatte dalla parte cattolica sia tempestivamente informata l’altra parte
in modo che consti che essa è veramente consapevole della promessa e
dell’obbligo della parte cattolica;
3° entrambi le parti siano
istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio che non devono
essere esclusi da nessuno dei due fidanzati.
Can. 815 – Per diritto particolare di ciascuna
Chiesa sui iuris si stabilisca il modo con cui queste dichiarazioni e promesse,
che sempre sono richieste, sono da farsi, e si determini il modo col quale
consti di esse nel foro esterno e con cui la parte acattolica sia informata.
Can. 816 – I Gerarchi del luogo e gli altri pastori
d’anime curino che non manchi al coniuge cattolico e ai figli nati dal
matrimonio misto l’aiuto spirituale per adempiere i loro obblighi di coscienza
e inoltre aiutino i coniugi a favorire l’unità del consorzio della vita
coniugale e familiare.
In occasione della sua 267a assemblea ordinaria (Roma, 1-5
febbraio 2005),
L’educazione rimane sempre il compito dei due genitori e nessuno dei
coniugi può essere costretto ad agire contro la propria coscienza. Pertanto
ognuno deve impegnarsi, nel rispetto della propria anima e della propria
coscienza, a fare quanto è possibile in base alla situazione concreta nella
quale si trova.
I figli non possono essere educati al di fuori di un’appartenenza
confessionale.
E’ quindi necessario, affinché la buona intesa coniugale non venga in
seguito messa inutilmente in pericolo, che la scelta della confessione secondo
la quale saranno educati i figli, sia oggetto di scambio e chiarimenti prima
che il matrimonio venga contratto.
Questa decisione è senz’altro un diritto e un dovere dei genitori. Ogni
cristiano convinto è chiamato a testimoniare la sua fede davanti al coniuge e
ai propri figli. Questo significa che si deve preoccupare del battesimo e
dell’educazione religiosa dei figli secondo le proprie convinzioni. Non può
essere esente da questo dovere.
Il coniuge cattolico quindi può accettare che i figli ricevano il
battesimo e l’educazione di una confessione non cattolica soltanto se,
nonostante seri sforzi, l’educazione cattolica non può essere offerta.
Questo dovere contrasta con quello del coniuge e ciò richiede
un’attenzione particolare. La decisione finale non deve compromettere la buona
intesa nella coppia. Essa deve essere soppesata nel rispetto delle circostanze
e deve tenere conto del bene dei figli stessi.
A questo proposito, si presume che il coniuge, la cui fede viene
vissuta più profondamente e testimoniata in modo più chiaro, sarà maggiormente
in grado di introdurre il proprio figlio ad una vita dettata dalla propria
fede.
Tuttavia, presa una decisione, il coniuge che accetta che i figli
ricevano il battesimo in un’altra confessione e siano educati secondo le regole
di quest’ultima, prende pienamente parte all’educazione religiosa dei figli.
La testimonianza di fede dei coniugi è necessaria nell’educazione dei
figli. Senza appianare nè nascondere le differenze confessionali, la vita familiare
deve essere pregna della fede comune in Cristo e dell’amore fervente per Dio.
Se si decide che i figli saranno battezzati ed educati in un’altra
confessione cristiana, il coniuge cattolico deve promettere tra l’altro:
§
di
costruire la vita coniugale e familiare su un fondamento cristiano;
§
di
incoraggiare e sostenere l’educazione religiosa dei propri figli;
§
di
offrire ai figli un’idea positiva della fede cattolica attraverso una vita
esemplare;
§
di
approfondire la propria fede con una buona formazione religiosa per poter
dialogare in modo fruttuoso con il coniuge e rispondere alle domande dei figli;
§
di
riservare in famiglia un posto di riguardo alla preghiera, in particolare per
ottenere la grazia dell’unità nella fede, conformemente al testamento di Gesù,
“che tutti siano una cosa sola” (Besa/Roma).
GROTTAFERRTA
NUOVA SERIE DEL BOLLETTINO
Lo storico “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata” inizia la
sua “Terza Serie” con il n. 1/2004, appena uscito dalla stampa, dopo l’interruzione di qualche anno. Presenta un
nuovo comitato scientifico e una nuova redazione. L’egumeno, p. Emiliano, firma
la presentazione che riportiamo qui di seguito:
Al
tramonto del 25 settembre 1004 insieme al calar del sole, come narra l'antico
biografo, si compiva la lunga giornata terrena di Nilo di Rossano. La
ricorrenza millenaria della morte di Nilo, e insieme della fondazione del
monastero da lui voluto "per radunare tutti i fratelli ed i dispersi suoi
figli”, costituisce per i monaci di Grottaferrata un'occasione particolarmente
sentita per un rinnovato impegno di fedeltà alla vocazione monastica, alla
tradizione criptense, ai compiti che lo Spirito propone oggi alle Chiese
d'Oriente e d'Occidente. Fondato cinquant'anni prima del cosiddetto scisma del
1054 nel territorio metropolitano del patriarcato romano, il monastero
tuscolano è sempre rimasto unito alla Sede apostolica pur mantenendo la propria
tradizione liturgica bizantino-studita nel variare dei tempi e delle
congiunture ecclesiali: tradizione conservata a prezzo di non piccole
difficoltà e sinceramente, profondamente amata.
Tali
caratteristiche fanno di Grottaferrata un unicum storico: non esistono, nella
Chiesa cattolica, altri monasteri bizantini precedenti al 1054 (…).
L'unicità storica diventa perciò l'indicazione
di una precisa “diakonia” all'interno dell'attuale “kairòs” vissuto dalle
Chiese: quella svolta a beneficio dell'incontro veppiù fraterno e cordiale fra
cristiani cattolici e cristiani ortodossi, all'insegna di una meditazione
approfondita della tradizione comune, in particolare quella monastica.
Agli inizi del XX secolo, in un' epoca nella
quale non era ancora maturata né diffusa una coscienza "ecumenica",
il monastero di Grottaferrata intuì vie nuove di dialogo e ne promosse la
realizzazione con la rivista “Roma e l'Oriente”.
Nel nostro tempo, e dopo che tanto lavoro è
stato svolto nel campo ecumenico, è convinzione sempre più condivisa che il
cammino che conduce all'unità delle Chiese è un cammino che deve
necessariamente passare attraverso una conoscenza reciproca solida, fondata
sulla storia e ottenuta grazie ad una ricerca scientifica di alto livello nei
diversi campi della vita ecclesiale.
I
monaci cattolici ed ortodossi hanno fatto spesso e fanno sempre più la scoperta
di seguire percorsi spirituali comuni e di poter rappresentare, nelle e per le
Chiese, una possibilità di fraternità per così dire inevitabile, e certamente
provvidenziale.
In
questa ottica lo studio scientifico delle varie forme e dei vari aspetti della
civiltà monastica bizantina ed in particolare italo-greca, nel lungo corso
della sua storia, dall'Alto Medioevo ad oggi, si pone da sé come compito
specifico del nostro "Bollettino", del quale, in concomitanza con
l'inizio del secondo millennio di vita del cenobio criptense, ci sembra
opportuno e significativo iniziare, con il presente numero, la terza serie. La
vastità delle aree d'interesse legate all'argomento, d'altronde, era stata ben
delineata nel 1947 dall'Archimandrita Isidoro. Tracciando le linee
programmatiche del "Bollettino" nel primo numero della seconda serie,
egli scriveva che esso avrebbe dovuto accogliere "preferibilmente studi e
testi liturgici, storici, archeologici, ecc., italo-greci", e così
continuava: "La redazione è formata dagli Jeromonaci addetti alla
Biblioteca criptense, coadiuvati da insigni amici cultori di cose bizantine.
Siamo grati a quanti vorranno collaborare con i loro studi a far meglio
conoscere i non pochi tesori della Chiesa italo-greca rimasti ancora poco noti
o addirittura nascosti" (BBGG 1 [1947], 3-4). Credo che queste righe non
abbiano perduto nulla della loro attualità. Negli ultimi anni il
"Bollettino" ha riservato la maggior parte del suo spazio, ed in
maniera riconosciuta da tutti come eccellente, alla ricerca paleografica e codicologica
riguardante i manoscritti di provenienza italo-greca. Di tale eccellenza va
ringraziata l'assidua fatica dedicata al "Bollettino" dal suo
Redattore, il prof. S. Lucà, la cui competenza e i cui interessi non hanno
bisogno di presentazione, e che ringrazio in questa sede. Non permettendogli
più i suoi numerosi impegni di continuare il suo prezioso lavoro al
"Bollettino", ho ritenuto giusto riprendere anche per questo aspetto
le indicazioni dell'Archimandrita Isidoro, affidando la redazione della rivista
ad uno ieromonaco della Comunità ed invitando più numerosi specialisti ad una
collaborazione che non si limiti al periodo medievale del monachesimo
italo-greco, ma che ne copra l'intero arco storico nei suoi notevoli aspetti:
invito che estendo qui a tutti gli studiosi del campo. Alla redazione rinnovata
e alla rivista esprimo gli auguri più fervidi di un proficuo lavoro al servizio
delle scienze storiche e teologiche e della reciproca conoscenza tra la pars
orientalis e la pars occidentalis di quella che crediamo essere l'unica Chiesa
di Cristo, attendendo, nella preghiera e nella speranza che non delude, il
momento benedetto in cui i fratelli d'Oriente e d'Occidente potranno di nuovo
sedersi intorno alla stessa Mensa.
P.
Emiliano, Egumeno di Grottaferrata, 25 settembre 2004 (Besa/Roma).
ROSSANO: III INCONTRO
Il 2
giugno 2005 è in programma il III Incontro Ecumenico Calabrese, organizzato
dalle Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Calabria sul tema: “Infatti
nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è
Gesù Cristo” (I Cor. 3,11). Daranno proprie comunicazioni:
Don
Giovanni Mazzillo (Istituto teologico calabro “S.Pio X”);
Pastore Giuseppe Basile (Chiesa Apostolica Missionaria);
Pastore Rosario Confessore (Chiesa Evangelica valdese);
S.E. Silvano, vescovo del
Patriarcato di Romania per l’Italia.
S.E. Mons. Ercole Lupinacci, vescovo di Lungro, è il delegato per
l’ecumenismo della Conferenza Episcopale Calabra (Besa/Roma).
PLATACI: E’ MORTO
PAPAS CHIDICHIMO PROTOPRESBITERO
Il 17 aprile 2005 è deceduto il protopresbitero papàs Francesco
Chidichimo, arciprete di Plataci. Il vescovo di Lungro Mons. Ercole ha scritto di lui al clero:
“Per 65 anni ha svolto il suo ministero pastorale di parroco con
dedizione e passione, dedicandosi non soltanto ai problemi spirituali del
gregge a lui affidato, ma preoccupandosi anche dei problemi sociali del suo
popolo.
Ha fatto costruire l’asilo e la canonica di Plataci, si è impegnato nel
restauro della chiesa parrocchiale di “S. Giovanni Battista”.
E’ stato sempre presente nella vita dell’Eparchia, in tutte le
riunioni di clero, all’Assemblea
eparchiale di Lungro, ed ha partecipato al II Sinodo Intereparchiale di
Grottaferrata celebrato pochi mesi fa”.
Papàs Chidichimo era nato a Plataci il 20 marzo 1915. Dopo aver
compiuto gli studi presso il Seminario minore di Grottaferrata dal 1928 al 1933, è passato al Pontificio
Collegio Greco. Ha frequentato l’Angelicum per sei anni (filosofia e teologia), ed è stato ordinato
sacerdote il 24 aprile 1940 da S. E. mons. Giovanni Mele nella chiesa di S.
Atanasio a Roma. Prima vicario cooperatore dell’allora arciprete di Plataci
papàs Giuseppe Ferrari, viene poi nominato arciprete di Plataci il 29 agosto
1940. Il 13 maggio 1990 gli sono stati conferiti la benedizione e il titolo di
protobpresbitero nella ricorrenza del suo 50° anniversario di ordinazione
sacerdotale.
In occasione del suo 90°
genetliaco e del 65° di chirotonia sacerdotale (marzo 2005), è stato stampato un
opuscolo, a cura del diacono prof. Costatntino Bellusci, in cui si presenta una
breve biografia e un’antologia di testi (omelie, discorsi ed articoli). Da esso
emerge il calore delle sue convinzioni e l’amore per la sua gente (Besa/Roma).
MEZZOIUSO
MADRE MACRINA
FONDATRICE DELLE SUORE BASILIANE
Sabato 2 aprile 2005 nella Chiesa Madre di Mezzoiuso S. E. Mons. Sotir
Ferrara, vescovo di Piana degli Albanesi,
ha aperto l’inchiesta diocesana sulla vita e le virtù e la fama di santità della serva di Dio Madre
Macrina Raparelli, fondatrice della
Congregazione delle Suore basiliane “Figlie di Santa Macrina”.
Ha inizio così la preparazione di una causa di beatificazione,
raccogliendo i dati storici e spirituali di Madre Macrina. In concomitanza con
la celebrazione del II Sinodo Intereparchiale è questo un evento significativo.
La prospettiva ultima del Sinodo è infatti l’appello alla santità.
Sr. Cecilia Frega ha già pubblicato un’agile biografia di “Madre
Macrina Raparelli” (Mezzoiuso 2001) sulla sua vita (1893-1969) dalla formazione
personale alla fondazione della Congregazione basiliana.
Madre Aurelia Minneci, attuale Superiora Generale della Congregazione
delle Suore basiliane, nella prefazione scrive:
“Il suo esempio è ancora vivo e palpitante tra le sue figlie spirituali
che non potranno dimenticare il suo amore ardente verso Gesù Eucaristia, la sua
fedeltà alla Chiesa e alla vocazione, lo spirito di penitenza, l’umiltà, la
semplicità, la povertà, il comportamento riservato e casto. Ella fondò
EJANINA
MUSICA BIZANTINA
“Ejani e mirrni dritë nga drita e pashuarshme” (Venite! Prendete luce
dalla Luce inestinguibile). E’ il primo inno, l’invito della Pasqua, della
straordinaria pubblicazione di papàs Emanuil Jordani, protopresbitero
dell’eparchia di Lungro (Emanuele Giordano, Himne Liturgjike
bizantino-arbëreshe, Biblioteka e “Jetës Arbëreshe”, 1, 2005, pp. 215).
Puntuale e opportuna arriva questa pubblicazione dedicata al II Sinodo
Intereparchiale per
L’opera del fedele lavoratore della “Vigna del Signore” papàs Emanuele,
in lingua albanese del popolo e in musica bizantina, offre un sussidio
indispensabile per vivificare la celebrazione liturgica dell’intero anno.
Comprende:
La musica è scritta con i neumi bizantini, cosa che offre alla pubblicazione
una veste assolutamente propria. Nell’ introduzione l’autore, conoscitore della
musica bizantina e cantore raffinato, di proposito ha usato questa scrittura:
“Ho preferito l’uso dei segni della musica bizantina e non il pentagramma
occidentale: è questa una scelta voluta”, afferma l’autore. Bisogna che il rito
bizantino sia conservato e vivificato nelle forme consone.
Egli però informa che facilmente la musica potrà essere trascritta su
pentagramma anche con il semplice ausilio di un apposito programma di computer.
L’autore indica anche la possibilità di preparare un CD cantato per aiutare
coloro che non conoscono la scrittura musicale.
La pubblicazione è il frutto di
una esperienza ed una prassi comunitaria di oltre mezzo secolo nella parrocchia
dove papa-Manoli ha esercitato il suo perseverante ministero. Egli scrive in
lingua albanese nella prefazione: “Negli anni ’50 ho dato inizio alla
traduzione in lingua arbëreshe di alcune parti della Liturgia, tanto quelle
cantate quanto quelle lette. Ho incominciato proprio dalla Divina Liturgia
traducendola in arbrërisht dal greco originale e adattandola alla musica
bizantina. Ho tradotto in arbërisht i Vangeli della domenica; a poco a poco ho tradotto altre parti,
cantate fino a quel tempo in greco. Ho cominciato a predicare anche in
arbërisht. Tutto quello che potevo lo facevo in albanese”. E’ stato questo uno
strumento pastorale valido: “Popullit i pëlqei, populli i xu, populli i këndoi,
populli i kuptoi: ata këndime çë adhe dinej në gjuhë greke i xu lehtë edhe në
gjuhë arbëreshe. Kuptova se kisha marrë udhën
e drejtë dhe vazhova të ecja tek ajo” (Al popolo sono piaciuti, il popolo
li ha appresi, il popolo li ha cantati, il popolo li ha capiti: quei canti che
conosceva in greco facilmente li ha appresi in lingua arbëreshe. Ho capito che
avevo imboccato la via giusta e ho continuato ad andare avanti).
La pubblicazione è stata sollecitata da Agostino Giordano, direttore
della rivista mensile “Jeta Arbëreshe” che è l’editrice del volume. Papàs Lorenzo
Forestieri ha anche collaborato trascrivendo al computer la musica bizantina.
L’autore nella prefazione scrive: “Questo volume vede la luce dopo la
celebrazione del Sinodo del 2004 e questa è una circostanza interessante,
perché si offre una prova ai Sinodali che la lingua arbëreshe si può adattare
ad ogni situazione, tanto che si tratti di testi musicali quanto di testi da
leggere semplicemente”.
E aggiunge: “Dedico questa pubblicazione all’Inter-Sinodo come una
prova del valore pastorale della lingua arbëreshe… Arbërishtja rron, la lingua
arbëreshe è viva”.
Due scopi sembra che si prefigga l’autore. Da una parte, come ha affermato, intende mostrare praticamente il valore attuale della lingua arbëreshe, dall’altra la sua efficacia pastorale. La trasmissione del pensiero attraverso la lingua materna ha risonanze particolari di penetrazione nell’animo della gente, ciò che costituisce un canale pastorale privilegiato (Besa/Roma).
ROMA
“QUESTA E’
Domenica di Pentecoste
La nuova “Nota” della CEI intende concretizzare quanto affermato dal documento “Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia” (2004): “C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede”. Questo mette in evidenza che non si può continuare a vivere di rendita, nè pensare che i fuochi d’artificio delle festicciole di paese siano riflesso della luce della risurrezione” (Besa/Roma).
HESYCHIA (1)
– TRANQUILLITA’ DELL’ANIMA E DEL CORPO: NELLA “SCALA”
L’inquietudine e l’angoscia caratterizzano spesso la vita
dell’uomo. Nei nostri giorni con maggiore incidenza, come rileva la
letteratura. Sören Kirkegaard ha parlato di “malattia mortale” e questa la ha
identificata come “disperazione” e “la disperazione è il peccato” (Kirkegaard,
La malattia mortale, Newton, 2004).
Nella vita cristiana si realizza una terapia radicale che
tende a ristabilire il credente in uno stato di serenità sostanziale. Gesù
risorto è apparso ai discepoli, chiusi in casa per paura, e disse loro: “Pace a
Voi” (Gv 20,19). E’ in questa pace, realizzata da Cristo con la sua morte e
resurrezione per la salvezza del mondo, che si dovrà svolgere la vita dei
credenti.
La tradizione teologica e spirituale bizantina ha teorizzato
questa prospettiva nel metodo della hesychia, o tranquillità dell’anima e del
corpo. L’hesychia è uno stadio di perfezione del monaco, per le sue modalità
proprie, ma è anche una dimensione della vita cristiana in genere. S. Giovanni
Climaco descrive l’hesychia nel XXVII discorso della sua opera ascetica
(Giovanni Climaco,
Nella sua opera l’autore esclude un intento puramente
teorico: “Non intendiamo fare la filosofia dell’hesychia o una dotta
esposizione dei principi di ricerca” (PG 88,
L’opera descrive il progresso spirituale, gradino per
gradino – un gradino per capitolo - pervenendo a questa meta: “Crescita
nell’umiltà iniziale, la diminuzione dell’ira, l’eliminazione delle tenebre e
l’aumento della carità, l’alienazione dalle passioni e il dissolvimento
dell’odio, il decremento della sensualità per via della correzione, il non
avvertire più l’accidia e l’avvertire il bisogno della vigilanza, l’amore
compassionevole e l’estraneità alla vanagloria” (PG 88,
Tutto ciò implica l’ascesi,
l’esercizio continuo e la preghiera perseverante. Questa ha trovato
realizzazione in formule brevi e ripetute continuamente come “la preghiera di
Gesù”. L’esicasmo ha conosciuto anche dei metodi psico - fisiologici per
concentrare l’attenzione (cfr. I. Hausherr, La méthode de l’horaison
hésychaste, Orientalia Christiana, IX, 1927,
pp. 150 -172). A nulla varrebbe lo sforzo umano senza l’aiuto divino. Ad
un certo punto molto avanzato nei gradi di ascesa de “
Più volte Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli li ha esortati a non essere turbati di fronte alle avversità. E ha lasciato loro la sua pace. E’ questo l’orizzonte verso cui si volge la vita del cristiano.
Una
recente traduzione a cura di Luigi D’Ayala Valva è stata lodevolmente
pubblicata dalle Edizioni Qiqajon del Monastero di Bose, prendendo come testo
base quello di Sophonios dai codici del
Monte Athos (Besa/Roma).
Roma
1 giugno 2005
Circolare aprile 2005 173/2005
Sommario
I detti di Gesù (31): E la casa resse “perché era fondata sulla roccia”........................................... 1
ALBANIA:
ALBANIA: Traduzione interconfessionale in albanese corrente del Nuovo
Testamento................. 5
GROTTAFERRATA: Ultime fasi dei lavori del II Sinodo Intereparchiale .................................... 8
ALBANIA: 1. Riorganizzazione delle Circoscrizioni Ecclesiastiche............................................... 9
ALBANIA: 2. Dichiarazione comune dei Capi religiosi................................................................ 9
ALBANIA: 3. Aperta l’Università cattolica.............................................................................. 10
INDIA:
LUNGRO: Tre sacerdoti nel Regno di Dio................................................................................ 10
CIVITA: VI centenario della nascita di Skanderbeg................................................................... 10
FRASCINETO: VI centenario della nascita di Skanderbeg ....................................................... 10
ROMA: Teologia quotidiana: La resurrezione cardine della fede e della
vita cristiana................... 11
Tà lòghia - I detti di Gesù ( 31) : E
la casa resse “perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,25)
Chiunque costruisce una casa vuole che sia solida, bella, accogliente,
protettiva. La casa difende dal freddo e dal caldo. Deve essere robusta, ben
fondata e ben costruita su giuste misure e con materiali resistenti, anche ai
movimenti tellurici.
Gesù rivolto ai suoi
discepoli presenti e a quelli di ogni tempo, assume l’esempio della costruzione
della casa per parlare dell’edificazione della propria vita. Parla di una casa
e in parallelo della vita cristiana. Seguendo il metodo semitico, dà il suo
insegnamento, usando due forme contrarie, la assertiva positiva e quella
negativa come prova. “Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i
venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata
sulla roccia” (Mt 7, 25).
Ma c’è anche l’esempio contrario. “Cadde la pioggia, strariparono i
fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la
sua rovina fu grande” (Mt 7, 27). E’ normale chiedersi cosa fa sì che la prima
resista e la seconda casa cada. Naturalmente le condizioni sono molte e vanno
dalle fondamenta al progetto architettonico, al materiale usato. Gesù al
momento si riferisce alle fondamenta della casa. La prima egli dice che “non
cadde perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7, 25). La seconda invece “cadde…perché costruita sulla sabbia”
(Mt 7, 26).
Ma cosa è questa roccia che
mantiene salda la casa e, nella similitudine, rende consistente la vita
cristiana? Gesù spiega: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in
pratica è simile ad un uomo saggio che ha
costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Chi invece non le
ascolta e non le mette in pratica è
simile “ad un uomo stolto che ha
costruito la sua casa sulla sabbia” (Mt 7, 26).
La stessa immagine Gesù usa per spiegare il
fondamento e la resistenza della Chiesa. A Pietro che ha confessato la retta
fede in Gesù come Figlio del Dio vivente, egli dichiara: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi
non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18). Anche per ciascun credente la
“roccia” della propria esistenza è la professione di fede in Gesù Cristo figlio
di Dio e Signore, come ci insegna il simbolo niceno-costantinopolitano (Besa/Roma).
DISTRUTTA E RISORTA
Una significativa pagina di storia raccontata da un
testimone, da
S.E. Mons. Zef Simoni, Vescovo titolare di Bararo, già Ausiliare di Shkodre
(Scutari)
Questa chiesa inizia a
diventare così importante in occasione della benedizione della sua “prima
pietra”, il 19 aprile 1858. E una chiesa a dimensione dei valori dello stile
romanico e, quando venne l'ora della sua apertura ai fedeli, si presentava
all'esterno con un'immagine attraente. Riceveva la sua attrattiva in modo
particolare dall'entrata e dall'uscita dei fedeli dalle tre porte frontali, in
occasione delle grandi feste liturgiche.
In alto, nella chiesa, c’è
la croce e sotto di essa una finestra circolare, il rosone, come un grande
occhio che penetra nella profondità dei tempi e custodisce i morti e i vivi
fino alla beatitudine.
Quando cominciarono a mancare gli aiuti per
la sua costruzione, che durò dieci anni, il popolo si mise in fila per dare il
proprio contributo. In prima linea furono principalmente le donne, signore
autentiche ed onorate della città più che trimillenaria, a dare con il cuore
ricchezze preziose, come oro e monete. Gli uomini, consapevoli del significato
derivante da questo enorme risultato, come anche i giovani entusiasti e
appassionati, aumentarono la loro santa fatica ed il loro sudore per affrettare
la costruzione.
Lì dove era il pulpito dalle scale strette ed
eleganti, prima del Concilio Vaticano II, si sentiva la voce forte e tagliente
dell'Arcivescovo, Mons. Gasper Thaci, di Mons. Giergj Vola, e dei sacerdoti Don
Lazer Shantoja, Don Ndre Zadeja, qualche volta di Padre Anton Harapi e di tanti
altri. Tutti predicavano con profondità di pensiero, in modo elevato e
grandiosamente, in maniera logica e senza alcuna contraddizione tra il
soprannaturale e il naturale, con una grande bellezza di spirito ed energia di
espressione, presentando il dogma, la morale, la storia: si sentiva il puro
mondo occidentale ed orientale dei Padri della Chiesa espresso con devozione e
civiltà.
All'interno della chiesa c’è
l'altare maggiore, dedicato alla Madonna di Scutari in occasione del centesimo
anniversario della chiesa (e lo è ancora oggi come allora). La chiesa è
dedicata al protomartire del cristianesimo, santo Stefano, conosciuto presso il
castello di Rozafa, dove un tempo era la parrocchia di Scutari.
Abbelliscono la costruzione
anche i quattordici archi, sette alla destra e altrettanti alla sinistra. Di
fronte all'ingresso, di lato, ci sono due altari (dell'Eucaristia e della Sacra
Famiglia). Si distingueva lateralmente anche l'altare di Santa Maria Maddalena,
seconda patrona della parrocchia. Ed altri cinque altari di santi e di sante,
che sono eredità di secoli di cristianesimo ed hanno trionfato per l'eternità:
sono i valori eterni celesti che prevalgono su quelli terreni. Si distingueva
anche il bel soffitto, opera del famoso scultore scutarino Kole Idromeno, che
ci ha dato anche il progetto del campanile ed un quadro, «Le due strade» (il
Paradiso e l'Inferno), che è ancora
nel museo di Scutari, e all'ingresso della Chiesa, scolpita nel legno, la statua
di San Michele, che con la spada in mano mise a testa in giù Lucifero.
Tanta grandezza ebbe
In occasione della
celebrazione del centenario della «Chiesa Grande», presieduta dal Vescovo di
Scutari, Mons. Ernest Çoba, appare, ancora incompleto, anche il quadro di un
altro pittore di Scutari, il professor Simon Rrota. Il dipinto rappresenta la
benedizione della «prima pietra» della chiesa alla presenza dell'Arcivescovo
Pooten. Vi è inoltre anche un quadro, «La fuga della Madonna del Buon
Consiglio», opera di Padre Leon Kabashi, in base allo stile di Kole Idromeno,
celebrata con il titolo di «Madonna di Scutari».
Dietro l'altare maggiore ci
sarebbe stato l'Organo e il coro della chiesa, che era diretto da Don Zef Puka
con cantanti tenori e bassi potenti con vesti tipicamente scutarine.
Successivamente, quando avrebbe preso in mano la parrocchia con grandi
capacità, il coro fu diretto da Don Mikel Koliqi. Egli è stato musicista e
compositore nel coro della «Chiesa Grande» e, insieme a Don Zef Sheshtani, ha
formato il coro denominato “Schola Cantorum”. Esso era un coro ecclesiale per
cantare, innanzitutto, la «Messa De angelis» delle ore 10 dell'esultante domenica e delle feste di precetto, con la musica di Palestrina e dell'immortale
compositore Lorenzo Perosi.
La cultura cattolica, così ampiamente conosciuta nel
mondo per la sua rinomata musica classica e moderna, faceva sentire
potentemente i suoi valori spirituali, rinnovando e innalzando i cuori verso il
Signore, con i canti della Madonna, soprattutto nel mese ad essa dedicato
secondo la tradizione, quando la «Chiesa Grande» si riempiva del popolo di Dio,
come anche le altre chiese della città. La chiesa aveva una grande
partecipazione per le feste quali Pasqua, Natale, Epifania, Ascensione,
Pentecoste, Corpus Domini, San Pietro e San Paolo, Assunzione della Madonna in
Cielo e per le novene, come quella di San Giuseppe e di san Nicola al suo
altare, con il canto “Sa e madhe mrekulli” (Che miracolo grandioso ci
è donato) e con un'ardente devozione presso l'altare del Sacro Cuore, sotto il
quale si trovava il corpo del martire San Prospero, che durante il periodo
della persecuzione fu trasferito nel museo dell'ateismo: nella caverna, cioè,
di ogni malefatta, un puzzo pestilenziale in mezzo alla città.
Sarebbero trascorsi altri
giorni per fare della Cattedrale di Scutari una chiesa tra le più nominate del
mondo: non precisamente chiesa, in questo caso; piuttosto «anti-chiesa».
E ciò era la conseguenza degli straordinari
avvenimenti accaduti nella storia al tempo delle nostre sventure. Ed iniziò
presto il terrore che si scagliava contro la religione ed il clero.
Fu il tempo di drammatiche
preoccupazioni per le menti ed i cuori, del dolore dei fedeli, della chiusura
delle chiese, dell'affissione dei volantini, i tazebao cinesi, alle porte della
Cattedrale, e degli insulti e delle offese contro il clero, contro il popolo
tradito e violentato.
«E’ stata chiusa
Cosicché in data 5 marzo
1967, dopo
Estrassero dalla cripta
della chiesa presso l'altare, dove si trovavano sepolte, le ossa dei Vescovi
Mons. Cozzi, Moris. Mjeda, Mons. Thaçi e altri per gettarle nelle acque del
fiume, secondo il vecchio stile del tempo della dominazione ottomana, che fu
utilizzato con Mons. Bogdani e tante altre figure di oggi e di allora. La
“Chiesa Grande” continuò ad essere tra le più nominate al mondo, perché lì si
svolse il VII congresso delle donne, con la partecipazione di persone che non
esprimevano alcun segno di civiltà. A questo congresso prese parte la direzione
del comitato centrale del partito. Nel suo svolgimento entrerà con prepotenza e
prenderà la parola lo stesso Enver Hoxha, il dittatore comunista albanese, che
si è distinto per la sua lotta contro la fede, contro il cattolicesimo,
cercando di colpirlo al cuore, contro i sentimenti più santi dei fedeli
cattolici. I partecipanti a quel convegno si lasciano andare a risate miste ai
sogghigni per le loro vittorie.
La “Chiesa Grande” diverrà
tra le più insigni del mondo, quando il 7 marzo 1991 venne riaperta su
richiesta della beata Madre Teresa, la
quale venne in Albania per assistere alla prima Messa celebrata tre giorni dopo
alla presenza dei trenta sacerdoti albanesi, anziani e i malati, che erano
sopravvissuti alla ignobile dittatura.
Come precursore della visita
del Papa è venuto nella Cattedrale di Scutari il Cardinale Jozef Tomko per
riconsacrare la “Chiesa Grande”, per scacciare dall'altare, dal soffitto, dal
pavimento, dai muri, tutti gli elementi infetti e i giochi del fanatismo, dello
spirito di odio, ponendo di nuovo nella chiesa anche la statua di San Michele
e, al suo ingresso, il busto di Giovanni Paolo II. E, uno dopo l'altro, ecco la statua della
Madonna di Lourdes, dono del Nunzio
Apostolico, Arcivescovo Ivan Dias; una copia dell”Ultima Cena” di Leonardo da
Vinci, alle spalle dell'altare della
Madonna, opera del pittore Mons. Injac Dema; le 14 stazioni della Via Crucis e,
successivamente, presso l'altare dell'Eucaristia, un' immagine della Sindone di
Torino, come anche la pittura dell'adorazione dell'artista scutarino Pjerin
Sheldija, un uomo che ha molto sofferto.
Nel lato opposto, il battistero e al muro le immagini dei martiri della Chiesa, dei quaranta martiri, che sono la gloria di Dio e l'onore del versamento di sangue degli uomini provati dalla sofferenza: sangue ed ossa nella beatitudine, sangue ed ossa nella storia del cristianesimo, anche di quello albanese, che superò i peggiori tempi per dare a tutti i valori di Cristo e le sue beatitudini, le quali, quando verranno pienamente proclamate, momento di rinascita spirituale e nazionale, daranno vita ad una nuova e solida Albania, perché le nazioni progrediscono principalmente attraverso i santi.
La venuta del Papa, il 25
aprile 1993, renderà
Giovanni Paolo II ha
ricostituito
Gli 1l anni di lavoro dei due
Arcivescovi, l'anziano Mons. Frano Ilia ed il giovane Mons. Angelo Massafra,
accoglieranno la venuta del Nunzio Apostolico, Arcivescovo Giovanni Bulaitis, e
la presenza di tanti Cardinali, di una missione piena di zelo, l'ordinazione di
diversi sacerdoti albanesi e la benedizione di voti religiosi da parte di
suore. Magnificherà la nostra chiesa la nomina del primo Cardinale albanese,
Mikel Koliqi.
La “Chiesa
Grande” ha grandi valori. Avvicina, esorta e forma gli uomini verso una
profondità spirituale, nella quale si sperimenta l'allontanamento dai rischi
del male. Così si esprime allora anche la forza delle trasformazioni
quotidiane, di ogni ora e minuto divino. Per ciò che riguarda l'aspetto esteriore
la “Chiesa Grande” non è certo come Notre Dame di Parigi. Dobbiamo però dire
che la “Chiesa Grande” è la bellezza della nostra città, è la sua grandezza.
E non solo di
Scutari, ma dell'intera Albania: la piccola, grande Albania. Non c'è nessuna
costruzione, nessun monumento che può superarla, perché ha un aspetto
trionfante: il bene trionfa sul male, così come il cielo beato vince contro le
epoche subdole e diaboliche. Si erge con la forza dei valori che possiede,
quando essi vengono scoperti, mostrando ciò che è e ciò che non è. Con una
nuova forza predomina in essa la santa energia della pacifica sapienza.
Veramente
diventi un altro, quando entri in chiesa. In ogni chiesa diventi migliore.
Nella “Chiesa Grande” acquisti capacità e coraggio, perché sei nella Sede
Metropolitana, vivi nella Cattedrale; vivi nella storia della “Chiesa Grande”,
nella storia dei nostri atteggiamenti più interiori, inserito profondamente
nell'essenza degli eventi.
Entri in chiesa e senti una
serenità, un silenzio e immediatamente metti ordine nel tuo essere, perché si
allontanano e spariscono slanci impulsivi e passioni. Chini la testa, non c'è
dolore nell'anima e vedi una bontà diversa di te stesso che viene formandosi
attraverso le grazie: profondo mondo religioso.
Quando entri in chiesa, dopo
esserti segnato con l'acqua benedetta, ti inginocchi, compi un doveroso gesto
di adorazione all'Ostia Eucaristica e dopo ti accomodi in un banco senza
salutare nessuno, forse qualcuno che conosci con un rapido sorriso, perché in
chiesa non bisogna parlare.
Qui entri nel tuo mondo
personale e preghi e preghi, anche con preghiere comuni insieme a tutti gli
altri.
Quando viene il momento della predica del sacerdote, senti la parola del Signore.
E quando avviene la consacrazione sei anche tu completamente vicino a Colui che riceverai nel cuore al momento della Comunione. Vivendo con Essa, la vita beata continua in te.
Che bella Chiesa! Che cara
la “Chiesa Grande” di Scutari, della quale fanno parte i bambini, i giovani, il
popolo, gli uomini, tutti gli uomini che testimoniano che esiste la realtà
della vita spirituale che trionfa su ogni cosa materiale (Besa/Roma).
Un progetto
di traduzione interconfessionale in lingua albanese corrente è in corso di
esecuzione in Albania. Si tratta di un evento pastorale, culturale, spirituale
ed ecumenico di grande rilievo.
I primi
contatti per la costituzione di una società biblica albanese, sulla base degli
orientamenti dati dal Segretariato per l’unione dei Cristiani e dalle Società
Bibliche Universali, si sono avuti fra il Dr. Valdo Bertalot, segretaio della
Società Biblica in Italia e Mons. Eleuterio F. Fortino, sottosegretario del
Pontificio Consiglio per
Riportiamo
parte di una relazione messaci a disposizione dalla Società Biblica in Italia.
Agli inizi
del XIX secolo il desiderio di avere
Quando
riprese di nuovo
Con l'inizio
della prima guerra mondiale fino alla caduta del comunismo in Europa,
l'attività della Società Biblica ebbe un'interruzione e non potè continuare il
suo lavoro in Albania. Nel
Il
progetto della traduzione del NT
Uno degli
aspetti più importanti per il quale lavora e funziona
Così a Tirana
dal 5 al 7 novembre 1988 è stato organizzato un Simposio di Traduzione "Traslating relevant texts" non
solo per i cristiani. Lo scopo di questo simposio era lo scambio di esperienze
di traduzioni in diversi settori e allo stesso tempo l'incoraggiamento e il
coinvolgimento delle persone interessate alla traduzione. L'evento era
importante non solo per la presentazione della società Biblica, ma anche per la
partecipazione di alcuni conosciuti relatori dall'Albania, dal Kosovo e da altri
paesi stranieri: professori universitari, linguisti, la speciale presenza dell’
Arcivescovo ortodosso di Tirana e di tutta l'Albania Anastasio, Mons. Hil
Kabashi (vescovo cattolico) Amministratore Apostolico del sud Albania e Albert
Dosti in quel tempo Presidente della Alleanza Evangelica dell' Albania.
Dall'UBS erano invitati il Dr. Manuel Iinbachian (protestante), coordinatore
delle traduzioni in Europa, il Rev.mo don Carlo Buzzeti (cattolico) e il Dr.
Sergei Ovsiannikov (ortodosso), consulenti di traduzione, tutti specialisti
nella traduzione della Bibbia. Tra i partecipanti vi erano anche molti
professori, linguisti, storici, traduttori di vari settori, pastori delle
chiese in Albania, studenti della Facoltà di Lingue Straniere ecc. Erano
invitati anche uomini dei media e dell'arte.
Subito
dopo il Simposio, è nata l'idea di una traduzione interconfessionale della
Bibbia che corrisponda alle esigenze attuali della lingua albanese. Una
traduzione che non voleva essere in competizione con le altre già esistenti e con quelle per l'uso
liturgico, ma un testo di facile comprensione e utilizzo per gli albanesi ai
fini della lettura personale della Bibbia. A causa dell'isolamento ideologico
comunista per quasi mezzo secolo, nel territorio dell'Albania non è stato fatto
nessun lavoro di traduzione della Bibbia. Dobbiamo comunque menzionare il
lavoro titanico del Reverendo Don Simon Filipaj, un sacerdote cattolico
albanese del Montenegro che tradusse tutta
Dopo la caduta del Comunismo la traduzione del Filipaj diventò il testo ufficiale e liturgico nella Chiesa Cattolica in Albania. La traduzione del Filipaj è considerata da molti studiosi, come la migliore traduzione in diversi aspetti, anche se è stato redatto solo da studiosi fuori dell'Albania. Un'altra traduzione che si diffuse rapidamente in Albania, fu fatta da una Chiesa Evangelica, basata sul testo del Diodati. Anche se attualmente questa traduzione gode di un largo uso, non è stato realizzato basandosi sull'originale e non facilmente comprensibile.
In queste condizioni cominciò la progettazione della
traduzione dalla SBIA.
In tal
modo l'esigenza di una nuova traduzione
della Bibbia non è frutto dell'iniziativa individuale, ma emerge come una
richiesta delle stesse Chiese alla SBIA. Quindi,
guardando all'esperienza di altre Società Bibliche ed alla buona volontà delle
Chiese in Albania per una Bibbia Unica, come importante elemento di comunione,
si decise di iniziare il lavoro per offrire ai cristiani e allo stesso tempo
alla società albanese, il Nuovo Testamento interconfessionale.
La strada,
per questa collaborazione interconfessionale, venne preparata attraverso un
seminario, una specie di Secondo Simposio
di Traduzione, tenutosi sempre a Tirana dall’8 al 10 febbraio 2001, ma questa volta solo per i
cristiani. I responsabili delle Chiese si sono riuniti per poter mettersi
d'accordo circa un piano e una struttura del nuovo progetto di traduzione.
Questa volta
furono invitati a dare il loro contributo alcuni specialisti della UBS: il Dr.
David Clark (protestante), il Rev.mo Don Carlo Buzzetti consulente di
traduzione (cattolico), il Rev. mo dr. Sergei Ovsiannikov (ortodosso)
consulente di traduzione. Erano invitati anche pastori, studenti di teologia e
traduttori dalle tre Chiese.
Questo seminario determinò l'inizio del progetto nella sua fase
concreta.
La traduzione si sarebbe fatta dal greco antico in albanese, in
comparazione con le traduzioni precedenti dall'originale come: Dhiata e Re (Il
Nuovo Testamento) del Kristoforidhi (in uso nella Chiesa ortodossa) e la
"Bibla" del Filipaj (edizione cattolica) come anche la
"Bibla" (edizione protestante). Il progetto doveva durare 5 anni: dal
2001 al 2005.
Fin dall'inizio questo progetto ebbe l'approvazione dei Capi delle Chiese: ortodossa, cattolica e protestante. Ciascuna di esse avrebbe avuto il suo traduttore rappresentante. Il progetto venne chiamato con il nome "Së Bashku” (che vuol dire “insieme”) .
Caratteristiche
generali del progetto
1. Scopo del progetto "Së Bashku”: comunicare alla società albanese
2.
Individuazione del livello della traduzione: il testo sarà fedele all'originale
nel greco biblico nella forma e nel contenuto e il linguaggio sarà accessibile
a tutti. Non ci saranno tre soluzioni ma una sola, comune e adeguata a tutti,
mirando alla esattezza, alla chiarezza, alla dignità, all'autorità, senza
mettere da parte la bellezza della lingua nella quale sarà tradotta. Sarà una
traduzione che non esclude le altre, ma sta a fianco ad esse, anzi aiuta la
loro esistenza.
3. Individuazione dei destinatari: si fa attenzione in modo particolare ai
lettori principianti, perciò la maggiore preoccupazione è la trasmissione del
contenuto e della forma e la lettura scorrevole.
4. Definizione del livello della traduzione: la traduzione del NT della
Società Biblica è un progetto di traduzione interconfessionale perché in tutte
le sue fasi è concepito e realizzato da persone di diverse confessioni
cristiane.
5. Individuazione delle fonti per la traduzione: il progetto è una traduzione
interconfessionale che si basa sul testo originale: "The Greek New
Testament" pubblicato dall'UBS, Neste Aland edition. La traduzione avrà
riferimenti biblici, note necessarie che riguardano le forme linguistiche,
geografiche, storiche ecc. Si faranno comparazioni anche con
6. Le novità del progetto:
1. La partecipazione delle tre chiese (ortodossa, cattolica e
protestante). È la prima volta che in Albania si realizza una traduzione
interconfessionale ed è un ottimo esempio di Unità tra i cristiani.
2. La prima traduzione della Sacra Scrittura realizzata dalla nostra
Società Biblica.
3. Competenza professionale dei traduttori.
4. I traduttori sono stati scelti dalle chiese stesse ed hanno la loro
approvazione.
5. E’ rivolta ad un grande pubblico; non solo ai credenti ma anche alla
società albanese.
6. Non
sostituirà i testi liturgici. Ma gli ortodossi, i cattolici e i protestanti
avranno nelle loro mani una traduzione in una lingua abbastanza facile da
comprendere.
Impatto
di una traduzione interconfessionale della Sacra Scrittura nella comunità .
Descrizione
delle fasi del lavoro:
Chi sono
le persone coinvolte nel progetto:
Segretario Generale della SBIA: il Sig. Altin Hysi Coordinatrice: La sig.na Bruna Ndoci
Consulente dell'UBS: Rev. Dr. Don Carlo Buzzetti.
Il progetto
viene seguito da un consulente di traduzione nominato dalla UBS (United Bible Societies).
Egli sostiene e consiglia i traduttori nelle difficoltà che loro incontrano
durante il processo di traduzione e garantisce che la traduzione si faccia
secondo gli standard tecnici dell'UBS. È competente e con molta esperienza nel
campo della traduzione della Bibbia.
I tre traduttori sono:
Traduttore cattolico: Don Marjan Paloka
(licenziato in Teologia Dogmatica) dottorando in Teologia Dogmatica: Facoltà di
Firenze - Pontificia Università Gregoriana a Roma/ Sacerdote/ nato nel 1974/
Lingue straniere: Inglese, Italiano, Francese, Tedesco, Spagnolo.
Traduttore ortodosso: Il Sig. Joan Lena: Teologo
Ortodosso, Facoltà Teologica di Tessalonica/ professore di Teologia/ nato nel
1974/ lingue straniere: Inglese, Italiano, Francese.
Traduttore protestante: Zefjan Nikolla: Facoltà di
Lingue Straniere - Università di Tirana/ Istituto Biblico Albanese/ nato nel
1973. Lingue straniere: Inglese, Italiano.
Consulente linguistico: Etleva Shiroka (cattolica).
Professore nella facoltà di Lingua e Letteratura Albanese nell'Università di
Tirana. Lei garantisce che la lingua usata nella traduzione corrisponda alla
corrente lingua albanese.
Consulente del Greco Antico: Prof. Helena Galanopulu.
(ortodossa) professoressa di Filosofia. Vicedirettore di una scuola di
formazione professionale gestita dalla Chiesa ortodossa Autocefala dell'
Albania. Durante l'anno di esercitazione aiutava i traduttori allo studio del
greco antico in un appuntamento settimanale. Anche durante la fase di
traduzione lei continua ad essere un valido aiuto.
Un
determinato numero di Revisionisti e
lettori delle tre confessioni cristiane.
I revisori devono essere competenti nel NT e devono avere conoscenze nelle scienze bibliche. Possono essere vescovi, sacerdoti, pastori persone con autorità e competenza in questo campo. Vengono scelti dalla SBIA con l'aiuto delle rispettive chiese. E’ necessario l'equilibrio interconfessionale.
I lettori sono l'ultima fase
della traduzione. Loro leggono il testo e danno i loro suggerimenti. Possono
essere persone responsabili nelle chiese, studenti, insegnanti, giornalisti,
ecc.
Il progetto
"Së Bashlu" è una
traduzione interconfessionale, e come tale ha lo scopo di avvicinare le chiese.
Al termine del progetto, gli ortodossi, i protestanti e i cattolici avranno un
testo comune in mano per il loro uso quotidiano. Questa è la prima traduzione
interconfessionale nella storia del cristianesimo in Albania ed è allo stesso
tempo un nuovo concetto per tutti noi: è
possibile lavorare insieme e sacrificarsi per il bene di tutti.
È stato detto più volte che, ciò che unisce i cristiani è di più,
rispetto a ciò che li divide, e lavorare insieme per la traduzione della Sacra
Scrittura ci ha fatto capire l'importanza della Scrittura e quanto essa ci unisce.
La provenienza da diverse confessioni cristiane dei traduttori è un buon
esempio di collaborazione e una pietra in più per la causa
dell'evangelizzazione dell' Albania.
Le persone
coinvolte in Së Bashku” saranno per sempre buoni amici della Societa
Biblica. Ora hanno imparato a conoscersi e stimarsi; hanno imparato a dare
importanza ad un linguaggio albanese che è comune, chiaro, semplice, giovanile.
Inoltre SBIA ha deciso di utilizzare le
medesime persone per una serie di incontri presso la sede della Società
Biblica. Sarà una serie di incontri di lettura biblica.
Avranno luogo
letture della Bibbia in diverse lingue (Inglese, Italiano, Francese, Tedesco,
Greco moderno) guidate dai traduttori, dalla consulente linguistica ecc. i
quali si sono offerti volontariamente a lavorare nei diversi gruppi biblici.
Possono partecipare tutti dando una certa priorità agli studenti di lingue
straniere (Besa/Roma).
ULTIME
FASI DEI
LAVORI SINODALI
Nelle tre sessioni sinodali sono stati votati tutti gli schemi e approvati gli emendamenti proposti.
In questo periodo si sta svolgendo il lavoro di ritocco degli schemi sulla base delle richieste sinodali:
· I Presidenti delle singole Commissioni sinodali hanno introdotto nei testi gli emendamenti votati;
· quindi è compito della Commissione Centrale di Coordinamento (CCC) fare una attenta lettura dei singoli schemi e della coerenza del loro insieme;
·
al termine
· Infine, dopo il loro esame, gli Ordinari lo trasmetteranno alla Santa Sede per la competente recognitio-approvazione.
Il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nel presentare i sinodali al Santo Padre nell’udienza dell’ 11 gennaio, ha spiegato:
“Il Sinodo Intereparchiale è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il consenso della Santa Sede sia per la convocazione sia per l’approvazione definitiva degli atti perché essi possano avere valore normativo”.
Il Santo Padre ha sottolineato:
“Il vostro Sinodo ha posto l’accento su temi essenziali…E’ vostro intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale e atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione” (Besa/Roma).
NAPOLI
LE CAPITALI DELL’EUROPA
ORIENTALE
Si è concluso il Convegno su “Le Capitali nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale”,
organizzato dal Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale (3-5 marzo 2005),
al quale hanno partecipato studiosi provenienti da Università straniere
(Char’kov, Budapest, Mosca-Pietroburgo, Parigi-Nantes, Frankfurt/Oder, Tallin)
e italiane (Milano, Roma, Trieste, Salerno, Siena, Napoli).
Il Rettore dell’Orientale,
Prof. Pasquale Ciriello, inaugurando i lavori del Convegno, ha sottolineato
l’opportunità e l’importanza del Convegno sulle Capitali dell’Europa
centro-orientale, perché rappresenta un’apertura degli studi dell’Orientale di
Napoli su uno scenario europeo inedito, che per la prima volta pone, in
concreto, problemi di integrazione di vasta portata. Il contributo che
l’Orientale può dare in questo campo è notevole, perché possiede un quadro di
studiosi di provate competenze, sempre in contatto con le realtà
politico-culturali dei vari paesi dell’Est-europeo.
Il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Prof. Riccardo
Maisano, ha ricordato la tradizione degli studi dell’Orientale, e in
particolare del settore dell’Est-europeo, che oggi è di grande attualità e va
sviluppandosi in filoni che interessano tanto l’Europa occidentale che
orientale. Ciò è una conferma che l’attività svolta finora è stata
correttamente impostata e si pone in una prospettiva di ulteriore sviluppo.
Il neo-Direttore
del Dipartimento di Studi dell’Europa Orientale, Prof. Italo Costante
Fortino, ha affermato che il Convegno rappresenta una prima riflessione sui
continui cambiamenti che stanno interessando l’intera Europa, a 15 anni dalla
caduta del muro di Berlino.
In particolare ha sostenuto che l’integrazione va
intesa non come esportazione di un modello culturale, ma piuttosto come accettazione
consapevole del principio della diversità culturale.
Infatti i lavori del Convegno hanno messo in
evidenza la diversità delle realtà delle Capitali dei singoli paesi sotto vari
profili: storico, culturale, letterario, architettonico, artistico, linguistico,
antropologico.
Egli ha anche sottolineato che la tradizione degli
studi del Dipartimento dell’Europa Orientale conferma l’importanza della
“conoscenza” delle diversità culturali, per poi accettarle con consapevolezza
anche nel processo di integrazione in atto.
Una vera “conoscenza delle diversità” storiche,
economiche, culturali delle Capitali dell’Est e dell’Ovest – come metafora
delle reciproche visioni della vita – è la via obbligata per evitare conflitti
e per aprire la strada a più vasti mercati economici e a nuovi scenari
culturali, che dalla Spagna arrivano agli Urali. Il contatto tra le diverse
culture, in un processo sereno di reciproca accettazione, è alla base della
nascita di una nuova identità.
La cultura di Mosca e di San Pietroburgo a confronto
con quella di Kiev e di Bucarest, di Ljubljana e di Atene, di Budapest e di Cracovia, di Kruja e di
Helsinki si presenta come un mosaico policromo, in cui si possono tuttavia
individuare i lineamenti principali che concorrono a delineare la figura di
fondo.
Il Direttore ha infine proposto che il Convegno non
si ritenga concluso in questi tre giorni di studio, ma diventi un appuntamento
a scadenza biennale, sia per approfondire altri aspetti rimasti in sospeso per
mancanza di tempo, sia per seguire il processo di integrazione, che risponde a
ritmi propri che si proiettano nel tempo.
Il Convegno, così concepito, diventa un osservatorio
attento di quanto si muove all’interno di tutta la compagine europea nella
ridefinizione di una nuova identità (Besa/Roma).
Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha adottato i seguenti provvedimenti per la riorganizzazione delle Circoscrizioni ecclesiastiche :
a) Ha elevato a sede
metropolitana l’arcidiocesi di Tirama-Durrës, invertendo l’attuale
denominazione di Durrës – Tirana, e assegnando ad essa come suffraganee la
diocesi di Rrëshen e l’Amministrazione Apostolica dell’Albania Meridionale;
b) Ha unito la diocesi di Pult all’Arcidiocesi
metropolitana di Shkodrë, che assume la denominazione di Shkodrë – Pult,
lasciando come suffraganee della medesima Arcidiocesi le Diocesi di Lezhë e di
Sapë.
E’ stato così ristabilito anche in Albania il
sistema metropolitano (Besa/Roma).
2. Dichiarazione comune dei
Capi religiosi
I capi religiosi di Albania hanno firmato una
dichiarazione sugli “Impegni comuni morali” per la società albanese.
I firmatari
del solenne atto pubblico sono: S. B. Anastas (Chiesa ortodossa), S. E. Mons.
Rok Mirdita (Chiesa cattolica), Haxhi Selim Muca (Comunità musulmana), Haxhi Dede Reshat Bardhi (Comunità dei Bektashi).
I firmatari hanno dichiarato che “la
predicazione in nessun caso deve causare
l’odio religioso” (Besa/Roma).
3. Aperta l’Università
Cattolica
E’ stata inaugurata l’Università Cattolica che porta il titolo “Nostra Signora del Buon
Consiglio”. Essa è gestita dalla Congregazione fondata da Luigi Maria Monti.
Per l’anno accademico corrente gli studenti si sono potuti iscrivere ai
corsi di Scienze Politiche, di Economia;
e ai corsi per corrispondenza di Medicina e Chirurgia. Nei prossimi anni
si prevede il completamento delle strutture e l’apertura di altri corsi di
laurea (Besa/Roma).
DICHIARATA ARCIVESCOVADO
MAGGIORE
Il Santo Padre ha elevato, secondo il CCEO,
LUNGRO
TRE SACERDOTI NEL REGNO DI
DIO
In pochi mesi sono venuti a mancare, nell’eparchia
di Lungro, tre venerabili sacerdoti.
Il protopresbitero P.Vincenzo Matrangolo è deceduto
il 18 novembre 2004. Era nato ad
Acquaformosa nel 1913 e ordinato nel 1936. Tornato in diocesi è stato nominato
parroco di Acquaformosa dove ha esercitato con zelo il ministero fino alla
morte.
L’archimandrita Giovanni Capparelli, parroco di S.
Sofia d’Epiro, vicario generale emerito, è morto il 20 gennaio 2005 all’età di
85 anni. Dal 1944 era stato parroco solerte e attivo di S. Sofia d’Epiro.
Il 16 febbraio 2005 è morto l’arciprete papàs
Giuseppe Alessandrini, nato nel 1915, ordinato nel 1938, parroco perseverante e
combattivo a S. Benedetto Ullano per 66
anni.
I tre sono stati ordinati nella Chiesa di S.Atanasio
a Roma. Hanno svolto il loro primo ministero durante gli anni difficili della
seconda guerra mondiale e subito dopo. Hanno dedicato il loro ministero anche
alla preparazione dello spirito di ricostruzione.
Nel periodo seguente hanno contribuito alla crescita
delle loro comunità, quale simbolo materiale rimane il recupero della
tradizione bizantina e dell’icongrafia che ha trasformato le chiese e le
cappelle (Besa/Roma).
CIVITA
VI CENTENARIO
DELLA NASCITA DI SKANDERBEG
Il martedì dopo Pasqua (29 marzo 2005) a Civita è stato organizzato un Convegno su “Scanderbeg tra storia e mito”. Sotto il profilo storico è stato messo in evidenza il ruolo di Giorgio Castriota nella resistenza all’invasione turca. Mentre la figura di Scanderbeg nell’opera di Naim Frashëri è stata tracciata dal Dr. Edmond Çali, lettore di lingua albanese all’Università “L’Orientale” di Napoli. N. Frashëri, benché di fede bektasciana, nel poema “Histori e Skënderbeut” ha voluto sottolineare l’anima cristiana e occidentale dell’Albania.
Il pomeriggio dello stesso giorno si sono svolte le
“Vallje”, danze e canti tradizionali, con gruppi in costume, locali e di altre
comunità arbëreshe.
Le “Vallje” ogni anno, in nome del Principe
Scanderbeg, riaffermano l’identità etnica e culturale della minoranza albanese
d’Italia (Besa/Roma).
VI CENTENARIO
DELLA NASCITA DI SKANDERBEG
Frascineto ha voluto ricordare il 6° centenario della
nascita del Principe Giorgio Castriota con varie manifestazioni culturali che
vanno dai convegni, alle mostre, alle sfilate.
Il primo appuntamento è stato con le tradizioni religiose e folcloriche pasquali a Frascineto ed Eianina, in cui si sono succeduti i contributi di A. Bellusci, A. Rennis ed E. Giordano, che hanno messo in rilievo il significato e le peculiarità di antiche tradizioni ancora vive, oltre al valore che esse conservano nella società moderna.
Un secondo convegno ha trattato “Giorgio Castriota Scanderbeg nella storia”, cui hanno preso parte i Prof.ri P. Xhufi, A. Kalluli e M. Mandalà.
Un momento significativo è stato il Panair
pan-arbëresh.
Consisteva in una mostra di prodotti culturali di
vari paesi arbëreshë: costumi, tessuti, ori, ricami, libri, manoscritti, dolci
tipici (Besa/Roma).
56
La risurrezione è il cardine della fede e della vita cristiana. Tutti i
cristiani, che proclamano il simbolo niceno-costantinopolitano, confessano che
Gesù Cristo “il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture”. La liturgia
bizantina celebra con solennità
L’inno pasquale del “Christòs anèsti” si ripete in ogni liturgia
e akoluthia giornaliera dal giorno di Pasqua fino alla vigilia dell’Ascensione:
“Cristo è risorto dai morti, con la morte calpestando la morte e dando la
vita a coloro che giacciono nei sepolcri”,
Quest’inno contiene tre dimensioni che descrivono il grande mistero
della risurrezione:
a) la proclamazione della
risurrezione di Cristo (“E risorto”).
b) la risurrezione dei
morti (“dando la vita a coloro che giacciono nei sepolcri”),
c) la vittoria sulla morte (“con la morte calpestando la morte”)
nel duplice senso di morte fisica e spirituale. Salvatore Pricocco spiega: “Con
la morte e la resurrezione Cristo ha trionfato sulla morte (=diavolo) che
aveva in suo potere tutti gli uomini (Cfr.
Il teologo greco Gregorio
Palamas (1296-1359), santo della Chiesa ortodossa, nella sua omelia sul sabato
santo, ha messo in rilievo le tre dimensioni: la fede nella risurrezione di
Cristo, l’attesa della risurrezione di tutti gli uomini, la risurrezione
a vita nuova o alla condizione di nuova
creazione di ogni credente, che per il battesimo partecipa già alla morte e
alla risurrezione di Cristo. L’insieme viene visto dal Palamas nella
prospettiva della redenzione, nell’economia di salvezza. Il Cristo “apertamente
dimostra la sua onnipotente potenza vincendo la morte del corpo, risuscitando
dopo tre giorni dai morti, salendo al cielo dove siede alla destra del Padre
con quella carne che per noi portò e secondo la quale morì. Così ci diede
fiducia anche nella risurrezione dai morti, nella apocatastasi in cielo e
nell’eredità nel Regno” (PG;151, Omelia 16, n.19).
La resurrezione costituisce parte essenziale e distintiva del
kerygma cristiano sin dal tempo degli apostoli e durante tutta la storia
della Chiesa. San Paolo, parlando ai sapienti greci dell’Aeropago, ha indicato in Gesù Cristo colui che verrà a
giudicare “la terra con giustizia”, avendo ricevuto “prova sicura” da Dio “con
il risuscitarlo dai morti” (Atti 17, 31).
Il tema della risurrezione ai Greci creava problema. “Quando sentirono
parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: “Ti
sentiremo su questo un’altra volta”, un forma cortese per licenziarlo. “Così
Paolo uscì da quella riunione, ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti”
(Atti 17, 32-34).
La risurrezione non si
riferisce solo agli ultimi tempi, ma ha influsso sui nostri giorni e deve
averlo sulla vita quotidiana. Il Palamas ricorda questi due aspetti citando la
prima lettera di S. Pietro e quella ai Romani di Paolo. “E darà la vita anche
ai corpi di tutti nel giorno in cui ha stabilito di risuscitare e giudicare
tutto il genere umano come il capo degli apostoli ci ha insegnato: Cristo
morì una volta per tutte per i peccatori, giusto per gli ingiusti, per
presentarci a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo. E in spirito andò a
portare l’annuncio anche alle anime incarcerate (1Pt 3, 18-19), cioè alle
anime dei morti a partire dall’inizio del tempo” (PG, Ibidem, n. 17).
Il secondo aspetto riguarda
la vita quotidiana. Il credente è un uomo risorto e come tale deve comportarsi.
Le sue opere siano opere di figli della luce. Dal sepolcro vuoto di Cristo
all’alba di “quel” primo giorno della settimana sgorga una luce che illumina
l’intera concezione della vita cristiana: il senso della vita, il significato
della morte, il valore delle opere della luce. Il tutto è visto nella
prospettiva di un orizzonte nuovo senza confini. E senza esclusioni. La
risurrezione quotidiana della “vita intermedia” – come il Palamas chiama lo
stadio di vita sulla terra – è determinata dal battesimo. Si fonda sulla
lettera di S. Paolo ai Romani che cita: “Se infatti siamo divenuti partecipi
della sua natura con una morte simile alla sua, lo saremo anche della sua
resurrezione” (Rom 6,5). E “così
anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rom 6, 4).
Ciò implica, secondo l’espressione palamita, “la
vita secondo l’evangelo di Cristo” (Ibidem). Essa si sviluppa in un
rinnovamento che “di giorno in giorno” progredisce verso la conoscenza di Dio,
la giustizia e la santificazione con uno scardinamento dell’inclinazione alle
passioni e un trasferimento del desiderio sui “beni intellegibili”.
Roma, 3 Aprile 2005, Domenica di Tommaso
Circolare febbraio 2005 172/2005
II Sinodo Intereparchiale: concelebrazioni liturgiche..................................................................... 1
GROTTAFERRATA: III Sessione Sinodo Intereparchiale........................................................... 2
GROTTAFERRATA: II Sessione Sinodo Intereparchiale............................................................ 3
ROMA: Udienza del Papa al II Sinodo Intereparchiale................................................................ 4
GROTTAFERRATA: Omelia di chiusura del II Sinodo Intereparchiale........................................ 5
ROMA: Sinodo - Intervista a p. Lanne....................................................................................... 7
ATENE: Il diaconato femminile nella Chiesa ortodossa................................................................ 8
CIVITA: XXXV di “Katundi Ynë”............................................................................................. 9
CIVITA: Musiche e danza - Festival Euromediterraneo............................................................... 9
ROMA: Festa Nazionale d’Albania - Presentata l’opera di V. Ujko............................................ 10
ROMA: Gli Italo-Albanesi da Clemente VIII a Giovanni Paolo II............................................... 11
Il 14 gennaio 2005 un’ ampia
e sentitamente partecipata concelebrazione liturgica ha concluso le sessioni
del II Sinodo Intereparchiale nella Basilica di S. M. di Grottaferrata. Dopo
Le celebrazioni liturgiche
hanno scandito i vari momenti celebrativi. La mattina veniva concelebrata
Nell’ultima sessione il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, dopo la proclamazione del Vangelo, ha tenuto un articolato discorso sul Sinodo e la sua importanza per la vita delle tre Circoscrizioni, mettendo in rilievo le sue tematiche relative alla formazione dell’intero popolo di Dio, del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata, alla celebrazione della liturgia e dei sacramenti, ai problemi della rievangelizzazione. Ha sottolineato l’importanza del Diritto Particolare. La lettura del Decreto di chiusura del Sinodo ha coronato l’intera sessione.
Risuonava con un particolare significato l’ultima
ammonizione del diacono: “En eirini proèlthomen”, “Procediamo in pace”, “Në
paqe le të dalim”, mentre si scioglieva l’assemblea. L’esortazione assumeva il
senso di un invito a procedere all’applicazione del Sinodo nella vita delle singole
comunità:
III SESSIONE
SINODO INTEREPARCHIALE
10-14 gennaio
2005
Nella Basilica di Santa Maria di Grottaferrata si è celebrato il II Sinodo Intereparchiale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia: cioè della eparchia di Lungro per gli albanesi di Calabria e dell’Italia Continentale, dell’eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia e del monastero esarchico di Grottaferrata sul tema: “Comunione e Annuncio dell’Evangelo”.
Questo tema è articolato in undici schemi:
1.
Prologo: Contesto teologico e pastorale del
Sinodo;
2.
3. Catechesi e mistagogia;
4. Liturgia
5. Formazione del clero e
dei membri degli Istituti di vita consacrata;
6. Diritto canonico;
7. Ecumenismo, Dialogo
interreligioso, Sette e Nuovi Movimenti Religiosi;
8. Rapporti interrituali;
9. Rievangelizzazione;
10. Missione;
11. Epilogo: Chiamati alla
santità (Rom 1,7).
Dopo l’autorizzazione della Santa Sede (1994) a tenere un II Sinodo Intereparchiale, ha avuto luogo la fase antepreparatoria (1996-2000) e quella preparatoria (2001-2003), seguita dalla fase celebrativa in tre sessioni: la prima nei giorni 17-22 ottobre 2004, la seconda nei giorni 15-18 novembre 2004, e la terza nei giorni 10-14 gennaio 2005. Nelle prime due sessioni sono stati discussi e votati tutti gli schemi. Gli emendamenti proposti sono stati votati definitivamente nella terza sessione.
Il Prefetto della Cogregazione per le Chiese Orientali
S.B. Ignace Moussa I Card. Daoud ha presentato gli Ordinari e i Sinodali al
Santo Padre e il Sinodo stesso: “Il Sinodo Intereparchiale – egli ha detto –
è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il consenso della
Santa Sede sia per la convocazione sia per l’approvazione definitiva degli Atti
perché essi abbiano valore normativo”.
Nel suo discorso il Santo Padre ha elogiato il tema scelto per il Sinodo e i suoi intenti: “Per evitare una trasformazione indebita dell’identità spirituale che vi distingue, è vostro intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale e atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Dopo aver richiamato che la tradizione bizantina contiene celebrazioni che “costituiscono un potente veicolo di catechesi per il popolo cristiano”, come i sacramenti, l’anno liturgico, l’Ufficio divino e le Liturgie di S. Giovanni Crisostono e di S. Basilio, egli ha concluso: “Giustamente pertanto voi le fate risuonare in modo comprensibile nelle lingue del nostro tempo”.
Durante i lavori sinodali della III Sessione sono stati votati 187 emendamenti per i dieci schemi che erano stati “approvati con riserva” cioè con proposte di emendamenti su questioni determinate. Gli emendamenti si riferivano: 14 al Contesto teologico e pastorale, 16 alla Sacra Scrittura nella Chiesa locale, 24 alla Catechesi e alla mistagogia, 29 alla Liturgia, 39 alla Formazione del clero e dei membri di Istituti di vita consacrata, 17 al Diritto canonico, 13 ai Rapporti interrituali, 14 all’Ecumenismo, 14 alla Rievangelizzazione e 9 alla Missione. Gli emendamenti sono stati approvati tutti, meno uno. L’11° schema (“Chiamati alla santità” Rom. 1,7) era stato approvoto integralmente già nella prima tornata di votazioni.
La votazione degli emendamenti è stata presentata e curata dalla Segretaria generale del Sinodo (segretario p. Antonio Costanza di Grottaferrata e co-segretari: archim. Donato Oliverio e archim. Antonino Paratore).
Al termine delle votazioni il vescovo di Lungro S.E. mons. Lupinacci, nella qualità di Ordinario anziano, ha salutato e ringraziato l’assemblea valutando positivamente il suo operato e ha epresso la gratitudine di tutti al monastero di Grottaferrata per l’ospitalità offerta al Sinodo.
L’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia del Patriarcato
Ecumenico è stata rappresentata in tutte e tre le sessioni sinodali attraverso
un suo delegato fraterno. Nella prima sessione ha preso parte l’archimandrita
Grigorios Stergiou, in seguito nominato metropolita del Camerun. Nella seconda
e terza sessione è stato presente l’archimandrita Giorgios Antonopoulos. Questi
a conclusione dell’ultima sessione è intervenuto, a nome dell’arcivescovo
Gennadios, Metropolita d’Italia, per ringraziare dell’invito e per l’accoglienza
fraterna ricevuta. Egli ha espresso un positivo apprezzamento per le tematiche
sinodali e per il dibattito svolto, partecipato e puntuale. “Tutto ciò - egli
ha detto - interessa anche noi ortodossi in Italia”.
Infine l’archimandrita papàs Donato Oliverio,
co-segretario, ha letto il decreto di chiusura del II Sinodo Intereparchiale.
Ora, dopo che da parte della Commissione Centrale di
Coordinamento gli emendamenti saranno integrati nei vari schemi, il risultato sarà
presentato agli Ordinari che cureranno la presentazione alla Santa Sede per la
necessaria Recognitio-approvazione.
Il presidente della Commissione Centrale di
Coordinamento, l’archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha dichiarato alla TV SAT
2000: “Le decisioni sinodali costituiscono per gli Italo-Albanesi la guida
sicura e il viatico verso il futuro” (Inter-Sinodo).
GROTTAFERRATA: II SESSIONE
SINODO INTEREPARCHIALE
15-18 novembre 2004
Intervento del card. Camillo Ruini, Presidente della
Conferenza Episcopale Italiana - Partecipazione del Patriarca greco melkita
cattolico S.B. Gregorio III e del Presidente della Conferenza Episcopale
Albanese S.E. Mons. Angelo Massafra - Saluto del Delegato fraterno
dell’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia, Archimandrita Giorgio Antonopoulos.
Nella Basilica di Santa Maria di Grottaferrata si è svolta
(15-18 novembre) la seconda sessione del II Sinodo Intereparchiale delle tre
Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia delle eparchie di Lungro in
Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia e del monastero esarchico di
Grottaferrata, per l’esame degli ultimi cinque schemi del programma sinodale
sul tema generale: “Comunione e Annuncio dell’Evangelo”.
“E’ motivo di gioia per tutta
Nei tre intensi giorni di lavoro sinodale sono stati
presentati, discussi e approvati con emendamenti, i seguenti cinque schemi: Ecumenismo,
Rapporti interrituali, Rievangelizzazione, Missione e l’epilogo sulla vocazione
alla santità come scopo ultimo del Sinodo. Gli emendamenti dovranno ora essere studiati per discernere
quelli che, nella linea della votazione, possono essere coerentemente inseriti
nei testi sinodali. Tali emendamenti saranno sottoposti alla votazione finale
nell’ultima sessione, prevista nei giorni 10-14 gennaio 2005.
Le tematiche di questa sessioni si riferivano al rinnovamento
della vita interna di queste Comunità, per mezzo di un’azione pastorale di
rievangelizzazione, che faccia fronte alle tendenze secolarizzanti rilevate a
livello nazionale da diversi documenti della CEI e riscontrabili anche nelle
eparchie bizantine di Calabria e Sicilia. Sono stati analizzati i rapporti fra
le eparchie bizantine e le diocesi latine circostanti per una fraterna
cooperazione per l’annuncio concorde dell’Evangelo, nel rispetto delle proprie
caratteristiche liturgiche e delle norme disciplinari contenute nei due Codici
di diritto canonico.
Tutto ciò apre alla riflessione sulla missione delle
Chiese locali, come dimensione essenziale del mandato del Signore risorto a
fare discepole tutte le genti in ogni tempo. Lo schema sull’ecumenismo ha
sollecitato una riflessione sulla ricerca della piena unità tra i cristiani,
particolarmente tra cattolici e ortodossi, e sull’apporto che possono offrire
le tre Circoscrizioni bizantine cattoliche in Italia.
Questa dimensione è stata sottolineata esistenzialmente
dalla presenza del delegato fraterno dell’Arcidiocesi Ortodossa d’Italia del
Patriarcato Ecumenico. L’archimandrita Giorgio Antonopoulos, inviato
dall’Arcivescovo Gennadios, Metropolita d’Italia ed Esarca dell’Europa
Meridionale, è stato accolto con fraternità cordiale ed ecclesiale.
Egli si è rivolto all’Assemblea sinodale e ha porto
il saluto e l’augurio dell’Arcidiocesi Ortodossa. Anche nella precedente
sessione l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia aveva inviato un delegato fraterno,
il quale, subito dopo, è stato eletto
metropolita del Camerun del Patriarcato greco-ortodosso di Alessandria e di
tutta l’Africa.
Ha onorato questa seconda sessione la presenza,
durante tutti e tre i giorni di assemblea, di Sua Beatitudine Gregorio III,
Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti cattolici. Egli è più volte
intervenuto attivamente e propositivamente nella discussione dell’assemblea,
esprimendo un apprezzamento caloroso sugli schemi per la loro “solidità
teologica e la loro apertura pastorale” nei confronti dei problemi che
Egli è un italo-albanese delle Puglie, missionario
in Albania e poi nominato vescovo. E’ il segno di un contributo vero che gli
albanesi d’Italia hanno potuto offrire alla Chiesa in Albania, in questo
fecondo periodo di nuova organizzazione materiale e spirituale per la
rievangelizzazione di quelle comunità che hanno subìto un mezzo secolo di
tragica persecuzione.
Ha seguito l’intera sessione, il rappresentante
della Congregazione per le Chiese orientali, S.E. mons. Francesco Pio
Tamburrino, Arcivescovo Metropolta di Foggia-Bovino.
Dopo questa sessione il Sinodo si prepara alla sua
ultima fase per la votazione delle eventuali modifiche redazionali e per
l’approvazione finale degli schemi (Besa/Roma).
ROMA:
UDIENZA DEL PAPA
AL
II SINODO INTEREPARCHIALE
Martedì,
11 gennaio 2005
La mattina dell’11
gennaio S.S. Giovanni Paolo II ha ricevuto nella Sala Clementina i membri del
II Sinodo Intereparchiale con a capo i tre Ordinari.
Era presente l’arcivescovo
di Foggia S.E. Pio Francesco Tamburrino, rappresentante della Congregazione per
le Chiese Orientali.
E’ stata offerta al
Santo Padre una icona dipinta da Josif Droboniku, ispirata alla Madonna del
Buon Consiglio di Genazzano, che la tradizione vuole emigrata dall’Albania in
Italia. Da Genazzano il suo culto è stato trasferito da Stewfano Rodotà tra gli
arbëreshë di Calabria.
I sinodali sono
stati presentati al Santo Padre da S.B. Ignace Moussa I Daoud, Prefetto della
Congregazione Orientale, Patriarca emerito di Antiochia dei Siri.
della
Congregazione per le Chiese Orientali
Beatissimo Padre,
Le tre
Circoscrizioni bizantine d'Italia si sono riunite nel secondo Sinodo
Intereparchiale. I lavori si concluderanno nei prossimi giorni a Grottaferrata
con
Il Sinodo
Intereparchiale è una forma particolare di Sinodo, per la quale si richiede il
consenso della Santa Sede sia per la convocazione sia per l'approvazione
definitiva degli atti perché essi abbiano valore normativo.
L'assise ha
voluto interrogarsi sul tema della comunione e dell'annuncio del Vangelo, nella
piena fedeltà alla tradizione bizantina e alla luce del Concilio Ecumenico
Vaticano II. Proprio quarant'anni or sono il decreto Orientalium Ecclesiarum ha esaltato la dignità delle Chiese
orientali e insieme la loro responsabilità per l'annuncio dell'Evangelo. Il
contesto religioso, culturale e sociale italiano è estremamente mutato
nell'arco di tempo che ci divide dal primo Sinodo Intereparchiale del 1940. Ma
ancora attende che grazie alle comunità bizantine le parole dell'Oriente si
uniscano a quelle dell'Occidente per svelare all'uomo contemporaneo tutta la
ricchezza del mistero di Cristo Redentore (cfr. Orientale lumen 28).
Santo Padre,
ho l'onore di presentarVi l'omaggio devoto e il ringraziamento profondo delle
comunità bizantine italiane.
Vi salutano gli Ecc.mi vescovi eparchiali di Lungro e Piana degli
Albanesi, mons. Ercole Lupinacci e mons. Sotir Ferrara, e il Rev.mo padre
Emiliano Fabbricatore, archimandrita esarca di Grottaferrata con la comunità
monastica. A loro ha la gioia di unirsi
Oggi pastori
e fedeli ricevono il dono tanto ambito dell'incontro con Vostra Santità e
possono rinnovare l'adesione gioiosa di fede e di amore al ministero del
Successore di Pietro, al Vostro illuminante magistero, confermando la fedeltà
dei loro Padri. E fin d'ora essi assicurano l'accoglienza alle disposizioni che
saranno adottate circa il presente Sinodo per il bene delle comunità bizantine
d'Italia. Ma quello di oggi è insieme il ritrovo dei figli con il Padre e
Pastore da cui sono conosciuti ed amati, il Quale li conforterà e incoraggerà
in una generosa testimonianza a Cristo Gesù.
Con Voi
eleviamo al Signore uno speciale rendimento di grazie ed invochiamo la
benedizione celeste a sostegno delle feconde prospettive di rinnovamento
ecclesiale maturate in un clima di intensa preghiera, riflessione e confronto.
Grazie, Santo Padre, dal profondo del cuore!" (Besa/Roma).
2.
Discorso di S. S. Giovanni Paolo II
Beatitudine,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Vi accolgo con
gioia e vi saluto cordialmente. Saluto in primo luogo il Prefetto della
Congregazione per le Chiese Orientali e lo ringrazio per le cortesi parole che
mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Estendo il mio saluto alle Comunità
che voi qui rappresentate, ed a coloro che prendono parte al vostro Sinodo, che
ha come tema: “Comunione e annuncio dell'Evangelo”.
Si tratta di un tema
quanto mai attuale per le vostre due eparchie e per il monastero esarchico di
Grottaferrata. Eredi di un comune patrimonio spirituale, queste vostre realtà
ecclesiali sono chiamate a testimoniare l'unità della stessa fede in diversi
contesti sociali. Esse collaborano dal punto di vista pastorale con le comunità
di tradizione latina e rafforzano sempre più la loro identità, facendo tesoro
della loro millenaria tradizione bizantina.
2. Per favorire tutto
ciò, il vostro Sinodo ha posto l’accento su temi essenziali come la catechesi e
la mistagogia in vista di un’adeguata crescita spirituale dell'intero Popolo di
Dio. Ha inoltre individuato percorsi teologici e ascetici per la preparazione
del clero e dei membri degli Istituti di vita consacrata. Inoltre, per evitare
una trasformazione indebita dell’identità spirituale che vi distingue, è vostro
intendimento curare una solida formazione radicata nella tradizione orientale
ed atta a rispondere in maniera efficace alle sfide crescenti della
secolarizzazione.
3. Il rito bizantino i
mirabilia Dei per l'umanità e, al riguardo, le Anafore di san Giovanni
Crisostomo e di san Basilio sono di sublime esemplarità. Le Preghiere
Eucaristiche e la celebrazione degli altri Sacramenti, come l'intero
svolgimento liturgico e il Culto divino con la ricca innografia, costituiscono
un potente veicolo di catechesi per il popolo cristiano.
Quasi quotidianamente voi
celebrate
4. Vi incoraggio poi a
proseguire i contatti, grazie alla comune tradizione liturgica, con le Chiese
ortodosse desiderose anch’esse di rendere gloria all'Unico Dio e Salvatore. Il
Signore Onnipotente, che nel Natale appena passato ha rivelato la sua divina
tenerezza nella luminosa incarnazione del Verbo, conceda a tutti i credenti in
Cristo di vivere appieno l’unità della medesima fede. Per questo prego e
domando al Signore che il vostro Sinodo contribuisca a favorire un rinnovato
annuncio dell'Evangelo in ogni vostra Comunità come pure un vigoroso slancio
ecumenico.
Questo ardente auspicio
affido alla Santissima Madre di Dio, mentre di gran cuore imparto a voi qui
presenti ed alle vostre eparchie una speciale Benedizione Apostolica (Besa/Roma).
GROTTAFERRATA
OMELIA DI CHIUSURA
SINODO INTEREPARCHIALE
Durante la concelebrazione della Divina Liturgia di S.
Giovanni Crisostomo che ha concluso il II Sinodo Intereparchiale, il Prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali S.B. Ignace Moussa I Daoud, ha
tenuto la seguente omelia:
Eccellenze,
Rev.mo
Archirnandrita Esarca,
cari
sacerdoti, religiosi e religiose,
fratelli
e sorelle nel Signore,
"Benedetto sia Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale" (Ef 1,3)".
A conclusione del secondo Sinodo
Intereparchiale delle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine in Italia è
doveroso il fervido ringraziamento a Dio che ha ispirato, sostenuto e portato a
compimento il cammino!
Un Sinodo è sempre evento di
grazia. Il Signore assicura la sua presenza là dove due o tre sono riuniti nel
suo nome (cfr. Mt 18,20). Lo Spirito Santo che è "presente ovunque e tutto
riempie", Lui "datore dei beni", invocato all'inizio dell'
Assemblea sinodale, vi ha guidato verso tutta intera la verità, nella comune
professione di fede e nella comunione di intenti in vista di un rinnovato
annuncio dell'Evangelo.
1. Il nostro grazie va al Santo Padre, mentre siamo
ancora commossi per l'udienza speciale accordataci martedì 11 gennaio nel Palazzo Apostolico
Vaticano.
2. Il Sinodo delle Circoscrizioni bizantine in
Italia, le quali vivono in contesto di maggioranza latina, assume un
particolare significato. Il Cardinale Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità e
Presidente della CEI, venendo ad incoraggiare i lavori sinodali ha rilevato la
vostra vitalità quale "prova evidente di come tutta la ricchezza della
tradizione cristiana d'Oriente sia perfettamente compatibile con la fedeltà
sincera alla Sede Apostolica".
Effettivamente, quali eredi
di una singolare tradizione teologica, culturale, spirituale, liturgica,
disciplinare siete chiamati a rafforzare la vostra identità e a trasmetterne
fedelmente i valori alle nuove generazioni in comunione di fede e fraterna
cooperazione con i cattolici di tradizione latina.
3. Il primo Sinodo nell'anno 1940 è stato convocato
subito dopo la costituzione dell'eparchia di Piana degli Albanesi (1937) e
l'elevazione a Monastero Esarchico dell'antico cenobio di Grottaferrata (1937).
Le nuove Circoscrizioni, assieme all'eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi
dell'Italia Continentale, istituita nel 1919, pur distanti tra loro dal punto
di vista geografico, sono accomunate dalla stessa tradizione. Il primo Sinodo
aveva lo scopo di rafforzarla, di purificarla da ibridismi determinati da varie
traversie storiche ed avviare una migliore presenza ecclesiale degli orientali
in Italia.
Gli Ordinari del tempo, nel
decreto di indizione, ricordando la genesi dell'assise sinodale ne indicavano
gli scopi: "Fin dall'ottobre del 1937, dopo la costituzione dell'eparchia
di Piana dei Greci e del monastero esarchico di Grottaferrata, l'immortale
Pontefice Pio XI, cui stette tanto a cuore la causa degli Orientali, ebbe a
manifestare il desiderio che il clero e i fedeli di rito bizantino delle
eparchie e del monastero esarchico studiassero l'opportunità di celebrare un
Sinodo Intereparchiale che unificasse la
disciplina nei paesi sottratti agli Ordinari di rito latino per far parte
delle eparchie ed assicurasse la purezza
di quei riti che a voi tramandarono, come la più preziosa eredità, i vostri
Padri, pur tra mille pericoli e difficoltà".
Un auspicio speciale
formulava Pio XII nell'udienza concessa ai sinodali (18 ottobre 1940) a
conclusione dei lavori: "Cotesto Sinodo, che ci auguriamo sia albore di un
nuovo meriggio nella storia religiosa degli Italo-Greci, richiama alla nostra
mente la visione di un passato ricco di preziosa operosità a gloria di Dio e a
bene delle anime e ci insinua e ci dà fiduciosa speranza di attuazioni non meno
belle e feconde per l'avvenire".
Nonostante le obiettive
difficoltà dei tempi bellici e postbellici, quel Sinodo si è rivelato positivo
nel campo di una più adeguata prassi liturgica, nella formazione di uno spirito
unitario e nell'incremento di fraterni rapporti con le comunità latine
circostanti.
4. Il presente Sinodo si svolge in una situazione
nuova. Le tre Circoscrizioni si sono ben consolidate.
Ed importanti eventi sono
sopraggiunti a segnare la vita della Chiesa intera, con influssi di notevole
portata sulle Chiese Orientali Cattoliche.
Il Concilio Ecumenico Vaticano
II, prima di tutto.
Con i suoi documenti, e in
particolare con il decreto "Orientalium Ecclesiarum", l'assise
conciliare ha sottolineato dignità e valori delle Chiese Orientali Cattoliche
considerandole "fermamente quale patrimonio di tutta
Il secondo evento è la
promulgazione (1990) del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali Cattoliche
(CCEO), il quale offre il quadro canonico generale in cui situare le decisioni
sinodali. Ed è proprio il Codice a richiedere che le singole Chiese elaborino
il Diritto Particolare. Ho appreso
con soddisfazione che il Sinodo ha riservato alla questione la dovuta
attenzione e che uno schema contiene una specifica proposta. Il Diritto Particolare darà la piattaforma
unitaria nel perseguimento degli orientamenti del Concilio e del nuovo Codice.
Per la prima volta nella storia le Circoscrizioni bizantine italiane hanno
questa provvidenziale opportunità.
5. Il Sinodo Intereparchiale si presenta, pertanto,
come adeguato strumento di ricezione dello spirito del Concilio e del Codice. I
criteri che hanno guidato la preparazione e la celebrazione, lo studio previo,
la redazione degli schemi, la loro discussione ai vari livelli e la loro
votazione, lo mostrano con evidenza. La consultazione sinodale ha inteso
mantenere integre le tradizioni della Chiesa bizantina (OE, 2) e ritornare a
quelle avite qualora indebitamente fossero state abbandonate (OE, 6). Essa,
inoltre, ha deciso di guardare al futuro, applicando l'indicazione conciliare
dell'organico progresso (OE, 6) e tenendo ben presenti le esigenze attuali e le
prospettive per l'avvenire.
Delineato il quadro
teologico e studiato il contesto pastorale, sulla base dei diversi schemi
potranno essere affrontate le concrete esigenze ecclesiali in modo
canonicamente fondato e coordinato.
Mi rallegro, soprattutto,
perché avete posto a riferimento supremo
Giustamente vi siete
preoccupati della formazione di tutti i membri della comunità, proponendo una
rinnovata catechesi e mistagogia.
Le vocazioni, però,
richiedono la preghiera e la testimonianza dell'intera comunità ecclesiale, e
la cura per le vocazioni deve essere inserita nella pastorale generale,
opportunamente coordinata con la pastorale familiare e giovanile.
Fonte e culmine della vita
cristiana è la liturgia. Il vostro Sinodo, lodevolmente, ne fa un punto
centrale, considerando tutti gli aspetti che aiutino una migliore
partecipazione del clero e dei laici.
Incoraggio, poi, anche per
parte mia la sensibilità ecumenica. Avete voluto testimoniare che la diversità
legittima è arricchimento per tutti. Ed avete affermato che le vostre comunità
intendono partecipare alla ricerca della piena unità dei cristiani con la
preghiera e con ogni possibile sforzo. E' motivo di intensa gioia la presenza a
questo Sinodo dei delegati fraterni dell’Arcidiocesi Ortodossa d'Italia del
Patriarcato Ecumenico.
Vi siete interessati anche
ai rapporti interrituali. Per la prima volta hanno preso parte al Sinodo le
parrocchie latine che si trovano nella giurisdizione dell'eparchia di Piana degli
Albanesi, con rappresentanti del clero e del laicato. Tale partecipazione
favorirà una cooperazione pastorale rispettosa e costruttiva nella condivisa
comunione di fede e di giurisdizione.
Scopo ultimo del Sinodo è la
vocazione alla santità. Cristo, partecipando la sua santità alla Chiesa,
genera, illumina e sostiene i passi degli individui e delle comunità verso la
perfezione cristiana. Tutto e tutti debbono tendere a questa comune meta, che è
l'apice del cammino ecclesiale. La serietà di un Sinodo si giudica su questa
preoccupazione fondamentale, e sono lieto di potervi rendere atto di questa
specifica attenzione sinodale.
6. Dopo la recognitio
della Santa Sede, le vostre deliberazioni entreranno nella vita delle
comunità. Mi auguro che possano costituire una guida sicura per risolvere le
questioni aperte dall'evoluzione dei tempi e un aiuto concreto per incrementare
la vita cristiana e renderla proposta avvincente per le nuove generazioni e per
chi ancora non conosce il Vangelo vivo: Cristo Signore!
7. Cari fratelli e sorelle,
mi felicito con gli Ecc.mi e Rev.mi Ordinari per
l'indizione del Sinodo e li ringrazio di cuore!
Ringrazio tutti coloro che vi hanno preso parte a
diverso titolo:
Mi congratulo con gli
organismi che ne hanno diretto la celebrazione, e con l'amata Comunità
Monastica che ci ospita nella fervida memoria del suo millennio di fondazione.
La preghiera delle tre Circoscrizioni ha certamente sostenuto l'intero lavoro di preparazione al Sinodo e la sua celebrazione. Sia ancora la preghiera ad ispirarne l'esecuzione.
Il Signore e
INTERVISTA ALL’ARCHIMANDRITA
P. LANNE
1. Besa:
Come le è sembrata la preparazione dei progetti del Sinodo
Intereparchiale? E come considera il coinvolgimento che le Comunità locali hanno
avuto per l’esame dei progetti?
Risposta: Sia la preparazione che il
coinvolgimento delle comunità locali mi sono sembrati molto positivi. Si tratta
dell’effetto costruttivo più immediato del Sinodo sulle tre Circoscrizioni.
2. Besa: Lei ha partecipato alle tre
sessioni sinodali. Come considera il processo di votazione dei testi a due
riprese? La prima fase con due sessioni - per identificare la sostanza del
testo - con tre possibilità di voto (approvo, non approvo, approvo con riserva)
e la seconda fase - per giudicare gli emendamenti proposti - con sole due possibilità di voto (approvo,
non approvo)?
Risposta: Il processo di votazione in
due fasi mi pare l’unico che si potesse fare. Mi rincresce soltanto che non sia
stato richiesto (o per lo meno proposto) a coloro che votavano “non approvo” di
dire perché non approvavano, perché si poteva forse soddisfare le reticenze
dell’uno o dell’altro che non approvava, con qualche cambiamento minore che non
intaccase la sostanza.
Inoltre penso che l’approvazione con la “metà più
uno” sia giusta dal punto di vista canonico, ma non soddisfacente dal punto di
vista pastorale. Lo scopo del Sinodo è - idealmente - di raggiungere una certa unanimità per un
rinnovamento della Chiesa locale, e non di approvare con la “metà più uno”
contro una “metà meno uno”. Ciò rischia di spaccare la comunità fra chi vuole
rinnovare in questo modo e chi non lo
vuole.
3.Besa: La norma canonica richiede
la “metà più uno”solo come dato minimo per l’efficacia del voto di approvazione
o di rifiuto. Nel nostro Sinodo le votazioni hanno registrato alte percentuali.
Nella prima fase gli schemi sono stati approvati quanto alla sostanza con i
seguenti risultati: Prologo, 113 su 118 votanti; Sacra Scrittura, 104 su 116; Liturgia,
88 su 112; Catechesi, 104 su 115; Formazione del clero, 61 su
118; Diritto canonico, 100 su 113; Rapporti interrituali, 89 su
118; Ecumenismo, 92 su 112; Rievangelizzazione, 79 su 111; Missione,
82 su 111; Epilogo, 93 su 104.
Nella terza sessione i singoli emendamenti - 187 per
tutti gli schemi - sono stati approvati a larghissima maggioranza.
Ma voremmo fare qualche altra domanda: Come
considera l’insieme degli schemi in relazione alla coerenza con la nostra
tradizione bizantina?
Risposta: L’insieme degli schemi mi
pare coerente con la tradizione bizantina.
Mi piace
anche che si sia tenuto conto delle comunità latine nella eparchia di Piana,
giacchè da decenni ci sono problemi concreti da risolvere. Lo scopo del Sinodo,
infatti, è anzitutto pastorale.
4. Besa: Come considera gli
orientamenti sinodali in relazione alle esigenze delle nostre comunità nel
nostro tempo e in prospettiva del futuro con i rischi di omologazione e di
secolarizzazione?
Risposta: Penso che gli orientamenti
pastorali del Sinodo siano una opportuna difesa contro i rischi di omologazione
e secolarizzazione delle due eparchie. Tuttavia mi domando se il problema della
diaspora sia stato considerato a sufficienza. Questo è il problema maggiore del
futuro.
5. Besa: In base all’esperienza fatta
dal Concilio Vaticano II in poi, cosa suggerisce per la divulgazione e la
ricezione degli orientamenti sinodali?
Risposta: Suggerirei che ciascun tema
dei vari capitoli sia riassunto brevemente e commentato nelle lettere
pastorali. Il documento finale degli schemi sinodali è bellissimo, ma molto
lungo. Quindi bisogna farlo passare pezzo per pezzo nella vita concreta delle
eparchie (Besa/Roma).
ATENE
Il diaconato femminile
Nella
Chiesa ortodossa
L’assemblea dell’episcopato della Chiesa ortodossa di
Grecia ha tenuto la sua sessione annuale dal 7 al 9 ottobre scorso ad Atene,
sotto la presidenza del suo primate, l’arcivescovo Christodoulos di Atene. Tra
diversi punti delicati figurava una proposta per il ristabilimento
dell’istituzione del diaconato femminile. L’assemblea plenaria dell’episcopato
è l’organo collegiale supremo che dirige
(…) Su un’altra questione,
ugualmente controversa, riguardante il ripristino del diaconato femminile,
l’assemblea dell’episcopato greco ha dato prova di volontà di apertura,
proponendo di reintrodurre, anche se a certe condizioni, questa istituzione. E’
il metropolita Chrysostomo di Chalkis (isola d’Eubea) che, durante la sessione
dell’8 ottobre, aveva aperto la discussione, presentando un rapporto su “Il
ruolo delle donne nella Chiesa” nel quale egli prevedeva la possibilità di far
rinascere un’istituzione esistente nella Chiesa nel IV e V secolo. “Questa
istituzione, importante per
(…)
Un diaconato femminile esisteva già ai tempi dei Padri della Chiesa, nel IV e V
secolo. In quell’epoca, si trattava di un ministero sia liturgico che
catechetico che filantropico, adattato alla strutture sociali del tempo. Questa
questione è ritornata all’ordine del giorno all’inizio del XX secolo con le
iniziative di san Nectario d’Egina, vescovo greco morto nel 1922, di san
Vladimir, metropolita di Kiev, e di sant’Elisabetta, granduchessa di Russia,
entrambi morti martirizzati nel 1918. Le due consultazioni internazionali
panortodosse su “Il ruolo della donna nella Chiesa”, a Agapia (Romania) nel
1976 e a Rodi (Grecia) nel 1988, così come gli incontri delle donne ortodosse a
Damasco nel 1996 e a Istanbul nel 1997, si sono espressi a favore del
ripristino del diaconato femminile. In Francia, è stata avviata una lunga
riflessione sulla storia e sulla teologia del diaconato femminile da Elisabeth
Behr-Sigel, autrice di numerosi studi sull’argomento, e da un gruppo chiamato
“Donne e uomini nella Chiesa”, che si riunisce a Parigi da molti anni. Nel
2000, i membri di questo gruppo hanno indirizzato ai primati di tutte le Chiese
ortodosse territoriali una lettera in favore di un “ristabilimento creativo del
diaconato femminile […], che si iscriva pienamente nella tradizione della
Chiesa” (Besa/Roma).
XXXV DI “KATUNDI YNË”
Nel salone del Castello polifunzionale, denominato “
Promosso dal Direttore della rivista, Demetrio Emmanuele, il convegno ha registrato una numerosa presenza di autorità politiche che hanno sottolineato, all’unisono, il ruolo positivo svolto dalla rivista in seno alle comunità albanesi e nei confronti anche dei non albanesi, per la soluzione dei problemi relativi alla tutela dell’identità degli Arbëreshë. Gli interventi hanno posto all’attenzione dell’assemblea, anch’essa molto numerosa, l’importanza, non solo per gli Arbëreshë ma anche per tutti gli italiani, del rispetto della diversità delle culture, che arricchiscono l’intero quadro nazionale e pongono premesse interessanti anche per lo sviluppo economico. Hanno fatto seguito alcuni interventi più specifici sul ruolo svolto dalla rivista “Katundi ynë”. Il Redattore capo, Emanuele Pisarra, ha fatto un excursus, col supporto di immagini create col Pawer Point, attraverso i trentacinque anni di vita della rivista, mettendo in luce i lineamenti del contesto culturale entro cui si è mossa la rivista, l’ampia rete di collaboratori sparsi in tutta l’Arberia e fuori di essa, e le ricadute positive nell’ambiente.
Il Prof. Italo Costante Fortino ha delineato
l’apporto della rivista alla letteratura arbëreshe, evidenziando il percorso
che essa ha tracciato, attraverso le opere principali degli Autori della
letteratura albanese, mentre Caterina Zuccaro, tra le fondatrici della rivista
stessa, ha parlato dell’interesse costante della rivista per il folklore
arbëreshe, che si presenta ricco e pregnante di significato per la cultura
della minoranza albanese d’Italia.
Il Condirettore Vincenzo Bruno, noto come autore di
commedie, ha letto un racconto in arbëreshe e in italiano, incentrato sulla
rivista, suscitando particolare attenzione nel pubblico. Tra le proposte emerse
per il prossimo futuro va sottolineata la creazione di una rubrica che presenti
organicamente e con criteri specifici
brani antologici della letteratura arbëreshe, brani di letteratura
popolare dovutamente commentati, e infine l’auspicio che la rivista abbia
scadenza mensile, e non più trimestrale (Besa/Roma).
CIVITA: MUSICA E DANZA
FESTIVAL EUROMEDITERRANEO
Il Centro Studi e Ricerche delle tradizioni popolari
italo-albanesi, presieduto da Italo Elmo, ha promosso il Terzo Festival
Euromediterraneo della Musica e della Danza Etnica Arbëreshe.
Nei giorni 5-6 gennaio 2005 si è svolta a Civita la prima parte del Festival con due sezioni: la sezione della convegnistica e la sezione delle esibizioni canore.
Nella prima sezione sono state affrontate tematiche
specifiche relative alla cultura popolare.
La relazione sulla letteratura popolare arbëreshe,
dopo averne evidenziato le peculiarità e i mezzi di trasmissione, ha indicato,
soprattutto a chi voglia addentrarsi nello studio, gli strumenti bibliografici.
Il relatore, (I.C.Fortino) ha inoltre rilevato l’importanza della letteratura
orale non solo in ambito arbëresh, ma più ampiamente anche in area balcanica.
Tale importanza appare maggiormente giustificata se si tiene presente che
esistono rapsodie che si sono trasmesse per cinque secoli tra gli Arbëreshë
d’Italia e che trovano archetipi tra gli Albanesi d’Albania. Il discorso
diventa ancora più interessante se lo studio comparativo tra temi comuni arbëreshë e shqiptarë, trova
addentellati anche in altre aree balcaniche (greca, serba, macedone). Il relatore si è ripromesso di svolgere il tema
dei riflessi della letteratura orale in quella colta nella seconda parte del
Festival che si terrà nella prossima primavera sempre a Civita.
Il Prof. Franco Marchianò di Spezzano Albanese ha
presentato alcune ninne nanne raccolte nel suo paese. L’argomento si è
presentato interessante e richiede ulteriori sondaggi per completare il quadro
e per individuare le tematiche in vista di una interpretazione globale della
tipologia.
Dal Prof. Luigi Fioriti è stato presentato l’aspetto
popolare della religiosità, un tema questo di grande attualità per quanti
tentino un approccio per la comprensione della visione della vita che si
deposita in molte popolazioni.
Il concetto alto e ortodosso di religione non sempre
penetra nelle coscienze, mentre l’immaginario collettivo per ragioni varie
surroga una sua visione, come esigenza profonda dello spirito. La ricezione
popolare della religiosità, unitamente alla propria elaborazione, deve essere
oggetto attento da parte di chi opera nel settore. Alla base di tutto si pone
il problema della comprensione di fenomeni che, se apparentemente si presentano
con i connotati della eterodossia, contengono tuttavia principi e motivazioni
importanti che non meritano di essere trascurati.
E’ stato quindi presentato un progetto di
completamento della raccolta e dello studio delle Kalimere di Civita, da parte
di C. Zuccaro, che sulla rivista “Katundi ynë, ne ha pubblicato già vari testi.
L’attuazione del progetto si rende urgente per avere un numero di testi
abbastanza rappresentativo della tipologia di questo canto religioso, onde
facilitarne l’interpretazione e la comprensione del ruolo nell’ambito delle
festività del ciclo dell’anno.
Il Papàs A. Bellusci, che nel corso degli ultimi
anni ha realizzato raccolte di testi popolari arbëreshë, ha messo a confronto
tre canti da lui raccolti a S. Costantino Albanese con quelli riproposti dopo
venti anni dall’etnomusicologo Nicola Scaldaferri. Si tratta di canti con
proprie peculiarità che riportano a tematiche di origine pagana, risalenti ad
un’epoca arcaica.
Basti avere citato questi interventi per mettere in luce l’importanza delle tematiche toccate e il quadro abbastanza ampio entro cui esse si muovono.
La sezione convegnistica del III Festival ha messo
abbondantemente in luce l’urgenza della particolare attenzione che deve essere
posta alla letteratura popolare, alla musica popolare e alla cultura popolare
nell’accezione più ampia del temine.
La sezione canora del III Festival, con l’esibizione di
vari gruppi arbëreshë nel salone del Castello “
Si sono esibiti i “Vjershëtarët“ di S. Basile, di
Lungro (denominato“Moti i parë”), di Firmo, di S. Benedetto Ullano, e il gruppo
di giovanissimi di Civita, che si è distinto per precisione e simpatia.
Tutti i gruppi hanno dimostrato un elevato livello
di preparazione e grande senso della
professionalità. Il passo di qualità che si è notato, rispetto al livello di
alcuni anni addietro, è indice di un percorso e di una maturazione che fa ben
sperare nel futuro e nella continuità di una cultura che diventa consapevolezza
e parte integrante della identità dei singoli individui (Besa/Roma).
ROMA: FESTA NAZIONALE DI
ALBANIA
PRESENTATA L’OPERA DI VOREA
UJKO
La liturgia è stata presieduta dall’arch. Eleuterio F. Fortino, cantata dal coro della Chiesa di S. Atanasio sulla musica di p. Nilo Somma, jeromonaco arbëresh di Grottaferrrata. Si è pregato per tutti gli albanesi viventi in Patria, nella Kossova, in Macedonia, nel Montenegro e nella diaspora.
Il prof. Domenico Morelli ha presentato il tradizionale modo di celebrare la festa nazionale da parte del Circolo culturale “Besa/Fede” fin dagli anni ’60 e ininterrotamente ogni anno. La signorina Kikina Martino ha fatto da moderatrice dell’incontro.
Il prof. Italo C. Fortino ha presentato Vorea Ujko come “poeta moderno dell’ethnos albanese”, in tutto il suo percorso poetico, dagli inizi con le prime pubblicazioni sulla rivista Shêjzat di Ernest Koliqi, alle ultime sulle riviste letterarie di Albania.
Il prof. Agostino Giordano, direttore del mensile “Jeta Arbëreshe”, ha presentato “la problematica dei testi letterari di Vorea”.
La dott.ssa Caterina Zuccaro ha fatto un’analisi minuziosa e puntuale, mostrando l’evoluzione della lingua poetica attraversata dal Vorea Ujko.
Ha preso parte alla conferanza il vicesindaco di Firmo il Dr. Lanza.
La
pubblicazione di tutta l’“Opera Letteraria” è un monumento a Vorea Ujko
(Besa/Roma).
UN COMMENTO DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO
GLI ITALO-ALBANESI
DA CLEMENTE VIII (1595) A
GIOVANNI PAOLO II (2005)
Le tre Circoscrizioni bizantine
in Italia, vale a dire le eparchie di Lungro per gli Albanesi di Calabria e
dell’Italia continentale e di Piana degli Albanesi in Sicilia, e il monastero
esarchico di Grottaferrata stanno celebrando il II Sinodo Intereparchiale. L’11
gennaio 2005, avviandosi a conclusione il Sinodo, il Santo Padre Giovanni Paolo
II ha ricevuto nella Sala Clementina tutti i sinodali e ha rivolto loro una densa
esortazione aperta al futuro. Il luogo dove si teneva l’udienza,
1. Clemente VIII ha un posto importante nella storiografia e nella vita degli albanesi in Italia. Nel 1595 per suo mandato è stata promulgata una “Perbrevis Instructio su alcuni riti indirizzata ai Vescovi latini, nelle cui città vivono Greci o Albanesi di rito greco” (cfr. Italo - Albanensia a cura di Attilio Vaccaro, Editoriale Bios, Cosenza, 1994, pp.135 -137). Come si può notare, nel titolo stesso sono presi in considerazione gli Albanesi di rito greco. Essi erano già stati sistemati all’interno delle diocesi latine, pur conservando la propria tradizione liturgica. Vengono identificati quali “Albanenses graeco ritu viventes”. L’istruzione è perciò indirizzata agli “Episcopi latini” nelle cui diocesi vivevano greci e italo-albanesi. Ciò significa che il fenomeno degli Italo-Albanesi era conosciuto e che dal punto di vista romano, in risposta a sollecitazioni dei vescovi locali latini, si davano delle norme di comportamento, particolarmente per questioni liturgiche. L’Istruzione si apre con la proibizione rivolta ai “Praesbyteri graeci” di cresimare, al contrario di come invece prevede la prassi bizantina. L’intervento nell’Ordo liturgico, confermato dalla Costituzione Etsi pastoralis di Benedetto XIV (1742), è grave e ha generato permanenti tensioni. Al caso il I Sinodo Intereparchiale di Grottaferrata (1940) ha portato una prima correzione sancita dal Concilio Vaticano II e dal conseguente Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO). Inoltre l’Istruzione clementina prevedeva la creazione a Roma di un vescovo ordinante di rito greco per le ordinazioni dei candidati di rito greco agli ordini sacri. I vescovi latini nelle cui giurisdizioni si trovavano fedeli di rito greco, soltanto a questo vescovo ordinante dovevano dare le loro dimissorie. L’Istruzione clementina, era limitata alla concezione del tempo, ma era importante, perchè riconosceva la presenza delle comunità di rito greco, comprese quelle italo-albanesi, dava delle norme precise di comportamento che prevenivano interventi indebiti delle autorità locali.
2. Di carattere e
qualità profondamente diversa era l’evento che si realizzava con l’udienza di
Papa Giovanni Paolo II al II Sinodo Intereparchiale. Non si trattava più di
fedeli immessi in Comunità latine, o al massimo di parrocchie di rito greco
inserite in diocesi latine, ma di eparchie – Sinodo Intereparchiale –
formalmente istituite da Benedetto XV (1919) e da Pio XI (1937), con una
propria gerarchia e un proprio popolo, cosciente della propria identità
ecclesiale bizantina in piena comunione nella Chiesa cattolica e con un
particolare impegno morale per il raggiungimento della piena unità con i
fratelli ortodossi. La pacificazione interiore apportata dalla creazione delle
eparchie è stata vera e profonda. Il Prefetto della Congregazione per le Chiese
Orientali ha presentato al Papa i Sinodali, pastori e fedeli, dichiarando che
essi nell’incontro “possono rinnovare l’adesione gioiosa di fede e di amore al
ministero del successore di Pietro, al vostro illuminato magistero, confermando
la fedeltà dei loro Padri”. Oltre alla creazione delle strutture ecclesiali,
l’elemento decisivo che ha promosso la crescita coerente di queste comunità
bizantine in Italia è stato l’orientamento, che si è progressivamente fatto
strada, del diritto e del dovere di recuperare la propria autentica tradizione
liturgica e disciplinare. Questa prospettiva è emersa dalle parole di Giovanni
Paolo II rivolte al Sinodo. Egli considera le comunità bizantine “eredi di
un comune patrimonio spirituale” e rileva che ora esse “rafforzano
sempre più la loro identità, facendo tesoro della loro millenaria tradizione
bizantina”. Elogia lo sforzo sinodale di promuovere una solida formazione
catechetica, mistagogica e teologica. Per questo il sinodo “ha individuato
percorsi teologici e ascetici per la preparazione del clero e dei membri degli
Istituti di vita consacrata”. Il Papa ribadisce come fatto e come dovere il
consolidamento dell’identità ecclesiale. “Per evitare una trasformazione
indebita dell’dentità spirituale che vi distingue, è vostro intendimento curare
una solida formazione radicata nella tradizione orientale e atta a rispondere
in maniera efficace alle sfide crescenti della secolarizzazione”. Giovanni
Paolo II assicura l’assistenza positiva di Roma. “
Circolo
italo-Albanese di Cultura –Via dei Greci 46 – 00187 Roma
Circolare luglio 2004 168/2004
Ta lòghia – I Detti di Gesù (27): “Non
gettate le vostre perle davanti ai porci”...................... 1
ROMA: La spiritualità ecumenica secondo il Concilio Vaticano II................................................ 2
ROMA: Intervista al Card. Daoud.............................................................................................. 5
ROMA: Studi sull’Oriente Cristiano ........................................................................................... 7
ROMA: Sinodo Intereparchiale – Incontro di giugno.................................................................... 8
TIRANA: Conferenza scientifica su Sami Frashëri (1850 – 1904)................................................ 9
TIRANA: La rivista “Ars” e la letteratura arbëreshe contemporanea......................................... 10
MEZZOIUSO: XIII Convegno ecclesiale.................................................................................. 10
ALBANIA: Nuove pubblicazioni religiose................................................................................. 10
ROMA: 40° del Decreto sull’ecumenismo – III.
Tà lòghia – I Detti di Gesù (27): “Non
gettate le vostre perle davanti ai porci”
Non disprezzate ciò che è
santo. Neanche scherzate con le cose sante. Al contrario rispettatele perché si
riferiscono a Dio. Se non sono direttamente collegate a Dio, sono connesse con
il suo culto. Nel suo insegnamento, come rare altre volte, Gesù direttamente
rivolto ai suoi discepoli, quasi in modo personale, consiglia: “Non date le
cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt 7,6).
L’espressione “cose sante” contiene due dimensioni: ciò che riguarda Dio e il suo messaggio salvifico. Nell’Esodo, là dove si parla dei cibi sacrificali, troviamo un elemento che permeerà la tradizione giudaica che qui sembra essere ricordata. Dei cibi sacrificali “nessun estraneo dovrà mangiare perché sono cose sante” (Es 29, 33). Gesù, amareggiato, pare dire che è inutile proporre ai malintenzionati lo stesso messaggio salvifico. “Per questo parlo loro in parabole, perché vedendo non vedono, eppur udendo non odono e non comprendono” (Mt 13, 13). Questo, benchè rimanga valido il suo consiglio di proporre a tutti il suo insegnamento: “Quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti” (Mt 10, 27). I termini “cose sante” e “perle” indicano cose preziose che vanno salvaguardate con cura. I termini di “cani” e “porci” vogliono esprimere soggetti che non sono in grado di apprezzarne il valore. S. Giovanni Crisostomo commenta: “Con il termine “cani” (Gesù) allude qui a coloro che vivono nell’empietà incurabile e non hanno speranza di cambiare in meglio; con il termine “porci” allude a quelli che vivono continuamente una vita dissoluta; ha detto che tutti questi sono indegni di ascoltare simili insegnamenti” (Omelie sul Vangelo di Matteo 23, 3). Gli fa eco S. Paolo quando scrive che “l’uomo animale non comprende le cose dello spirito: esse sono una follia per lui” (1 Cor 2, 14).
S. Giovanni Crisostomo
prende spunto da qui per spiegare la prassi liturgica di celebrare l’eucarestia
a porte chiuse. Egli afferma: “Perciò celebriamo i misteri a porte chiuse e
allontaniamo i non iniziati, non perché riconosciamo la debolezza di quanto
viene celebrato, ma perché i più sono ancora troppo imperfetti per essi” (Ibidem).
Tuttora all’elevazione il celebrante proclama: “Le cose sante ai santi”(Besa/Roma).
Dal 3 al 6 settembre 2003 si è tenuto un simposio tra
“Per grazia
dello Spirito Santo è sorto un movimento ogni giorno più ampio per il
ristabilimento dell’unità di tutti i
cristiani” (Unitatis Redintegratio, 1). Questa affermazione del decreto sull’ecumenismo del
Concilio Vaticano II manifesta la prospettiva nella quale
1. Base teologica della spiritualità ecumenica
1. Nel proemio del decreto del Concilio Vaticano II Unitatis Redintegratio si ha una sobria
descrizione del movimento ecumenico. Da essa emergono il riferimento alla
Trinità, a Gesù Cristo, alla Chiesa e
alla missione della Chiesa nel mondo. “A
questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che
invocano
Questo riferimento trinitario, cristologico, ecclesiologico, e missionario è indispensabile per comprendere la spiritualità ecumenica soggiacente ai documenti del Concilio Vaticano II.
2. Oltre alla professione di fede nella Trinità e in
Gesù Cristo Signore e Salvatore, il decreto sull’ecumenismo segnala un altro
elemento fondamentale: “Il battesimo
costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige fra quelli che per
mezzo di esso sono rigenerati” (UR,22). Professione di fede trinitaria quindi
e vincolo del battesimo formano la base su cui si fonda l’azione ecumenica ed
anche il suo orientamento spirituale.
3. Ma la situazione complessiva dei cristiani non è
uniforme: vi sono diverse Chiese e comunità ecclesiali. Con esse
Con alcuni abbiamo maggiori elementi comuni, con altri più grandi sono le divergenze.
Questa comunione diversificata viene sommariamente distinta in due grandi sezioni:
a) le
Chiese ortodosse da una parte (UR,
14-18);
b) e
le Comunioni protestanti dall’altra (UR
19-23).
4.
5. Da queste premesse dottrinali - ecumeniche emergono due dimensioni necessarie per la sostanza della spiritualità ecumenica:
a)
la coscienza ecclesiale che
b)
e la considerazione che
Al di fuori dell’organismo visibile della Chiesa
cattolica non vi è un “vuoto” ecclesiale: ci sono vere realtà ecclesiali.
6. Il decreto sull’ecumenismo mette in evidenza che
in queste Chiese e Comunità ecclesiali è presente ed operante:
7. Qui oggi consideriamo soltanto le Chiese ortodosse. Di esse il decreto conciliare rileva che hanno veri sacramenti e soprattutto in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia. Il decreto fa questa solenne dichiarazione:
“Per
mezzo della celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste singole Chiese
(=nelle Chiese ortodosse),
Il decreto sull’ecumenismo conseguentemente
raccomanda: che i cattolici con gioia
riconoscano e stimino i valori veramente cristiani” che si trovano presso gli altri cristiani (UR,4).
8. Per quanto riguarda le Chiese ortodosse il Concilio Vaticano II ha attirato l’attenzione sulla grande tradizione storica (UR,14) liturgica (UR, 15), disciplinare (UR, 16) e teologica (UR, 17).
Ne emerge una visione di apprezzamento dei valori cristiani presenti in queste Chiese e della possibilità di scambio di doni per il bene della Comunità cristiana nel suo insieme.
9. La varietà legittima può essere un arricchimento
reciproco. Infatti in Oriente e in Occidente “furono usati metodi e prospettive
diversi, per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine”. A
questo punto il decreto fa una affermazione determinante per una sana
spiritualità ecumenica fondata sulla teologia: “Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato
siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno
che non dall’altro (= dalle Chiese ortodosse che non dalla Chiesa cattolica e
viceversa) , cosicché si può dire allora che quelle diverse formule teologiche
non di rado si completino piuttosto che opporsi”(Ibidem).
Il Decreto fa un analogo discorso per quanto riguarda la varietà di disciplina.
a)
La spiritualità ecumenica è fondata sulla teologia;
b)
Ha sempre presente la coscienza che ognuno
deve avere della propria Chiesa;
c)
Ha sempre presente la realtà ecclesiale delle
altre Chiese, nella diversità causata
dalle divergenze esistenti;
d)
Ha
sempre presente che nell’unità di fede è possibile una varietà di
espressioni, essendo il mistero cristiano mai completamente esprimibile;
e)
Sopra tutto tiene presente il “comandamento
nuovo” dell’amore reciproco.
Deve prevalere l’amore –
che si esprime in rispetto, in positiva considerazione, in solidarietà
battesimale. Sono tutte esigenze inculcate dal decreto sull’ecumenismo il
quale, a motivo della loro incorporazione in Cristo, dichiara che gli altri
cristiani “dai figli della Chiesa
cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore”(UR,3).
Con essi, in obbedienza al
Vangelo, occorre, come diceva Giovanni Battista: “Preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi sentieri” (Mt 3, 3).
2. Espressioni di
spiritualità ecumenica
a) La spiritualità non può essere confinata in
categorie mentali, ma deve incidere nella vita concreta. Il Concilio Vaticano
II ne fa un dovere per tutti i membri della Chiesa. “La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta
b) La ricerca dell’unità deve essere svolta anche
nella vita di ogni giorno: nella vita personale, ecclesiale, professionale, sociale,
politica. Il decreto sull’ecumenismo espone un principio fondamentale: “Si ricordino tutti i fedeli, che tanto
meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l’unione dei cristiani, quanto
più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo” (UR, 7).
c) Il secondo capitolo del decreto Unitatis Redintegratio è dedicato
all’esercizio dell’ecumenismo e contiene molte indicazioni per quella condotta cristiana che possiamo
chiamare spiritualità ecumenica, tanto a livello personale quanto comunitario/ecclesiale.
Il concilio indica i seguenti aspetti:
L’esigenza della conversione del cuore, la riforma della Chiesa peregrinante,
la preghiera per l’unità dei cristiani, la communicatio in sacris,
l’atteggiamento di dialogo.
a)
La conversione del cuore
1. Alla ricerca dell’unità deve contribuire ogni
cristiano che professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica ed
apostolica. Ogni battezzato è membro attivo del corpo di Cristo. Di conseguenza
ognuno è tenuto a formarsi un atteggiamento coerente con la ricerca della
unità.
2. Avendo presente che la divisione “apertamente contraddice alla volontà di
Cristo” (UR, 1), quindi appartiene alla sfera delle conseguenze del
peccato, come atteggiamento prioritario il decreto richiede la conversione del
cuore: “Ecumenismo vero non c’è senza
interiore conversione, poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal
rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio
della carità” (UR, 7).
3. La storia della Chiesa mostra che lungo i secoli
violenze ed ingiustizie sono state fatte tra i cristiani. Occorre la
purificazione della memoria ed il perdono reciproco per avviarsi sulla via
della comunione. I Padri conciliari dichiarano: “Con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati
come pure noi rimettiamo ai nostri debitori” (UR,7).
4. Quasi a 40 anni
dalla promulgazione del decreto conciliare sull’ecumenismo (21 novembre 1964)
tutto ciò mantiene ancora una straordinaria attualità. Rimane una esigenza
prioritaria nella ricerca dell’unità.
b) Riforma
della Chiesa peregrinante
1. Lungo la storia sono apparse rughe sul volto della Chiesa, sono cresciuti usi e costumi meno coerenti con il Vangelo o che, semplicemente, corrispondevano ad un tempo passato. Il decreto conciliare asserisce che “il rinnovamento ha una importanza ecumenica singolare” (UR, 6). Anzi più fortemente dichiara che “ogni rinnovamento della Chiesa è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità” (ibidem). Naturalmente il Concilio spiega anche di quale rinnovamento si tratta: il rinnovamento della Chiesa “consiste nella accresciuta fedeltà alla sua vocazione” (Ibidem).
2. Da una parte il decreto afferma che “
3. Il decreto nomina anche alcuni ambiti in cui si
può applicare l’esercizio di rinnovamento: nei costumi e nella disciplina ecclesiastica in primo luogo, ma anche
nel modo stesso di enunciare la dottrina.
Il decreto richiama l’attenzione a questo punto sul fatto che il modo di enunciare
le dottrine “non deve essere
assolutamente confuso con lo stesso deposito della fede” che resta
intangibile e immutabile. Vengono segnalati alcuni campi in cui il rinnovamento
è in corso.
Si menzionano: il movimento biblico e liturgico, la
predicazione della Parola di Dio,
c)
La preghiera per l’unità dei
cristiani
Il decreto
Unitatis Redintegratio pone la preghiera per l’unità dei cristiani in quel
nucleo centrale che ritiene come “l’anima
di tutto il movimento ecumenico” e che giustamente si può “chiamare ecumenismo spirituale”(UR,8).
Si tratta delle preghiere personali e di quelle
pubbliche per l’unità. Di preghiere nella propria Chiesa per l’unità dei
cristiani e di preghiere comuni, cioè di preghiere a cui partecipano membri di
Chiese diverse non in piena comunione.
2. Queste preghiere da una parte si fondano sulla
fede comune esistente e sul battesimo comune, dall’altra parte tendono alla
piena comunione. Il decreto lo afferma a chiare note: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace
per impetrare la grazia dell’unità, sono una genuina manifestazione dei vincoli
con i quali i cattolici sono ancora congiunti con i fratelli separati” (UR,8). Per
queste assemblee di preghiera il decreto cita il Vangelo di san Matteo sulla
presenza di Cristo: “Dove sono due o tre
adunati nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).
d) la
communicatio in sacris
2. Ma, per cattolici e ortodossi, l’eucaristia è il
segno della piena comunione, pertanto risulta contraddittorio celebrarla
insieme in stato di divisione. L’eucaristia esige la completa comunione nei
vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico (Cfr. Ecclesia de Eucharistia,44).
Il Concilio Vaticano II ha disposto che non si deve
considerare la communicatio in sacris
come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento
dell’unità.
3. Fa parte di una spiritualità coerente comprendere
questo principio e attenervisi, ma anche considerare lo stato attuale di
impossibilità di concelebrazione come lo stato anormale creato dalla divisione.
Il desiderio della concelebrazione deve essere sollecitazione di dinamismo per
l’impegno ecumenico.
4. La concelebrazione rimane lo scopo ultimo
dell’intero movimento ecumenico.
e) Atteggiamento
di dialogo
1. Una spiritualità ecumenica non può che avere una
solida disposizione al dialogo. Disposizione all’ascolto, alla comunicazione,
alla ricerca delle convergenze per trovare insieme l’accordo nella fede.
2. Il decreto sull’ecumenismo richiede che nel
dialogo “i teologi cattolici, procedano
con amore della verità, con carità e con umiltà” (UR,11). Il decreto
domanda che nei dialoghi si esponga “con
chiarezza tutta intera la dottrina”. Occorre evitare “il falso irenismo”.Il modo e il metodo di enunciare la fede
cattolica “non deve in alcun modo essere
di ostacolo al dialogo con i fratelli”. Occorre presentare la fede
cattolica con un “modo di esposizione e
di espressioni che possa essere compreso”.
3. Inoltre il Concilio richiede che si conosca l’animo degli altri cristiani.
Perciò i cattolici devono acquistare una migliore
conoscenza della storia e della dottrina, della vita spirituale e liturgica,
della stessa psicologia religiosa e della cultura degli altri cristiani con cui
occorre instaurare relazioni, affinché si entri in vero dialogo e non in
sterili diatribe.
4. La spiritualità ecumenica del dialogo tende a tutta intera la verità.
5, La disposizione caritatevole richiesta dal Vangelo è la condizione indispensabile per un vero dialogo della verità.
Il movimento ecumenico è
complesso. Implica una grande varietà di problematiche teologiche,
disciplinari, storiche. In ultima analisi implica tematiche che investono la coscienza
cristiana dei dialoganti, il proprio rapporto con la professione di fede e con
l’insegnamento della propria Chiesa.
Il Concilio Vaticano II
prende atto di queste ragioni e, con lucidità spirituale, “dichiara di essere consapevole che questo santo
proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo,
una e unica, supera le forze e le doti umane” (UR,24).
Il Concilio esprime la sua
fede e manifesta la sua speranza. “Perciò
– aggiunge il decreto conciliare – ripone
tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per
Per questo il Concilio
incoraggia i fedeli a perseverare nell’opera intrapresa; sollecita la
cooperazione con gli altri cristiani in un atteggiamento aperto al futuro e
fiducioso nella Provvidenza. E’ singolare il suo richiamo: occorre cooperare
nella ricerca dell’unità, “senza che sia
posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza e senza che si rechi
pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo” (Ibidem).
La spiritualità ecumenica
proposta dal Concilio Vaticano II è
fondata sulla fede (con base
teologica ed ecclesiologica), sulla
carità (per un rapporto trasparente e solidale con gli altri cristiani) e nella speranza, certi che il Signore non abbandona i suoi figli nel
deserto, ma che li guida verso la terra promessa, per mezzo del suo Spirito (Besa/Roma).
ROMA: INTERVISTA AL CARD.
DAOUD
Il Prefetto della
Congregazione per le Chiese Orientali, S. B. Ignace Moussa Daoud, patriarca
emerito di Antiochia dei Siri-Cattolici,
ha concesso una intervista al giornalista Giuseppe De Carli (“Il Tempo”,
7 giugno 2004). Ne riportiamo una parte:
Domanda: Lei, Em.za
Daoud, è stato eletto patriarca di Antiochia dei Siri dal Sinodo ed ha ricevuto
la “comunione ecclesiastica” dal Sommo Pontefice. Tutto è un po’ complicato e
semplice insieme, almeno per la nostra mentalità. Patriarca come i patriarchi
dell’Antico Testamento?
Risposta: “Non siamo come
i patriarchi antichi! La parola “patriarca” nella storia cristiana ha assunto
il significato di “Capo e padre” di una Chiesa. Egli ha un potere non solo
sulla sua eparchia, o diocesi, ma su tutte le eparchie che formano la sua
Chiesa. Convoca e presiede i Sinodi. Prende delle decisioni come vero pastore
del suo popolo”.
D. Come titolo
d’onore ha quello di “sua Beatitudine”?
R. E’ un titolo
tipicamente orientale. Un vescovo è chiamato “eccellenza”, il capo dei vescovi
“beatitudine”. Nella Chiesa di rito latino i cardinali hanno il titolo d’onore
di “eminenza”.
D. Io, dunque,
potrei chiamarla “Beatitudine eminentissima”.
R. “Come crede. Qualcuno
mi chiama beatitudine, qualcuno eminenza. La beatitudine è del cielo. Là c’è la
beatitudine eterna. Non c’è la parola eminenza, c’è solo felicità e
beatitudine. Allora, se vuole che sia sincero, preferisco questo ultimo termine
che è la traduzione della parola araba “Ghebtat”.
D. Allora,
beatitudine, ci può fare una breve presentazione della Chiesa siro-cattolica,
la comunità di cui è figlio e della quale è stato pastore.
R. “
Nel 451 il Concilio di
Calcedonia affronta il problema della natura umana e divina di Cristo. I siri
si uniscono ai copti e abbracciano il monofisismo. E’ lo scisma. Intervengono
nella contesa teologica l’imperatore Giustiniano, l’imperatrice Teodora.
Si formano due Chiese
parallele, una Chiesa fedele all’impero ed una separata.
Il risultato è quello che
oggi è sotto gli occhi di tutti. Due comunità cristiane sire, una ortodossa e
una cattolica, distanti e vicine, così vicine che, durante il viaggio
apostolico di Giovanni Paolo II a Damasco nel 2001, per la prima volta si è
visto insieme al pontefice sulla “papa mobile” anche il patriarca greco-
ortodosso di Antiochia e di tutto l’oriente, S. B. Ignace I Hazim e il capo
supremo della Chiesa siro-ortodossa, S. S. Ignatius Zakka I Iwas”.
D.
R. “No! E’ una Chiesa minuscola:
appena 200 mila fedeli. Undici eparchie nel mondo e 15 vescovi”.
D. Qual è il
posto delle Chiese cattoliche orientali nella Chiesa universale e il loro
rapporto con
R. “Dalle chiese
ortodosse dei vari riti sono derivate le Chiese orientali cattoliche che sono
al presente 22. Sono dette “sui juris”. Hanno scelto l’unione con Roma, sono
state accolte dai successori di Pietro, fanno parte integrante della Chiesa
cattolica allo stesso modo della Chiesa latina. Nessuna ha un diritto di
primogenitura, nessuna è inferiore o superiore, tutte insieme formano la
cattolicità”.
D. Scegliendo
lei, il papa ha fatto una scelta orientalista.
R. “Papa Wojtyla,
chiamandomi a Roma, ha voluto onorare queste Chiese orientali ed ha voluto
facilitare i loro rapporti con
D. Segnali
d’apertura si mescolano a rigide chiusure. Dialogo e separatezze che sembrano
invincibili. Scenari opposti, forse, in Medio Oriente rispetto all’Est europeo
dove pure vi sono Chiese orientali.
R. “In Medio Oriente non
si lavora per la separazione. Al contrario, c’è un avvicinamento molto forte.
Le Chiese ortodosse non vedono più le comunità cattoliche come nemiche.
Convivono insieme. I patriarchi e i vesovi ortodossi hanno accolto il papa come
i patriarchi e i vesovi cattolici. Preghiamo insieme, andiamo insieme alle
feste”.
R. “Il condizionamento
storico è stato evidente. Nell’Europa dell’Est i regimi comunisti hanno scavato
un fossato che è difficile colmare. Fallito il comunismo le Chiese cattoliche
hanno ritrovato la libertà ed ora vogliono riprendersi il loro diritti, il che
ha irritato e irrigidito le Chiese ortodosse. In Slovacchia le questioni che riguardano la restituzione
dei beni alla Chiesa cattolica sono in via di soluzione. In Ucraina, in
Romania, nella Repubblica Ceca ci sono ancora dei problemi”.
D. Nella
comunione cattolica troviamo molti riti e la grande maggioranza di essi spetta
all’oriente. Lungo i secoli si può pensare ad una influenza reciproca, ad una
varietà di soluzioni a temi particolarmente dibattuti. Penso al clero uxorato,
ai preti sposati che avete mantenuto in oriente.
R. “Le Chiese d’Oriente
sono eredi di un patrimonio prezioso per
Le prime definizioni
dogmatiche della Chiesa cattolica sono venute dai Concili e dai Sinodi
orientali. L’apporto della Chiesa latina d’occidente si è fatto sentire specie
dopo l’anno mille. Dunque, abbiamo bisogno sia dell’apporto dell’oriente che
dell’occidente. Le parole dell’occidente non possono parlare al mondo moderno
senza le parole dell’oriente. Dobbiamo respirare con due polmoni. Il clero
sposato è una tradizione che abbiamo sempre conservato”.
D. Anche in
occidente, all’inizio, i preti si potevano sposare.
R. “Certamente.
D. Mi colpisce
questo “elogio al clero sposato” che viene da una beatitudine eminentissima. Il
discorso vale anche per l’Est europeo?
R. “Non ho dati
sufficienti su questo aspetto specifico relativamente agli anni della
persecuzione comunista nell’Europa orientale. Ma penso si tratti di una
situazione diversa”.
D. I preti
sposati in Medio Oriente sono stati perciò di aiuto al mantenimento della
presenza cristiana?
R. “Penso di sì. Hanno
conservato il cristianesimo nei villaggi e nelle campagne, sono stati punti di
coagulo per piccole comunità che altrimenti sarebbero state spazzate via”.
D. Beatitudine
Daoud, nel prossimo futuro non vede preti sposati anche nella Chiesa latina?
R. “Come orientale?”.
D. Sì, come
orientale, dal suo punto di vista.
R. “Come orientale penso
che si tratti di una buona istituzione, senza minimizzare il valore del
celibato”. Noi, in Oriente, possiamo scegliere due strade. Io, ad esempio, ho
scelto di essere sacerdote celibe, mentre mio zio ha scelto di essere prete
uxorato ed ha svolto molto bene il suo servizio pastorale”.
D. Potrebbe
essere una soluzione alla crisi delle vocazioni nei paesi occidentali. Che le
pare?
R. “La crisi delle
vocazioni non dipende dal matrimonio, dipende dalla fede. Quando la fede non
c’è non ci sono più vocazioni, né preti sposati o non sposati” (Besa/Roma).
ROMA
STUDI SULL’ORIENTE CRISTIANO
La rivista “Studi sull’Oriente Cristiano”
dell’Accademia Angelica – Costantiniana, diretta da Gaetano Passarelli continua
a includere nel suo ampio spettro di problematiche, anche tematiche che toccano gli interessi culturali
degli italo-albanesi.
Nel n. 8, 1/2004 presenta tre titoli importanti per
questo intento.
1. Innanzitutto presenta uno studio di Attilio
Vaccaro dell’Università della Calabria, pp. 131 – 192: “Fonti storiche e
percorsi della storiografia sugli albanesi d’Italia (secc. XV-XVII). Un
consuntivo e prospettive di ricerca”.
Presenta una bibliografia quasi completa
sull’argomento, offrendo un contributo importante per gli studi con un
orientamento storiografico ormai sperimentato, sicuro quindi per chi vuole
avviarsi in questi campi oppure scegliere aspetti da approfondire.
L’occasione di questa ricerca è stata la
presentazione dello stesso Vaccaro al Circolo “Besa-Fede” di Roma, della edizione
della versione italiana curata da Domenico Morelli, dell’opera dello Zavarroni
“Il Collegio Corsini di S. Benedetto Ullano” (Brenner, Cosenza 2002).
2. Il secondo contributo di tematica albanese è di
sabrina Patrillo, “Nascita della Cattedra di lingua e letteratura albanese
all’Istituto Universitario Orientale di Napoli” (pp. 193-209).
La ricostruzione puntuale della ininiziativa
culturale di creazione di una cattedra a Napoli, dà l’occasione di indagare gli
interessi che l’Italia aveva per l’Albania.
3. Il terzo contributo è dello stesso direttore
della rivista, autore di fondamentali studi sull’iconografia. Egli si è
soffermato su “alcune icone albanesi e la loro datazione” con la riproduzione a
colori di alcuni esemplari di icone albanesi (pp.211-246). L’occasione è data
da due mostre di icone albanesi, una a Roma (1998) e l’altra a Vicenza (2002).
Le due mostre evidenziavano un volto sconosciuto di
un’Albania spirituale; la redazione e la pubblicazione dei cataloghi rivelavano
anche la non competenza dei curatori.
L’autore dello studio puntualizza le date delle
opere. La riproduzione delle icone rende un servizio di valore (Besa/Roma).
ROMA: PREGHIERE PER OGNI
GIORNO
DALLA TRADIZIONE BIZANTINA
E’ già in distribuzione nelle librerie una nuova pubblicazione
di Gaetano Passarelli, membro della comunità italo-albanese di Roma (Il
Roseto – Preghiere per ogni giorno dalla tradizione bizantina, a cura di
Gaetano Passarelli, Ed. Città Nuova, pp. 200, euro 10,50). La cristianità di
rito bizantino ha elaborato nel corso dei secoli una ricchissima tradizione di
preghiera collettiva e individuale. Attingendo a questa tradizione ancora molto
viva, ma in Italia poco conosciuta, Gaetano Passarelli propone una raccolta di
preghiere quotidiane per la pratica individuale. Dalle preghiere del mattino a
quelle del pranzo o della cena, quelle per la semina, il raccolto e per
scongiurare la siccità, fino alle orazioni per intenzioni particolari: per chi
è alla ricerca di un lavoro o per la costruzione di una casa, per chi deve
intraprendere un viaggio o per essere custodito da un angelo. Completano la
raccolta i canti liturgici di Romano il Melode del VI secolo, di grande
bellezza espressiva. Con l’intento di offrire uno strumento accessibile a tutti
e di facile uso, Passarelli ha volutamente abbandonato ogni preoccupazione
filologica e, nella traduzione, ha scelto un linguaggio più aderente alla
realtà e alle esigenze di oggi.
Per i Salmi ed i Cantici biblici è
stata usata la traduzione ufficiale della Cei; per diverse preghiere bizantine
si è presa la traduzione dell’Eucologio Barberini gr.336 curata da
Stefano Parenti ed Elena Velkovska, per
i kontàkia di Romano il Melode l’edizione curata da Riccardo
Maisano (Cantici di Romano il Melodo, I-II Utet,Torino 2002), per l’Akathistos
si è usata la traduzione di Carlo del Corno (Firenze 1948). Si è anche
adoperata l’edizione italiana dell’Anthologhion (Roma 1999-2000) a cura
di maria Benedetta Artioli. E’ stata inoltre usata
TORINO: COMUNITA’ ARBËRESHE
Finanziato dalla Provincia di Torino è stato
pubblicato uno “Studio antropologico delle Comunità arbëreshe della Provincia
di Torino”, realizzato dall’Istituto di Scienze Neurologiche - Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Mangone (Cosenza), sotto la responsabilità di Antonio
Tagarelli.
La pubblicazione è strutturata in due parti: una
“Generale”, pp. 21 – 85 e una “parte Speciale”pp. 89-144.
La prima parte generale, anche alquanto generica
contiene:
1.
Gli antichi insediamenti in Italia della comunità albanese e la sua
recente emigrazione (Matteo Mandalà);
2.
L’importanza della letteratura
arbëreshe per la conservazione e l’arricchimento della sua cultura” (Anton
Nikë Berisha);
3.
La lingua degli arbëreshë (Giovanni Belluscio);
4.
Elementi sociali e di vita religiosa della comunità italo-albanese
nella città di Torino (Giovanni Bugliari);
5.
l’immigrazione a Torino negli anni del miracolo economico (Stefano
Musso).
La seconda parte presenta lo “Studio
antropologico” curato da Giuseppe Tagarelli, Anna Piro, Paolo Lagonia,
Francesca Condino.
Sono stati presi in considerazione i paesi
arbëreshë di provenienza, gli anni e i
dati numerici dell’emigrazione, la sistemazione nella provincia di Torino (con
relative cartine di sintesi), i matrimoni (realizzati tra arbëreshë e tra una
parte arbëreshe e l’ altra italiana).
Nella pubblicazione si solleva il problema della
legge sulle minoranze che non prevede la possibilità di riconoscimento dello status
di minoranza linguistica a quei gruppi che vivono al difuori delle localicà
riconosciute come tali. Non possono essere riconosciute come minoranze
linguistiche quelle associazioni, circoli, gruppi costituiti da emigrati
arbëreshë nelle grandi città dove si sono trasferiti per ragioni di lavoro o di
studio. “Questo stato di fatto ha messo in luce le incongruenze e
disuguaglianze presenti sia nella recente legge nazionale L. 482/9), sia nelle
inadeguate leggi regionali recanti norme di tutela per le minoranze anche
storiche d’Italia” (Besa/Roma).
ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE
TRE GIORNI DI LAVORO DELLA
CCC
Il presidente della CCC,
archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha introdotto i lavori presentando la
situazione della revisione in corso. Tre schemi sono stati già inviati agli
Ordinari, altri tre sono sostanzialmente pronti, gli ultimi quattro sono in
revisione. Nelle prossime settimane tutti saranno comunicati agli Ordinari “per
il loro esame previo per decidere se possono essere sottoposti alla discussione
sinodale”.
1.
Per l’odierno incontro erano
presenti il rev.do diacono prof. Luigi Fioriti e il prof. Nicola Corduano che
cureranno la revisione del testo in base alle indicazioni date dalla CCC.
Lo schema contiene queste
tematiche: I. Rievangelizzazione e famiglia; II. Mondo della scuola; III.
Giovani; IV. Mondo del lavoro; V. Cultura e mezzi di comunicazione; VI. Impegno
politico. VII.Comunità della diaspora.
Lo schema si collega e
presuppone altri schemi come:
2. Il secondo schema esaminato è stato “
Lo schema presenta i seguenti capitoli: I. Annuncio
cristiano; II. La missione nelle nostre Comunità; III. La missione delle nostre
Comunità; IV. La trasmissione della fede attraverso la cultura (bizantina,
arbëreshe, italiana). Le integrazioni delle osservazioni della CCC saranno
fatte dal diacono Luigi Fioriti in collaborazione con il prof. Nicola Corduano
e con la prof. Maria Franca Cucci.
3. Il terzo schema esaminato è stato quello su “Ecumenismo”.
Sullo schema era stato consultato p. Emmanuele Lanne. I suoi emendamenti sono
stati inseriti nel testo. Lo schema presenta tre parti chiaramente distinte: I.
L’ecumenismo come ricerca dell’unità dei cristiani; II. Il dialogo
interreligioso, relazioni con le religioni non cristiane; III. Le sette e i
nuovi movimenti religiosi.
4.
5.
6.
TIRANA: CONFERENZA
SCIENTIFICA
SU SAMI FRASHËRI (1850 –
1904)
In occasione del centenario della morte dello scrittore albanese
Sami Frashëri (1904-2004), l’Istituto di Storia, l’Istituto di Linguistica e
Letteratura dell’Accademia delle Scienze d’Albania, e
Sami Frashëri, il più giovane dei tre fratelli
Frashëri (Abdyl e Naim gli altri due) ritenuto l’intellettuale, ha preso parte
alla Lega di Prizren (1878) in cui maturò e si organizzò l’azione che avrebbe
portato all’indipendenza dell’Albania dalla dominazione ottomana.
Sami è uno scrittore che rispecchia fedelmente le
condizioni culturali dell’epoca: si è interessato della questione politica nel
dibattito sull’autonomia o sull’indipendenza dell’Albania, ha abbracciato il problema
dello sviluppo della cultura in generale all’interno dell’Impero e in Albania
in particolare, ha dibattuto il problema della lingua albanese come segno di
unità per tutta la popolazione albanese.
I suoi scritti sono in prevalenza in lingua turca, la
lingua ufficiale dell’epoca all’interno dell’Impero, e solo parte in albanese.
Famosa è la sua opera Shqipëria çka qenë¸ç’është e çdo të bëhet.
Gli studiosi che hanno preso parte al Convegno hanno
sottolineato il ruolo di Sami Frashëri come alfiere della nazionalità albanese,
come statista, come studioso di scienze naturali e come linguista. Sulla
questione linguistica si sono susseguiti gli interventi dei Professori Rexhep
Ismajli (Sami Frashëri come linguistica), di Seit Mansaku (Problemi di storia
della lingua albanese nell’opera di Sami Frashëri), di Emil Lafe (La lingua
letteraria unificata nel pensiero di Sami Frashëri), di Jorgo Bulo (Il
dizionario della lingua albanese di Sami Frashëri, progetto o realtà?) e di
Italo Costante Fortino, dell’Orientale di Napoli. Quest’ultimo, dopo avere
messo in rilievo la funzione dei carteggi epistolari nella ricostruzione
storica, ha focalizzato i punti salienti della lettera che Sami Frashëri ha
inviato a Girolamo De Rada, in data 20 febbraio
Il relatore ha concluso informando che rientra nei suoi piani di ricerca la pubblicazione completa della corrispondenza intercorsa tra Sami Frashëri e il De Rada e tra il De Rada e le altre personalità di primo piano sulla scena politica e culturale dell’epoca (Besa/Roma).
TIRANA:
E
La rivista “ARS” (Diretta da Irhan Jubica, che esce a Tirana ogni ultima
domenica del mese), mensile che dibatte problemi letterari con posizioni
avanguardiste, ha già pubblicato due lunghi articoli sulla letteratura
arbëreshe contemporanea.
Gli articoli, che rientrano in una serie di interventi sull’argomento, sono a firma di Caterina Zuccaro e intendono far conoscere la creatività letteraria arbëreshe dei giovanissimi, della generazione – per intenderci – successiva a quella di Vorea Ujko, di Dushko Vetmo e di Giuseppe Schirò Di Maggio. I due articoli pubblicati nei numeri 16 e 17 (aprile, maggio 2004) sono di introduzione e affrontano il tema del contesto culturale e linguistico arbëresh (Besa/Roma).
MEZZOIUSO
XIII CONVEGNO ECCLESIALE
Il Consiglio Pastorale Diocesano di Piana degli
Albanesi ha organizzato il XIII Convegno ecclesiale, a Mezzoiuso, nei giorni
9-10 luglio 2004, sul tema “
Nella prima giornata vi saranno due relazioni sulla fondazione etica:
a) Teologia della famiglia e accoglienza della vita (Salvino Leone);
b) Aspetti psicologici del ciclo familiare (Gabriella Paravisi).
Nella seconda giornata si tratterà il tema:
c) “La famiglia soggetto di evangelizzazione” con la
relazione di Rino
Nei pomeriggi vi saranno gruppi di studio che
riferiranno all’assemblea. Concluderà il vescovo Sotir Ferrara (Besa/Roma).
ALBANIA
NUOVE PUBBLICAZIONI
RELIGIOSE
In Albania vedono la luce nuove pubblicazioni di
carattere religioso non solo per iniziativa delle autorità ecclesiastiche e
orientate al culto o alla catechesi, ma anche per impulso di istituti culturali
di interesse storico o artistico.
1. ICONE BIZANTINE E POSTBIZANTINE
Una accurata pubblicazione con 60 splendide
riproduzioni a colori di icone albanesi è in circolazione (Ikona bizantine
dhe pasbizantine në Shqipëri – The byzabtine and post-byzantine icons in Albania,
2003, pp. 143). L’autore Ylli Drishti, storico dell’arte nella galleria
Nazionale di Tirana, premette uno studio su “L’arte iconografica albanese”,
mentre il dr, Kistofor Naslazi presenta i “Pittori medioevali albanesi” (Besa/Roma).
2.
DAI MANOSCRITTI ARCHIVISTICI
Una fonte preziosa di informazioni storiche sono gli
archivi ecclesiastici. Nevila Nika ha esaminato quelli relativi alla diocesi di
Scutari nel secolo XVIII (Dioqeza e Shkodrës gjatë shek. XVIII sipas dorëshcrimeve
arckivore, Shkodra 2001, ff. 260).
Vengono presentate le segueni tematiche:
3.. ISCRIZIONI NELLE CHIESE
Theofan Popa, storico dell’arte albanese, riproduce
e traduce significative iscrizioni nelle Chiese d’Albania dal VI al XIX sec.
con rilevanza storica particolare (Besa/Roma).
Teologia quotidiana
52
40° DEL DECRETO SULL’ECUMENISMO:
Quest’anno ricorre il XL della promulgazione del
decreto sull’ecumenismo Unitatis
Redintegratio del Concilio Vaticano II,
III.
L’agettivo “katholikòs” proviene dall’avverbio “kath’holou” che significa “in modo generale”, “universalmente”, in contrapposizione a “katà mèros”, nel senso di “parziale”, “particolare”. Nell’uso ecclesiologico, connesso al termine Chiesa, “credo nella Chiesa cattolica”, il termine comprende almento tre dimensioni: universalità, ortodossia, totalità. Dimensioni che ben si accordano con l’unicità della Chiesa di Cristo.
1. Caratteristica della
Chiesa di Cristo è che è estesa dappertutto e deve estendersi a tutti, a
tutte le genti, in tutti i tempi. Essa è universale per mandato di Gesù Cristo
(Mt 28, 19). Il termine katholikòs, assunto per esprimere questa
dimensione, non è biblico, viene preso dalla letteratura pagana, ma appare ben
presto nella didaskalia cristiana. S. Ignazio di Antiochia (+ 115 ca.) lo usa in
una espressione densa che mette in relazione l’elemento locale con quello
universale. Ai cristiani di Smirne scrive: “Dove è il vescovo, là sia la
comunità; così come là dove c’è Gesù ivi è
2.
3.
4.Questa visione di fede, vera e fondata, è
ferita tuttavia da contingenze storiche. Il Concilio Vaticano II ne segnala
due. La prima riguarda i cattolici stessi. Il Decreto sull’ecumenismo rileva
che: “I suoi membri (della Chiesa cattolica)
non se ne servono (di tutta la verità rivelata e di tutti i mezzi di
salvezza) per vivere con tutto il dovuto fervore, per cui il volto della Chiesa
rifulge meno” (UR, 4). La seconda riguarda le divisioni fra i cristiani
che “impediscono che
Roma, 3 luglio 2004
Circolare giugno 2004 167/2004
Ta lòghia – I Detti di Gesù (26): “Togli prima la trave nel tuo occhio”.................................... 1
LUNGRO: Visita del Card. Daoud Prefetto dell’Orientale........................................................... 2
ROMA: Il Card. Daoud ringrazia l’Eparchia di Lungro................................................................ 4
FIRMO: Convegno Internazionale sull’opera letteraria di Vorea Ujko .......................................... 4
GROTTAFERRATA: Mostra di icone russe............................................................................... 6
ALBANIA:
ROMA: Sinodo Intereparchiale – Incontri di maggio della CCC.................................................... 8
ROMA: Diritti dei migranti......................................................................................................... 8
CATANZARO: Millenario di San Nilo....................................................................................... 9
SANTA SOFIA D’EPIRO: Festeggiato papàs Capparelli............................................................ 9
LUNGRO: Museo dinamico .................................................................................................... 10
ROMA: S.E. Mons. Ferrara a S. Atanasio................................................................................ 10
CATROVILLARI: Visita pastorale alla comunità arbëreshe..................................................... .10
ROMA: Icone del Monte Athos.............................................................................................. .10
S. BENEDETTO ULLANO: Emilio Tavolaro.................. … ………………………………. 10
ROMA: 40° del Decreto sull’ecumenismo – II.
Ta lòghia – I Detti di Gesù (26): “Togli
prima la trave nel tuo occhio”
Il rapporto con il prossimo,
secondo l’insegnamento di Gesù Cristo, dev’essere impostato a misericordia e
nell’amore. Ieri e oggi grande è la tentazione di mostrarsi rigorosi ed
esigenti verso gli altri, mentre si esige incondizionata tolleranza verso se
stessi. Nel contesto del suo atteggiamento verso il prossimo, Gesù,
consigliando di “non giudicare per non essere giudicati”, esige dai suoi
discepoli un’analisi ed un vero esame di coscienza prima di esprimere alcun
giudizio. La stessa etica pagana già richiedeva di guardare prima a se stessi:
“Medice cura te ipsum”.
L’autoanalisi è una
condizione prerequisita per poter agire con equità e con umiltà. In fondo con
realismo. “Perché
osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello, mentre non ti accorgi della
trave che hai nel tuo occhio?” (Mt 7,3). La contrapposizione paradossale tra
pagliuzza (kàrphos) e trave (dokòn) è funzionale per sollecitare
il risveglio della coscienza. Gesù vuole suscitare la riflessione, attivare
l’uso della ragione. Egli continua con un secondo interrogativo: come potrai
chiedere al tuo fratello di togliere la pagliuzza dall’occhio, mentre tu sei in
una condizione peggiore della sua? Non una piccola parte di pula, portata dal vento, hai
nell’occhio, ma ua macchia
incommensurabilmente maggiore, quasi una trave. Tu sei ipocrita.
Enunzia quindi il suo
consiglio salvifico: “Togli prima la trave dal tuo occhio” (Mt 7,5). Metti a posto te
stesso e poi puoi anche aiutare tuo fratello. Gesù raccomanda la correzione
fraterna, ma come espressione di amore e non di prevaricazione. Giovanni
Crisostomo commenta (Omelie sul Vangelo di Matteo, 23,1): “Non si deve
assalire con arroganza, ma correggere con amore” (Besa/Roma).
Nei giorni (24-26 aprile 2004) per l’85° della sua istituzione (1919 –2004), ha fatto visita
all’eparchia di Lungro, il il Card. Ignace Moussa I Daoud, Patriarca emerito di
Antiochia dei Siri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Prima di lui
avevano visitato l’eparchia altri due prefetti della stessa Congregazione: il
cardinale Eugenio Tisserant (1959) per il XL della diocesi e nel 1995 il
cardinale Achille Silvestrini per l’apertura dell’Assemblea eparchiale.
Riportiamo due
indirizzi del Card. Daoud:
I.
E’ motivo di gioia particolare questo
incontro con voi.
Vi saluto molto
cordialmente e vi auguro una profonda esperienza della Pasqua del Signore che
stimoli il rinnovamento spirituale anche delle comunità che vi sono affidate.
Ai seminaristi
esprimo l'augurio per un cammino di preparazione al sacerdozio sempre generoso.
Tutti affido, con una speciale preghiera, alla Madre del Signore.
1. Il mio pensiero va
spontaneamente alla Messa del Sacro Crisma presieduta dal Santo Padre il
giovedì santo. Ho avuto la grazia di parteciparvi e penso anche alla sua
lettera indirizzata per l'occasione ai sacerdoti.
Un
punto mi preme richiamare:
sacerdoti
sappiate suscitare, con una vita integra e generosa, nella fedeltà alle
promesse sacerdotali, tante e sante vocazioni al sacerdozio, alla vita
consacrata e missionaria.
E voi seminaristi
attendete alla formazione umana, spirituale e culturale con tutto l'entusiasmo
della vostra giovinezza, affidandovi agli educatori posti dai Vescovi sul
vostro cammino. Diventerete, fin d'ora, una proposta vocazionale per i vostri
coetanei.
Mi
limito a dire che tutta
3. Un terzo aspetto
mi sta molto a cuore e riguarda l'atteso Sinodo intereparchiale delle
tre circoscrizioni bizantine in Italia. La preparazione si avvia alla
conclusione. I temi scelti corrispondono alle esigenze particolari di una
chiesa di tradizione orientale che vive in un contesto occidentale e in un
mondo che cambia. Le indicazioni del Concilio Vaticano Il e della nostra
Congregazione con l'Istruzione liturgica, e le linee pastorali della Conferenza
Episcopale Italiana vi potranno adeguatamente orientare.
Il
criterio di mantenere integre le tradizioni orientali e o di ritornare ad esse
laddove fosse necessario, come suggerisce chiaramente il Concilio, e la
preoccupazione dell'organico progresso delle nostre Chiese nell'attuale
contesto italiano offriranno uno slancio dinamico alla vita spirituale e
comunitaria di ciascuna circoscrizione.
Ve
lo auguro di cuore!
4.
Mentre rendiamo grazie a Dio per questo luogo santo, la fede ci fa pensare alla
Chiesa Comunità che lo Spirito Santo convoca in assemblea.
Desidero,
richiamare la realtà della Chiesa eparchiale, o "chiesa particolare",
come è chiamata dal Concilio Vaticano Secondo.
Ecco
gli elementi che la distinguono:
1) una porzione del popolo di Dio,
2) raccolta attorno ad un Vescovo,
3) impegnata nella evangelizzazione e nella carità,
perché è
4) fedele nella
celebrazione eucaristica.
E'
nella chiesa particolare, nella nostra amata Eparchia, nella sua realtà
concreta, con i suoi valori e le sue difficoltà, che troviamo i mezzi della
Salvezza:
Per
l' Eparchia di Lungro prego perché sia sempre all'altezza del dono e della
missione che ha ricevuto da Dio.
5.
Essa,
infatti, è unita ad una Chiesa sui iuris, che comprende altre chiese
particolari legate da un rito e da un patrimonio teologico e spirituale comuni.
Nella
Chiesa sui iuris risplende l'eredità di una venerabile tradizione
cristiana, che va gelosamente custodita e sviluppata. Le circoscrizioni di rito
bizantino d'Italia aspirano a questo pieno riconoscimento.
Siamo
fieri di appartenere alle chiese orientali e vogliamo dare il nostro contributo
personale di coerenza cristiana, e poi di amore e di studio, per conoscere
sempre meglio questo prezioso tesoro e favorirne lo sviluppo, affinché la
chiesa orientale che ci ha generati fiorisca e porti abbondanti frutti di
comunione interecclesiale.
6.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le comunità italo-albanesi di rito
bizantino sono parte viva della Chiesa universale, la quale riconosce alla
Chiesa di Roma la presidenza nella carità.
Siamo
altrettanto fieri dell'unità con Roma, con il Papa, con la roccia di San
Pietro! I nostri padri hanno pagato, non raramente col sangue, questa
appartenenza. Vorremo onorare questa eredità "cattolica" e trasmetterla
alle nuove generazioni. Uniti alla Chiesa di Roma, riceviamo la garanzia di
essere inseriti nell’ unica Chiesa: possiamo attingere alla linfa della fede
apostolica e beneficiare del carisma che l'Apostolo Pietro ha ricevuto da
Cristo Pastore, quello di confermare i fratelli nella verità e nella carità.
E'
per me un onore di portare in questa felice celebrazione il saluto e la
benedizione del Papa, che sentiamo tanto vicino e per il quale preghiamo.
II.
Omelia
durante
Saluto tutti, vescovi, sacerdoti, religiosi,
religiose, seminaristi carissimi e tutta questa amata assemblea.
Un saluto speciale a Sua Eccellenza Mons. Ercole Lupinacci, Vescovo di Lungro, che ha avuto l'amabilità di invitarmi in mezzo a voi. Grazie, Eccellenza Reverendissima!
Rivolgo
un pensiero rispettoso alle distinte autorità civili e militari, al Signor
Prefetto, al Signor Sindaco, e a tutti i Responsabili delle pubbliche
istituzioni. Sono lieto e grato per questa accoglienza tanto cordiale e
familiare.
Desidero,
prima di tutto, dire una parola sul brano tratto dal Vangelo di S. Marco, di
cui ricorre il ricordo liturgico in questo giorno.
l.
Per proclamare la verità della Risurrezione e propagarla tra le nazioni, il
Signore non ha fatto ricorso a grandi filosofi, scienziati o personalità
pubbliche e nemmeno a sofisticati mezzi di comunicazione.
Ha
preferito alcune donne, semplici, umili, perché fossero con la loro semplicità,
umiltà, fede e amore le prime testimoni della sua gloriosa Risurrezione e il
modello dei credenti.
S.
Marco ci presenta Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome, le
"Mirofore", che portano al sepolcro oli balsami ci per ungere il
corpo di Gesù.
Da
queste donne impariamo il coraggio, l'amore e la fedeltà. Le tre donne avevano
conosciuto Gesù, l'avevano seguito e amato. Dopo che Egli era stato arrestato,
giudicato e crocifisso ingiustamente, non lo avevano abbandonato; non erano
fuggite, come avevano fatto gli stessi Apostoli; erano rimaste fedeli fino alla
fine.
Era
ancora buio, quando queste donne percorrevano le vie di Gerusalemme per recarsi
al sepolcro. A causa della tristezza e della paura non scambiavano tra loro che
poche parole. Una cosa le preoccupava seriamente: "chi ci aiuterà a far
rotolare la pietra all'ingresso della tomba". Era una "pietra enorme"!
(16,4).
La preoccupazione conferma che le donne non erano
vittime di sogni o di allucinazioni. Mai avrebbero immaginato ad un evento come
Arrivate al
sepolcro, e vedendo la pietra rovesciata e la tomba vuota, ancora non
ipotizzavano l'evento. Pensavano piuttosto, che qualcuno avesse trasferito
altrove il corpo di Gesù. Così contempliamo Maria di Magdala che va da Simone e
da Giovanni per dire che hanno preso il Signore dal sepolcro. E anche nella
prima apparizione pensa ad un giardiniere più che al Risorto.
Le
donne ci insegnano una nuova lezione: non dobbiamo inseguire ciò che è
appariscente, miracoloso o stupefacente, bensì la certezza della verità!
E'
proprio S. Pietro a dire chiaramente:
"Non
per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate, vi abbiamo
annunziato Gesù Cristo!"
La
realtà e la verità, non negano la fede. La fede ci dispone ad accogliere
Alle
donne tocca un altro privilegio. Quello di essere le prime ad annunciare il
Cristo Risorto. E' la missione che ricevono dall'angelo. "Forza, andate a
dire ai discepoli e a Pietro: Lui vi precede in Galilea, è là che lo vedrete,
proprio come vi aveva detto". Non solo prime testimoni! Anche prime
annunciatrici! Furono proprio loro le prime missionarie. Dopo le donne, e gli
Apostoli,
Il Cardinale Eugenio Tisserant, con la sua cultura e il suo geniale amore per l'Oriente, visitò la vostra Eparchia nel quarantesimo dell'erezione e tanto vi sostenne in questo intento.
Sono lieto di seguire le sue orme e quelle dei miei
predecessori. Mi congratulo per l'ammirevole sviluppo della vostra Chiesa! Mi
rallegro col carissimo Vescovo Mons. Lupinacci, i sacerdoti, le religiose e
tutti i fedeli. E vi dico: il traguardo raggiunto è tanto significativo da
esigere un cammino ulteriore.
Quale
cammino?
Prima
di tutto la trasmissione alle giovani generazioni del tesoro della vostra spiritualità
perché trovino Colui di cui essa parla, il Signore Gesù, Via Verità e Vita!
E,
insieme, la fedeltà al patrimonio orientale nella lealtà. Il termine BESA,
nella vostra amata lingua, vuol dire appunto fedeltà leale! L’impegno è,
dunque, quello di custodire e sviluppare il tesoro della fede, dialogando però
con il nostro tempo, che è da amare, da apprezzare e per questo anche da
correggere e rinnovare! Senza paura del nuovo! In questa prospettiva si colloca
il Sinodo intereparchiale indetto per i prossimi mesi.
Sono
venuto a Lungro per incoraggiarvi su questo cammino. Il vostro Sinodo
eparchiale è da vivere; e il Sinodo intereparchiale da celebrare nel modo
più efficace.
Ponendosi
in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, la vostra Eparchia diverrà
instancabile nella missione. E unita alle altre comunità di Piana degli
Albanesi (qui c’è il Vescovo Sotir) e Grottaferrata sarà portatrice della
dimensione orientale nella Chiesa d'Italia.
Come
Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, figlio e pastore della
Chiesa di Antiochia dei Siri, condivido con voi la gioia di appartenere
all'Oriente cristiano.
Mi
è gradito portarvi il saluto del Santo Padre e la sua speciale benedizione per
questa amata Eparchia.
ROMA: IL CARDINALE DAOUD
RINGRAZIA L’EPARCHIA DI
LUNGRO
Di ritorno a Roma il Prefetto della Congregazione
per le Chiese Orientali ha ringraziato il vescovo e l’eparchia di Lungro, con
lettera del 30 aprile 2004, per l’accoglienza ricevuta. Tra l’altro ha scritto:
“Prego il Signore risorto per l’intera eparchia, che
accompagno con simpatia e incoraggiamento, augurando un sempre generoso cammino
di testimonianza al Vangelo e di servizio alla comunità umana nella fedeltà
alla tradizione orientale. Rinnovo, infine, uno speciale augurio per il
prossimo Sinodo Intereparchiale, di cui non mi sfugge l’importanza per lo
sviluppo delle Circoscrizioni cattolico bizantine in Italia” (Besa/Roma).
FIRMO: CONVEGNO
INTERNAZIONALE SULL’OPERA LETTERARIA DI VOREA UJKO
Il I maggio la comunità di Firmo (Cs) ha ospitato un
Convegno Internazionale sul poeta Domenico Bellizzi (1925-1989), noto con lo
pseudonimo di Vorea Ujko, in occasione della pubblicazione di tutta la sua
opera letteraria, quella edita e quella inedita, in poesia e in prosa.
Il volume di oltre 750 pagine è stato curato da I.
C. Fortino, per l’aspetto critico-letterario, da A. Giordano, per la sistemazione
dei testi, e da C. Zuccaro, per le traduzioni in italiano.
Oltre alla presentazione del volume, il Convegno si
proponeva di creare un momento di riflessione sulla produzione letteraria di
uno dei più stimati autori della letteratura della diaspora albanese.
Gli interventi degli studiosi – 4 d’Albania, 1 della
Kosova e 4 albanesi d’Italia – hanno affrontato gli aspetti salienti e più
significativi della sua produzione, riconoscendo tutti al Vorea il talento
poetico, il piglio informale ed estroverso, la forte carica umana, individuando
il particolare percorso artistico che coniuga cultura del passato con
esperienza culturale del presente.
La riproposizione della scoperta della cultura
popolare della comunità di appartenenza, nel risvegliargli profondi sussulti
d’animo, gli ha indicato la strada poetica da percorrere. Quasi un novello De
Rada si è posto di fronte all’ethnos albanese senza prevenzioni di sorta,
scavalcando il filo spinato posto dagli uomini, per immergersi nell’albanesità
e rimeditare su cinque secoli di storia. Il Vorea, in forma poetica moderna, ha
saputo creare un forte collegamento fra esperienza storica ed esperienza
vissuta nel presente. La sua, dunque, diventa arte viva che fa riflettere
sull’uomo, centro della sua costante attenzione, al di là di stereotipi
convenzionali storico-politico-religiosi. La libertà interiore di uomo di
radicate convinzioni pervade i suoi versi
rendendoli ricettivi. La poesia di Vorea appare come una favola, che sa
di nostalgie del passato confrontate con la realtà del presente, poesia
dell’evocazione e della protesta, poesia di un linguaggio che connota le
immagini con riuscite strutture foniche. Il linguaggio metaforico s’intreccia
con quello comune, familiare, per creare un connubio in cui realtà e astrazione
si possano armonizzare (I. C. Fortino).
Ogni poeta, oltre che artista, è sempre un uomo, e
Vorea è rimasto sempre uomo anche quando creava versi di elevatissima liricità
La qualità
profonda che lo ha contraddistinto in ogni circostanza è stata la grande carica
umana.
L’amore per l’uomo vero, mentre gli fa gridare
contro la disumanità dell’uomo moderno, lo porta a crearsi una visione positiva
nei confronti di ogni persona, anche per quelle che si pongono al di fuori
delle nostre categorie logiche.
In lui anche il bicchiere di vino gustato con gli
amici aveva una funzione esaltante, era un mezzo di comunicazione, un
giuramento d’amore che diventava contagioso per le coscienze.
In questa visione i suoi contatti con i maggiori
poeti d’Albania (Agolli, Arapi, Spahiu, Jorgaqi, Varfi, Gjata) divennero
rivelatori di una comune esperienza storica che riusciva a creare anche nel
presente positivi presupposti per un sodalizio umano e articolato, atto a
colmare l’ansia di comunicazione e di vero affetto (D. Agolli).
Vorea Ujko, trascinato dai sussulti del sangue, nel
1970 sorprendentemente scopre la terra albanese della Kosova, la voce del tempo
che si manifesta e fa sentire il suo timbro dopo cinque secoli. Non una terra
geograficamente ben delimitata, ma la terra albanese, in cui ritorna e ritrova
brandelli di se stesso. La poesia s’impossessa delle piante, degli uomini,
della loro voce che conoscono le sue stesse parole. Quando nessuno sapeva della
Kosova, egli la visitava e ne gridava la meraviglia. Di quella terra nutre il
nerbo della sua poesia che diventa robusta e distinta nella coloritura, con
note che la collegano per un verso al Serembe e per l’altro al De Rada (A. Vinca).
L’emozione del ritrovamento della terra madre, nel mentre in
De Rada era un sogno e come tale mai infranto dall’esperienza del reale, in
Vorea rimase sogno anche a contatto con la realtà. Infatti il suo è il viaggio
del ritorno verso una meta agognata e cantata da una schiera di poeti e
scrittori. Toccata e visitata la terra dei suoi antenati, egli è affascinato da
luoghi e persone. La realtà, bella o brutta, gli uomini, giusti o ingiusti,
nella sua mente si trasfigurano raggiungendo il mito. Il poeta diventa voce del
coro esaltante e soddisfa la sua ansia di identificazione con la madre terra (N. Jorgaqi).
La ricerca della espressione linguistica appropriata ha
impegnato Vorea Ujko durante tutto l’arco della sua creazione: alcuni testi li
redigeva prima in italiano e poi in albanese (prima fase), mentre altri
direttamente in albanese (fase della maturità).
Da una lingua che conservava
tratti tipici della sua parlata è passato a una lingua letteraria “alta”. In
ogni caso l’Ujko ha avuto sempre grande cura per l’espressione linguistica,
consapevole che la forma in poesia diventa sostanza, atta a contenere i germi estetici.
Ma sia che scrivesse in italiano, che in albanese, il Vorea si è dimostrato
ottimo poeta (C. Zuccaro).
L’arcobaleno lirico di Vorea Ujko
I simboli percorrono la poesia fin dallo pseudonimo Vorea,
che nella sostanza tradisce il senso di
“tramontana” e diventa “brezza”, e Ujko da “lupo” diventa “cerbiatto”, termini
che gli si addicono dopo avere letto le sue liriche e i poemi, ricchi di
umanità e di spirito. Uomo gioioso, cordiale, spiritoso, sensibile e curioso,
da cui sgorga con freschezza una poesia nuova nel quadro della cultura
albanese. L’umanesimo del Vorea abbraccia il mondo arbëresh, con le note che si
originano dalla poetica deradiana, e il mondo shqiptar, che pone solidi radici
nell’opera naimiana. Vorea è il poeta che crede nell’uomo e nella
trasformazione del mondo che passa dalle tendenze eccentriche e trasgressive a
un ecumenismo rigenerante. Egli crede nella immortalità dell’uomo, ma crede
anche nell’immortalità del verbo poetico, perché lui stesso poeta vero (Xh. Spahiu).
La poesia del nostos
in Vorea Ujko
Il viaggio poetico di Vorea è una metafora che si può
attribuire ad ogni persona pensante in un percorso che lo porta lontano, ma lo
fa anche rientrare in sé. E’ il viaggio di una cultura che sfida il tempo
perché viene riappropriata da generazione a generazione. Il viaggio di Vorea è
un tuffo nella profondità e un riemergere dalle profondità: è “nostos” nella
terra lontana cinque secoli, dove il fermento di echi arcani svela una cultura
comune. Quella terra, anche se tradita dagli uomini, rimane vergine nei sussulti e nelle voci che
s’impossessano del poeta (G.
Schirò di Maggio).
Le tendenze poetiche di Vorea Ujko
Il Vorea, consapevole delle contraddizioni politiche
esistenti nella terra madre, adotta un atteggiamento benevolo verso tutti, in
nome dell’impulso etnico. La sua sospensione di giudizio politico, spinto da
opportunità e deferenza, in nome del “ritorno” di un figlio proveniente da
lontano, dagli shqiptarë poteva essere intesa come sostegno alla loro politica.
Ci troviamo di fronte a due posizioni che si collocano in un quadro
differenziato di visione storica e della realtà del presente.
Anche nell’espressione
il Vorea vive un’avventura linguistica sorprendente: da una raccolta
all’altra acquisisce elementi linguistici, funzionali alla ricerca espressiva,
che avvicinano la sua koinè progressivamente alla lingua letteraria. Un
percorso linguistico che può essere letto anch’esso come “nostos” nella terra
madre (B. Suta).
Problematica dei testi letterari di Vorea Ujko
Il volume “L’opera letteraria” di Vorea Ujko ha avuto una
gestazione durata alcuni anni, che ha qualificato, con l’ottimo risultato,
l’Amministrazione comunale di Firmo – che ora diventa esempio per altre
amministrazioni – ed ha impegnato i curatori che, alla fine, hanno elaborato un
prodotto su una solida base scientifica e al contempo fruibile da un vasto
pubblico. Sono state reperite tutte le varianti d’autore, sia in redazione a
stampa, in genere su riviste, sia in redazione manoscritta. Grazie alla sensibilità
dei nipoti del Poeta, è stato possibile avere a disposizione tutti i fogli
manoscritti e ricostruire tutte le fasi dell’evoluzione della creazione
letteraria. Gli apparati critici, infatti, sono un riflesso delle varie fasi
attraverso cui è passato il testo poetico. Ciò impreziosisce l’opera perché
svela il processo di perfezionamento dei contenuti e della forma, e offre
strumenti di ulteriori riflessioni agli studiosi che volessero approfondirne lo
studio. La scelta di offrire ai lettori una bella traduzione italiana
dell’opera letteraria è stata fatta dai curatori per porre all’attenzione dei
lettori italiani un’opera di sicuro pregio letterario, appartenente ad una
letteratura che ha bisogno di essere conosciuta e possibilmente apprezzata (A. Giordano).
Conclusioni
Il pieno successo del Convegno è dovuto a più fattori: alla
capacità di attrazione di Vorea Ujko anche dopo morte, all’iniziativa originale
e insolita di investimento nella cultura presa dall’Amministrazione comunale di
Firmo, e non ultimo all’impegno professionale dei curatori dell’opera che hanno
voluto trasformare l’occasione del Convegno in un vero laboratorio linguistico,
adottando per le loro relazioni la variante linguistica arbëreshe.
A conclusione del Convegno si è potuto cogliere, in tutti
gli interventi, il giudizio unanimemente positivo sul valore estetico
dell’opera del Vorea. La sua, è stato ribadito, non è un’opera occasionale di
circostanza, ma un’opera di grande respiro poetico che trova addentellati, sotto
certi aspetti, per alcune sensibilità pavesiane e ungarettiane, nella grande
poesia italiana contemporanea. La poesia del Vorea, nell’ambito della
letteratura contemporanea degli albanesi d’Italia, spicca per valore estetico,
per la forza di ispirazione, per l’attenzione alla moderna espressività e per
la grande carica umana (Besa-Roma).
GROTTAFERRATA
MOSTRA DI ICONE RUSSE
Dall’8 maggio al 6 giugno ha avuto luogo a
Grottaferrata, nel contesto delle celebrazioni millenarie di S. Nilo, una
mostra di 250 icone russe della collezione Orler. Si tratta di icone dei secoli
XVI-XIX. Sul piano critico sono da segnalare in particolare una Discesa agli
Inferi dell’iconografo Tichon Filatev, una crocifissione del secolo XVII
proveniente da Tver, una icona-calendario di tutti i santi celebrati durante
l’anno risalente ai primi del secolo XIX.
E’ stato pubblicato un catalogo con le schede delle
icone curato da Giovanna Parravicini, mentre p. Matteo del Monastero di
Grottaferrata ha presentato la storia del monastero e le linee essenziali
dell’icona nella tradizione bizantina e del suo uso liturgico.
Mons. Eleuterio F. Fortino ha portato il saluto del
Pontificio Consiglio per
ALBANIA
Il nazionalismo spesso imprigiona
Sono stati pubblicati gli atti di una conferenza
internazionale sul tema “The Orthodox Churces in a
Pluralistic World – An Ecumenical Conversation”, Holy Cross Orthodox Press,
Brookline, 2004.
Tra le altre, vi è una relazione del metropolita
ortodosso albanese di Korça. S.E. Joan Pellushi
sul tema: “Ethnic Conflicts and Orthodox Church”.
Ne riportiamo, in nostra traduzione, alcuni
paragrafi:
In questo tempo di globalizzazione (e,
sfortunatamente, anche di uniformità), si ha l’impressione che molti valori tradizionali
siano a repentaglio. Tra questi, vi è il sentimento della perdita di identità
nazionale, che spesso alimenta il timore nei confronti degli stranieri ed
accresce lo spirito nazionalista, originando non di rado fenomeni peccaminosi
quali la xenofobia e l’inimicizia inter-etnica, che conducono spesso a
restrizioni dei diritti degli individui e delle nazioni, a persecuzioni, a
guerre e ad altre manifestazioni di violenza. Tutto ciò può essere contrastato
dal messaggio cristiano. La missione ed il valore della cristianità sono
universali. Essi non hanno niente da temere dalla globalizzazione. La cura per
la malattia della globalizzazione secolare e della perdita dei valori non può
essere il rintanarsi in un anfratto etnico e nazionale, ma la somministrazione
della medicina della cristianità, che è la sua missione universale. Il vero
cristiano non può sentirsi minacciato etnicamente, poiché una globalizzazione
cristiana non nega l’etnicità. La missione universale della cristianità non è
l’uniformità, ma l’unità.
La rivelazione divina e la vita in Cristo tramite i
sacramenti della Chiesa sono assoluti. Pertanto, ogni altro valore relativo che
incide su questi valori assoluti non può essere accettato dalla Chiesa – la
patria celeste è superiore ad ogni patria terrena. Il santo Giovanni di
Kronstadt ha scritto, sull’amore verso la patria terrena:
“Ama la patria
terrena… lei ti ha fatto crescere, ti ha distinto, ti ha onorato e provvisto di
tutto; ma nutri un amore speciale per la patria celeste… quella patria è
infinitamente più preziosa di questa”.
Nei conflitti etnici,
Sulla base di un’antropologia cristiana che crede
che Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (Atti 17,26),
Per concludere, desidero citare le parole di N.
Berdayev:
Ci sono sempre
state due razze nel mondo; esse esistono oggi e questa divisione è la divisione
più importante. Ci sono coloro che crocifiggono e coloro che sono crocifissi,
coloro che opprimono e coloro che sono oppressi, coloro che odiano o coloro che
sono odiati, coloro che infliggono sofferenze e
coloro che soffrono, coloro che perseguitano e coloro che sono perseguitati.
Non occorre certo spiegare dalla parte di chi i cristiani dovrebbero stare (Besa/Roma).
ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE
INCONTRI DI MAGGIO DELLA CCC
Nel mese di
maggio
Il 6 maggio 2004, si è
svolta a Roma, nella sede della Segreteria centrale presso
L’incontro è stato aperto con la preghiera
per il Sinodo guidata Madre Aurelia Minneci. Il presidente della CCC,
archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha informato sul procedimento in corso dei
lavori di revisione. Ha presentato l’Ordine del Giorno. Nella prima sessione di lavoro si è studiata
la procedura da proporre agli Ordinari per l’approvazione di un decreto sulle
modalità circa la validità delle sessioni e delle decisioni dell’Assemblea
Sinodale in relazione al can. 924 del CCEO.
In seguito si è studiata la compilazione dell’elenco
delle persone da convocare per il Sinodo, secondo le varie categorie previste
dal Decreto di Indizione del Sinodo, elenco da sottoporre agli Ordinari.
Nel pomeriggio il presidente ha introdotto lo studio
fatto sul progetto di Schema sul “Diritto Canonico” elaborato dalla
competente Commissione. Erano stati consultati i canonisti: prof. dr. Carl
Gerold Fürst (Germania) e il prof. p. Lorenzo Lorusso (Istituto Ecumenico di
Bari).
Il prof. p. Dimitrios Salachas ha presentato una
nuova redazione dello schema con l’analisi e l’integrazione delle osservazioni
ricevute. Sono state esaminate e discusse le nuove formulazioni di diversi
canoni.
La prossima riunione della CCC avrà luogo il 25
maggio 2004 per l’esame dello schema “Formazione del clero e alla vita
consacrata”, su cui sono stati consultati il rev. prof. p. Luigi Padovese,
l’Archimandrita p. Manel Nin, rettore del Pontificio Collegio greco, e il rev.
p. Nicola Cuccia rettore del Seminario Pontificio “Benedetto XV” di
Grottaferrata (Inter/Sinodo).
Il 25 maggio 2004, si è
svolta a Roma, nella sede della Segreteria centrale presso
L’incontro è stato aperto
con la preghiera per il Sinodo guidata dall’Archimandrita p. Antonino Paratore.
1.
presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F.
Fortino, ha informato sul procedimento in corso dei
lavori di revisione. In particolare ha comunicato che p. Lamberto Crociani,
esperto per il Sinodo, ha riveduto lo schema “Catechesi e Mistagogia”.
Per lo schema “
2.
Padre Antonio Costanza, segretario della competente commissione, ha
presentato lo schema “Formazione del clero e alla vita consacrata”, sulla base dei pareri di p. Luigi Padovese,
delegato per i collegi della Congregazione per le Chiese Orientali, di p. Manel
Nin, rettore del Pontificio Collegio Greco e di Suor Rosalia, della
Congregazione delle Suore Basiliane, a nome delle religiose impegnate nella
preparazione del Sinodo. Sono state prese in considerazione le osservazioni
ricevute.
3. In seguito
si è esaminato lo schema “Rapporti Inter-rituali” sulla base delle
osservazioni del prof. Carl Gerold Fürst (Germania) e di p. Lorusso (Istituto
Ecumenico “S. Nicola” di Bari). E quindi il progetto di “Regolamento del
Sinodo” su cui si erano ricevuti i due pareri richiesti per una “lettura
canonica” ai professori p. Dimitrios Salachas e mons. Natale Loda.
4. Sono state esaminate diverse questioni
organizzative (convocazione dei membri sinodali, invito a membri di altre
Chiese, ecc.). Il Sinodo avrà inizio il 17 ottobre, Domenica dei Santi Padri
del VII Concilio Ecumenico e si svolgerà in tre sessioni:
I sessione
dal 17 al 22 ottobre 2004
II sessione dal 15 al 19 novembre 2004
5.
Il Pontificio
Consiglio per la cura pastorale dei Migranti ha pubblicato il 14 maggio una
Istruzione sull’accoglienza dei migranti per ragioni di lavoro, di studio, o
per situazioni politiche avverse (“Erga migrantes caritas Christi”).
Vi sono degli articoli che riguardano i membri delle Chiese Orientali
cattoliche.
Le diposizioni
dei due codici e l’orientamento della Istruzione si applicano anche agli
arbëreshë di rito greco che si trovano a vivere in parrocchie di rito latino,
in Italia o all’estero.
Riportiamo gli
articoli relativi agli orientali cattolici:
52. I migranti
cattolici di rito orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare
attenzione pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l'obbligo
giuridico di osservare dovunque - quando sia possibile - il proprio rito,
inteso come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (cfr.
CCEO can. 28, §l e PaG 72).
Di conseguenza
"anche se affidati alla cura del Gerarca o del parroco di un'altra Chiesa
sui iuris, rimangono tuttavia ascritti alla propria Chiesa sui iuris"
(CCEO can. 38); anzi, l'usanza, pur a lungo protratta, di ricevere i sacramenti
secondo il rito di un'altra Chiesa sui iuris, non comporta l'iscrizione alla
medesima (CIC can. 112, §2). Vi è, infatti, divieto di "cambiare rito
senza il consenso della Sede Apostolica" (CCEO can. 32 e CIC can. 112,
§1).
I migranti cattolici
orientali, poi, fermo restando il diritto e il dovere di osservare il proprio
rito, hanno pure il diritto di partecipare attivamente alle celebrazioni
liturgiche di qualunque Chiesa sui iuris, quindi anche della Chiesa Latina,
secondo le prescrizioni dei libri liturgici (cfr. CCEO can. 403, §1).
53. Il Concilio
Ecumenico Vaticano II (CD 23) in effetti stabilisce che: "Dove si trovano
fedeli di diverso Rito, il Vescovo deve provvedere alle loro necessità, sia per
mezzo di sacerdoti o parrocchie dello stesso Rito; sia per mezzo di un Vicario
episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se opportuno, insignito anche
del carattere episcopale; sia da se stesso come Ordinario di diversi
Riti". Inoltre "il Vescovo può costituire uno o più Vicari Episcopali
che, in forza del diritto ... nei riguardi dei fedeli di un determinato Rito,
godono dello stesso potere che il diritto comune attribuisce al Vicario
Generale" (CD 27).
54. Conformemente al
dettato conciliare, il CIC (can. 383, §2) stabilisce quindi che se il Vescovo
diocesano "ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro
necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia
mediante un Vicario episcopale".
Questi, a norma del
can. 476 del CIC, "ha la stessa potestà ordinaria che, per diritto
universale ... spetta al Vicario generale" anche in rapporto ai fedeli di
un determinato rito.
Il CIC, dopo aver
enunciato il principio della territorialità della Parrocchia, stabilisce
infatti che, "dove risulti opportuno, vengano costituite parrocchie
personali, sulla base del rito" (can. 518).
55. Qualora così si
proceda, tali Parrocchie faranno giuridicamente parte integrante della Diocesi
latina, e i Parroci del medesimo rito saranno membri del Presbiterio diocesano
del Vescovo latino.
E' da notare,
tuttavia, che sebbene i fedeli, nell'ipotesi prevista dai suddetti canoni, si
trovino nell'ambito della giurisdizione del Vescovo latino, è opportuno che
questi, prima di istituire Parrocchie personali o designare un Presbitero come
assistente o parroco, o addirittura Vicario episcopale, entri in dialogo sia
con
Varrà qui ricordare
infatti che il CCEO (can. 193, §3) prevede, quando i Vescovi eparchiali
"costituiscono questo tipo di presbiteri, di parroci o sincelli per la
cura dei fedeli cristiani delle Chiese patriarcali", che essi
"prendano contatto con i relativi Patriarchi e, se sono consenzienti,
agiscano di propria autorità informandone al più presto
Sebbene nel CIC manchi
una espressa disposizione a questo proposito, per analogia essa dovrebbe però
valere anche per i Vescovi diocesani latini (Besa/Roma).
CATANZARO
MILLENARIO DI S. NILO
Il 14 maggio
S. SOFIA D’EPIRO
FESTEGGIATO PAPÀS CAPPARELLI
Per il 60° di arcipretura in S.Sofia d’Epiro, sabato 15 maggio 2004, è stato calorosamente festeggiato l’Archimandrita Papàs Giovanni Capparelli, sacerdote zelante e perseverante nel suo lungo ministero parrocchiale.
Vi ha partecipato il vescovo diocesano, Mons.
Lupinacci assieme all’egumeno di Grottaferrata, padre Emiliano, nativo del
luogo, molti sacerdoti dell’eparchia, autorità locali e la grande moltitudine
dei fedeli.
Per l’occasione è stata donata alla parrocchia dalla
Comunità francesana dell’Ara Coeli di Roma una reliquia di S. Atanasio, patrono
di Santa Sofia (Besa/Roma).
L’Amministrazione comunale di Lungro ha un piano per
realizzare un “Museo dinamico della cultura arbëreshe”. A questo scopo
sono state organizzate due giornate di riflessione (21-22 maggio 2004) con tre
sessioni.
Nella prima si è affrontato il seguente tema:
“Alcune problematiche della dignità arbëreshe: pari dignità di una lingua meno
diffusa, conservazione ed insegnamento, religiosità greco-bizantina e devozione
popolare”.
Per l’aspetto religioso si sono avuti due
intenventi: “Ruolo dell’eparchia di Lungro, tra gli italo-albanesi dell’Italia
continentale” (Archimandrita Donato Oliverio) e “L’introduzione delle
icone nell’eparchia di Lungro” (dr. Daniela Moccia).
La seconda sessione trattava un tema proprio del circondario: “Le saline di Lungro, l’ambiente e la storia politica e sociale” con quattro interventi di docenti dell’Università della Calabria.
La terza sessione considerava “L’aspetto della
ricerca antropologica sul terreno, l’ecomuseo e l’identità delle Comunità”.
Ha tirato le conclusioni il Prof. Cesare Pitto, dell’Università
della Calabria, sugli “Sconfinati confini del museo dinamico di Lungro” (Besa/Roma).
ROMA
Domenica 23 maggio 2004, commemorazione dei Santi
Padri del I Concilio Ecumenico di Nicea
(325), ha presieduto
Al termine della Liturgia egli ha anche presieduto
il Trisaghion per la madre del prof. Domenico Morelli della Comunità arbëreshe
di Roma.
Nella sala del Circolo “Besa-Fede” Mons. Ferrara è
stato festeggiato con il canto del polychronion (Besa/Roma).
CASTROVILLARI
VISITA PASTORALE
ALLA COMUNITA’ARBËRESHE
Informazione della Curia eparchiale di Lungro:
Nei giorni 23-24 maggio il vescovo Ercole Lupinacci
ha svolto la sua prima visita pastorale alla parrocchia bizantina di
Castrovillari. Essa è stata istituita il 9 marzo 2003 e parroco è stato
nominato il Protopresbitero Antonio Bellusci.
La nuova parrocchia vuole essere un punto di
riferimento sia spirituale che culturale per gli italo – albanesi presenti a
Castrovillari, provenienti da vari paesi arbëreshë, i quali si sono ben
integrati nella società castrovillarese.
Domenica 23, il vescovo ha celebrato la solenne
liturgia pontificale, dove ha partecipato un buon numero di fedeli bizantini,
presenti anche i sindaci di Castrovillari e di Frascineto; nel pomeriggio il
vescovo ha fatto visita ai malati della parrocchia bizantina nelle loro
abitazioni. Lunedì 24, il vescovo ha ricambiato la visita al Sindaco di
Castrovillari, il prof. Franco Blaiotta, arbëresh di Frascineto, con il quale
ha auspicato una sempre maggiore collaborazione tra le due istituzioni da loro
rappresentate per il bene di tutta la collettività.
In seguito il vescovo ha completato la visita ai
malati (Besa/Roma).
ROMA
ICONE DEL MONTE ATHOS
“Il volto dell’assoluto”. Con questo titolo ha avuto
luogo dal 24 maggio al 6 giugno 2004 una mostra di icone del Monte Athos al
Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma.
Sono state esposte 40 icone dipinte dai monaci
athoniti contemporanei operanti nella Nea Skiti annessa al Monastero di S.
Paolo sull’Athos.
La mostra viene presentata come “Esposizione dedicata alla bellezza e alla spiritualità della pittura sacra bizantina” (Besa/Roma).
S.
BENEDETTO ULLANO
EMILIO
TAVOLARO
Quest’anno cade il XX
anniversario della morte di Emilio Tavolaro (1899 – 1984).
Nel prossimo autunno si
terrà una giornata commemorativa che metterà in rilievo il suo contributo alla
tutela e alla promozione della cultura arbëreshe (Besa/Roma).
Teologia quotidiana
51
40° DEL DECRETO SULL’ECUMENISMO:
Quest’anno ricorre il XL della promulgazione del
decreto sull’ecumenismo Unitatis
Redintegratio del Concilio Vaticano II,
Tra le quattro note della
Chiesa – una, santa, cattolica e apostolica – quella che risulta documentata
per prima nelle professioni di fede è la santità, tanto in oriente quanto in
occidente. La cosiddetta “Lettera degli Apostoli”, scritta in Asia Minore
attorno agli anni 160-170, e giuntaci nella versione etiopica, menziona: la
fede nel Padre, in Gesù Cristo, nel Santo Spirito, nella Chiesa Santa e
nella remissione dei peccati (Denzinger-Hünermann,1). Ugualmente il più antico
simbolo occidentale detto “Apostolico” contiene la menzione della “Santa
Chiesa”
1. Il progetto del Padre è la salvezza dell’umanità
e la sua partecipazione alla vita divina. “Siate santi perché io sono santo”
(Lv 19,2). L’incarnazione del Verbo che ha assunto la natura umana è l’atto
redentivo fondamentale, completato dalla morte e dalla resurrezione di Cristo e
della discesa dello Spirito Santo. L’opera salvifica è continuata nel tempo
attraverso
2.
3. La conversione, il rinnovamento, la riforma sono
pertanto richiesti ai singoli cristiani e all’intera comunità ecclesiale. Il
Decreto sull’ecumenismo ha proposto la riforma della Chiesa, indicando
orientamenti e modalità. “
Roma, 6 giugno 2004
Circolare marzo 2004 165/2004
Tà lòghia – I detti di Gesù (24): “A ciascun giorno basta la sua pena”.................................. 1
ROMA: Relazioni con le Chiese ortodosse............................................................................... 2
ATENE:
ROMA: Gennaro Cassiani (1903-1978) commemorato all’Istituto Sturzo................................. 6
ROMA: Fede e Martirio – Chiese Orientali cattoliche............................................................... 6
NAPOLI: Tendenze linguistiche tra gli autori arbëreshë contemporanei...................................... 7
MILANO: Ruolo dei Patriarchi nelle Chiese Ortodosse............................................................ 8
CHEVETOGNE: 50° di P. Giacomo Engels............................................................................. 8
ALBANIA: Quaresima di evangelizzazione............................................................................... 9
ROMA:Sinodo Intereparchiale - Incontro mesnile della Commissione Centrale........................ 10
ROMA: Quaresima a S.Atanasio............................................................................................ 10
ROMA: Kerygma, catechesi e mistagogia............................................................................... 11
Tà
lòghia – I detti di Gesù (24): “A ciascun giorno basta la sua pena”
Gesù sta spiegando ai suoi
discepoli la
vera pratica religiosa nel suo grande discorso
“sulla montagna”. Ha già promulgato le beatitudini (Mt 5,1-14), ha introdotto la legge nuova (Mt
5,17-47), ora insegna il modo di praticarla (Mt 6, 1-7,28) concentrato
sulla ricerca prioritaria del Regno. Ciò comporta conoscenza e pazienza, nella
quotidiana obbedienza e fiducia in Dio. L’orientamento al Regno incontra la
contraddizione delle tendenze istintive dell’uomo, la sofferenza, la malattia,
il dolore e la croce. La via che porta al Regno è quella della conversione.
Gesù è esplicito: “Se qualcuno vorrà venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno (kath’emèran) e mi
segua” (Lc 9,23). Questa situazione non dovrà essere appesantita con le
preoccupazioni del domani. Il futuro avrà le sue pene. Ma noi viviamo oggi e
per l’oggi bastano i suoi disagi, le sue tentazioni, il suo peso. “Non affannatevi dunque per
il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno
basta la sua pena” (Mt 6,34).
“Perché aggiungi un’altra
tribolazione che ti viene dalle preoccupazioni?”, chiede S. Giovanni
Crisostomo, commentando questo passo (Omelie sul Vangelo di Matteo, 22,3). E aggiunge: “Niente fa soffrire l’animo così come l’affanno e la
preoccupazione”. Se entri in questa perversa dinamica, vi rimarrai
imprigionato. “Perché se oggi ti
preoccupi per il domani, anche domani ti preoccuperai di nuovo”. Il Crisostomo
nota che così facendo neanche si “alleggerisce il domani”. Il domani avrà le
sue pene.
Occorre quindi vivere il
nostro “oggi” che è l’oggi di Dio con fiducia in Dio, con speranza nel suo soccorso.
Nella preghiera insegnata da Gesù stesso ai discepoli si chiede: “Dacci oggi il
nostro pane quotidiano .. e liberaci dal male”. Non si tratta di un tipo di
vita irresponsabile, ma di una visione nella fede. “Il giusto vive di fede”
(Rom 1,17). Quando si dice che a ciascun giorno basta la sua pena, si vuol
liberare lo spirito dei credenti da preoccupazioni inutili accettando il
presente sperando nel domani di Dio (Besa/Roma).
Roma
RELAZIONI CON LE CHIESE ORTODOSSE
In
occasione della “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani”
l’Osservatore Romano (18.1.2004) ha pubblicato un resoconto delle relazioni con
le Chiese ortodosse nel
Nell’ultimo anno le relazioni fra
Le relazioni con le Chiese
ortodosse
nel loro insieme
Nell’ultimo decennio però, da
quando è stato pubblicato il suo quarto documento su “L’uniatismo, metodo di unione del passato e l’attuale ricerca della
piena unità” (Balamand 1993), il dialogo teologico con tutta
In
questa prospettiva è necessario l’accordo di tutte le Chiese ortodosse. Questa
ricerca avviene attraverso varie iniziative. Da una parte attraverso
consultazioni sull’aspetto tecnico del dialogo, la composizione e il
funzionamento della Commissione Mista Internazionale, e dall’altra nel
migliorare le condizioni di fiducia e di fraternità con le singole Chiese ortodosse
con rapporti e collaborazioni bilaterali.
Da parte ortodossa, si rimprovera alla Chiesa cattolica di usare iniziative, che essi giudicano come espressioni di proselitismo e di promuovere metodi che essi considerano uniatistici. Su questi temi si continua a discutere senza raggiungere ancora una vera intesa anche se la risposta cattolica, a vari livelli, viene presentata e precisata con insistenza. Un’ eco si trova anche nel discorso pronunciato al Fanar dal Card. Kasper che si riferiva alla carità reciproca: “Questo amore esclude ogni forma di gelosia, di competizione, di proselitismo. Quest’ultimo non è la linea di condotta della Chiesa cattolica. Il dialogo ecumenico è uno scambio non solo di idee ma – come ribadisce il Papa Giovanni Paolo II – di doni spirituali. Entrambe le nostre Chiese sono ricche di doni dello Spirito. Gli uni e gli altri abbiamo ricche tradizioni liturgiche, spirituali, teologiche, che non sono contraddittorie bensì complementari, così come era evidente nel passato. Esse non appartengono all’una o all’atra Chiesa, ma all’unica e intera Chiesa di Cristo. In tal modo la piena comunione verso cui ci orientiamo non è né può essere una impoverita uniformità, ma una ricca e florida unità nella pluriformità con tutto lo splendore della vera bellezza della Chiesa di Cristo
Il fatto che
Si è continuata la riflessione incominciata dopo la
pubblicazione dell’Enciclica Ut Unum Sint sulla richiesta del Santo Padre di studiare insieme,
cattolici e ortodossi, la questione del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa
allo scopo di trovare una forma di esercizio del primato che possa essere
accettata dagli uni e dagli altri e così rendere fecondo il servizio di unità
che gli è proprio. Il PCPUC ha organizzato un symposium accademico cattolico –
ortodosso (21 – 24 maggio 2003) proprio sul ministero petrino. Al symposium
partecipavano teologi a titolo della loro competenza, ma erano stati invitati
su segnalazione delle rispettive Chiese. Vi hanno preso parte 25 invitati.
Sono stati affrontati quattro temi su cui vi sono state otto
relazioni, due per ciascun tema, una di un cattolico e una di un ortodosso. I
temi affrontati sono stati:
a)
Il fondamento biblico del primato (Mgr. Joachim Gnilka, cattolico –
Rev. Theodore Stylianopoulos, ortodosso);
b)
Il primato nel pensiero dei Padri della Chiesa (Prof.
Vlassios Feidas, ortodosso –Rev. Vittorino Grossi, o.s.a, cattolico);
c)
Il ruolo del vescovo di Roma nei Concili Ecumenici (Prof.
Vittorio Peri, cattolico – Rev. Nicolae V. Dura, ortodosso);
d)
Le discussioni recenti in merito al primato in relazione al Vaticano I
e la discussione sul primato fra i teologi ortodossi (Rev.
Hermann Josef Pottmeyer, cattolico – Metropolita prof. Joannis Zizioulas,
ortodosso).
Per continuare la riflessione saranno pubblicati gli atti
del symposium. Forse il suo apporto più importante è stato, nel confronto, quello della individuazione, della
definizione e della precisazione dei veri problemi implicati. La storia del
ministero petrino, nei rapporti tra i cristiani divisi, è fatta anche di
polemiche aspre, di incomprensioni, di esagerazioni. Uno studio scientifico
sulle fonti evangeliche e sulla tradizione della Chiesa può apportare la
serenità necessaria per garantire un
dialogo più costruttivo.
In
questi ultimi anni sono aumentati i rapporti con singole Chiese ortodosse tanto
con visite del Santo Padre quanto del Cardinale Presidente del Pontificio
Consiglio per
Questa prospettiva di azione era
prevista fin dal 1964, dalla III Conferenza pan-ortodossa di Rodi, che aveva
considerato se e come aprire il dialogo fra tutta
Nel frattempo e a questo scopo –
si diceva allora - le singole Chiese potevano avere “relazioni fraterne con
Nell’ultimo anno, si sono mantenute e talvolta incrementate le relazioni bilaterali. Si sono affrontate nuove difficoltà di cui molte sono ancora oggetto di seria discussione.
Con
il Patriarcato ecumenico, oltre a momenti particolari, vi è stato lo scambio
regolare di visite per le feste patronali a Roma (29 giugno) e al Fanar (30
novembre), occasione di preghiera comune e di festa, ma anche di conversazioni
per coordinare le iniziative e per affrontare difficoltà emergenti.
Nel discorso durante l’udienza ufficiale concessa alla delegazione ortodossa per la festa di S. Pietro e Paolo (2003) presieduta dall’Arcivescovo ortodosso di America S.E. Dimitrios, il Santo Padre, tra l’altro, si è riferito alle consultazioni che il Patriarcato Ecumenico sta conducendo tra le Chiese ortodosse, per rilanciare il dialogo ecumenico.
Il Santo Padre ha affermato: “Sono profondamente grato per gli sforzi
compiuti negli ultimi mesi dal Patriarcato Ecumenico per coordinare il
proseguimento del lavoro della Commissione Internazionale Mista per il dialogo
teologico tra
Nel
mese di giugno 2003 Il Patriarca Ecumenico, particolarmente interessato alla
salvaguardia del creato, ha organizzato, dopo quello precedente sul Mare
Adriatico, un symposium sul Mar Baltico.
Il
card. Walter Kasper vi ha partecipato ed
ha portato un messaggio del Santo Padre. (2 giugno 2003).
Relazioni
a vari livelli si sono avute praticamente con tutte le Chiese ortodosse. Quelle
con cui si sono avuti nuovi rapporti sono i Patriarcati di Serbia e di
Bulgaria, e
In seguito alla visita del Santo
Padre all’Aeropago di Atene (2001), per la prima volta
Di
rimando
Nel messaggio inviato
all’Arcivescovo Christodoulos il Santo Padre ha scritto: “Auspico,
Beatitudine, che questo nuovo contatto susciti forme concrete di cooperazione
tra noi.
Dal 1 al 3 giugno
Nella prima settimana di
settembre
Nella
settimana tra il 15 e il 20 settembre 2003 un gruppo di 31 parroci ortodossi di
Atene, con l’approvazione dello stesso Arcivescovo Christodoulos, ha fatto una
visita di contatto a Roma, visitando uffici della Santa Sede, istituzioni
culturali, parrocchie e movimenti come i focolarini e
Ad un anno di distanza dalla visita del Santo Padre in Bulgaria, una delegazione del Santo Sinodo di Sofia ha fatto visita a Roma (22-27 maggio 2003). Nella circostanza è stato inaugurato l’uso liturgico da parte della Comunità bulgara ortodossa di Roma della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio nei pressi di Fontana di Trevi.
Una delegazione del Santo Sinodo
del Patriarcato di Serbia è stata a Roma dal 3 all’8 febbraio 2003 e ha avuto
contatti con il Pontificio Consiglio per
Anche la piccola Chiesa autocefala di Albania mantiene buone relazioni tanto con Roma, quanto con i cattolici sul luogo. Per la beatificazione di Madre Teresa, S.B. Anastas, Arcivescovo di Tirana e di Tutta l’Albania, ha inviato a Roma, come membri della delegazione albanese, il metropolita di Korça e il decano della Scuola Teologica di Durrës.
Questi elementi segnalati sono soltanto alcuni esempi che intendono mostrare come le relazioni bilaterali si estendono pur nella loro complessità.
Questi contatti sono una fonte preziosa di conoscenza reciproca e occasione di chiarificazione dei problemi aperti. Il processo di avvicinamento tra cattolici e ortodossi è lento, ma, nello stesso tempo, molto variegato. Le situazioni storiche, psicologiche, sociologiche sono diverse da Chiesa a Chiesa. All’orizzonte di tutto rimane il dialogo teologico, lo strumento specifico per la discussione delle divergenze permanenti.
La preghiera per l’unità che in questa settimana si eleva al Signore della Chiesa sarà certamente di sostegno e di illuminazione per tutti coloro che sono impegnati in questo compito evangelico di ricomposizione della piena comunione dei discepoli di Cristo (Besa/Roma).
ATENE
In occasione delle recenti pubblicazioni
comparse sulla stampa relative al ruolo delle sante icone nella vita della
Chiesa ortodossa e alla loro venerazione, il Santo Sinodo della Chiesa di
Grecia diffonde (16.1.2003) il presente comunicato, per riproporre il chiaro
insegnamento della Chiesa e fugare gli eventuali malintesi, qualsiasi ne sia la
provenienza.
1. L’iconografia e la venerazione delle sante icone, che risalgono
all’epoca apostolica, si sviluppano in maniera straordinaria nel IV secolo,
l’età d’oro della teologia patristica. Secondo quest’ultima, è indispensabile
rappresentare la persona di Cristo, poiché il Figlio e Verbo di Dio si è incarnato
ed ha divinizzato la natura umana, assumendola. È bene raffigurare inoltre
Nell’VIII
e IX secolo fanno la loro comparsa iconoclasti di ogni genere, che difendono
opinioni giudaiche, musulmane e varie credenze eretiche. Per un lungo periodo
di tempo, le parti avverse espongono i rispettivi argomenti. Proprio per far
fronte a questo problema, si riunisce il VII concilio ecumenico, dato che
....................... 2. Le sante icone
della nostra Chiesa appartengono all’arte e alla pittura bizantina.
Tuttavia
non rappresentano una semplice immagine religiosa, una rappresentazione
naturalistica, il cui tema è un personaggio religioso o una storia religiosa.
Esse
sono considerate dai credenti, e di fatti lo sono, come dei “vasi sacri”
liturgici inalienabili che santificano l’uomo e che lo fanno entrare in
rapporto diretto con la grazia e con l’ipostasi della persona rappresentata,
poiché persino la materia è santificata nel seno della Chiesa. S. Teodoro,
igumeno di Studion, dice: “È l’ipostasi della persona raffigurata ad essere
rappresentata e non la sua natura”.
Le
icone rivelano questa realtà, inaccessibile agli occhi. Esse ci mostrano e ci
insegnano non come guardare il nostro Signore e Dio nella nostra miseria, ma
come accedere alla Sua ricchezza.
3.
Per questo, è assolutamente impossibile paragonare le sante icone agli idoli,
come tentano di fare i loro avversari di ogni tempo. Le principali ragioni di
ciò sono le seguenti: a) le icone dei Santi della Chiesa rappresentano dei
personaggi storici e dei fatti reali, legati personalmente ed essenzialmente,
da un rapporto diretto di santità e di comunione, al solo ed unico vero Dio; b)
le icone dei Santi sono oggetto di venerazione, mentre il culto è soltanto
destinato al vero Dio Trinitario, rivelato dal Figlio e Verbo di Dio, che si è
incarnato attraverso lo Spirito Santo e
Il VII concilio ecumenico, che esamina le sante icone, fa una netta distinzione tra “santo” e “sacrilego”. È per questo che “il santo Sinodo dichiara (…) noi accogliamo le sante immagini (…) Anatema a chi non le onora! A coloro che definiscono le sante icone degli idoli: anatema!” (Atti del VII concilio ecumenico). San Tarasio, vescovo di Costantinopoli e presidente del Concilio, riporta ciò che i santi martiri rispondevano quando venivano accusati di non voler adorare gli idoli e di avere i loro propri idoli, ovvero le icone: “noi non raffiguriamo dei demoni, ma il Verbo di Dio incarnato ed i suoi santi, senza tuttavia divinizzare le loro icone” (Atti del VII concilio ecumenico).
Di
conseguenza, le ragioni che, conformemente alla teologia patristica, dettano la
venerazione delle sante icone sono le seguenti: “gli occhi degli spettatori
sono anch’essi santificati dalle sante icone e, attraverso loro, lo spirito è
portato a conoscere Dio” (Synodikon
dell’Ortodossia). Così si manifesta il bisogno da parte di fedeli di
concentrare il pensiero e l’anima sui destinatari delle loro preghiere, delle
loro suppliche e delle loro implorazioni, ma anche della loro glorificazione e
del loro rendimento di grazie, ovvero sui Santi rappresentati. Il grande valore
didattico delle icone è illustrato anche dal posto che esse occupano nelle
chiese e nel culto divino. Grazie a questi “libri parlanti”, secondo San
Gregorio di Nissa, ogni cristiano viene a conoscenza del premio che Dio e
4. È la fede della Chiesa ciò a cui dobbiamo tenere come alla pupilla dei nostri occhi, come confessano tutti i vescovi prima della loro ordinazione. Ecco perché le nostre chiese sono piene d’icone che portiamo in processione con ceri ed incenso. Noi ci prostriamo davanti ad esse con devozione, ci facciamo il segno della croce e le baciamo pregando. È dunque in questo quadro teologico ed ecclesiale che devono rimanere sia coloro che espongono le icone alla venerazione del popolo che coloro che si avvicinano per venerarle e ricevere la grazia di Dio; grazia che viene anche dalle icone, a seconda del grado di elevazione spirituale dei credenti. Questa presa di posizione teologica ed ecclesiale precisa il contesto in cui si realizza la vera venerazione delle sante icone. Possedendo una fede pura, libera da ogni forma di razionalismo, pietismo e moralismo, il popolo comprende la potenza di Dio che si sprigiona dalle sante e venerabili icone, come l’emorroissa che riceve la forza di Cristo toccando la frangia della sua veste nel momento stesso in cui i farisei e gli altri che seguivano il Signore erano incapaci di comprendere l’accaduto.
In questo contesto, ricordiamo anche che l’enciclica 2597/19.6.1995 del Santo Sinodo permanente segnala il fatto seguente: mentre i fedeli desiderano venerare realmente le sante icone “a volte, il modo di organizzare l’evento non tiene conto della serietà dell’obiettivo e rende un cattivo servizio all’edificazione spirituale dei fedeli”. L’enciclica raccomanda dunque che la traslazione di reliquie, d’icone e di altri oggetti sacri si faccia con l’accordo del vescovo locale e con l’approvazione del Santo Sinodo permanente.
Per concludere, desideroso di dissipare le tenebre dell’ignoranza e d’insegnare ai suoi devoti fedeli, come è suo dovere, il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia proclama: “… Così pensiamo, così parliamo, così predichiamo, onorando il Cristo nostro vero Dio ed i suoi Santi con le nostre parole, i nostri scritti, i nostri pensieri, i nostri sacrifici, i nostri templi e le nostre Icone, ci prostriamo con devozione davanti al primo come Dio e Signore, venerando gli altri a causa del Maestro comune di cui sono gli intimi servitori e accordando loro i segni di devozione che si addicono al loro rango. Questa è la fede degli Apostoli, questa è la fede dei Padri, questa è la fede dei cristiani ortodossi, questa è la fede che sostiene l’universo” (Synodikon della domenica dell’Ortodossia).
Quest’insegnamento ortodosso della Chiesa ci libera dal razionalismo, dal misticismo, dal manicheismo e dall’agnosticismo. È il nostro modo puramente ortodosso di pensare e d’agire (Besa/Roma).
ROMA: GENNARO
CASSIANI
1903 - 1978
Presso l’Istituto Luigi Sturzo il 10 febbraio 2004 è stato commemorato l’On. Gennaro Cassiani, come penalista, umanista e politico della Calabria da Giulio Andreotti, Francesco Malgeri, Giovanni Russo e Giuseppe Talamo. L’occasione è stata la presentazione di un volume contenente una biografia curata da Gabriella Fanello Marcucci e con una antologia di scritti curata dalla figlia Rita Cassiani. E’ emersa la figura del Cassiani – personalità di forti concezioni politiche, etiche e culturali. E’ stata rilevata anche la sua appartenenza alla comunità albanese d’Italia. Ha presieduto l’incontro il direttore dell’Istituto Sturzo lo storico Gabriele De Rosa (Besa/Roma).
ROMA: FEDE E
MARTIRIO
CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE
Sotto
il regime comunista sono stati perseguitati i cristiani delle varie Chiese. Il
Convegno organizzato a Roma ha voluto iniziare e sollecitare la raccolta della
documentazione dei testimoni delle Chiese orientali cattoliche. Vengono così
presentati i primi elementi raccolti organizzati per singole Chiese nel modo
seguente:
·
Prolusione del Card. Silvestrini;
·
Le Chiese orientali cattoliche d’Europa nella storia del Novecento (Roberto
Morozzo Della Rocca);
·
·
Chiesa greco-cattolica e Chiesa ortodossa nei progetti della politica
estera dell’URSS (S. Iakovenko – O. Vasilieva);
·
·
·
·
·
The Hardships of the
Greek-Catholic Church in Bulgaria after World War II (B. J. Groen);
·
Gli armeni cattolici nella Chiesa armena e nella comunione di Roma (B.
L. Zeriyan);
·
·
I ruteni della diocesi di Krizevci (B. Holosniaj);
·
The Greek-Catholic Diocese
of Mukacs - Mukacevo: a Testimony of Faith (C. Simon);
·
·
The Ukrainian Diaspora in
the Former Soviet Union (M. Marynovych).
Segue
una seconda parte del volume con informazioni sugli archivi in cui si è
trovata parte del materiale presentato al convegno, ma in cui si trovano altre
informazioni per continuare gli studi.
Così
vengono date informazioni su:
·
Archivi della Compagnia di Gesù;
·
Archivio generale della Congregazione dei Padri Redentoristi;
·
Archivi dell’Ordine basiliano di S. Giosofat;
·
Archivio generale dell’Ordine dei Predicatori;
·
Archivio degli Assunzionisti;
In
particolare va segnalata la presentazione di Gianpaolo Rigotti: “L’archivio della Congregazione per le Chiese
Orientali:dalla Costituzione apostolica “Romani Pontifices” (1862) al morte del
cardinale Gabriele Acacio Coussa (1962)”.
Il
volume presenta in seguito alcuni progetti di studio per gli ucraini e
per i romeni greco-cattolici.
Nel
volume della Congregazione per le Chiese Orientali si ha la presentazione di
una pubblicazione particolare in preparazione al tempo del convegno, che poi
(2002) ha avuto luogo, di Riccardo Larini del monastero di Bose: “Il
libro dei testimoni. Il martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose”.
Per
vie diverse i romeni hanno visto un seguito di documentazione.
Nel
2003 da parte greco-cattolica sono state pubblicate le memorie del card. Iuliu
Hossu “Credinta noastra este viata noastra”, Viata Crestina 2003,
Cluj-Napoca, pp. 495) a cura di p. Augustin Prundus; mentre l’Istituto
Nazionale per lo Studio del Totalitarismo dell’Accademia di Romania – ha
pubblicato (“The imprisoned Church Romania 1944-
La
pubblicazione dell’Accademia di Romania elenca 2544 persone perseguitate per
ragioni di fede: In particolare specifica:
·
Sacerdoti ortodossi 1888
·
Greco-cattolici 235
·
Cattolici-latini 172
·
Pastori protestanti 67
·
Neoprotestanti 25
·
Musulmani 23
·
Mosaici (della religione di Mosé, Ebrei) 13
L’edizione
inglese della pubblicazione è dovuta all’intervento di S.B. Teoctist Patriarca
di Romania.
Lo
studio della persecuzione e, positivamente, della testimonianza cristiana resa
talvolta fino al martirio è allo studio delle varie Chiese.
A
questo tendeva, per la sua parte, il convegno organizzato dalla Congregazione
per le Chiese Orientali. Alcuni testimoni sono stati già canonizzati dalla
Chiesa cattolica, per altri è in corso il processo. E così altrettanto nelle Chiese ortodosse.
Il
Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali S.B. Ignace Moussa I Card. Daoud nella
prefazione del volume ha fatto riferimento alla celebrazione ecumenica per i
testimoni della fede del secolo XX, presieduta dal Papa al Colosseo il 7 maggio
del 2000. E ha aggiunto: “Con forza e convinzione il Santo Padre ha ricordato
che la testimonianza dei martiri appartenenti a Chiese cristiane, purtroppo
ancora divise, costituisce il nostro patrimonio ecumenico comune.
NAPOLI
TENDENZE LINGUISTICHE
AUTORI ARBËRESHË CONTEMPORANEI
Un
puntuale studio sulle “Tendenze linguistiche degli autori abëreshë
contemporanei” di Italo C. Fortino è stato incluso nel volume “Omaggio a
Riccardo Picchio per il suo ottantesimo compleanno” dall’Università degli
Studi di Napoli – L’Orientale.
Il volume a cura di Rosanna Morabiro (Studi in
onore di Riccardo Picchio)
Quello
sugli scrittori arbëreshë comprende le pp.103 - 132, distinto nei seguenti
paragrafi:
1. Giuseppe Schirò e la koiné
linguistica;
1. Sviluppo linguistico nella
prima metà del secolo XX;
2. Sviluppo linguistico nella
seconda metà del secolo XX;
3. Opere nelle parlate locali;
4. Opere in koiné linguistica;
5. Opere in lingua nazionale.
L’autore
è pervenuto alle seguenti constatazioni:
Da
questa riflessione si possono trarre alcune conclusioni.
In
primo luogo, le
tendenze linguistiche degli autori arbëreshë dimostrano che una lingua in
diaspora, benchè indebolita nelle strutture e soprattutto nel patrimonio lessicale,
può evitare la morte, rivitalizzando il proprio patrimonio, col ricorso alle
risorse della propria cultura, arricchita da quelle della nazione di
riferimento. Basti, per principio, ricordare il caso dell’ebraico, una lingua
quasi del tutto scomparsa, e ritornata a vivere.
In
secondo luogo,
la presenza dei dialetti non va considerata come una minaccia alla lingua
nazionale, bensì come riserva, da cui gli scrittori possono attingere
espressioni, sintagmi, idiomatismi, termini con particolare forza espressiva,
per introdurli nelle creazioni letterarie, al fine di rendere più vitali i
sentimenti, le passioni, le intuizioni poetiche.
In
terzo luogo,
la produzione degli autori dimostra che la diaspora arbëreshe possiede ancora
sufficienti risorse che le permettono, da un lato, di evitare la
fossilizzazione e, dall’altro di continuare a creare una letteratura con
connotati propri nell’ambito di due culture, quella albanese e quella italiana
(Besa/Roma).
MILANO: IL RUOLO
DEL PATRIARCA
NELLE CHIESE ORTODOSSE
Il sacerdote russo ortodosso Vladimir
Zielinskij, teologo, ha concesso una
intervista al mensile “Mondo e Missione” (gennaio 2004) sulla “Chiesa ortodossa
russa oggi”. Riportiamo il paragrafo relativo al ruolo del Patriarca in una
Chiesa autocefala:
In
Occidente, in generale, il ruolo del patriarca ortodosso non è ben capito.
È
visto spesso come un altro papa, ma dal punto di vista dell'ecclesiologia
ortodossa il patriarca di una Chiesa è solo il suo primo vescovo; è quasi un
sacrilegio chiamarlo il suo capo, perché il capo della Chiesa può essere solo
Gesù Cristo.
Come
figura simbolica della Chiesa, il patriarca ha un'enorme responsabilità che non
è bilanciata dalle sue prerogative. Non è l’unico guardiano della fede, perché
la fede è affidata a tutta
La
sua responsabilità è triplice: davanti a Dio; davanti alla propria Chiesa,
rappresentata dal sinodo, dal corpo vescovile, da tutto il popolo di Dio la cui
fede deve salvaguardare e proteggere nella sua purezza dogmatica; davanti ai
confratelli e agli altri patriarchi delle Chiese locali, con i quali lui si trova
in comunione.
Il
peso di questa responsabilità a volte pone il problema della sua libertà
personale, che è molto diversa da quella del pontefice romano. Il papa
cattolico ha una reale libertà di decisione. Molte innovazioni e cambiamenti,
magari non del tutto condivisi dalla curia romana, sono il frutto
dell’intuizione e del carisma del papa. Ma il patriarca ortodosso, se osasse
riformare la tradizione, sarebbe semplicemente destituito dal suo sinodo o
addirittura direttamente dal popolo. Dobbiamo sempre tenere in mente questa
eventualità, quando pensiamo ai gesti (fatti o non fatti) o agli incontri (non
avvenuti) fra il papa e il patriarca di Mosca. Sebbene il patriarca sia
ricordato molto più spesso e molto più solennemente nella liturgia di quanto
non lo sia il papa di Roma, di fatto non ha grande spazio per esprimere la sua
personalità nella Chiesa di cui è il primo rappresentante. Il patriarca da solo
non può (e neppure il concilio della Chiesa locale, che ha il potere più alto)
toccare alcunché del sacro deposito della fede tramandata dai padri. Solo il
concilio ecumenico, che dal punto di vista dottrinale ha la massima autorità,
quella dello Spirito Santo (secondo la formula di Atti 15, 28), potrebbe avere
il diritto di cambiare o di "aggiornare" questo deposito, ma solo
nello spirito di fedeltà ai concili precedenti. Piccolo particolare: il settimo
e ultimo concilio della Chiesa di Dio ancora indivisa fu convocato nel
lontanissimo 787 per sconfiggere e condannare gli iconoclasti (Besa/Roma).
BELGIO: CHEVETOGNE
50° DI P.
GIACOMO ENGELS
Il 2 febbraio 2004,
Presentazione di Gesù al tempio, è stato festeggiato il 50° anniversario della
professione monastica di P. Giacomo Engels, monaco di Chevetogne, già
vicerettore e economo del Pont. Collegio Greco. Un gruppo di fedeli di Reggio
Calabria (4 sacerdoti,un diacono e laici) si è recato a Chevetogne per
partecipare alla celebrazione. P. Giacomo si è recato tra i grecanici della provincia di RC da oltre 30 anni per
celebrarvi di tempo in tempo la liturgia nel rito bizantino.
Don Filippo Curatola,
arciprete della Cattolica di RC, ha pubblicato un commosso réportage, su “L’Avvenire
di Calabria” da cui riportiamo qualche stralcio:
Se
vieni a Chevetogne non lo fai certo per caso. Perché non vieni a Chevetogne se
non ami la contemplazione: Chevetogne il monastero benedettino intendo, questo
angolo di cielo sulla terra, si può dire sia nato (ormai quasi 80 anni fa) per
la contemplazione. Lo sapevamo bene anche prima. Ma tra il conoscere e lo
sperimentare c’è un abisso…Recatici solo per vedere p. Giacomo Engels, siamo
rimasti lì immobili fino a notte: un piccolo cero in mano e il tempo che si
confondeva con l’eterno. I canti perenni, i silenzi, i gesti vissuti come dono,
le luci calde che alla fine lentamente sfiorivano trasferendosi nel cuore degli
oranti, il tempo che trascorreva senza trascorrere, tutto ci immergeva in una
presenza più grande che si imponeva docissima e tremenda. Ti comandava il
silenzio e ti consolava. Perfino il dolore ieri notte diventava luce. E capivi
che stavi vivendo una pagina della tua storia: l’amore diventava vita e la vita
si apriva all’amore. Erano il vespro e le lodi insieme alla festa della
Presentazione al tempio di Cristo, la festa della Candelora. E noi di Reggio,
un bel po’ di gente tra gruppo del Meic, di Bova e della Cattolica dei Greci,
eravamo a Chevetogne per p. Giacomo Engels che nel monastero bizantino
cinquant’anni fa aveva vissuto la sua professione religiosa. Cinquant’anni di
vita monastica offerti come un dono, vissuti nella perseveranza, cinquant’anni
dei quali p. Giacomo ricorda ogni attimo, fin da quel primo momento quando
steso a terra “consegnava” se stesso a Dio con parole che non si dimenticano:
“Mi affido alla misericordia di Dio e
alla vostra fraternità”.
Ma
percepiva egli in quel donarsi che
Coi
pellegrini reggini un diacono (don Mario Casile) e quattro preti (don Mimmo
Marturano, vicario episcopale per la cultura e assistente del Meic, don Nino
Pangallo parroco in S. Giorgio Extra ed incaricato diocesano per l’ecumenismo,
don Marco Scordo parroco in Roghudi e direttore della biblioteca arcivescovile
ed io stesso come parroco della Cattolica dei Greci): in un certo senso era
come se la chiesa locale fosse lì attraverso di noi per contemplare e per dire
grazie.
Perché
p. Engels non ha mai trascurato – ormai da più di trentanni – di scendere dal
Belgio fino alle città e alle contrade della nostra diocesi: e attraverso di
lui, presenza mite e tenace, umile e fiera, lo stile della preghiera bizantina,
e il dono della contemplazione, mai spenti dentro le nostre radici, si sono
riaccesi e attendono di aprirsi a stagioni di una pienezza più grande.
Nella
liturgia eucaristica del giorno dopo presieduta – dopo la suggestiva
processione dalla chiesa bizantina a quella latina – presieduta, dico, dal p.
priore Ambroise Dolfini, presenti l’Abbé p. Philippe Vanderleyden e il p.
benedettino vescovo emerito di Rotterdam, p. Philippe Bàr, abbiamo reso grazie
tutti all’Altissimo per il dono di p. Giacomo. I suoi confratelli monaci (ben
27 di cui 15 preti, distinti tra rito latino e rito bizantino, esempio
altissimo di felice e profetica coesistenza), noi quattro parroci reggini
concelebranti e il popolo cristiano di belgi, reggini e bovesi ci si è trovati
dentro un’esperienza arricchita di preghiera e di contemplazione. Di luce e di
silenzio.
Accompagnati
stavolta dalle note eterne del canto gregoriano, dalle preci di intercessione
cantati da un frate diacono, dalla compostezza dei gesti e dalla sapienza dei
segni.
E
quando p. Giacomo si è per tre volte prostrato per rinnovare l’offerta della
sua vita cinquant’anni dopo quel giorno, sembrava proprio che il giovane di
allora – ischeletrito ma vivo, vivo ma ischeletrito – ci parlasse con il suo
corpo, perfino con il candore della barba e il bagliore degli occhi. E con le
parole rimasteci nel cuore echi dello spessore di una spiritualità, di una vita
consacrata.
Il
resto, lo stare fraternamente insieme, il pranzo festoso con gli auguri
fraterni dell’abate, l’incontro del pomeriggio per il dolce e la presentazione
dei doni dei pellegrini, le parole di Lucia Fedele e le mie non erano che un
semplice sigillo e un’esperienza di fede che è servita anche a legare due mondi
lontani Reggio e Chevetogne, l’eco per Reggio di un’epoca incancellabile e la
testimonianza per Chevetogne di un silenzio possibile dentro le orge del rumore
del mondo.
Un’esperienza
che ci portiamo dentro come dono. Come monito e una promessa. Segno di strade
battute, ma l’aprirsi anche di percorsi nuovi (Besa/Roma).
ALBANIA
QUARESIMA DI EVANGELIZZAZIONE
“Vorremmo che la quaresima divenisse un’occasione di crescita della dimensione comunitaria e anche presa di coscienza sulla realtà sociale”. E’ questo il pensiero del parroco di Guri i Zi della diocesi di Scutari.
“Durante le settimane di quaresima terremo delle celebrazioni della Via Crucis nei diversi villaggi. Passeremo casa per casa, con i simboli cristiani, i canti e le preghiere.
L’esperienza dello scorso anno ha mostrato che soprattutto i giovani apprezzano questo contatto singolare”. Il tempo della quaresima è tempo di evangelizzazione e di catechesi (Besa/Roma).
SINODO
INTEREPARCHIALE
INCONTRO MENSILE
DELLA COMMISSIONE CENTRALE
Il 26 febbraio 2004, si è svolta a Roma, nella sede della
Segreteria centrale presso
L’incontro è stato aperto con la preghiera per il Sinodo guidata dal rev.mo archimandrita papàs Antonino Parator , segretario della CCC.
Il presidente della CCC, archimandrita Eleuterio F.
Fortino, prima di fare le sue comunicazioni sui lavori del giorno ha ricordato
che il 16 febbraio è deceduta la madre di Maria Franca Cucci, coordinatrice
della segreteria esecutiva della CCC. Questo spiega l’odierna assenza di Maria
Franca. Il presidente ha anche ricordato che nel tempo in cui la signora Zaira
Cucci stava a Roma più volte, il sabato, aveva contribuito a correggere i testi
relativi alla preparazione del Sinodo, specialmente al tempo della composizione
della “bozza” dei progetti sinodali. E’ stato cantato il tropario “Metà
pnevmàton”.
1. Il programma del giorno
prevedeva l’esame di due schemi: nella mattinata quello su “Catechesi e
Mistagogia” e nel pomeriggio la “Sacra Scrittura nella Chiesa locale”.
2. Per lo schema “Catechesi
e Mistagogia” era stata chiesta la lettura a due esperti: Don Walter Ruspi,
direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale (CEI) e a p. Lamberto Crociani,
docente presso
3. Sullo schema “
4.
L’archim. p. Donato Oliverio ha riferito su alcune nuove formulazioni
introdotte nel progetto di “Regolamento
del Sinodo”, in seguito a quanto
discusso nell’incontro del mese scorso della CCC. A conclusione dello studio
della CCC, il progetto dovrà essere esaminato da un canonista.
5. P. Antonio Costanza del
Monastero di Grottaferrata ha informato sulla preparazione dell’Aula Sinodale
nella Basilica di S. Maria di Grottaferrata. I Sinodali saranno ospitati al
centro “Mondo Migliore” sul lago di Castelgandolfo.
Le tre sessioni sinodali si
svolgeranno:
dal 17 al 22 ottobre 2004 (1ª Sessione)
· dal 15 al 19 novembre 2004 (2ª Sessione)
· dal 10 al 14 gennaio 2005 (3ª Sessione).
6.
ROMA
QUARESIMA IN S. ATANASIO
23 febbraio: Inizio della grande e santa quaresima
Durante tutta la quaresima
Ogni mercoledì ore 19: liturgia dei Presantificati;
Ogni venerdì ore 19: canto dell’inno akathistos;
Ogni sabato ore 19: esperinòs;
Ogni domenica ore 10,30: Divina Liturgia di S. Basilio (Besa/Roma).
Teologia
quotidiana
50
L’INSEGNAMENTO DELLA CHIESA: KERYGMA, CATECHESI E MISTAGOGIA
La formazione cristiana è complessa e continua. La riflessione sulla Parola di Dio non ha veramente mai termine, perché il mistero rimane insondabile nella sua ultima realtà ed ineffabile in tutte le sue ricchezze e profondità. E l’uomo stesso è in via verso la deificazione, vocazione mai pienamente raggiungibile.
Cristo
ha affidato alla Chiesa “il deposito della fede affinchè, con l’assistenza
dello Spirito Santo, custodisse santamente la verità rivelata, la scrutasse
profondamente, la annunciasse e l’esponesse fedelmente” (CCEO, can. 595, §1).
Nel corso di questa complessiva azione di insegnamento emergono tre momenti
caratterizzanti che la distinguono: l’annuncio (kèrygma), la catechesi e
la mistagogia. Nel linguaggio religioso corrente vi è una costante e chiara
distinzione fra l’annuncio e l’esposizione ordinata e completa
dell’insegnamento cristiano, come si rileva anche dal canone del codice
soprariportato. Spesso invece si usano i termini di “catechesi” e “mistagogia”
come intercambiabili, mentre per sé essi hanno una propria specificità.
1. Il kèrygma è il primo annuncio della fede cristiana (da kerýssein,
dal greco classico, notizia di carattere pubblico, portata da un araldo). Nel
NT indica l’annuncio del Vangelo, della Buona Novella della salvezza in Gesù
Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. “Cristo è risorto” è
l’essenza del kèrygma cristiano.
2. La
catechesi costituisce un processo di maturazione della fede. Gli elementi
essenziali si trovano anche in un canone del CCEO: “E grave obbligo delle
singole Chiese sui iuris, ma specialmente dei loro vescovi, di
trasmettere la catechesi, con la quale si porti a maturità la fede e venga
formato il discepolo di Cristo attraverso una conoscenza più profonda e più
ordinata della dottrina di Cristo e un’adesione sempre più stretta alla sua
Persona” (can. 617). Il codice non tratta la mistagogia – il termine non ne
risulta neanche menzionato - e nella definizione della catechesi sembra
includere alcuni elementi che fanno parte più specificatamente della
mistagogia, come l’adesione “sempre più stretta” alla persona di Cristo
(significato e vita conseguente all’incorporazione in Cristo, partecipazione al
corpo e al sangue di Cristo, costituzione del Corpo di Cristo, che è
3. La mistagogia quindi è l’iniziazione vitale ai sacramenti e l’entrata nel mistero cultuale. S. Cirillo di Gerusalemme introducendo il nuovo ciclo di insegnamento ai neobattezzati spiega la natura della mistagogia. Nella catechesi 18 riferendosi ai neo-battezzati afferma: “Sarete di nuovo istruiti sui motivi di ogni rito compiuto e ne riceverete le prove dall’Antico e dal Nuovo Testamento. In primo luogo su quelli immediatamente precedenti il battesimo; in secondo luogo come siete stati purificati dal Signore mediante il lavacro dell’acqua con una parola;…quindi in che modo vi è stato dato il sigillo della comunione con lo Spirito Santo. E poi (sarete istruiti) anche sui misteri del NT che si compiono sull’Altare…Quale sia la loro potente efficacia e come avvicinarvi ad essi”. La mistagogia (dal verbo mystagoghèin, iniziare, introdurre ai misteri) introduce esistenzialmente al mistero cristiano vissuto nei sacramenti. La spiegazione del rito non vuole essere l’esposizione di una norma, di una rubrica, ma l’immissione nel mistero che realizza e che svela, il mistero a cui si è stati resi partecipi. In definitiva si tratta del mistero nascosto, rivelato in Gesù Cristo, affidato alla Chiesa e vissuto nei sacramenti, per avviare i fedeli alla crescita fino alla misura di Cristo trasformandoli a sua immagine e somiglianza (thèosis). “Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio”. “Dio vuole che tutti siano salvi”.
Nelle comunità italo-albanesi in cui comunemente si usa, secondo la
prassi bizantina, celebrare l’iniziazione cristiana anche ai piccoli, la
mistagogia è il metodo normale di insegnamento: l’introduzione vitale nella
vita sacramentale e nel mistero di Dio. Nella presentazione dello studio
dell’archimandrita p. Marco Sirchia sulla “Mistagogia dei misteri sacramentali
nella Chiesa bizantina” (Palermo 2002) il vescovo di Piana degli Albanesi Mons.
Sotir Ferrara ha scritto: “Ritengo che è sulla mistagogia che si gioca il futuro
della nostra Ecclisia e delle sue tradizioni” (Besa/Roma).
Circolare febbraio 2004 164/2004
Tà lòghia – I detti di Gesù (23): “Nessuno può servire a due padroni”.................................. 1
PARIGI: I movimenti liturgici nell’Ortodossia............................................................................ 2
NEW YORK: Filioque – Dichiarazione comune........................................................................ 5
ALBANIA: Icone di Onufri – Studio per restauri ..................................................................... 6
KOSSOVA: Missione di riconciliazione di Don Lush Gjergji.................................................... 6
ATENE: Liturgia di S. Giacomo presieduta dall’arcivescovo Christodoulos............................... 6
CASTELGANDOLFO: Igino Giordani e la preghiera per l’unità dei cristiani............................. 7
LUNGRO: Imerologhion 2004................................................................................................. 9
ROMA: Sinodo- Incontro della CCC con gli Ordinari............................................................. 10
GROTTAFERRATA: Calendario 2004.................................................................................. 10
S:COSMO ALBANESE: Pubblicato il calendario 2004......................................................... 10
ROMA: Il sacramento della penitenza nella Chiesa bizantina.................................................... 11
Tà
lòghia – I detti di Gesù (23): “Nessuno può servire a due padoni”
Gesù ha appena insegnato come pregare e ha
consegnato ai discepoli la preghiera essenziale mettendoli in grado di rivolgersi,
tutti insieme, a Dio come al “Padre nostro” (Mt 6, 9-13). Dio è padre unico di
tutti gli uomini.
Gesù
vuole che i suoi discepoli capiscano, che siano introdotti al suo insegnamento
con intelligenza. A questo scopo prende un esempio della vita del tempo, epoca
in cui persisteva la servitù. Il padrone poteva disporre dei suoi servi in modo
esclusivo. Il servo non poteva essere nello stesso tempo a servizio di più padroni. Ma Gesù va oltre
il diritto, porta la questione a livello del cuore, la dimensione più profonda
dell’uomo. Nessuno può veramente servire due padroni, perchè “o odierà l’uno e
amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro” (ibidem). Due padroni
generano conflitto e causano il rigetto dell’uno dei due.
Questo ragionamento storico, sociologico, psicologico serve a Gesù per introdurre l’insegnamento fondamentale: “Non potete servire a Dio e a mammona”(Mt 6,24). “Mammona” è un termine aramaico che significa “ricchezza”, qui quasi innalzata a tal punto da essere contrapposta a Dio, quasi costituita in “idolo”, una tentazione contemporanea ad ogni epoca. Dio richiede una scelta radicale. Domanda per sé un amore più grande di quello che siamo soliti dare ai genitori (Mt 10,37). Esige un amore con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima. E chiede un servizio esclusivo: “Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto”(Dt 6,13). Così Gesù rispose a Satana (Mt 4,10) quando Lo tenta (Besa/Roma).
PARIGI
I MOVIMENTI
LITURGICI
Sempre più spesso si sente parlare di riforma liturgica nelle Chiese ortodosse. Riportiamo una nota del teologo ortodosso Boris Bobrinskoy, decano dell’Istituto Saint Serge di Parigi:
[…]
Sia nella vita sacramentale che nel ciclo liturgico,
È
vero che
D’altro
canto, man mano che si diffonde il messaggio cristiano e che si organizza il
culto cristiano nelle nuove comunità ecclesiali, nasce una tensione creatrice
tra, da una parte, l’eredità ricevuta e preservata e, dall’altra,
un’assimilazione, anch’essa feconda, secondo le specificità naturali dei popoli
evangelizzati. Da qui si sviluppano le culture religiose nazionali che formano
nel loro insieme la sinfonia liturgica della Chiesa.
L’epifania del Regno,
“visione teologica essenziale”
È
qua che dobbiamo fermarci sulla nozione stessa di movimento liturgico. Si tratta essenzialmente dei tempi e dei
luoghi in cui avviene una presa di coscienza più grande dell’importanza del
culto cristiano, della sua centralità nella vita della Chiesa, e direi ancora
di più, è proprio quando prega che
Ritornando
alla nozione di movimento liturgico, sia nell’Antichità che nel Medioevo
occidentale e bizantino, ed anche nell’epoca contemporanea, ci sono sempre
state delle forti personalità, a volte carismatiche e visionarie, che hanno
saputo dare un nuovo impulso al loro tempo e contribuire ad una tradizione
liturgica particolare. Citiamo, ad esempio, l’opera liturgica dei padri
cappadoci, con l’accentuata dimensione trinitaria nel culto e nell’Eucarestia,
l’impatto dell’espansione del monachesimo, il culto cattedrale di Santa Sofia,
la riforma studita, l’impatto dell’esicasmo nella riforma sabbaita. Tutto ciò
si accompagna ad una produzione innografica considerevole, attraverso tutti i
cicli liturgici. Il risultato complessivo è il carattere identitario del culto
ortodosso e in particolare del rito bizantino, pervaso profondamente da una
visione teologica essenziale.
Riforme e rinnovamenti
liturgici
All’interno
della nozione globale di movimento liturgico, desidero ancora distinguere tre
momenti particolari:
1)
la riforma liturgica che si è cristallizzata in certe epoche attorno al
monastero di San Sabba, attorno al Monastero di Studion di Costantinopoli, più
tardi al patriarca Filoteo di Costantinopoli e al metropolita Cipriano di Kiev,
in seguito ancora al patriarca Nikon di Mosca;
2)
il rinnovamento liturgico legato allo sforzo di ritornare ad attingere alle
origini e all’attualizzazione della centralità del culto;
3)
il fenomeno del rifiuto del processo di recupero delle origini, dato che
quest’ultimo viene considerato come un’innovazione e quindi un’infedeltà alla
tradizione ecclesiale, rifiuto accompagnato da un’incapacità o da una chiusura
alla riflessione e al dialogo sui motivi profondi di tale recupero.
Prima
di passare ai tempi moderni, segnaliamo ancora il movimento spirituale dei
kollibadi del XVIII secolo, legato alla nascita dell’esicasmo, che fiorisce a
partire dal XIII e XIV secolo al monte Athos e nei Balcani. La nozione stessa e
la preoccupazione di una comunione frequente, vissuta inizialmente a livello di
pietà individuale, attraversa tutto il XIX secolo per giungere alla personalità
carismatica di S. Giovanni di Cronstadt.
Che
dire infine dei movimenti o delle correnti di rinnovamento liturgico
nell’ortodossia moderna? Mi sembra innegabile che la coscienza liturgica si
cristallizza in primo luogo ed essenzialmente attorno alla comunione frequente,
o piuttosto attorno a ciò che padre Alexandre Schmemann chiamava la crisi della
coscienza eucaristica. Con la crescita graduale della conoscenza storica delle
nostre origini, si pone il problema dell’anomalia della celebrazione
eucaristica senza comunione (o nella Chiesa cattolica delle messe basse private
e individuali). Si riscopre la dimensione collegiale della celebrazione
eucaristica, soprattutto la domenica, eucarestia suggellata dalla comunione dei
membri. Al riguardo menzioniamo ancora il movimento “Zoi” in Grecia, che
ricordava l’importanza della predicazione e sottolineava i valori morali della
vita cristiana, sviluppando la missione interna della Chiesa e insistendo sulla
comunione eucaristica, in uno spirito di pietà ascetica individuale.
“Correnti contraddittorie”
Agli
inizi degli anni cinquanta la pratica della comunione frequente è stata
sostenuta, in Romania, da padre Ioan Iovan, in questo appoggiato oggi
dall’arcivescovo Andrea d’Alba Iulia. A loro volta, degli ex allievi
dell’Istituto Saint-Serge divenuti vescovi della Chiesa di Romania, continuano
a sviluppare questa pratica, sia in Romania, sia nelle loro parrocchie
nell’Europa occidentale.
Di
fatti, non si tratta soltanto della comunione frequente. Precisiamo al riguardo
che questa nozione di comunione frequente come nozione quantitativa è a poco a
poco sostituita da una nozione qualitativa di comunione organica domenicale; si
sottolinea così il senso della necessità della comunione dei fedeli nella
celebrazione eucaristica.
Menzioniamo
infine l’attualità ortodossa della “diaspora” occidentale e americana. Va
dunque ricordata l’opera liturgica e la personalità di padre Alexandre
Schmemann, legata inscindibilmente alla “scuola di Parigi”, essendone, allo
stesso tempo, un frutto ed una componente.
“Una riflessione teologica
fondata
sulla centralità del culto e
dell’eucaristia”
In
questo contesto non parlerò di “movimenti liturgici”, ma piuttosto di una
riflessione teologica fondata sulla
centralità del culto e dell’eucaristia. Con padre Alexandre Schmemann possiamo
proporre qui la nozione di teologia
liturgica, sottolineando, da una parte, che la celebrazione liturgica è
inseparabile da una visione teologica e che, dall’altra, la celebrazione
liturgica ci introduce a questa visione. Questa è la funzione mistagogica del culto cristiano, vissuta
particolarmente nella sintesi liturgica ortodossa ereditata da Bisanzio.
È
difficile, e sarebbe ingiusto, parlare di movimenti liturgici ortodossi
contemporanei e quindi di rinnovamento della coscienza liturgica, sacramentale,
ecclesiale, senza menzionare con gratitudine le tappe del rinnovamento
liturgico nel cattolicesimo, sia attorno a dom Guéranger e a Solesmes, sia
attorno a dom Casel, a Maria Laach, a Beuron, al Centro di Pastorale Liturgica
in Francia e, in Belgio, a dom Lambert Beauduin, dom Bernard Botte, padre Louis
Bouyer e tanti altri che hanno anticipato e preparato la riforma liturgica del
Concilio Vaticano II e, in particolare, la riscoperta della centralità del
mistero pasquale. Non posso non ricordare il movimento liturgico anglicano con
dom Gregory Dix e il monastero benedettino anglicano di Nashdom.
Quando
furono pubblicate le grandi opere di dom Odo Casel (Le mystère du culte dans le christianisme), di dom Gregory Dix (The Shape of the Liturgy) o di padre
Louis Bouyer (Le mystère pascal), noi
seguivamo i nostri studi all’Istituto Saint-Serge ed i nostri cuori battevano
all’unisono in questa scoperta e riaffermazione delle nostre radici comuni.
Negli anni dal 1945 al 1950, formavamo a Saint-Serge un gruppo di giovani
insegnanti e studenti molto uniti che riscoprivano insieme la centralità del
culto e del suo mistero. Nella nostra diaspora occidentale, cercavamo di conciliare
la fedeltà alla grande Tradizione ecclesiale e liturgica delle nostre origini
allo sforzo di attualizzare questa tradizione in vista di una partecipazione
più effettiva e cosciente del Popolo di Dio.
Il problema della lingua
liturgica
In
questa presa di coscienza della centralità del culto cristiano, vorrei
soffermarmi su alcuni punti particolari di grande importanza.
1)
Il problema della lingua rimane
sempre attuale. Alcune chiese ortodosse hanno saputo fare il passo e
trasmettere l’eredità liturgica in lingua vernacolare, come, ad esempio,
Ritengo
che lo iato attuale tra lo slavo liturgico e la lingua parlata, in Serbia come
pure in Russia, rappresenti un handicap reale per una missione ed una
evangelizzazione interiore più vive ed efficaci. Abbiamo la fortuna di poter realizzare
nelle nostre chiese di lingua francese, olandese, tedesca, inglese, traduzioni
integrali del patrimonio eucologico e innografico bizantino. La barriera (o il
ponte) della lingua è un fattore importante nella formazione della coscienza
ecclesiale del popolo ortodosso.
Comunione frequente e
pratiche liturgiche
2)
La nozione di comunione eucaristica
frequente si situa ancora nel XVIII e XIX secolo in una dimensione di pietà
individuale, non soltanto lodevole, ma anche feconda di una più ampia partecipazione
di fedeli alla vita della Chiesa. Ormai la comunione eucaristica tenta di
passare dallo stadio individuale e quantitativo a quello qualitativo e
organico, necessario e normale per la vita ecclesiale, tanto per i laici quanto
per il clero.
Ma
occorre subito precisare che le Chiese ortodosse tradizionali sono ancora
all’alba di una pratica eucaristica organica e domenicale ed i pastori e i
teologi sono spesso loro stessi lontani da questa coscienza, che a volte
rifiutano perfino, per motivi ascetici e spirituali.
È
per questo che la nozione di ecclesiologia eucaristica è forse più un programma
da realizzare che una realtà vissuta nel presente della totalità
dell’ortodossia.
3)
L’attuale tendenza a pronunciare a voce alta le preghiere “segrete” sottolinea
la partecipazione effettiva e cosciente di tutta l’assemblea ecclesiale
all’azione liturgica ed ai sacramenti. Anche là, lo iato tra molte comunità
ortodosse della diaspora e la pratica delle Chiese tradizionali è ancora
importante.
4)
Potrei ugualmente sottolineare la tendenza dell’ortodossia contemporanea a
celebrare la liturgia dei presantificati la sera, dato che questo officio (come
quello della liturgia della festa dell’Annunciazione della Madre di Dio) è
organicamente legato all’officio dei vespri.
Battesimo e Eucaristia
5)
Desidero infine parlare della celebrazione del battesimo.
Man
mano che si rafforza la coscienza della dimensione ecclesiale dei sacramenti,
si pone la questione non solo del luogo (chiesa o casa familiare), ma anche del
tempo della celebrazione del battesimo. In modo più o meno simultaneo, senza
quasi essersi concertate, delle parrocchie in Francia (comprese quelle di cui
sono rettore) e nell’America del Nord (soprattutto la cappella dell’Istituto di
teologia ortodossa Saint-Vladimir) hanno instaurato da già più di trent’anni la
pratica di celebrare il battesimo all’interno della liturgia e, di conseguenza,
alla presenza reale del popolo di Dio, riunito per la celebrazione collegiale
della divina eucarestia. Questa integrazione dei riti battesimali nella
liturgia eucaristica accentua la finalità eucaristica e comunionale del
battesimo, sottolinea l’impegno battesimale di tutta la comunità ecclesiale
attorno al candidato, ricorda infine l’attualizzazione hic et nunc dell’unico battesimo dei credenti che rinnovano così i
loro voti battesimali ed il loro impegno di fedeltà a Cristo.
Questo
tema della dimensione ecclesiale del battesimo (“Il Battesimo, Sacramento del Regno”) è stato il tema del mio
discorso quando mi è stato conferito il dottorato honoris causa all’istituto Saint-Vladimir nel mese di maggior scorso. A seguito del mio discorso vi è stata
una discussione che ha mostrato l’esistenza di una bipolarizzazione
nell’ortodossia americana attorno al modo di celebrare il battesimo. Le
comunità ortodosse si definiscono a favore o contro questa celebrazione
intra-eucaristica del battesimo e, così, si opera anche là un indurimento delle
correnti tradizionaliste.
Riscoprire il senso stesso
della liturgia
Terminerò
con una riflessione sulla nozione stessa di movimento
liturgico nell’ortodossia. Si tratta piuttosto, all’interno delle nostre
diverse Chiese ortodosse, di interrogarsi profondamente sul senso stesso di
liturgia. I mezzi moderni di informazione, la stampa, le riviste, i colloqui,
Internet, permettono uno scambio ed una comunicazione molto ampi sui problemi
comuni.
È
possibile dire che, al di là di tensioni, fratture e perfino rifiuti di
iniziative particolari, l’ortodossia è, nel suo insieme, in movimento, in
gestazione, sotto la guida dello Spirito, in una dinamica di verità e di vita?
Si dovrebbe parlare meno di movimenti liturgici nell’ortodossia che di ortodossia lei stessa in movimento, cioè ortodossia viva e all’ascolto delle
mozioni dello Spirito.
Anche
in questo, ci sono periodi di massimo immobilismo, addirittura di ristagno,
dove tuttavia l’acqua viva scorre sotto la roccia. In altre parole,
l’ortodossia si scontra sempre più con le pressioni e le avversità del mondo.
In tale situazione, compaiono personalità carismatiche il cui messaggio rimane
anche dopo la loro partenza.
Mi
chiedo infine quale è l’impatto dell’esicasmo sulla vita liturgica. Penso non
solo ai grandi teorici dell’esicasmo, come Gregorio Palamas, ma anche al suo
contemporaneo Nicolas Cabasilas, la cui mistica di comunione è al cuore stesso
del culto bizantino. Questo porta a una coscienza eucaristica vissuta. A sua
volta, l’eucarestia vissuta ci conduce ad una visione rinnovata della Chiesa e
della sua collegialità, vissuta a tutti i livelli delle sue strutture e della
sua esistenza. Allora si pone la domanda: questo XXI secolo in cui siamo
entrati ed in cui ci impegniamo sarà il secolo della Chiesa? (Besa/Roma)
NEW YORK:
FILIOQUE
DICHIARAZIONE
COMUNE
La versione originale del Credo che molte Chiese cristiane accettano come l’espressione standard delle loro fede viene datata al Primo Concilio di Costantinopoli nel 381, ed è stata usata dai cristiani ortodossi fin da allora. Verso la fine, il Credo afferma che lo Spirito Santo “procede dal Padre”. La parola Filioque (“e dal Figlio”) fu aggiunta più tardi alla versione latina di questo Credo usato nell’Occidente, cosicché la frase, come la maggioranza dei cristiani in Occidente sanno, afferma che lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”.
Questa modifica è apparsa in
alcune aree dell’Europa occidentale già dal 6° secolo ma fu accettata a Roma
solo nell’11° secolo. Questo cambiamento nelle parole del Credo e le variazioni
che sottostanno alla comprensione dell’origine e della processione dello
Spirito Santo dentro
Intitolato “Il Filioque - una questione di divisione tra le Chiese”, il testo di diecimila parole presenta tre sezioni principali. La prima, “Lo Spirito Santo nelle Scritture”, offre un sommario dei riferimenti allo Spirito sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.
La seconda sezione, più lunga, “Considerazioni storiche” fornisce una panoramica delle origini delle due tradizioni riguardanti la processione eterna dello Spirito e il lento processo con il quale il Filioque è stato aggiunto al Credo nell’Occidente.
Inoltre mostra come questa questione, che riguarda la teologia trinitaria, sia stata legata alle dispute riguardanti la giurisdizione papale e il primato, e analizza gli sviluppi recenti nella Chiesa cattolica che indicano una più grande consapevolezza del carattere unico e normativo della versione originale greca del Credo, come un’espressione della fede che unisce l’Oriente ortodosso e l’Occidente cattolico.
La terza sezione, “Riflessioni teologiche”, dà rilievo alla nostra limitata abilità di parlare della vita intima di Dio; indica che entrambi le parti del dibattito hanno spesso denigrato le posizioni dell’altro; e elencano aree nelle quali le tradizioni sono d’accordo.
Inoltre esplora le differenze che si sono sviluppate riguardo alla terminologia, e identifica le divergenze teologiche e ecclesiologiche che sono sorte lungo i secoli.
In una sezione finale,
Alla
ricerca dei colori misteriosi di Onufri, nella pittura iconografica e murale
post-bizantina il colore rosso della scuola di Berata (secolo XVI) presenta una
specificità ignota nella sua composizione. Si è costituito un gruppo di
studiosi dell’arte composta da specialisti albanesi (dell’Istituto dei
Monumenti e delle Schienze naturali) e greci dell’Università di Tessalonica per
svolgere uno studio organico. Lo studio ha avuto inizio nel mese di dicembre
2003 e si protrarrà per due anni. Per ora sono state prese in esame due chiese
di Berat, quella di “Shën Triada” e quella di “Shën Todri”. Lo studioso
albanese Frederik Stamati, responsabile del Laboratorio Archeometrico
dell’istituto di Archeologia, ha dichiarato: “Si tratta della prima
cooperazione fra studiosi greci e albanesi
nel campo dello studio scientifico degli affreschi: Non solo. E’ la
prima volta che nel nostro Paese si fa uno studio di tale genere, basato su metodologie e tecniche moderne”.
Lo scopo di questa iniziativa è quello di sostenere la conservazione e il restauro delle icone” (Besa/Roma).
KOSSOVA
MISSIONE DI
RICONCILIAZIONE
DI DON LUSH
GJERGJI
Siamo
lieti di segnalarlo. Si tratta di un’opera positiva in se stessa, compiuta da
un nostro amico. Il quotidiano “Avvenire” ha riportato una “Buona Novella” da
Binça (Kossova). Riferisce di un bambino serbo Mark, di dieci anni. Anche la
sua famiglia era fuggita dalla Kossova, per la lotta in corso e per il timore
di rappresaglie. Il bambino insistette per ritornare. La sorpresa della sua
famiglia fu grande. Ritrovarono la casa intatta, né era stata occupata dagli
albanesi. “Avvenire” scrive: “Don Lush un prete volitivo si era imposto su
tutto e su tutti: guai a toccare la roba d’altri. Ma le sorprese non finivano
qui: la scuola pubblica con quattro prime classi elementari era diventata
multietnica, con il 50% di albanesi cattolici, il 30% di albanesi musulmani, il
20 % di serbi ortodossi. Ognuno con la sua identità e la sua lingua”.
Questo accade a Binça il villaggio dove si trova la parrocchia di Don Lush Gjergji (Besa/Roma).
ATENE
LITURGIA DI
S.GIACOMO
PRESIEDUTA
DALL’ARCIVESCOVO
Il
28 dicembre 2003, domenica dopo Natale, l’arcivescovo di Atene e di tutta
·
La benedizione iniziale ha avuto luogo all’ingresso nella cattedrale;
Questo schema è stato ricavato dalla registrazione della Liturgia di S. Giacomo trasmessa dalla TVEllenica il 28 dicembre 2003 (Besa/Roma).
Il 15 gennaio 2004 si è tenuto a Castelgandolfo un
convegno su Igino Giordano (Tivoli 1894 –1980) co-fondatore del movimento dei
focolari: scrittore, docente, politico.Cfr la biografia scritta da Tommaso
Sorgi (Un’anima
di fuoco, profilo di Igino Giordani, Citta Nuova Ed. Roma 2003). Il vescovo
di Frascati ha promulgato(2003) il decreto di inizio della causa di
beatificazione.
Mons. Eleuterio F. Fortino al convegno di
Castelgandolfo ha svolto un breve intervento sulla posizione del Giordani circa
la preghiera comune per l’unità dei cristiani. Lo riportiamo:
1. L’immediato
post-concilio – il tempo subito dopo la conclusione del Concilio Vaticano II
(1962-1965) – è stato un periodo di fermenti, di riflessioni, di confronti.
Per l’ecumenismo il Concilio aveva apportato
delle novità teologiche e metodologiche. Si trattava di recepirle. Il mettere
in discussione il proprio pensiero, anche di fronte a pronunciamenti alti come
quelli di un Concilio, solleva problemi consistenti. Io ho visto persone, che
stimavo, soffrire veramente di fronte alla prospettiva di una preghiera comune.
Non ne comprendevano la possibilità. E riscontravano una vera difficoltà, avendo presenti i pronunciamenti precedenti
delle autorità ecclesiastiche.
Come pregare insieme per l’unità, se non abbiamo la stessa concezione di unità?
“Le preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità, sono una genuina manifestazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati” (UR,8).
Questa decisione conciliare era chiara, ma non era percepita da tutti
nello stesso modo. In molte zone della Chiesa cattolica essa suscitava
perplessità.
Con un atto simbolico di grande rilevanza il papa Paolo VI, alla
vigilia della conclusione del Concilio, ha voluto salutare gli Osservatori
delle altre Chiese e Comunità ecclesiali proprio con una preghiera comune nella
Basilica di S. Paolo fuori le mura il 4
dicembre 1965.
Erano presenti i Padri Conciliari. A questa preghiera presieduta dal
Papa gli Osservatori presero parte attiva.
Durante le sedute conciliari non avevano diritto di parola.
In questa preghiera veniva data loro la parola per proclamare le Sacre
Scritture, per recitare alcune preghiere, per pregare insieme. Si riacquistava,
cattolici e altri cristiani, la possibilità di rivolgerci insieme all’unico
Signore.
Quell’incontro di preghiera era dominato da un senso di profonda gioia.
Presente a quell’evento di grazia, ne conservo il vivo ricordo come di
una delle mie più belle esperienze ecumeniche.
2. Si aveva l’importante decisione conciliare; si aveva l’esempio
personale del Papa stesso, ma le reticenze in molti permanevano.
Come è noto, nella Chiesa cattolica esistevano due correnti per la
preghiera per l’unità, quella che si riferiva a p. Paul Wattson, che era
impostata sulla prospettiva del “ritorno” nella Chiesa cattolica degli altri
cristiani, e quella che si rifà all’Abbé Paul Couturier che, per promuovere il
ristabilimento dell’unità, proponeva una formula più ampia: i cristiani pregano per l’unità che Cristo
vuole.
Volendo promuovere la preghiera comune proposta dal Concilio, il
Segretariato per la promozione dell’unità – come si chiamava allora l’attuale
Pontificio Consiglio per la promozione dell’unione dei cristiani - ha
organizzato un incontro fra 15 teologi cattolici delle due tendenze (Lione,
13-16 ottobre 1966) che hanno raggiunto un accordo nella linea degli
orientamenti conciliari. Subito dopo (16-20 ottobre) ha avuto luogo a Ginevra un incontro con il
Consiglio Ecumenico delle Chiese sul tema:
“L’avvenire della settimana di preghiere per l’unità”. Si raggiunse un
accordo che, sostanzialmente, guida l’attuale collaborazione in un questo
campo.
Nel maggio del 1967 l’allora Segretariato per l’Unione dei Cristiani pubblicava una prima parte del Direttorio Ecumenico che, tra l’altro, precisava le norme pratiche della Communicatio in sacris. Per la preghiera comune si diceva: “E’ auspicabile che i cattolici si uniscano in preghiera con i fratelli separati, per qualsiasi comune sollecitudine nella quale possono, anzi debbono tra loro cooperare” (n.33).
3. Dal punto di vista teorico e normativo tutto era chiaro. Ma non è detto che tutto ciò che è teoricamente chiaro e anche normativamente previsto sia automaticamente recepito.
Nella città di Roma operavano diversi gruppi che si occupavano della
preghiera per l’unità. Esistevano gruppi benemeriti precedenti al Concilio,
come il Centro “Pro Unione” dei Padri
Francescani dell’Atonement, - che da
tempo con zelo si dedicava alla promozione della preghiera per l’unità secondo
l’impostazione di p. Wattson, suo fondatore - e gruppi di nuova formazione, di
ispirazione conciliare. Esisteva una certa tensione latente. Un certo disagio,
vero non artificioso. Gli incontri di preghiera generavano un clima di
inquietudine.
Era l’autunno
del 1967. Non so da chi fu presa l’iniziativa. Ma è stata proposta una riunione
alla sede del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa. Io accompagnavo il p.
Emmanuele Lanne, Osb, rettore del Collegio Greco, che, per il Segretariato per
l’unione, aveva contribuito ai lavori del Concilio. Eravamo però invitati
all’incontro in rappresentanza del Circolo “Koinonia” che operava in via dei Greci 46, presso
Nel corso dell’incontro sono emerse, da parte di alcuni - come era prevedibile e come era bene che avvenisse - reticenze larvate sulla possibilità teologica della preghiera comune; da altri sono state avanzate problematiche di tipo pastorali (il rischio di creare confusioni ecclesiologiche, relativismo, indifferentismo, sbiadimento della identità cattolica). Un gran numero si esprimeva in favore di una possibilità teologica per la preghiera comune, di un’ opportunità ecumenica, e della stessa opportunità pastorale (gli incontri di preghiera comune avrebbero potuto chiarire la natura dell’ecumenismo e i suoi strumenti).
4. Vi sono stati anche momenti di dibattito acceso. E’ in uno di questi momenti che è intervenuto il Prof. Giordani ed è questo intervento che ricordo con nitidi contorni. Vi era stato un intervento chiaramente anti-conciliare: la preghiera comune non è teologicamente possibile, la disposizione conciliare non è dogmatica, si tratta di un orientamento pastorale che può essere discusso e anche non accettato per il bene della Chiesa. La prospettiva precedente (“pregare per il ritorno nella Chiesa cattolica”) è più sicura: indica dove si trova l’unità, qual è la natura dell’unità e la via per raggiungerla.
In questi casi il metodo migliore per riportare la contesa al dialogo è quella di non perdere la calma. Tanto più che i partecipanti in quell’incontro, sebbene con idee differenziate, erano tutti spinti da un interesse ecumenico sentito. Si era tutti spinti da un impegno personale, non imposto da alcuna autorità.
Si trattava di gruppi non istituzionali, ma di tipo volontaristico.
Si potrebbe dire che si trattava di quello che, in senso positivo, si è detto “ecumenismo di base”. L’incontro infatti era indirizzato ai “Circoli ecumenici”.
Ad un certo momento intervenne provvidenzialmente il prof. Giordani.
Il suo intervento fece un’ impressione positiva. La riunione riprese un ritmo più calmo, più riflessivo. Il senso del suo intervento è stato più o meno così articolato:
a.
Il Concilio per tutti noi è l’espressione di una
autorità alta nella Chiesa cattolica, anche quando non si esprime
dogmaticamente;
a)
La preparazione dei testi conciliari, l’ampia
discussione nel Concilio, l’approvazione del testo conciliare da parte dei
vescovi e del Santo Padre, contengono una garanzia che deve far riflettere
tutti;
b)
La quasi unanimità con la quale è stato
approvato il decreto sull’ecumenismo in
cui si prevede la preghiera comune per l’unità, esprime certamente il
sentimento della Chiesa oggi;
c)
Certamente l’applicazione di ogni indicazione
pastorale esige attenzione; quindi occorre preparare le comunità, spiegare il
senso della decisione conciliare, i suoi fondamenti e le sue prospettive.
Occorre spiegare anche che in nessun
modo si mette in discussione l’identità della Chiesa cattolica. Il Concilio
introduce l’ecumenismo proprio nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa;
d) Bisogna che anche i laici siano più solidamente informati sulle questioni religiose. Non bisogna lasciare al clero e ai religiosi le questioni teologiche. Tutto il popolo di Dio, secondo le varie funzioni che si hanno nella Chiesa e secondo i vari livelli culturali, deve “fare teologia”.
(Qui ha raccontato un episodio che ha suscitato una certa ilarità. Ha ricordato che nel passato egli aveva scritto qualcosa sui protestanti – forse un volume. Una rivista americana lo recensì dicendo che l’autore Igino Giordani era un padre gesuita! “Poteva un laico interessarsi di simili questioni”?).
L’incontro si sviluppò in modo più tranquillo e si ebbe l’impressione che si coagulasse un certo consenso, o almeno che il dissenso latente non avrebbe impedito una celebrazione della settimana di preghiere più serena.
5. Conservo un vivido ricordo di questo episodio in cui Igino Giordani ebbe un ruolo decisivo con il suo intervento teologico e metodologico. Due dimensioni essenziali per la promozione della preghiera per l’unità e dell’intera ricerca ecumenica. Necessarie ieri, utili ancora oggi (Besa/Roma).
LUNGRO
E’
in distribuzione l’Imerologhion 2004 da parte della Commissione
liturgica dell’eparchia di Lungro.
La pubblicazione rende un servizio permanete per il corretto ordinamento liturgico nell’eparchia. Contiene il santorale e indicazioni necessarie per le celebrazioni (esperinòs, orthros, Divina Liturgia) secondo il Typikòn di Costantinopoli e i Dyptika della Chiesa di Grecia (2004), ad eccezioni di lievi variazioni. Ad esempio nei menea di Roma non sono stati introdotti i santi canonizzati dopo la divisione.
L’imerologhion 2004 contiene un’appendice con lo schema del mattutino delle domeniche e delle feste, ed anche uno schema abbreviato di mattutino (Besa/Roma).
ROMA: SINODO INTEREPARCHIALE
INCONTRO DELLA CCC
Il 29 gennaio 2004, si è svolta a Roma, presso la sede della Segreteria centrale, una riunione congiunta tra gli Ordinari delle tre Circoscrizioni Bizantine in Italia e i membri della Commissione Centrale di Coordinamento.
La riunione è stata aperta con la preghiera per il Sinodo guidata da S. E. Mons. Ercole Lupinacci.
Il presidente della CCC, Archimandrita Eleuterio F. Fortino, ha informato sulla situazione della preparazione del Sinodo:
a) Tutte le Commissioni hanno riveduto i progetti di schemi sulla base delle reazioni delle Comunità locali;
b) Ora prende l’avvio la “lettura critica” degli schemi da parte della CCC, con l’aiuto degli esperti;
c) Su tutti gli schemi sono stati già interpellati “esperti” in materia.
S. E. Mons. Ercole Lupinacci, S. E. Mons. Salvatore Ferrara e il
Rev.mo Archimandrita Padre Emiliano Fabbricatore hanno ringraziato
È seguita la presentazione
dei punti all’O.d.G. e la discussione con gli Ordinari. Sono state prese le
decisioni riguardanti:
a)
La modalità di consegna – agli Ordinari - dei progetti sinodali
riveduti dalla CCC. Saranno inviati loro schema dopo schema, a mano a mano, che
l’esame della CCC è considerato concluso.
b)
La presentazione, da parte dell’Archimandrita Donato Oliverio, del
progetto di Regolamento del Sinodo, approvato in linea di massima, con
richiesta di ulteriori precisazioni;
c)
La presentazione, da parte dell’Archimandrita Antonino Paratore, di un
progetto per invito a delegati fraterni di Chiese ortodosse al Sinodo;
d)
E’ stato ricordato che al I Sinodo Intereparchiale (1940) ha preso
parte una delegazione della Chiesa ortodossa autocefala di Albania;
e)
E’ stato concordato di invitare rappresentati della CEI, delle
Conferenze Regionali di Calabria, di Sicilia, del Lazio e delegati di alcune
altre Chiese cattoliche;
f)
E’ stata presentata l’opportunità di invitare vescovi cattolici, in
Italia e all’estero, di quei luoghi dove vive un numero consistente di italo -
albanesi;
g)
Sono state presentate, da parte
di P. Antonio Costanza del Monastero di S. Maria di Grottaferrata, questioni
logistico - organizzative. I Sinodali saranno ospitati nel Centro “Mondo
Migliore” sul lago di Castelgandolfo.
Nel pomeriggio i membri della CCC hanno preso in esame la revisione del “Prologo: “Contesto teologico e pastorale del Sinodo”.
GROTTAFERRATA
Viene
riportato il ciclo delle feste (santorale e feste mobili) in paralello con il
calebdario italo-bizantino in uso nel monastero e quello romano. Si riporta il kiriakodromion per le letture (Apostolos e Vangelo). Si riproducono icone, mosaici e
documenti presenti nel monastero. Quest’anno ricorre il millennio del monastero
(1004-2004). Per rinformazioni sul millenario contattare: info@milenariosannilo.it; e il sito:
www.milenariosannilo.it (Besa/Roma).
Il Santuario dei Santi Cosmo e Damiano ha pubblicato in duplice colonna il calendario: bizantino e romano. Vengono riportate riproduzioni degli affreschi neo - bizantini del santuario (Besa/Roma).
Teologia
quotidiana
49
Con il battesimo l’uomo è incorporato a Cristo, riceve il sigillo dello Spirito Santo, è fatto oggetto dell’amore e della misericordia del Padre. Ciononostante il battezzato, nella sua umana debolezza, può peccare ancora. Gesù risorto comunicò ai suoi discepoli la pace, la riconciliazione con Dio e nello stesso tempo li inviò nel mondo, tra gli uomini, come egli stesso era stato inviato dal Padre. Conferisce loro un potere straordinario: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi” (Gv 21, 22-23). Chi può rimettere i peccati se non Iddio? Ma Iddio tra gli uomini si serve di mezzi di mezzi umani, attraverso i quali egli stesso agisce.
In questo canone si trovano condensate le affermazioni essenziali della Chiesa sul sacramento della penitenza:
a) Si tratta di un sacramento che viene incontro ai fedeli che hanno peccato dopo il battesimo. Gli errori precedenti il battesimo vengono annullati dalla conversione e dal battesimo che libera dal peccato originale e lava da ogni peccato commesso durante la vita;
b) Il ricorso alla penitenza viene coinsiderato come una “conversione a Dio” sulla mozione dello Spirito, perché il peccato è un allontanamento da Dio;
c) Questa “conversione” comporta la coscienza di aver errato e un conseguente “dolore” con il “proposito” di un ritorno a Dio per una “vita nuova” secondo il suo volere e l’insegnamento della Chiesa;
d) Per ricevere il perdono “da Dio” i peccatori fanno ricorso al ministero del sacerdote, davanti al quale confessano i propri peccati , dichiarano di non voler commetterne più e accettano una qualche “epitimia”, atto di penitenza per la correzione della vita;
e)
L’effetto sarà il “perdono da Dio”, ma anche la
“riconciliazione con
f) Per tutte queste ragioni la penitenza contribuisce al massimo grado e di continuo al migliramento della vita cristiana che tende ad essere sempre più conforme alle esigenze dell’Evangelo.
Con piccole variazioni particolari
il sacramento della penitenza è identico per cattolici e ortodossi, perché
esprime l’antica tradizione penitenziale della Chiesa. Ecco come il teologo
ortodosso greco Panaghiotis Trembelas presenta la penitenza: “Considerata nel
suo specifico significato, la penitenza è un sacramento divinamente istituito,
nel quale il sacerdote, in nome del Signore, rimette i peccati commessi dopo il
battesimo al fedele, che li confessa con contrizione e con sincera disposizione
a cambiare esistenza e a vivere virtuosamente” (Dogmatikē tēs
Orthodoksou Katholikēs Ekklēsias, Atene 1961, vol III, p.238).
Accentuando l’uno o l’altro
aspetto dei momenti del rito della penitenza o dell’uno o dell’altro effetto,
questo sacramento è chiamato con vari nomi nei manuali di direzione spirituale,
di morale e di dogmatica. Il Trembelas ne ha raccolto un certo numero di cui
riporta alcuni in latino, perché provenienti dalla tradizione occidentale.
A proposito di questo egli scrive:
“Così fu chiamato “penitenza” (metanoia), dal cambiamento dei sentimenti e dal
mutamento della mente e degli appetiti della volontà, che causa nel peccatore
che si converte; “confessione” (eksomologēsis), “confessio” dalla
manifestazione davanti al ministro dei peccati compiuti di cui si è pentiti;
“secondo battesimo” (baptismus secondus), “lavacro di lacrime” (loutròn
dakryon), “lavacro e purificazione (kathartērion) degli errori; e
“absoluzio” e “reconciliatio” e “tabula
naufragii” (tavola di salvezza dopo il naufragio) a causa dei risultati e della
remissione dei peccati, che concede al penitente” (Ibidem p. 242)
Il sacramento della penitenza
estende e concretizza sulle singole persone il perdono ottenuto per l’intera
umanità dal sacrificio sulla croce di Gesù Cristo. E’ il canale attraverso cui
giunge all’uomo pentito la misericordia di Dio. Il Trembelas inserisce la
penitenza tra i mezzi della Grazia “per la nostra incorporazione nel regno dei
cieli”
(Besa/Roma).
Roma, 2 frebbraio,
Ypapandē 2004
[1] 232/vita interna/Relazioni
sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo stato del Pontificio
Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920, pp. 1 – 2, 4. Vedi anche Cronaca
del Collegio, in Associazione di S. Atanasio no 3 (1923) 2 – 3.
[2] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
pp. 5 – 6.
[3] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
pp. 2 – 3.
[4] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
p. 8.
[5] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
pp. 3 – 4.
[6] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
p. 4.
[7] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1919 - 1920,
pp. 10 – 11.
[8] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921,
p. 2.
[9] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921,
p. 3.
[10] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1920 – 1921,
p. 3.
[11] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1921 – 1922,
p. 3.
[12] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1922 – 1923,
p. 2.
[13] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1924 – 1925,
pp. 2 - 4.
[14] 232/ vita
interna Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione sullo
stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1925 – 1926, p. 3.
Vedi anche Cronaca del Collegio (1924 – 1925), in Associazione di S. Atanasio
6 (Dicembre 1925) 2 – 3.
[15] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1919-1926/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1925 – 1926,
pp. 3 – 4.
[16] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione
sullo stato del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1926 – 1927,
p. 2 - 4; 232/ vita interna
/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione presentata al
Reverendissimo Procuratore apostolico sul Collegio Greco durante l’anno 1926 –
1927, pp. 1 – 5; 232/ vita interna
/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1926-1930/Relazione presentata al
Reverendissimo Procuratore apostolico sul Collegio Greco durante l’anno 1927 –
1928, p. 2; 232/ vita interna
/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1930-1935/Relatio Quinquennalis de
Statu Pontificii Collegii Graeci. 1927 – 1932, Cap. 10, Par. 2. Vedi anche Elenco dei
Padri Benedettini che sono stati Superiori del Collegio Greco, in Σύνδεσμος
(aprile 1938) 16; C. Korolevskij,
Saggio
di cronotassi dei Rettori del Pontificio Collegio Greco di Roma, in Fyrigos 133 - 134.
[17] Vedi anche p.
dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3
(1962), no 3, 53 – 55. Secondo il P. Cirillo Korolevskij, P.
Zimmermann fu “il rettore più insigne che abbia avuto il Collegio sotto il
regime benedettino. Ne fu il vero riorganizzatore e nel Collegio creò uno
spirito che doveva sopravvivere alla sua partenza”.
[18] 232/vita interna/Relazioni
sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio
Roma. Gennaio – Luglio 1915, pp. 1 – 2; 232/
vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il
Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma l’anno 1915, pp. 1 – 2; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del
Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo Stato del Pontificio Collegio Greco di
S. Atanasio in Roma 1917, pp. 2, 3.
[19] Come già abbiamo detto, nel 4 luglio 1912
L’alta soprintendenza del Collegio stava, come dal 1897, presso il
Procuratore Apostolico del Collegio, cioè l’Abate Primate dell’Ordine di San
Benedetto. Vedi anche P. DUMONT, I Benedettini nel Collegio Greco, in
Sant’Atanasio 3 (1962), no 2, 12.
[20] Vedi anche p. dumont, I
Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3 (1962), no 2,
15.
[21] 232/ vita
interna /Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Il Pont.
Collegio Greco di S. Atanasio in Roma l’anno 1915, pp. 2, 3; 232/vita interna/Relazioni sullo stato del
Collegio Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma
1912-1917, p. 2b; 232/vita interna
/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo Stato del
Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1917, pp. 2, 3.
[22] 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio
Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pont. Collegio Greco di S. Atanasio
in Roma nell’anno 1916, p. 1; 232/ vita interna /Relazioni sullo stato del Collegio
Greco/1912-1918/Il Pont. Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1912 - 1917, p.
3; 232/ vita interna
/Relazioni sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato
del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, p. 1.
[23] 232/vita interna/Relazioni
sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pont.
Collegio Greco di S. Atanasio in Roma nell’anno 1916, p. 1. Vedi anche p. dumont, I Benedettini nel Collegio
Greco, in Sant’Atanasio 3(1962), no 2, 15, 18.
[24] 232/vita interna/Relazioni
sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pontificio
Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, p. 1.
[25] Vedi anche p.
dumont, I Benedettini nel Collegio Greco, in Sant’Atanasio 3
(1962), 18.
[26] 232/vita interna/Relazioni
sullo stato del Collegio Greco/1912-1918/Relazione sullo stato del Pontificio
Collegio Greco di S. Atanasio in Roma 1918, pp. 1, 2.
[27] “Missione di Rito Greco in Albania,” Rome, September 21, 1928. ACCO, Prot. 28/28, Fasc. III, p. 5.
[28] Kemal Ataturk, then President
of Turkey, considered Albania’s transition from republic to monarchy
anachronistic. Logoreci, Anton, The Albanians,
Europe’s Forgotten Survivors (
[29] From September 1, 1928, the day of his crowning, Ahmet Zogu abandoned his Muslim name Ahmet together with the last vowel “u” (Albanian definite case for Zog) from his last name and became “Zog I, King of the Albanians.”
[30]
Pollo, Stefanaq, and Puto, Arben, The History of
[31] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 38.
[32] Ibid., p. 37.
[33] Ibid.
[34] Beduli, Dh., Kisha Orthodokse Autoqefale e Shqipërisë, gjer në Vitin 1944 (Tirana 1992), p. 26.
[35] Rama, Fatmira, “Sinodi I Parë Shqiptar dhe Kongresi I Dytë Panortodoks I Kishës Autoqefale Kombëtare,”70-Vjet të Kishës Ortodokse Autoqefale Shqiptare (Tiranë 1993), p. 64.
[36] Beduli, Dh., Kisha Orthodokse Autoqefale e Shqipërisë, gjer në Vitin 1944 (Tirana 1992), p. 26.
[37] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 38.
[38] Cordignano, Fulvio, “Il mio Viaggio nell’Albania del Sud: Aprile 1928. Quel che si può pensare sulla Questione Ortodossa,” to the Provincial, May, 30, 1928. AVPSJ, Albania II, Corrispondenza Epistolare dei Nostri, 1914-1944, Fasc. 1926-1929, p. 10.
[39] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 39; Lettera del Delegato Apostolico alla S.C. pro E.O., 29 Agosto 1929. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. III, p. 19.
[40] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 41.
[41]
Cordignano Fulvio, “Da una Visita a Korça, 31 maggio-10 Giugnio
[42] For a complete analysis of the events relating to Pietro Scarpelli’s eviction from Albania see Murzaku, Angjeli, Ines, “King Zog I and Albanian’s Religions. The Albanian Autocephalous Orthodox Church and the Byzantine Catholic Church,” Orientalia Christiana Periodica, (forthcoming 2003).
[43] Terza Relazione di D. Pietro Scarpelli, 10 Gennaio 1930. Sacre Congregazioni “Pro Ecclesia Orientali” e degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Relazione con Sommario sulle Condizioni della Missione Cattolica di Rito Orientale in Albania, ACCO, Prot. 441/28, Nr. X, p. 47.
[44] Ibid., p. 48.
[45] Germano Giovanelli, S. Nilo di Rossano fondatore di Grottaferrata, Badia di Grottaferrata, 1966, p. 14. Il testo originale greco è contenuto nel codice greco criptense B,b. II (430) che risale al secolo XII, dal foglio 12 al 155.
[46] J. Gay, L’Italie Meridionale et l’Empire Byzantin, Paris, 1904, p. 269.
[47] E. Pontieri, Tra i Normanni dell’Italia Meridionale, Napoli 1948, p. 118.
[48] Il
decreto sull’ecumenismo “Unitatis
Redintegratio” promulgato dal
Concilio Vaticano II costituisce
[49] Il Bios citato in questo testo, qui e di seguito, si riferisce alla traduzione di Germano Giovanelli citata nella nota 1.
[50] Si
troverà una descrizione dell’avvio di questo dialogo e degli orientamenti
concordati in: Eleuterio F. Fortino, Impostazione
del dialogo teologico tra
[51]Cfr. Tomos Agapis, Vatican -
Phanar (1958 - 1970), Roma - Istanbul, 1971; E. J. Stormon, Towards the Healing of Schism: The See of Rome and Costantinople.
Public Statements and Correspondence between the Holy See and the Ecumenical Patriarchate,
1958-1984, Mahwah, Paulist Press (coll. “Ecumenical
Documents”,3), 1987; J. E. Desseaux, Le
livre de la charité, Cerf, Paris, 1984; A. Panotis, Les pacificateurs: Jean XXIII, Athenagoras, Paul VI, Dimitrios I,
Editions de
Una prima sintesi dell’idea centrale di questo
dialogo si trova in : Eleuterio F. Fortino, La
“Communio-koinonia” en el dialogo teologico catolico-ortodoxo, in “Pueblo
de Dios, Cuerpo de Cristo, Templo del Espiritu Santo, XV Simposio Internacional
de Teologia de
[52] Lo scopo del dialogo è così descritto nel documento
concordato da cattolici e ortodossi: “Lo scopo del dialogo teologico tra
[53] Cfr. Eleuterio F. Fortino, Il vestusto cenobio di Grottaferrata - Una testimonianza dell’Oriente, Un servizio all’unità della Chiesa, in “Bollettino della badia Greca di Grottaferrata”, n.s. vol. XLII, 1988, pp. 161-182.
[54] Cfr. Bios kai politeia tou hosiou patròs ēmōn Neilou tou Neou, Testo originale e studio introduttivi a cura di Germano Giovanelli, Badia Greca di Grottaferrata, 1972. Un’ampia informazione documentata sulla vita, l’opera di S. Nilo e il contesto storico e geografico in cui essa si è svolta può essere trovata in “Atti del Congresso Internazionale su S. Nilo di Rossano, 28 settembre-1 ottobre 1986, Rossano/Grottaferrata, 1989, pp. 606.
[55] Pontificio Consiglio per la promozione dell’unione dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, Libreria Editrice Vaticana, 1993.
[56] Ho hosios Neilos ho kalabròs – Ho Bios tou hosiou Neilou tou Neou (910-1004), Introduzione, edizione critica del testo, traduzione, osservazioni sull’opera innografica del Santo, Edizioni del metochion Evanghelismou, Ormidha, 1991. Cfr. Eleuterio F. Fortino, Un santo venerato dall’oriente e dall’occidente nello spirito dell’antica comunione, in “L’Osservatore Romano”, 26-27 agosto 1991.