LA STRAGE DELLA SPIAGGIA A  POLA Domenica 18/08/1946

Erano sobri i giornali una volta. Per la strage di Pola Vergarolla, alle
14,10 di domenica 18 agosto 1946 - sessantaquattro morti dilaniati sulla
spiaggia dallo scoppio di ventotto mine navali -, la Stampa di Torino del
martedì seguente titolava: -"Sventura a Pola". Come fosse caduto un
fulmine... E, nel sommario, il pudico interrogativo: "Si tratta di un
attentato?".
L'inchiesta risponderà di sì. Le mine, residuati bellici, erano state
disinnescate da artificieri italiani. E reinnescate di nascosto da
partigiani, pardon, militari jugoslavi, che avevano eluso la sorveglianza
delle truppe britanniche di occupazione. L'esplosione fu provocata nel
momento di maggiore affollamento di italiani, riuniti per assistere alla
coppa Scarioni di nuoto. Il messaggio era chiaro: o la valigia o la tomba.
Mezzo secolo dopo sarà di nuovo domenica 18 agosto, come allora. A Pola una
cerimonia ricorderà quegli adulti mai invecchiati, quei bambini mai
cresciuti. A Pola, ora Croazia, si ricorderanno italiani completamente
dimenticati dall'Italia, fatti a pezzi e finiti in pasto ai gabbiani. A
Parigi, proprio in quei giorni, De Gasperi rinunciava a chiedere il
referendum che avrebbe salvato all'Italia la loro terra. In tal modo voleva
evitarne un altro, imbarazzante, in Alto Adige.
A Pola non c'è un orologio rimasto fermo alle 10,24 da usare come simbolo,
genere stazione di Bologna. A Roma non c'è un vecchio comunista slavo da
processare: una strage di italiani uccisi perché italiani non è un "Crimine
contro l'Umanità"; non c'è nessuno a protestare e a gridare allo scandalo;
non c'è nessun Mentana, nessun Mimun, a riempire telegiornali di filmati e
di foto consunti a forza di mostrarli. Per una volta, diciamo noi quello che
ci ripetono a ogni Eichmann, a ogni Priebke: "Non bisogna dimenticare".
Anche se non c'è un film-tv come Olocausto, né un film vero come La lista di
Schindler per loro, onoriamo noi la memoria di Carlo e Renzo Micheletti, di
nove e sei anni, squarciati con la madre Caterina e lo zio Alberto, entrambi
di trentasette anni, su quell'ultima spiaggia. Proponiamo noi una medaglia
d'oro per il loro padre, marito, fratello: medico, operò fino a notte per
salvare i feriti prima di piangere sui suoi morti.
Non bisogna dimenticare. Giusto. Ogni volta che vediamo in TV quel bambino
del ghetto di Varsavia, Polonia, con le mani alzate, col volto impaurito
sotto un grosso berretto, un soldato tedesco alle spalle, immaginiamoci
anche questi bambini di Pola, Italia: Alberto Brandis (tre anni), Luciana
Berdini (cinque), Norina Dinelli (sei), Vitaliano Muggia (dieci), le
sorelline Marina e Graziella Maresi (tre e cinque anni), Nadia Giurina
(undici), Silvana Marchi (cinque), Carlo Succi (sei), Aurelio Ricato
(dieci), le sorelline Gianna e Licia Rocco (cinque e otto anni), i fratelli
Gianfranco e Lucio Roici (dodici e quindici anni), Maria Luisa Piccoli
(dodici), Edmondo Zelesco (sei), Sergio Vivoda (otto), fratello di Lino,
l'autore dell'Esodo da Pola (Ed. Nuova Litoeffe, Castelvetro, 1989), l'unico
libro in circolazione a ricordare la strage.
Non bisogna dimenticare. Giusto. Non dimentichiamo i morti delle Ardeatine,
ma neanche i morti militari e civili di via Rasella. Non dimentichiamo i
giustiziati di piazzale Loreto dell'agosto 1944, ma neanche gli appesi di
piazzale Loreto dell'aprile 1945. Passiamo il Ferragosto come fosse il 2
novembre, del resto a Pola è già successo.