Il Nostro Cielo

 


 (Aosta – Piazza foto lab artfer Torino)

Racconti brevi

Antologia del Compleanno

A cura di Arturo Ferrara

I Quaderni di

A R T E M I D O R O
Indice

(le introduzioni e le audio-letture sono di Arturo Ferrara)

Racconti

 

1 Ancora ricordo di Eleonora - (ascoltalo)  

2 I Fatti di Giuseppe Merico  -
(ascoltalo)

3 Mendicante di Saonda       - (ascoltalo)

4 La  strana piega  di Sandra (anneeche)          - (ascoltalo)

5 Il Giardino delle parole Barbara (fantasia972) -(ascoltalo)

6 La Ferrari della Namibia di Paolo - (ascoltalo)

7 Redo Redon 1 di Bimodale         - (ascoltalo)

8 Lo so di Claudia Baldini             - (ascoltalo)

9 In viaggio verso di Lei di Arturo Ferrara (artemidoro) - (ascoltalo)


 

Ancora ricordo
Di Eleonora
Inanotherlife 2008

(ascoltalo)

Introduzione
Una scrittura lirica e simbolica quella di Eleonora, fatta di pause e respiri che divengono a volte sospiri. La Natura e la fusione con i suoi primitivi elementi, quasi uscendo dal tempo, dallo spazio e dalla coscienza di sé è l
’elemento principale. Lo sfiorare, il percepire, il sentire come un sussurro e, nello stesso tempo il partecipare pienamente alla vita naturale, ma anche l’annullarsi nel buio per divenire indistinto elemento, sono, nello stesso tempo, il movimento e l’inazione, l’abbandono…. L’acqua, l’oscurità il viandante…. Simboli forse di rinascita interiore, il  Silenzio è, quel mondo dentro di sé che resta, sopravvive al mutare di tutto persino al “taglio” del Bosco. Ciò che è in noi, pienamente sentito è la nostra stessa essenza che si manifesta nel sogno, nella vita.

°°°°°

 Quel giorno mi alzai tra il tintinnare della pioggia nell’alternarsi allo scivolare della nebbia…

Nuda a piè scalzi, avvolta in quella calda coperta che mi portavo appresso fin da piccola allargai un varco tra il vapore del mio respiro ed il vetro che ne assorbiva il tepore .

Osservavo oltre… cercando con l’anima ciò che il mio cuore pulsante desiderava vedere… il mio faro…il mio mare….                                     Non fù così…

Trasformazione involontaria di una vita mi catapultava in un mondo di non appartenenza.

D’impulso aprii la finestra quasi a scacciare ciò che la mente elaborava dallo sguardo.

 Il riverbero e il freddo tagliente della brezza invernale  mi obbligavano a socchiudere gli occhi, e da essi spiavo con malinconia que\l paesaggio così spoglio, angusto, diverso… ostile.

Le lacrime scendevano in silenzio lungo il mio corpo inerme di fronte alla vita che aveva preso il sopravvento.

Così fù l’impatto con il “nuovo mondo”.

Riflesso nell’acqua vidi il sole accarezzare il lento scorrere di quel’odiato – amato fiume che diventò in seguito mio compagno di cammino.

Ad accarezzarlo in un abbraccio quasi materno un susseguirsi di fusti alti e spogli, rivolti ad osservare il rincorrersi dell’acqua.

 Il Bosco. Fitto. Buio. Inquietante.

Come lupa al richiamo della luna un magnetismo mi attrasse e divenni parte di Lui.

Mi chiedo perché… perché questo perseguitarmi d’acqua e oscurità, questa inspiegabile attrazione.

Incredula mi persi tra i suoi racconti di foglie raminghe e cuori solitari, accarezzavo i suoi rami con lo sguardo di una bimba smarrita, il suo sussurrare mi accompagnava alla scoperta di quella natura che ai molti resta nascosta, un universo solitario di pura essenza in cui ogni piccolo essere, ogni movimento, sospiro, rivela perfezione assoluta, un equilibrio di armonie che non si lasciano scalfire.

Ciò che per l’essere umano è utopia.

Più passava il tempo e più mi accorsi che quel Fiume… quel Bosco… erano diventati il mio Mare… il mio Faro.

In silenzio mi ritrovavo seduta in riva al Fiume alle spalle del Bosco ed osservavo lo scorrere dell’acqua cercando risposte, abbandonata all’infinito della loro essenzialità a scrutare piccoli squarci di mondo, ritrovando in ognuno di essi il ricordo di una vita. Una goccia di pioggia piombata nell’acqua, una libellula posata su di un ramo, una foglia a lasciarsi trasportare dallo scorrere dell’acqua… ‘chissà poi dove se ne vuole andare’!

Camminando al tramonto mentre il sole mi spiava attraverso il calare della nebbia meditavo che forse niente più nella vita mi avrebbe spaventa “ niente potrà essere peggiore di ciò che già è stato”.

Questa è la storia di come conobbi il Bosco.

Un giorno poi, incontrai un Viandante.

Raccontava di Boschi e Sogni. Luce e oscurità. Parlammo a lungo.

Viaggiava accompagnato alla sua anima. Lo guidava il vento … cercava il mulino….

Mi disse: ” il Bosco è dentro di noi” e mi donò il Silenzio.

Io ne feci tesoro.

Ora il Fiume è lontano e restano di nuovo i ricordi. Indelebili stampati a fuoco nel cuore.

Il Bosco… fatto di foglie e fusti è stato tagliato. Forse un segno del destino!

Ma resterà sempre dentro di me! Come quel temerario Viandante!

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I Fatti
di Giuseppe Merico

(ascoltalo)

Introduzione

Giuseppe tra le sue più rilevanti caratteristiche possiede quella di cogliere con la sua scrittura e l’impegno letterario profuso nei suoi libri e nella rivista alla quale collabora l’alienazione che cresce di giorno in giorno in una società in crisi non solo per il crollo dei suoi valori ma soprattutto per la perdita di ogni speranza. L’individuo oppresso dalla sua vita lavorativa e sociale non ha più rifugi (non ha quasi più neppure speranze in “evasioni” temporanee, assimilate all’ora d’aria dei carcerati) e si contorce su se stesso, quasi implodendo nelle piccole seriali abitudini quotidiane che presto diventano insostituibili manie.

Il racconto ha dei ritmi interni molto importanti e la ricerca dell’Autore si estende alla forma che scandisce come un martellante tamburo, una litania, un ritornello il piccolo sviluppo della fabula. Non succede niente, ma quel niente per il protagonista è tutto, contorto, avvitato com’è nelle sue piccole alienanti sicurezze alle quali finge di credere…. Il pianto non lo libererà, diventerà qualcosa di assurdo, senza ascoltatori, non più un segno o un segnale ma quasi un tragico simbolo di un’umanità dolente e inascoltata, che balbetta, ripete tra se poveri esorcismi che nessuno ascolta (se non ritualmente e professionalmente, come nel caso dello psicoterapeuta-simbolo, con un distacco che è solo incomprensione.)

°°°°°

Sono scoppiato a piangere senza un motivo.

La sala d'aspetto del mio medico è impolverata, c'è una vasca di pesci tropicali senza pesci tropicali, la poca acqua che c'è è gialla e se ti avvicini puzza.

La signora che mi sta di fronte ha evidenti problemi di vene varicose, il signore che le sta accanto soffre di ipertensione, lo si vede dalla faccia.

C'è silenzio, qualcuno tossisce, qualcun'altro sfoglia patetiche riviste di gossip. Quando sono scoppiato in un pianto ininterrotto, come si è visto in seguito, nessuno è venuto a chiedermi cosa avessi. Mi hanno guardato strano, la signora con i problemi di vene varicose forse avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarmi, ma poi ci ha ripensato.

Quando è uscito il medico per far entrare il paziente successivo, io non c'ero già più. Ho percorso la strada in fretta, piangendo. Anche i passanti non ci facevano molto caso, evidentemente erano abituati a vedere persone che piangono. Si piange a questo mondo, ed è un bene, mi ha detto il mio psicoterapeuta. Piangendo infatti sono andato da lui, non si aspettava di vedermi. E' un bell'uomo, elegante anche se non veste in modo eccessivamente elegante. Io penso sia elegante dentro. Dev'essere del capricorno, per questo è elegante. Elegante dentro e fuori. Proprio un tipo elegante. Quando io glielo dico che è elegante, lui fa spallucce. Non dev'essere tanto d'accordo sul fatto che è elegante, anche se una volta l'ho detto alla sua segretaria, sa che è proprio elegante il dottore e lei, anche lei, era d'accordo con me. Dunque siamo in due a pensare che sia elegante, io e la sua segretaria che anche lei è elegante, ma un po' meno del dottore che secondo me è elegantissimo. Si piange a questo mondo mi ha detto e ho fatto spallucce così come lui fa spallucce quando gli dico che è elegante. La realtà dei fatti è questa dunque: Il mio medico ha uno squallido studio con i pesci tropicali senza pesci tropicali, i suoi pazienti e anche i passanti non fanno nulla se vedono qualcuno piangere, il mio psicoterapeuta è elegante, anzi no, elegantissimo e io sono uno che piange e questi sono i fatti.

 

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Mendicante
Di Saonda
(ascoltalo)

Introduzione

La linearità e la non originalità della trama del racconto non deve trarre in inganno. Dalle prime righe qualcosa di strano lo pervade, qualcosa che per tutta la lettura mai si chiarirà.

Ognuno di noi ha incontrato un tipo del genere e lo ha ascoltato e poi, con orrore, ha cercato di sfuggirgli ben sapendo che a tale condizione non è poi così difficile, oggi, divenire come lui. “Il mondo era salpato da lui come un transatlantico”. Espressione molto interessante che fa divenire l’abbandono da parte di una donna molto simile a un alibi….. Solo per una donna?Questo ad esempio mi sono chiesto io. Quando il sentimento diviene l’ultima spiaggia dove naufragare, il naufragio è cominciato prima, dalla propria vita, idee, lavoro.

Sembra dire il protagonista nel  suo scontato degrado e annullamento finale che non si può perdere ciò che non si ha, quasi infischiandosene degli esiti del suo bere. Non a caso la frase lo dice un vigile, figura molto adatta a simboleggiare il controllo della libertà. Su questo spunto mi piacerebbe si riflettesse di più in un racconto direi molto “mascherato” .
“Neppure così, neppure liberi(ma quanto e come e di far cosa?) si resiste.”

°°°°°

Spesso il sabato pomeriggio in centro si aggira un mendicante. Vestito di scuro, avvolto in una sorta di mantello nero, annerita la pelle dal sole e dalla polvere, siede sulla soglia dei negozi, chiede l’elemosina, o più spesso non chiede nulla e guarda a terra. Si mormora che un tempo fosse ricco, che si sia ridotto così per una donna, per un amore infelice.

Ogni sei mesi i poliziotti lo prendono, lo portano alla Caritas, dove viene lavato, il barbiere gli taglia i capelli e lo sbarba. Se gli si rivolge la parola, lui mormora dei ma si sente che è da un’altra parte col cuore e i suoi occhi sono tutti all’interno. Prende le monete recitando sottomissione e riconoscenza, poi si allontana a spalle dritte, fiero, col mantello stracciato ondeggiante tra la folla, come un principe. A testa alta si specchia nelle vetrine e si cerca i pidocchi tra i capelli. Per una donna, solo per una donna, che lo lasciò tanti anni fa; e lui lasciò allora lavoro e casa; il mondo intero era salpato lontano da lui come un transatlantico e lui restava a intrattenere sé stesso con ciò che restava, la strada, i cani, i passanti tutti uguali senza di lei.

Negli ultimi tempi ha iniziato a bere. Lo si incontra con una bottiglia di vino in mano, spesso vuota. Adesso piange spesso, seduto per terra, non chiede più nulla, perché non ce la fa; oppure dorme negli angoli senza vento. L’altra sera un vigile gli ha gridato

-Non bere! Altrimenti devono arrestarti e tu perdi la tua libertà-

e nella voce del vigile c’era paura per il mendicante, e forse invidia per quella libertà pagata così cara, che nessun altro in quelle vie del centro aveva, che sarebbe mancata se fosse finito in carcere.

Il mendicante ubriaco lo fissava senza capire. Neppure così, neppure liberi si resiste.

 

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La strana piega
di Sandra (anneeche)

(ascoltalo)

Introduzione
Questo racconto in fondo nasce da una provocazione e uno scherzo nei miei confronti. La prolifica scrittrice che ne è l
’Autrice, (quando non è a spasso nel  Bosco) scrive, scrive con una grande capacità di organizzare e gestire  trame, molto seguite e commentate da lettori, dietro  mie solleciti (anche ironici, come adesso) di scrivere un racconto originale, inedito,per me….ha scritto questo a commento di un mio post. La sua poetica è tuttavia presente, dalla prima riga alla fine, sentimento, ironia e una sorta di interpretazione tragica degli eventi, dove il finale lascia sempre (dopo aspettative varie) con un pugno di mosche in mano o con cocenti delusioni. Protagonisti sempre ambigui, ammalianti e sfuggenti nello stesso tempo e, proprio mentre promettono piaceri materiali ed erotici si rivelano quasi , figure di punitori-puniti, esseri vaganti e infelici dalla spiritualità molto più ricca ed inquieta di quanto potrebbe apparire da trame abbastanza prevedibili.
Certo buone,persino troppe consapevoli, capacità di scrittura
…… dovute sicuramente a tante appassionate letture di genere che hanno lasciato il segno (e si fanno riconoscere) ma anche momenti di grande bellezza letteraria, come quella strana piega nella bocca della protagonista che dice e non dice, divenendo un simbolo della femminilità, dell’amore, della malizia e della Grazia, di quel Mistero senza fine che è la Donna. (il titolo l’ho dato io, proprio in relazione al finale, come quella A. invece del mio nome è un altro mio scaramantico vezzo, mica ho sessant’anni, suvvia!)

°°°°°°

Quando la vide provò un tuffo al cuore. Ricordava la piccola immagine racchiusa nell’avatar, raffigurante un volto giovane e grazioso, quello di una fanciulla pulita e serena, affamata di vita. Ma dal vivo era molto di più: una splendida ragazza, alta almeno un metro e settanta, i lunghi capelli neri che incorniciavano un viso semplicemente stupendo, un corpo perfetto, e soprattutto una luce profonda negli occhi scuri pieni di vita. A.si incamminò verso di lei, quasi esitando; abbozzò un sorriso timido, simile a quello di un ragazzo al primo appuntamento. E invece aveva sessant’anni.

Dopo la morte della moglie, era andato in pensione e aveva aperto un blog. Non contava molti amici, non gli interessava uscire di casa ed affrontare il mondo esterno senza di lei; la casa rappresentava un rifugio sereno e il computer uno svago che gli permetteva di scordare la sua solitudine. Incominciò a scrivere. Poesie meravigliose, ricche di immagini che scaturivano direttamente dal suo cuore; racconti realizzati con una prosa perfetta, squarci di vita vissuta oppure avventure incantate in mondi lontani e suggestivi. Il primo post ebbe dieci commenti, il secondo quindici, poi, in rapida successione, diventarono trenta, quaranta, cento, duecento. Molti gli mandavano messaggi privati. A. rispondeva sempre. A tutti. Diventò un punto di riferimento: dispensava consigli, parole di incoraggiamento, frasi gentili e sempre sincere, perché era buono d’animo. Poi arrivò Isabella. Era la sua prima lettrice, la prima fan. Ormai egli sapeva che avrebbe trovato il suo commento pochi minuti dopo aver postato, e si trattava di commenti profondi che rivelavano intelligenza e sensibilità. Il passo successivo fu rappresentato dai messaggi. Isabella si era innamorata di lui. Voleva conoscerlo. A. aveva scelto un avatar che raffigurava un pinguino, gli erano sempre piaciuti i pinguini; le rispose che aveva sessant’anni…non gli sembrava il caso. Ma Isabella insisteva. Con la caparbia tenacia dei giovani gli spiegò infinite volte che non era interessata all’aspetto fisico, ma alla sua anima. Al suo ingegno tanto vasto. Alla fine, A. acconsentì. Provava molta paura all’idea di incontrare una ragazza così giovane, sapeva che, al di là della differenza di età, egli non era prestante, nemmeno da ragazzo era stato bello. Tuttavia Isabella era riuscita a stregarlo. Non sapeva cosa sarebbe successo, non voleva porsi domande alle quali non avrebbe potuto rispondere. Ma desiderava vederla. Parlare con lei. Assaporare il suo profumo. Bearsi della sua avvenenza. Fissarono un appuntamento in una città a metà strada. Entrambi descrissero come si sarebbero vestiti.

Sebbene fosse il 14 febbraio, il clima era mite. Nel cielo azzurro splendeva un sole che sapeva di primavera. A. si fermò a pochi passi da Isabella. Sorrise nuovamente. Questa volta in modo più convinto. Ma poi…vide un’ombra passare nello sguardo della ragazza. Cercò di interpretare l’espressione di quel viso tanto bello, di dare un senso alla nuova luce che passava in quegli occhi, di capire il motivo della strana piega che aveva assunto la sua bocca. Non ne ebbe il tempo. Isabella si voltò e fuggì via.

 

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Il Giardino delle Parole
di Barbara fantasia972

(ascoltalo)

 

Introduzione
La scrittura di Barbara che ho potuto analizzare anche dal suo interessante libro è in divenire. Il suo amore per l
’infanzia ma anche per le tematiche sociali connesse alla condizione psicologica di ognuno di noi, sempre in bilico tra l’essere e l’apparire, tra il passato e presente, un mito che appartiene alla nostra vicina realtà contadina e una vita che è già post-industriale producono interessanti ricerche che si traducono anche in stile letterario. Questo raccontino ne è un esempio. L’apparente struttura da favola e leggerezza non inganni… è una struttura aperta, come quella dell’infanzia, in formazione, spirituale, materiale e linguistica. La parola assume grande importanza come strumento magico di scoperta e creazione, come avviene nel fanciullo finché non viene, incanalato, incapsulato, asservito, conformato, guastato dalle nostre strutture sociali dei quali purtroppo spesso la scuola (con o senza riforma) a volte è un esempio.

°°°°°

Bla … bla … bla … La … la … la …
Il
piccolo giardiniere, andava spargendo quei semini nel terreno fertile del giardino delle parole.
Il lavoro che il giardiniere “nano” svolgeva ogni giorno non era affatto semplice. Sotto il sole o con la pioggia, continuava senza sosta a compiere il suo lavoro. Dalla sua borsa tracolla lanciava i piccoli semi.
Ogni tanto si soffermava ad osservare le piante e i grandi alberi che rendevano magico quel giardino, mentre pensava che anch’essi in un giorno lontano erano stati semplici semi.
Il piccolo giardiniere era basso e tondo, le sue mani non erano callose, ma paffute come il suo viso e il suo camminare nel terreno era un po’ incerto e traballante. Era bello, per il Signore del giardino, osservarlo mentre svolgeva il suo lavoro; il signore aveva dato un “nome” preciso a quell’operazione che ogni giardiniere nano aveva compiuto nella sua vita e l’aveva chiamata lallazione.
Bla … bla … bla …. La … la … la … e continuava la semina.
Un
bel giorno il giardiniere nano si recò nel giardino per svolgere il suo lavoro di semina: bla … bla … bla … la … la … la … ,sorrideva sempre quando lavorava, era felice sapeva che prima o poi quei semini sarebbero diventati germogli, poi piccole piante e infine alberi solidi radicati nel terreno del giardino delle parole.
Il sole brillava nel cielo quando il piccolo giardiniere trovò il suo primo germoglio: DUNDE.
Non Mamma, nemmeno Papà, ma DUNDE.
Dunde era la pappa buona, Dunde era il suo eroe, Dunde era felicità!
Quanti rami differenti sarebbero nati da quell’unico germoglio di nome Dunde.
Lo guardò, sorrise e disse :- Dunde!-, poi riprese a seminare.
Bla … bla … bla … la … la … la …

 

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La Ferrari della Namibia
di Paolo

(ascoltalo)

 

Introduzione
Il racconto è giocato sulla contrapposizione ironica e triste nello stesso tempo fra il nostro mondo occidentale e quello dei paesi più poveri ne è strumento un mito dei nostri giorni
“La Ferrari” simbolo di ricchezza e potere. Anche questo tema a prima vista potrebbe apparire retorico ma l’Autore lo mantiene in un tono di pacata e leggera ironia, per intenderci quella dalla piega strana  sul viso che un sorriso non maschera.
Lo stile è piano apparentemente semplice ma si percepisce una certa cura e attenzione linguistica. Gradevole anche se quelle mani che salutano nel finale, non a caso di bimbi che nell
’occidente nascono sempre meno più che allegria trasmettano una sottile inquietudine di chi sa in fondo che i suoi effimeri e troppo considerati valori non danno la felicità.

°°°°°

La Ferrari della Namibia non è rossa. Il colore, se c'è mai stato, è stato lavato via dalla pioggia di molti anni e agli occhi di chi la guarda è di un color legno scuro. La Ferrari della Namibia non ha a disposizione 300 e passa cavalli, ma 4 asinelli che non hanno neppure l'aria di passarsela troppo bene. Qualche ferita mai curata sul collo, diventata il luogo d'adunata preferito di voraci mosche.

A bordo della Ferrari della Namibia non c'è una coppia straordinariamente elegante, i pantaloni e la camicia sportiva di lui appena usciti dal negozio di un famoso stilista, lei truccata e ingioiellata come una principessa, gli sguardi persi nel vuoto, tanto non sono loro che devono guardare ma gli altri a dover guardare e invidiare loro, una scia di profumo che li accompagna mentre la strada scorre sotto le ruote. A bordo della Ferrari della Namibia ci sono sette persone, una più sorridente e felice dell'altra, le cui risa risuonano alte nell'aria mano a mano che si avvicina e rallenta. Il profumo è l'odore forte dei campi, del sole e della fatica, di un sudore che ormai fa talmente parte di loro che neppure una decina di docce potrebbero mai cancellare.

La Ferrari della Namibia non accelera improvvisamente mentre ti sta per passare davanti, sparendo pochi secondi più tardi in una nuvola di polvere. Al contrario, si ferma, ed è subito festa tra decine di domande, risposte, risate.Al volante della Ferrari della Namibia non c'è il super miliardario sette volte campione del mondo detentore diogni possibile record uomo di ghiaccio che ancoranonsaparlareitalianodoponoveanniamaranello, ma un simpatico signore con la moglie e i cinque figli. "I am Michol Schomaker" dice allegro e fiero, mentre attorno ai quattro asinelli che tirano il fiato le mosche volano senza sosta.

Ti invita a girare intorno al suo carretto, vecchio e cigolante, che da un momento all'altre sembra dover crollare sotto al peso dei suoi occupanti, e quando tu sgrani gli occhi per la sorpresa, lascia partire una risata ancora più forte delle precedenti. "I am Michol Schomaker" ripete orgoglioso mentre posa per una foto ricorda e poi ti lascia l'indirizzo perché tu gliela possa mandare quando ritorni a casa. Un ultimo saluto, una stretta di mano, le grida dei bambini, poi nell'aria si alza la frusta accompagnata da un grido di incitamento. E la Ferrari della Namibia riparte sulla strada polverosa, le mani che ondeggiano felici in un segno di ultimo saluto.

 

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Rado Ramon 1
di bimodale

(ascoltalo)

 

Introduzione.
La ricerca di bimodale è essenzialmente sviluppata su due piani, quella del ritmo, come un tempo sincopato che scandisce lo scritto e sulla sonorità (non solo uditiva ma evocativa) della parola. Una parola ricercata ma spogliata dall’inessenziale. Una scrittura poetica anche quando si manifesta in prosa. Lo stato di abbozzo, allusivo mai esaustivo è una esplorazione(forse) della coscienza e della sua manifestazione fenomenica ed effettuale nell’impossibile (è questo il dramma,ma anche la poesia, di ogni scrittura) traduzione letteraria. In questa prospettiva anche una destrutturazione della frase un suo  ri-generarsi quasi in forma seriale , un ri-cominciare di un discorso  apparentemente impossibile è un  tentativo, forse di uscire dalla prigionia del legame fra significato e significante “oltre” il poco complice confronto con il probabile lettore.


ramon nel sole ha riflettuto immensi accecamenti e la musica sembrava un paraocchi onirico.
ramon quando sta male e sente il freddo trapanargli il corpo e l'epidermide si scioglie come cera.
ramon ha vinto poche volte le scommesse sui cavalli immaginari nel circuito viscerale dell'inconscio.

ramon quella mattina si sco

sse tardi via dal letto dopo una nottata insonne e immemore di incubo.
ramon rabbrividì sporgendosi dall'incavo del braccio fissando le ombre sul soffitto come barbagli sul fondale sabbioso del mare.
ramon vedeva ragnatele agli angoli in alto nella stanza come intrecci vibranti di luce sulla sabbia sotto il cristallo del mare.

 

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Lo so....  
di Claudia Baldini  

(ascoltalo)

 

Introduzione
C’è sempre un contrasto nella brillante scrittura di Claudia tra il suo inquieto mondo interiore e la realtà quotidiana dove i suoi personaggi e la rappresentazione del  suo io si muovono con apparente leggerezza.

Conflitti tra percezioni  del  mondo sociale e di quello interiore poco si mascherano nel  conformismo  o anticonformismo dei personaggi  che sembrano  sempre prigionieri della loro parte del loro “dover essere” spesso, con dolorosa semplificazione ,mescolato all’apparire.

In brevi testi come questo non solo la struttura non patisce ma anzi acquista in ambiguità letteraria.

 

Lo so .... che non è bello, ma quando ho la sensazione che tutto sia sbagliato, completamente sbagliato, non posso fare a meno di cambiare anche io. E' la stessa sensazione di quando indossi un vestito che ti fa sentire buffa, o un paio di scarpe troppo lunghe che ti fanno venire le vesciche. Io mi apparto, fatico a sorridere e avverto un senso di fastidio.
E' che tutti sembrano amici amici e in fondo non lo è davvero nessuno. O meglio, io non sono amica di nessuno (tranne delle mie amiche, ovvio).... ma è una cosa diversa.

*

Postazione di controllo. Il poliziotto si avvicina e quando vede le ragazze alla guida dice "abbiamo bevuto stasera..."
Dentro l'abitacolo, le ragazze ridacchiano e quella al volante, più brilla che mai,

risponde "abbiamo bevuto anche noi".
La patente si sfibra così in una manciata di coriandoli

*

"uhhhhh, grazieeeeeeee... dove hai trovato la mia Mont Blanc???"
"là, vicino al cancello... dove stanotte hai scavalcato
....

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In viaggio verso di Lei
Di Arturo Ferrara (artemidoro)

(ascoltalo)

 

Introduzione

Lei…. Eterea, impossibile, una ricerca che continua nelle mie pagine, una forma,una figura mai definita e definibile che ricorre come altre strutture simboliche…. Questo racconto ha già qualche anno ed è stato da me riletto per merito di Enza che (bontà sua) ha commentato un post lontano (ma è poi esatto dire così?....almeno in letteratura, nel tempo). L’ho inserito perché riprende temi che ritornano nelle mie pagine, il concetto di ombra, di uscita da sé, “l’oltre”, la “maschera”, ogni maschera  a coprire forse l’invisibilità. A chiederla….. il mondo del sogno non separato dal reale che si confonde, si alimenta quasi di quello che io chiamo “mondo rovesciato”, nel disperato tentativo, forse, di superare i legami che ci condizionano, limitano, imprigionano ci rendono “captivi”. Il tema finale, quello dell’annichilimento, quasi della fusione…. (con la natura, il cosmo…. Il nulla?) si ritrova ,più o meno mascherato in altri miei post, sempre aperti a codici e interpretazioni diverse. Evocare più che dire o suggerire, non alimentare il “Dubbio” ma neanche dimenticarlo. Il racconto ha una struttura circolare, si chiude dove inizia e, quasi ricomincia, anche questo un segnale del movimento di ricerca che è anche immobilità dell’Attesa.

°°°°°

Lei .....   lontana e sconosciuta.Come trovarla, dove ....Quando non bastano i mezzi, lo spazio, il tempo, i pensieri e la memoria? Dove andare.....Se la via della realtà è preclusa, non rimane che il sogno. Decise di sognarla. Non conosceva il suo volto, non aveva mai sentito la sua voce, sapeva, sentiva, che si mascherava dietro i suoi scritti e sapeva che questa maschera era la maschera di una maschera che ricopriva a sua volta un' ombra, un' ombra riflessa in uno specchio : il monitor del computer. Ma la sua bellezza era proprio la sua invisibilità, la sua non esistenza che fermava per sempre il suo decadere, il suo invecchiare. Non solo, ma fermava anche quello di chi la amava. Così, preda della sua patetica illusione decise di visitarla in sogno. Da tempo aveva imparato come sdoppiarsi e viaggiare, le notti di Luna piena, per esplorare quell' Altro Mondo, uno degli infiniti possibili.... Sapeva anche il pericolo che correva. Solo un sottile filo d'argento ti tiene ancorato alla vita, al tuo letto, quando, a velocità incredibile e apparentemente senza controllo di proietti in quella dimensione. Spezzata la corda si spezzano i legami logici fra i mondi, fra realtà e sogno e non c'è nessuna possibilità di ricostruirli perché finalmente vedi che non sono mai esistiti.:..

Lei .....valeva la pena...di superare il terrore e lo smarrimento dell'iniziale tuffo nell'oscurità e difficili passaggi fra voci e immagini di ogni genere (pensieri che tentano di divenire materia e materia che si fa incautamente pensiero).... Le probabilità di arrivare da Lei erano infinitamente basse, quasi vicine allo zero...solo se Lei aveva intrapreso la stessa notte, lo stesso viaggio verso di Lui si sarebbero incontrati, finalmente annichiliti in un lampo di luce, come pianeti che svaniscono o mondi che si creano.

Sarebbe caduto, risucchiato nel buco nero di in quell'infinita e primordiale Notte, incauto viaggiatore ? Avrebbe rivisto un'altra alba, ormai così legato alla vita da ritornare al primo brivido?

 

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