IL CASO L’iniziativa della curva «rossa» labronica durante la partita di domenica innesca denunce penali e mette in moto anche l’Ufficio indagini della Figc

 Il Livorno pagherà caro lo striscione sulle foibe

Le scuse del sindaco toscano Lamberti a Dipiazza. Il questore se la prende con i supporter ospiti

 

TRIESTE - Denunce, esposti in Procura, un’inchiesta dell’Ufficio Indagini della Figc, interrogazioni parlamentari, mozioni in Consiglio comunale e durissime reazioni a livello politico: lo striscione sulle foibe esposto domenica a Livorno dalla curva «rossa» è diventato una bomba a orologeria esplosa a due giorni dalla partita con la Triestina. Rischiano di andarci di mezzo la Questura della città labronica, l’arbitro Giannoccaro di Lecce per aver ignorato l’episodio e la società toscana per responsabilità oggettiva. Lo striscione incriminato («Tito ce l’ha insegnato, la foiba non è reato») è stato esibito e poi appeso su una rete per tutta la partita nel settore dei popolari, dove prendono posto i tifosi più caldi, accanto ad altre «icone» del comunismo quali le bandiere cubana e palestinese, la stella rossa e l’immagine di Stalin.

La legge contro la violenza negli stadi varata dal passato governo nel febbraio del 2000 dagli ex ministri Bianco e Melandri, d’intesa con la Federcalcio, parla chiaro: le partite devono essere sospese appena compaiono sugli spalti striscioni razzisti o xenofobi. Per quanto riguarda le serie A e B, la segnalazione all’arbitro deve essere fatta dal quarto uomo (ma in C non c’è) o da un funzionario di pubblica sicurezza. Il direttore di gara ha la facoltà di far riprendere il gioco solo dopo che gli striscioni sono stati rimossi. Giannoccaro di Lecce può non essersi accorto di nulla o non aver dato il giusto peso a quelle parole e questo può tradursi in una buccia di banana per uno dei migliori arbitri della categoria. Di fronte all’ondata di proteste, il capo dell’Ufficio Indagini della Figc, Italo Pappa, ha disposto l’immediata apertura di un’inchiesta per accertare le responsabilità dell’arbitro e della società di casa che rischia la squalifica del campo e in alternativa una pesantissima multa. Un provvedimento, del resto, già preso la scorsa stagione nei confronti della Lazio per i cartelli antisemiti. La Questura di Livorno, presente in forze allo stadio, si giustifica sostenendo che non era proprio possibile togliere quello striscione durante l’incontro senza scatenare il putiferio nella gremitissima curva rossa. Può darsi, ma questo è il loro compito. Lo hanno sequestrato solo a partita finita e questo è stato un grave errore. Molto più severi sono stati gli agenti con il gruppo dei triestini della curva «nera» (una settantina). Alle prime proteste per lo striscione hanno risposto con le manganellate e particolarmente energici si sono dimostrati anche quando hanno scortato gli ultras sui pullman. Il questore di Livorno Cristofaro La Corte si difende attaccando: «Il pubblico livornese ha agito in risposta ai tifosi avversari - afferma - che avevano esposto lo striscione ’Me ne frego’. Erano anche giunti allo stadio con magliette raffiguranti la testa del Duce». Il gesto della curva rossa a Livorno ha invece innescato un coro di sdegno e di condanna da parte di tutto lo schieramento politico. Ieri pomeriggio sono arrivate al sindaco Roberto Dipiazza le scuse ufficiali del primo cittadino livornese Gianfranco Lamberti. «Richiamando in quel modo - dice - la tragedia delle foibe hanno offeso non solo i triestini ma tutti noi». Il sindaco si bacchetta da solo e polemizza con la Questura: «Durante la partita ho atteso invano che lo striscione venisse rimosso da chi di dovere. Non è successo è deve riconoscere che avrei fatto meglio a non limitarmi a condannare subito i contenuti inaccettabili, ma a dare io stesso indicazioni per imperdirne l’esposizione. Ne sono davvero rammaricato. Ora non posso che rivolgermi a tutti i triestini e scusarmi con loro». Lamberti ha fatto la sua parte ora tocca alla giustizia ordinaria (gli investigatori hanno individuato sette tifosi, oggi potrebbero scattare le denunce) e a quella sportiva punire questa vergognosa iniziativa.

 

Già individuati dagli investigatori alcuni facinorosi della curva «rossa»: ora scatteranno i provvedimenti

I tifosi toscani «inchiodati» dai filmati

Gli ultras triestini: «Ci hanno picchiato con i manganelli, chiedevamo giustizia»

 

TRIESTE - Un filmato e alcune fotografie, scattate dalla questura di Livorno, inchiodano gli ultras toscani che domenica hanno prima esposto e poi appeso lo striscione «Tito ce l'ha insegnato, la foiba non è reato». Una scritta firmata con la falce e il martello, che ha fatto scattare una denuncia. Il provvedimento è stato comunicato ieri mattina alla Digos di Trieste dai colleghi livornesi con una telefonata al dirigente dell'ufficio e la documentazione spedita via fax. Lunedì prossimo, in occasione del posticipo serale tra Padova-Livorno, saranno invece consegnati i filmati dello striscione incriminato.

«Appena esposto quello striscione vergognoso - raccontano due rappresentanti degli ultras - siamo andati a chiedere alla polizia di farlo togliere. Il movimento di una decina di persone è stato mal interpretato, oppure non aspettavano altro, sta di fatto che hanno cominciato a colpirci con i manganelli girati dalla parte del manico e mirando alla faccia. A uno di noi è stata strappata dalle mani la macchina fotografica e portato via il rullino. Poi è tornata la calma e abbiamo spiegato le nostre ragioni: volevamo fosse rimosso e inizialmente ci hanno anche risposto di sì, poi invece si sono trincerati dietro a un'impossibilità dettata da motivi di ordine pubblico». Un parapiglia nel settore riservato agli ospiti che ha coinvolto, anche se la questura non conferma, gli agenti triestini al seguito. Poliziotti in borghese colpiti da quelli in divisa senza distinzioni. Tre uomini della Digos di Trieste partiti in macchina alla volta di Livorno seguendo i due pullman degli ultras. Un lavoro massacrante, fatto di 1200 chilometri e nemmeno la pausa per il pranzo, con il compito di stemperare gli animi e fare da mediatori tra ultra e poliziotti locali.

«Siamo contenti che siano venuti con noi - spiegano gli esponenti della curva - perché così hanno capito che non siamo teppisti e si sono resi conto del trattamento riservatoci». Un viaggio filato via liscio, con tanto di sosta all'autogrill Cantagallo di Bologna, teatro della rissa con i tifosi lariani di alcuni mesi fa.

«Abbiamo la nostra colorazione politica (destra, ndr) - raccontano gli ultras - ma nella nostra curva gli striscioni sono per l'Alabarda. A Livorno non ne abbiamo visto uno per la squadra, solo in favore dell'ex Unione sovietica e quello a denigrare gli infoibati. Qui si viene diffidati per un saluto romano, la Triestina è stata multata (20 milioni di lire) per una croce celtica esposta a Castelfranco Veneto. Che cosa dovrebbero allora fare alla società labronica?» Il momento più brutto è stata la partenza da Livorno: le forze dell'ordine locale volevano far uscire i triestini prima del fischio finale della partita. «Ci siamo opposti, volevamo uscire a testa alta e ci siamo riusciti - raccontano i due tifosi - poi è arrivata la sassaiola». Una botta sulla fiancata e il vetro di un pullman infranto.

 

CALCIO:Inchiesta su striscione su foibe in Livorno-Triestina

ROMA - Il Capo dell'ufficio indagini della federcalcio, Italo Pappa, ha disposto l'immediata apertura di un'inchiesta sullo striscione comparso domenica scorsa in una curva dello stadio di Livorno sul quale vi era scritto ''Tito ce lo ha insegnato - la foiba non e' reato''. Lo rende noto la Figc. Sulla vicenda proprio il consiglio comunale di Trieste ha approvato una mozione in cui, tra l'altro, ci si chiede perche' sia stato consentito lo svolgimento della partita. Il club toscano rischia ora pesanti provvedimenti disciplinari, che potrebbero arrivare alla squalifica del campo.(ANSA).

 

Calcio, serie C1: Uno striscione indecente in Livorno-Triestina scatena la protesta della città giuliana

Livorno è nella vergogna per alcuni suoi pseudo-tifosi che domenica scorsa nella sfida casalinga con la Triestina(serie C1 giorne A di calcio) hanno offeso i giuliani con un irriguardoso striscione: "Tito ce lo ha insegnato - la foiba non è reato". Il sindaco del capoluogo giuliano, Roberto Dipiazza (Fi), ha chiesto immediatamente alle massime autorità di Livorno, tramite un documento, "di prendere le distanze da quanto accaduto" e a scusarsi "ufficialmente con la città di Trieste". Nel documento si domanda anche perchè la Polizia non abbia fatto togliere lo striscione e perchè la Lega Calcio abbia fatto svolgere la partita "in un simile contesto". Il Consiglio Comunale di Trieste ha poi approvato una mozione che condanna l' esposizione di tale striscione inneggiante alle foibe. Renzo De Vidovich, presidente della delegazione di Trieste del Libero Comune di Zara in esilio, ha chiesto al sindaco di Livorno, di intestare una via della città ai martiri delle foibe e di attuare nelle scuole di Livorno "un ciclo di conferenze - ha rilevato - sull' Esodo di 350.000 istriani, fiumani e dalmati, in seguito all' azione terroristica dei partigiani di Tito e sulle Foibe dove morirono diecimila innocenti". Il Capo dell'ufficio indagini della federcalcio, Italo Pappa, ha disposto l'immediata apertura di un'inchiesta sullo striscione comparso domenica scorsa in una curva dello stadio di Livorno. Lo rende noto la Figc. Il club toscano rischia ora pesanti provvedimenti disciplinari, che potrebbero arrivare fino alla squalifica del campo.

 

martedì 5 marzo 2002

STRISCIONE ALLO STADIO

 Foibe e Triestina, lo sdegno di An

 LIVORNO. Il Coordinamento provinciale di Alleanza nazionale ha espresso la sua condanna per uno striscione inneggiante alle foibe (dove durante la guerra partigiani jugoslavi uccisero migliaia di italiani nella zona di Trieste) esposto domenica allo stadio. An definisce «irresponsabile e istigatore all'odio» quella scritta «che oltre ad offendere la memoria di tanti connazionali barbaramente assassinati, offende tutti gli italiani nei loro sentimenti più sacri. Nel chiedere scusa ai triestini per la grave offesa loro arrecata» An chiede che siano perseguiti i responsabili «di questo atto ignobile».

 

TRIESTE - La partita Triestina-Livorno è diventato un caso politico causa uno striscione oltraggioso («Tito ce l’ha insegnato, la foiba non è reato»). La rivalità tra la curva rossa (i labronici) e la curva nera (gli alabardati) ha insomma lasciato il segno. Ieri sera è stato approvato all’unanimità (33 voti) dal Consiglio Comunale una mozione presentata da Claudio Giacomelli (An) e Piero Camber (Forza Italia). Nel documento viene denunciato il comportamento dei tifosi livornesi e della polizia che neanche su precisa richiesta ha provveduto a togliere lo striscione. La mozione impegna il sindaco Dipiazza a chiedere per quale motivo le forze dell’ordine non si siano attivate e e a domandare alla Lega calcio di prendere provvedimenti Dal sindaco di Livorno, presente allo stadio, si pretendono invece scuse ufficiali alla città di Trieste. Gli ultras triestini che avevano chiesto che venisse tolto lo striscione domenica sono stati manganellati.

 

Le interrogazioni parlamentari di Damiani e Menia. Il giudice sportivo non si è pronunciato: la «palla» è passata all’Ufficio Indagini          Lo striscione sulle foibe: chiesta la testa del questore

TRIESTE - L’unico a non pronunciarsi sullo striscione esposto dalla curva «rossa» domenica a Livorno («Tito ce l’ha insegnato la foiba non è reato«) per ora è stato il giudice sportivo. L’episodio sul fronte politico continua, invece , a innescare reazioni a mitraglia. Sulla graticola è finito soprattutto il questore di Livorno Cristofaro La Corte. Lo hanno attaccato i deputati triestini Roberto Menia (An) e Roberto Damiani (Gruppo misto) nelle loro interrogazioni parlamentari. Come «risarcimento» Livorno con ogni probabilità intitolerà una strada ai martiri delle Foibe. Al riguardo il capogruppo di An al Consiglio comunale Bruno Tamburini ha presentato ieri una mozione. La stessa richiesta a Trieste era partita dal presidente della Provincia Fabio Scoccimarro che l’ha inoltrata ai suo omologo livornese Claudio Frontera. «Rappresenterebbe un doveroso ricordo per le generazioni attuali e future di una delle pagine più drammatiche e per tanti anni volutamente dimenticate nella storia del nostro Paese». Le indagini sui tifosi livornesi che hanno confezionato ed esibito lo striscione sono a un buon punto: la Digos della città toscana sta visionando filmati e foto.

Scatteranno presto le denunce. Per uno scherzo del destino. il questore di Livorno La Corte che martedì aveva accusato gli ultras triestini nel tentativo di tutelare l’operato dei suoi uomini, in passato ha diretto la divisione del Criminalpol della Questura giuliana. Era un giovane funzionario di polizia quando dovette difendere la sede del Fronte della Gioventù di via Paduina dall’assalto di un gruppo di estremisti di sinistra inferociti dopo la strage di Brescia del 28 maggio ’74. Ora La Corte è diventato oggetto di due interrogazioni parlamentari. Menia chiede al ministro degli Interni Scajola di appurare i motivi per i quali le forze di polizia presenti non abbiano ritenuto di togliere lo striscione. «Chiedo quali sanzioni saranno prese nei confronti del responsabili dell’ordine pubblico e quale sia in particolare la posizione del Questore» Più o meno dello stesso tenore l’interrogazione di Damiani: «Chiedo di sapere quali esemplari provvedimenti saranno presi nei confronti del questore, quali passi il governa intenda intrapren dere per sollecitare una punizione nei confronti dell’arbitro che secondo la legge vigente non avrebbe dovuto neanche fischiare il calcio d’inizio».

Il giudice sportivo di serie C Giuseppe Quattrocchi ieri non poteva deliberare sui fatti di Livorno per due motivi: punto uno, sul referto dell’arbitro Giannoccaro non c’è alcuna traccia del fattaccio per il semplice motivo che non si è accorto di nulla; punto due, l’inchiesta è in mano al capo dell’Ufficio Indagini delle Figc Italo Pappa al quale il commissario di campo presenterà una prima relazione. Probabile la squalifica del campo ma ci vorrà almeno una settimana per approdare a un verdetto. Paolo Sardos Albertini presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i Marti delle foibe auspica che «alle parole di condanna seguano fatti adeguati». La coordinatrice nazionale di Azione Giovani Giorgia Meloni va giù duro: «Quello striscione offende la sensibilità di tutti gli italiani uccisi dal 1943 al ’45». Il Fronte nazionale sot tolinea «il discutibile comportamento tenuto dalle forze dell’ordine e dal questore di Livorno i quali si sono rifiutati di rimuovere lo striscione».

 

Foibe, lo striscione finisce in Parlamento

Giudice sportivo: nessuna ammenda per il Livorno

 

TRIESTE. Finisce in Parlamento la vicenda dello striscione («Tito ce lo ha insegnato, la foiba non è reato») esposto domenica scorso nello stadio di Livorno durante la partita di calcio con la Triestina (serie C/1, girone A). Il deputato triestino Roberto Menia (An) ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'Interno e a quello per i Beni e le Attività Culturali per sapere se il governo vuole esprimere «la propria condanna per i fatti denunciati». Menia, inoltre, ha chiesto al governo di accertare «i motivi per i quali le forze di polizia presenti (allo stadio) non abbiano ritenuto di togliere lo striscione nonostante ne fosse stata fatta precisa e ripetuta richiesta, è perché il direttore di gara non abbia sospeso l'incontro sino a che lo striscione non fosse stato rimosso, nonostante ciò sia previsto - ha ricordato Menia - dalle vigenti leggi contro la violenza negli stadi».
Forse anche per questo la società labronica resta impunita. Nelle decisioni del giudice sportivo di serie C, Giuseppe Quattrocchi, infatti, non c'è traccia di ammende per l'episodio.
Probabile che il giudice aspetti gli esiti dell'indagine federale, o che più semplicemente non abbia trovato traccia del gesto nel referto dell'arbitro Giannoccaro di Lecce.

 

Caccia agli autori della scritta

La condanna della città per l'esaltazione delle foibe

Si discute ancora sulle conseguenze di un'azione di forza

 

LIVORNO. Da ieri mattina non si parla d'altro. L'argomento «striscione maledetto», quello inneggiante a Tito ed alle foibe, è onnipresente nei bar come nelle case dei livornesi. In linea generale si sentono parole di condanna ma non manca chi trova giustificazioni per l'iniziativa dei tifosi amaranto. In questura si parla poco e si lavora parecchio per individuare gli autori della scritta. A quanto pare, entro breve tempo il caso, sotto questo punto di vista, potrebbe essere risolto. Intanto si sono saputi altri particolari sul clima di tensione che si è creato, domenica allo stadio. A parte la «preparazione» della gara vissuta su Internet attraverso pesanti scambi di insulti tra triestini e livornesi, pare che, appena iniziata la partita, si era sparsa la voce di una brutale aggressione ai danni di una famiglia di livornesi da parte dei tifosi ospiti. In realtà non è successo niente del genere: i triestini hanno tentato di ingaggiare la rissa con i livornesi, sia in tribuna numerata che sulle gradinate ma sono stati bloccati subito dalla polizia. In città si parla anche dell'operato delle forze dell'ordine, specie dopo che il sindaco ha detto che chi di dovere sarebbe dovuto intervenire. In questura, anche a mente più fredda, si ritiene che, proprio per il particolare clima di tensione che si era creato, un intervento con la forza (a trattare hanno provato diverse volte anche i rappresentanti del Livorno calcio) avrebbe provocato incidenti gravi. Anche l'ipotesi dell'interruzione della partita fino a quando non fosse stato tolto lo striscione, sempre stando alla situazione, avrebbe provocato il caos. Si difende dunque la linea scelta ovvero l'individuazione e la punizione dei responsabili a posteriori. Anche a proposito dell'unico momento di contatto tra le tifoserie, avvenuto in via Randaccio, pare che almeno uno dei vetri sia stato rotto dall'interno, col martelletto di emergenza che si trova nel pullman con a bordo i triestini. Anche in quel caso, si era parlato del ferimento di una bambina che passava per caso: niente di vero. Di feriti, neppure leggeri, non ce ne sono stati. Imbarazzo tra gli ultrà livornesi che, già ieri, tramite le Bal, Brigate autonome, si erano dissociate dallo striscione incriminato. Numerose le prese di posizione delle forze politiche ed anche le lettere arrivate al giornale di singoli cittadini o associazioni.

 

Da Il Tirreno

Livorno: due pesi, due misure? Verso l’incriminazione per scritte e cori 
inneggianti al vecchio regime i sei giovani identificati 
Ultras alabardati, è apologia del fascismo
L’inchiesta per lo striscione sulle foibe rischia invece una clamorosa 
archiviazione

LIVORNO - Rischiano l’incriminazione per apologia del fascismo i sei tifosi della Triestina che domenica 3 marzo assistendo alla partita contro il Livorno si erano esibiti in saluti romani e in cori ispirati al regime fascista. Come è noto, nel corso della partita era comparso anche uno striscione con la scritta «Me ne frego» durante il minuto di silenzio per commemorare la scomparsa del giocatore di colore del Chievo, Jason Mayelè vittima, il giorno precedente, di un incidente stradale.

 

I tifosi triestini verso il rinvio a giudizio 

«Atti di apologia del fascismo». Interrogati anche i dieci livornesi 

LIVORNO. Per i sei tifosi della Triestina non ci sono più dubbi: si dovranno presentare di fronte al giudice per le indagini preliminari di Livorno. Il sostituto procuratore Mario De Bellis, titolare dell'inchiesta sui fatti accaduti lo scorso 3 marzo allo stadio Armando Picchi nel corso del match tra il Livorno e la squadra giuliana, ha infatti esaminato a lungo le foto e i video che ritraggono gli ultrà della formazione alabardata mentre, nel settore riservato agli ospiti della curva sud, si esibivano in saluti romani, con il braccio teso, ed in cori ispirati al regime fascista. Per la chiarezza delle immagini e delle foto scattate dalla polizia labronica non ci sarebbe alcun dubbio sull'identità e sulle responsabilità di questi giovani. 
A loro carico De Bellis, nei prossimi giorni, emetterà una richiesta di rinvio a giudizio per violazione di una legge speciale che vieta gesti, inni o dichiarazioni apologetiche del ventennio fascista.  Diversa, sul piano giudiziario, appare la posizione dei sostenitori amaranto. Di quei dieci giovani che sono stati identificati dalla Questura nelle immediate vicinanze dello striscione che recava la scritta inneggiante a Tito ed alla tragedia delle Foibe. De Bellis, nei prossimi giorni, interrogherà gli interessati ma sembra piuttosto difficile stabilire un nesso diretto tra la presenza nei dintorni dello striscione incriminato e la realizzazione dello stesso. In altre parole, quei dieci ultrà amaranto potrebbero soltanto aver tenuto alto lo striscione, fatto calare dall'alto, senza necessariamente essere responsabili di ciò che c'era scritto sopra. L'impressione - anche se la Procura non conferma è che in questo caso si vada verso una richiesta di archiviazione

 

Lettera di protesta del Presidente dell'A.D.ES. alla F.I.G.C.