Il Piccolo – Processo Piskulic

Impossibile evitare che il procedimento assuma anche valenza prettamente politica dopo mezzo secolo di silenzi e rimozioni Processo «delle foibe», il 21 la sentenza

Dopo 56 anni il giudizio contro Piskulic, maggiore della polizia titina

Oltre mezzo secolo dopo gli assassini e le violenze commessi dal comunismo titino contro la popolazione italiana, la Corte d'assise di Roma emetterà tra pochi giorni, venerdì 21 settembre, la sentenza contro Oskar Piskulic, cittadino croato oggi ottantunenne che secondo l'accusa nel '45 era, con il grado di maggiore, il responsabile dell'Ozna, la polizia segreta jugoslava, nella zona di Fiume. A Piskulic vengono in particolare addebitati gli omicidi di tre autonomisti fiumani: Nevio Skull, cui venne sparato un colpo alla nuca, Giuseppe Sincich, ucciso a colpi di mitra, e Mario Blasich, strangolato nel proprio letto.

E' chiaro che nel procedimento penale vanno chiarite e appurate solo le responsabilità personali dell'imputato che oltretutto, data la veneranda età e la distanza dai fatti, nessuno vorrebbe vedere rinchiuso in un carcere. La «cifra» del procedimento è però tutta di natura politica, tanto che il processo, pur non riguardando alcun vero e proprio infoibamento, viene genericamente definito come il processo delle foibe e per Giuseppe Pititto, il Pm che lo ha aperto prima di essere rimosso, ma anche per ampi settori della società civile, rappresenta una sorta di riparazione a decenni di colpevole rimozione soprattutto per ragioni di opportunità politica. Le udienze riprenderanno già martedì 18 nell'aula bunker del Foro Italico, in via dei Gladiatori, a Roma. A partire dalle 9.30 prenderanno la parola il Pm Luigi Malerba e l'avvocato generale dello Stato, Paolo Tarsìa di Belmonte. Mercoledì 19 sarà la volta del patrono di parte civile, l'avvocato Augusto Sinagra. Venerdì 21 invece svolgerà la propria arringa il difensore di Piskulic, l'avvocato goriziano Livio Bernot. I giudici si riuniranno poi in camera di consiglio da dove usciranno con la sentenza.

Nidia Cernecca, la donna che ebbe il padre trucidato dai titini e che con un esposto ha dato origine a questo processo, ha diffuso un appello in cui invita «gli italiani che sentono il dovere morale di difendere la propria cultura, gli esuli istriani, fiumani e dalmati, i politici, i rappresentanti dei media, i giovani a partecipare fisicamente in massa alle ultime udienze del processo».

Secondo invece un comunicato emesso dal «Comitato italo-sloveno-croato per la verità storica», l'avvocato Bernot ha presentato documenti da cui si dedurrebbe che Piskulic nel '45 non era a capo del controspionaggio militare jugoslavo a Fiume. Bernot ha anche fatto ricorso a Strasburgo lamentando il fatto che la Corte abbia concesso una quindicina di testi all'accusa e solo due alla difesa: Samo Pahor e Paolo Parovel. Quest'ultimo ha prodotto una relazione sull'esistenza di una cosiddetta «Gladio 2» che condizionerebbe il processo e le relazioni tra Italia, Slovenia e Croazia. Recentemente lo storico Giampaolo Valdevit ha scritto che il tema delle foibe a Trieste «per gli uni serviva a ricordare le malefatte del comunismo e perciò a esorcizzarlo, per gli altri rappresentava le conseguenze del fascismo e metteva in guardia dai possibili suoi rigurgiti». Solo pochi mesi fa, dopo oltre mezzo secolo di silenzi, l'ex amministrazione di centrosinistra ha fatto stampare un opuscolo in cui si parla delle migliaia di vittime «di una fiammata nazionalista funzionale a un disegno politico di distruzione della classe dirigente italiana». E' chiaro che non si tratta di violenze paragonabili con i genocidi attuati dal nazismo. Ma chi si ostina a minimizzarle o addirittura a negarle, non ha oggi nemmeno l'autorità morale per chiedere la destituzione di Menia dalla commissione della Risiera.